- Primo
amore
-
- Lungo
il viale sotto casa gli alberi erano fioriti. Mi
dimenticavo sempre dell'arrivo della primavera fino a
quando non me ne trovavo dentro. Per quello che potevo
dire io, nei miei dieci anni di vita era sempre
arrivata prima o poi, ma non mancava mai di stupirmi.
Corsi fino alla camera di mia sorella e le diedi la
notizia, che accettò con un sorriso
divertito.
- Mia
sorella. Per quanto mi sforzi, davvero non ricordo
d'averla mai vista bambina. Mi dicono che ero troppo
piccolo. A dir la verità mi ero effettivamente
reso conto della nostra differenza non molto tempo
prima, quando mi ero trovato davanti allo specchio con
lei. Conoscevo il significato di crescere, anch'io del
resto non ero uguale a quand'ero nato. Eppure era un
mistero che mi lasciava senza fiato. I dieci anni che
mia sorella aveva più di me si erano raccolti
nelle gambe e nelle braccia. Accanto a lei, in quel
momento, mi sentii assurdamente piccolo.
-
- I
sorrisi di mia sorella variavano a seconda del suo
umore, ma non mancava mai di farli. Quella mattina
tornai nella mia stanza vagamente preoccupato.
Ricordavo d'averla vista felice in molti modi diversi,
ma quello mi era del tutto sconosciuto. Qualcosa era
cambiato, qualcosa che non capivo ma che lasciava ad
intendere che io non ne ero compreso.
- Sono
nato in una famiglia dove è abitudine chiedere
se non si sa qualcosa. Così andai da mia madre
e le feci la domanda più logica del mondo.
"Cos'è successo a mia sorella?". La risposta fu
altrettanto logica. Si era innamorata.
-
- Conosco
il significato di molte parole, me le faccio spiegare
perché mi piace seguire le conversazioni degli
adulti e capire cosa dicono. Per questo dicono che
sono sveglio. Purtroppo, però, certe cose
ancora mi sfuggivano. L'amore su tutto. Sapevo di
essere nato dall'amore dei miei genitori. Sapevo di
amarli.
- Sapevo
d'amare mia sorella. Eppure non riuscivo ad afferrare
i perché e i come. Quindi questa notizia mi
agitò parecchio. All'età di dieci anni
il mio mondo stava inevitabilmente
cambiando.
-
- Dalla
porta socchiusa della camera sentivo la sua voce
allegra. Cantava una canzone accompagnata dalla radio.
Mi accostai e iniziai ad osservarla. Avevo sentito
dire che l'amore trasforma le persone. Eppure quella
era mia sorella. I suoi capelli, le sue gambe, le sue
mani. Mi allontanai perplesso. Non ero l'unico quindi
ad avere le idee confuse sull'amore. Mi sentii
sollevato. Venne a chiamarmi, poco dopo, in camera
mia. Di nuovo con quel sorriso strano. In
quell'istante capii per la prima volta una cosa
riguardo l'amore. È qualcosa che aggiunge, non
che trasforma. La semplicità di quella
deduzione mi colpì come se fosse una
banalità. Eppure non riuscivo a smettere di
sentirmi derubato.
-
- Quel
pomeriggio lei uscì di casa presto e io mi
fermai a guardarla allontanarsi dalla finestra della
mia camera. Camminava sotto gli alberi in fiore. Era
bella come le signorine di certe stampe giapponesi che
avevo visto, ferme in una nube di petali rosa coi loro
ombrelli di carta di riso e i visi pallidi. Era
altrettanto bella. La sensazione che mi avessero
rubato qualcosa aumentò
vertiginosamente.
-
- Mia
sorella stava spesso nella sua camera e io di tanto in
tanto la raggiungevo. In quei momenti, seduto sul
letto, mi dedicavo ad una cauta osservazione, finendo
poi per addormentarmi. Quando mi svegliai, quel
giorno, lei stava parlando al telefono. La sua voce
era dolce, quasi un soffio. Iniziai a sentirmi a
disagio, infastidito e arrabbiato. Mi sentivo qualcosa
dentro, nello stomaco, e mi faceva male. Cominciai a
piangere senza fare rumore, non volevo che mi vedesse
così. Avrei dovuto spiegarle perché e
non sapevo dirlo neanche a me stesso. Nella mia testa,
come una trottola girava un solo pensiero. In quel
cambiamento non c'era spazio per me. Ero geloso. Poi,
stanco di quel pianto, mi riaddormentai.
-
- Una
mattina di quella primavera, lei ed io uscimmo.
- Camminavamo
e mi teneva la mano. Il calore di quel contatto mi
entrava nel cuore. Le volevo bene, qualunque cosa
significasse quella frase. Mi parlava, spiegandomi le
cose che le chiedevo, con un tono sereno e tranquillo.
Osservavo il profilo del suo viso, i movimenti che si
creavano formulando parole e pensieri. I capelli che
dondolavano al ritmo dei suoi passi e le risate che
riempivano il silenzio nell'aria. Seduti sulla
panchina di un parco, mi permisi di osservarla di
nuovo. Le gambe accavallate, un piede che dondolava
come se seguisse un ritmo che io non sentivo. Le mani
incrociate sul grembo, gli occhi socchiusi alla luce
del sole. Mi decisi a parlare. "Tu sei innamorata".
Non era una domanda, si trattava di una semplice
constatazione. Il suo piede si era bloccato nello
stesso istante in cui posava gli occhi su di me. Aveva
la bocca socchiusa come se si fosse gelata nel momento
di pronunciare una frase. Mi scrutò per qualche
istante, facendomi arrossire. Mi alzai dalla panchina
cercando di sembrare tranquillo, infilando le mani
nella tasca dei pantaloni. Era un gesto che avevo
visto fare da un attore in televisione e mi era
piaciuto, dava l'impressione d'essere molto sicuro di
sé. Probabilmente su di me, un bambino di dieci
anni, risultava ridicolo. "Sono geloso".
-
- Quello
che successe dopo nella mia mente occupò lo
spazio di un'eternità. La mano di mia sorella
mi aveva afferrato il gomito e trascinato vicino a
sé. Non riuscivo a guardarla in faccia. Le
lacrime mi riempivano gli occhi. Un pugno si
fermò sulla mia testa, non tanto da farmi male
ma sufficiente a risvegliarmi dal mio pianto. "Sei uno
sciocco". La voce di mia sorella mi riempiva la testa,
svuotandola da qualsiasi altro pensiero. Quel pugno si
era sciolto e la sua mano aperta mi proteggeva la
testa. "Se anche fossi innamorata, perché
dovresti essere geloso?". Rimase silenziosa. Forse si
aspettava che le dicessi qualcosa, che le spiegassi,
ma come ne sarei stato capace? Ero solo un bambino e
dovevo darle ragioni su cose così imprecise e
sfumate che io per primo non sapevo mettere in ordine.
"Siamo fratello e sorella" la sua voce aveva ripreso a
parlarmi" e questo non ce lo può togliere
nessuno. Per quello che so io, ti vorrò sempre
bene". La sua mano mi aveva alzato il viso. Per tutta
la vita ricorderò le labbra di mia sorella
mentre pronunciavano "Anche questo è amore,
sai?".
- Quella
sera, nel mio letto, piansi ancora un po'.
-
- Erano
passati parecchi giorni da allora. Anche se ci
sfioravamo appena, lei presa da troppi impegni e io
fuori della sua vita, continuavo a sentirla vicina.
Era la radio che suonava dalla porta chiusa della
camera. Era la voce che mi chiamava per la cena. Era
il suo cappotto appoggiato di fretta sulla
poltrona.
-
- Quel
pomeriggio tornavo a casa, salendo piano le scale e
contando i gradini. Mia sorella era seduta sul
pianerottolo fuori della porta. Le ginocchia raccolte
nelle braccia, stringendosi tutta come se avesse la
paura di finire in pezzi. La salutai sedendomi accanto
a lei. Stava lì, ferma e abbandonata. Una
bambola di pezza. Non sapevo cosa dire quindi pensai
di rimanere in silenzio. Le guardavo le braccia. Le
mani le stringevano così forte che le nocche
erano bianche. Non capivo e quando mi succedeva mi
agitavo. Poi, lentamente, mia sorella alzò la
testa. Il suo volto circondato dai capelli scuri,
quegli occhi un po' tristi, le labbra increspate
appena da un sorriso leggero. Non mi ero mai reso
conto di quanto assomigliasse alla mamma. O forse non
me n'ero accorto perché era fin troppo
evidente. Guardai le mie gambe e le mie braccia secche
di bambino. Con lei seduta accanto, mi sembrarono
troppo corte. Non sarei stato in grado di
raggiungerla. Non avrei avuto modo di arrivare al suo
collo e abbracciarla forte. Mia sorella, al mio
fianco, era troppo lontana.
-
- Non
capii mai come l'amore che le aveva dato quei sorrisi
se li fosse ripresi. Non capii mai se in fondo fosse
ancora innamorata. Ricordo però quella
tristezza che faceva male al cuore. Forse era
perché non piangeva e per questo mi
sembrò infinitamente più doloroso. Io se
mi sfogavo, mi sentivo meglio. Il vederla trattenere
ogni emozione, ogni ricordo mi fece pensare che forse
non voleva sentirsi meglio. Non mi capacitavo di una
scelta simile. Non potevo pensare, allora, che
fermarsi nel proprio dolore a volte è il modo
migliore per superarlo.
-
- Non
ci scambiammo una parola, io avevo paura di dire
qualcosa di sbagliato. L'idea di rovinare quel momento
mi terrorizzava. Mia sorella, chiusa tra le braccia e
i capelli spettinati, era lì per me e solo io
c'ero e potevo esserle d'aiuto. Anche se questo voleva
dire starle semplicemente accanto,
silenzioso.
-
- Crescendo
non posso dire di aver capito qualcosa in più
riguardo l'amore. Semplicemente ho rinunciato a farlo.
Mia sorella mi dice, prendendomi in giro, che sono
troppo occupato a pensare ai sorrisi della mia
compagna di classe. In fondo anche questo è
vero. Come è altrettanto vero che, per qualche
strana alchimia, diventando più grande sono
cambiato. Gli anni tra me e mia sorella, pur rimanendo
gli stessi, si sono assottigliati e quasi non si
sentono più. Solo certe volte, mi guardo allo
specchio e ancora vedo quel corpo secco e troppo corto
di bambino. Assurdamente piccolo. E
sorrido.
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