- TI
AIUTEREMO A VINCERE.
-
- Finalmente
la notte era calata. La luna e le stelle si erano
innalzate e osservavano la quiete diffondersi. Il
silenzio aveva preso il sopravvento, regnando
indisturbato fra le vie, fra le case... fra i
pensieri.
- Era
difficile per Sara dormire, la giornata era stata dura
da sopportare. Mille pensieri le avevano tormentato il
cuore, mentre una voce ininterrottamente aveva
continuato a sussurrarle una parola:
PAPA'!
- Non
ce la faceva più, quell'angoscia, quell'ansia,
la stavano uccidendo. Prese il cappotto e una sciarpa
e piano, piano uscì da casa. Era molto tardi.
Forse l'una o le due del mattino, pensava Sara
uscendo. I suoi genitori dormivano e anche le sue
sorelle. Nessuno l'aveva sentita. Fuori l'aria era
gelida e pungente e un leggero vento le lambiva il
viso, obbligandola a coprirsi fino sopra il naso. Il
buio che l'avvolgeva a mano a mano che faceva qualche
passo, non le faceva paura. C'erano i suoi pensieri a
tenerle compagnia, non la lasciavano mai nemmeno per
un minuto. Camminò per un po', finendo a
sedersi nei gradini della scuola elementare del suo
paese. Ora era completamente sola e libera di
piangere. Per tutto il giorno aveva trattenuto le
lacrime ma ora basta non ce la faceva più.
Scoppiò in un pianto disperato e convulso e per
un po' non ci fu nessun pensiero in grado di calmarla.
Smise solamente quando sentì il vento soffiare
forte vicino a lei. Forse voleva solo abbracciarla,
forse cercava di asciugarle le lacrime che le rigavano
il viso. Quel pianto irrefrenabile, solo dopo un po'
si trasformò in uno sfogo
silenzioso.
- Sara
chiuse per un istante gli occhi e cominciò a
rivivere quella giornata da quando quel maledetto
telefono squillò. Il nastro registrato di quel
giorno cominciò a riavvolgersi. Ma
perché si stava facendo del male in quel modo?
Perché cercava di ricordare le parole, i visi,
gli sguardi? Eppure era consapevole che tutto quel
dolore le stava schiacciando il cuore. Ecco...il
nastro si era fermato...
- "Pronto"
rispose Sara, intenta a fare un segno nell'ultima
parola che aveva letto del libro.
- "Buongiorno,
sono il dottor Mazzoli dell'ospedale" rispose una
voce.
- Sara
sapeva benissimo con chi stava parlando, conosceva
bene quel nome ed è per questo che
repentinamente sentì stringersi un nodo attorno
alla gola.
- "Buongiorno
dottore" sussurrò Sara
- "Lei
è la figlia del signor Brini?"
- "Sì"
- "Desidererei
parlare con suo padre o con sua madre"
- "Non
sono ancora tornati"
- "Quanti
anni ha lei signorina?"
- "Venti"
- "Bene,
allora è abbastanza grande".
- Sono
abbastanza grande per cosa? Pensò
Sara.
- "Dovrebbe
riferire a suo padre che sono arrivati i risultati
della Tac e che ho assolutamente bisogno di vederlo.
Pensa che riesca a venire da me per le
14:00?"
- "Sì"
Sara non riuscì a dire nient'altro.
- "Bene,
perché ho bisogno di discutere con lui di
alcune cose".
- "Arrivederci"
- "Arrivederci".
- Sara
spense il cordless mentre la sua testa si
riempì di orribili pensieri. Cosa doveva fare?
Non voleva dirlo a suo padre, doveva rintracciare sua
madre e lasciare a lei l'arduo compito. Da un mese
circa, suo padre accusava un forte male alla gola,
pensava fosse un'infiammazione, un'infezione... una
rottura di scatole in poche parole. Si era deciso dopo
molto a farsi vedere dalla dottoressa di famiglia. Lui
lavorava lontano da casa e perciò gli era
difficile andare dal medico. Il responso fu che doveva
prendere delle pastiglie e uno spray, niente di
preoccupante.
- Dopo
alcune settimane il dolore era cresciuto, forse
perché era un fumatore incallito, ma quel
presunto mal di gola non voleva passare. La dottoressa
si era raccomandata di farsi vedere da un Otorino se
il dolore si fosse prolungato. E
infatti...
- Quel
giorno all'ospedale per la visita erano andati: suo
padre, sua madre, lei e la sua gemella Marta. Non
sapevano bene perché, ma tutti e quattro erano
molto tesi, come se sentissero che qualcosa stava
succedendo. Quando l'infermiera chiamò i suoi
genitori lei e Marta rimasero fuori e senza essere
viste si misero vicino alla porta ad ascoltare. Era
difficile sentire, l'unica cosa che capirono fu:
RICOVERO! Marta e Sara si guardarono, avevano capito
che qualcosa non andava. Dopo che i suoi genitori
uscirono, con una lettera dovettero recarsi nel
reparto O.R.L. per parlare con il primario. Era
l'inizio di un qualcosa di brutto, lo sapevano tutti,
ma nessuno ci voleva credere.
- Gli
avevano detto che era un polipo e che sicuramente
doveva essere tolto. Perciò non serviva
angosciarsi. Eppure seduti nella sala d'attesa, tutti
e quattro tenevano lo sguardo basso cercando di
convincersi che mai poteva essere..."uno di quelli
là", come diceva suo padre. Il primario non si
sbilanciò molto, occorreva una Tac e una
biopsia. Passarono una ventina di giorni prima di
conoscere l'esito e quel momento era arrivato proprio
quella mattina. Suo padre quel pomeriggio andò
all'appuntamento forse ancora con l'idea che tutto si
sarebbe risolto in poche ore. I suoi genitori
tornarono a casa verso le tre e mezzo. Sapevano
l'esito della Tac e le loro facce infrangevano tutte
le speranze che avevano avuto fino a qualche ora
prima. Quando tornarono, in casa c'era solo Sara e
Marta. Ambra e Barbara erano al lavoro. Sua madre
entrò nella loro stanza dicendo a bassa voce:
"Bruttissime cose, è un tumore maligno, lo
opereranno, non parlerà più, gli faranno
un buco per respirare". Avevano veramente capito bene?
Ma cosa diavolo stava succedendo? Per un attimo si
sentirono confuse e Sara guardò immediatamente
Marta. Lei era al secondo anno del corso di laurea in
Scienze infermieristiche e forse sapeva dirle di che
cosa stava parlando la loro mamma.
- "E'
tremendo, dovranno tracheotomizzarlo, avrà un
tubo nel buco che gli faranno in gola" disse Marta
ansimando per lo shock ricevuto.
- Quando
finalmente trovarono il coraggio di andare dal loro
papà, lui cercò di sdrammatizzare tutto
con una battuta, ma era palese che il dolore era
tanto.
- Per
tutto il pomeriggio stettero in silenzio, avevano
avvertito le sorelle ma nient'altro. Improvvisamente
il male si era calato sulla sua famiglia e non era
facile accettarlo.
- Fino
a sera, Sara aveva cercato di rispondere alle sue
mille domande: perché a mio padre?
Perché la vita è così ingiusta?
Morirà? E se vivrà come
vivrà?...
- Le
risposte non c'erano e nessuno poteva dargliele
nemmeno quel silenzio, in cui quella notte si era
rifugiata.
- Era
ora di alzarsi. Le lacrime erano scese, ma il dolore
era rimasto. Piano, piano si diresse verso casa,
aprì la porta e si sdraiò sul divano.
Shhh...si era addormentata.
- Trascorsero
tre interminabili settimane da quella notte e tra
pianti, giorni di terrore e d'agonia, il giorno
dell'operazione arrivò.
-
- 19/02/2003
- Caro
diario,
- stamattina
alle otto hanno operato il mio papà. Prima
di entrare in sala operatoria lo abbiamo salutato
con un bacio. C'eravamo io, Marta, Ambra, Barbara e
la mamma. Un bacio e un abbraccio profondo era
tutto quello che potevamo fare per lui in quel
momento. Ho visto i miei genitori darsi un bacio
straziante. Se chiudo gli occhi lo vedo
ancora...sì, sta entrando e si sta
allontanando da noi...ha girato l'angolo, ma prima
si è rigirato un momento per farci
l'occhiolino...la porta si è chiusa. Era
chiara la sua paura! Paura di non risvegliarsi mai
più, paura di svegliarsi e di non trovare la
forza di reagire, paura di
perderci.
- Che
terribile ansia è stato saperlo là
dentro, con gli occhi chiusi, mentre i dottori
stavano cercando di salvargli la
vita.
- Le
9:00, le 10:00, le 11:00, 12:00, le 13:00, le
14:00, le 15:00, le 16:00, le 17:00....eravamo
tutti nella sala d'attesa e la tensione ci ha
divorato per ben nove ore. Le più lunghe
della mia vita. Ad un tratto un'infermiera ha
chiamato mia mamma perché il dottore voleva
dirle com'era andato l'intervento. Sono scoppiata a
piangere, in quel momento tutta l'ansia che avevo
accumulato è esplosa. Non ho voluto vederlo
uscire. Dopo che l'hanno sistemato nella sua camera
l'infermiera ha fatto entrare mia mamma che qualche
secondo prima era scoppiata a
piangere.
- Quando
poi, l'infermiera ha detto che potevano entrare le
figlie, mi sono sentita il cuore balzare alla
gola.
- Ho
fatto un respiro profondo e ho aperto la porta. Era
disteso sul letto, una fasciatura gli copriva il
collo, aveva mille tubi ovunque e respirava con
l'aiuto dell'ossigeno. Teneva gli occhi socchiusi e
sembrava...un'altra persona! Dov'era finito il mio
papà? Dove? Dopo pochi minuti, mi sono
sentita mele e sono scoppiata a piangere.
Chissà cosa stava provando?
- Quando
Sara richiuse il diario, era ormai tardi, ma il sonno
non arrivò per tutta la notte.
- Il
giorno dopo fu molto duro, l'effetto dell'anestesia di
suo padre stava svanendo e lui stava sempre diventando
più consapevole che la sua vita era
cambiata.
- Era
arrabbiato e sembrava essersi chiuso in se stesso.
Sara non riusciva ancora a stargli vicino senza dover
uscire per piangere ed era sicura che non ci sarebbe
mai riuscita.
- Il
medico disse a sua mamma che purtroppo il tumore non
era stato asportato del tutto. L'operazione era durata
troppo e sarebbe stato rischioso continuare
l'intervento. Dovevano aspettare una quindicina di
giorni per sapere se anche i linfonodi della parte
destra della gola erano stati intaccati dal tumore.
Naturalmente era sicuro che occorreva fare la
chemioterapia una volta ristabilito.
- A
53 anni suo padre si era ritrovato a non poter
più lavorare, a non poter più parlare, a
dover combattere contro un male difficile da
sconfiggere. Tutti i parenti, gli amici continuavano a
dire che l'importante era che fosse ancora in vita...
sì era vero, ma che vita gli sarebbe
aspettata?
- Erano
trascorsi sei giorni dall'operazione e suo padre
cercava di reagire e imparare a gestire gli impulsi
che il suo corpo gli dava.
- Aveva
imparato a pulirsi la cannula da solo, si aspirava le
secrezioni che gli uscivano dal naso e che gli
restavano in bocca. Sopportava il sondino che lo
aiutava a mangiare, ma non imparava completamente ad
accettare di non poter parlare.
- Una
sera quando Sara tornò dall'ospedale, si
sentì più triste del solito. Si sedette
sul divano dove suo padre passava gran parte delle sue
serate e dei suoi week-end. Le sembrava di sentire il
suo profumo. Si era promessa di non piangere e con
forza cercò di trattenere le lacrime che le
offuscavano gli occhi.
- Ad
un tratto si accorse che sul tavolino vicino al divano
c'era la lettera che lei e le sue sorelle gli avevano
scritto, prima che andasse all'ospedale.
- Gliela
avevano fatta trovare sopra il tavolo del salotto una
mattina in modo che la leggesse appena sveglio e
quando era solo.
- PER
PAPA' OSCAR. Sara aprì la busta e iniziò
a leggere.
- Ciao
papà,
- abbiamo
deciso di scriverti una lettera perché
è un modo semplice per farti capire quello
che stiamo provando in questo momento. Quando lo
abbiamo saputo, dobbiamo ammettere che c'è
crollato il mondo addosso, come a te e alla mamma
del resto. Non riuscivamo e non riusciamo a credere
che stia succedendo tutto questo al nostro
papà. Tu per noi sei sempre stato (e lo sei
ancora) un uomo invincibile, un papà che per
la sua famiglia donerebbe l'anima, che ha sempre
aiutato il prossimo e che nella sua vita ha lottato
tanto per avere quello che ha, però è
proprio per questi motivi che noi ci siamo fatte
forza e abbiamo in qualche modo cercato di
accettare quest'ingiusta realtà. Noi
sappiamo che lotterai anche questa volta, anche se
in alcuni momenti ti sentirai vinto e scoraggiato.
NOI SAPPIAMO CHE VINCERAI TU...COME SEMPRE! A volte
ci riuniamo a parlare e cerchiamo assieme di farci
forza. Ognuna di noi l'ha presa in modo diverso.
Marta continua a ripetere, che dobbiamo vivere
questa situazione facendo un passo dopo l'altro,
concentrandoci sui singoli eventi senza riempirci
la testa di idee troppo esagerate.
- Lei
è convinta che tutto si
risolverà.
- Barbara
piange sempre e continua a dire che lei data la sua
malattia agli occhi, sa cosa vuol dire essere
diversi, ma sa anche che prima o poi si accetta e
si continua a vivere normalmente.
- Ambra
sta vivendo tutto questo con tanto dolore che non
riesce a manifestare, ma che tiene chiuso dentro di
lei. Infine ci sono io, che mi sto facendo coraggio
in mille modi. Cerco di vivere le tua malattia non
pensando al futuro ma al presente.
- Sappiamo
che dovrai affrontare momenti orribili, ma sappiamo
anche che ce la farai...e sai perché?
Perché al tuo fianco hai l'aiuto
incondizionato delle tue figlie e dell'amore della
mamma. Noi la guardiamo con tanta ammirazione
perché nonostante in questi momenti stia
vivendo una forte depressione è riuscita con
la forza dell'amore profondo che prova per te a
farsi coraggio per affrontare la cosa nel modo
giusto.
- Non
preoccuparti per noi...ce la facciamo. Abbiamo la
fortuna di far parte di una famiglia numerosa e
unita...una famiglia che tu hai
creato!
- Non
vogliamo dirti di farti coraggio perché
sappiamo che è dura, ma solo che ti vogliamo
bene.
- Ti
regaleremo tante soddisfazioni, te lo
promettiamo.
- Marta
ed io ti regaleremo la nostra laurea, quel giorno
sarà un riconoscimento non solo per noi, ma
soprattutto per te e per la mamma, per i tuoi
sforzi e per le tue rinunce che hai fatto per farci
studiare, per tutte quelle settimane che hai
lavorato lontano da casa, trascurando anche la tua
salute. Grazie non lo scorderemo
mai.
- NON
LOTTERAI DA SOLO, MA CON LA TUA FAMIGLIA. SARA,
BARBARA, MARTA, AMBRA.
- Sara
richiuse la lettera, tradendo la promessa che si era
fatta. Le lacrime che scendevano, bagnavano la lettera
che aveva appoggiato vicino al cuore.
-
- Passarono
quindici giorni e suo padre era ancora all'ospedale,
aveva iniziato a mangiare da solo, aveva ricominciato
a ridere e ogni giorno la sua famiglia e i suoi amici
gli erano vicino per fargli capire che ce la poteva
fare, che ce la doveva fare. Lo aspettavano giorni
duri, terapie e forse un secondo intervento, ma
avrebbe continuato a lottare, cercando di farsi
spazio, cercando di arrivare primo contro un male
difficile da sconfiggere.
- La
vita può cambiare da un momento all'altro. Non
penseresti mai che possa succedere proprio alla tua
famiglia o a te. Cosa fare? A chi dare la colpa? Non
bisogna incolpare nessuno, non bisogna nemmeno
sentirsi sfortunati e perseguitati. Bisogna
combattere. Occorre aggrapparsi disperatamente a
qualcuno. A Dio, alla famiglia, a un amico...No, non
è facile.
- So
che si vorrebbe solo arrendersi e lasciarsi andare,
lasciare che il male prenda il sopravvento e accettare
di perdere. Ma è sbagliato perché la
vita è una sfida e un'avventura sin dal
concepimento e lottare perché questa ci
appartenga il più a lungo possibile è un
nostro diritto.
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