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                  Stordimento Remo è alla
                  stazione da dove partirà per il suo solito
                  "anda-e-rianda" settimanale, con la solita
                  sensazione d'instabilità, con i soliti occhi
                  mogi e percettivi in movimento. Remo sorride
                  ironico al paesaggio umano che ogni volta incontra
                  in questi luoghi di passaggio che vengono chiamati
                  stazioni. Ed ogni volta si sorprende pensando al
                  sostantivo stazioni perché è tutto
                  tranne uno stazionare in queste stazioni. Quelli
                  che stazionano veramente sono i senza tetto, tutti
                  gli altri attraversano le stazioni spesso senza
                  neanche guardarle, senza sostare appunto. E la
                  provvisorietà dei senza tetto si mescola
                  così con quella di tutti gli altri in un
                  crogiolo temporale che investe la precarietà
                  di un'umanità alla deriva che
                  paradossalmente fa del viaggio (o della sosta per i
                  senza tetto), il punto fermo d'esistenze ormai
                  ingoiate dal vortice cinetico di una rincorsa
                  assurda nel tentativo, ridicolo, di afferrare se
                  stessi in una dimensione univoca. Insomma siamo
                  tanti patetici Achille, macerati da talloni deboli,
                  che non raggiungeranno mai la tartaruga.
                  Progrediamo, certo, progressivamente, spinti dal
                  progresso, ma per vederci girare intorno. È
                  questo ciò che Remo, più o meno, sta
                  pensando e quante volte si era soffermato sul
                  significato di partire. Ed aveva capito che si
                  parte per ritornare, che si parte non per arrivare
                  in un punto, non per colmare uno scarto e nemmeno
                  per riempire una distanza. Si parte piuttosto per
                  ripartire, per creare un nuovo punto, per spanare
                  una differenza oppure per annullare una distanza.
                  Ma soprattutto si parte per rimettersi in gioco e
                  quindi, ogni volta, bisogna ricordarsi di lasciare
                  se stessi a casa. Invece Remo si accorge che tutta
                  la gente intorno a lui è fin troppo presente
                  e capisce che loro stanno partendo per finta, in
                  modo pericoloso, perché rischiano di
                  annodare ancora di più le liane d'esistenza
                  già sufficientemente attanagliate. Remo
                  pensa questo e forse pensa troppo, ed è il
                  suo dramma. Ma non trova un'altra mappa più
                  adeguata a guidarlo nella perlustrazione della
                  vita, proprio lui che quando approda in una nuova
                  città non si appropria mai di una cartina
                  del luogo. Infatti, che senso ha volersi
                  "ritrovare" in un luogo in cui si è andati
                  per perdersi?Avere una cartina a
                  portata di mano è come non voler scoprire se
                  stessi, non gioire al fatto di disseminarsi in una
                  città che ci può appartenere soltanto
                  nell'attimo in cui ci si perde. Per sentire un
                  luogo, per capirlo, bisogna scorrere in esso come
                  sangue, bisogna sentirne le pulsazioni, ma a caso,
                  senza rovinare tutto per la presunzione atavica di
                  voler conoscere e nominare. Già all'origine,
                  quest'idiozia di assegnare un nome a tutte le cose
                  ci ha fregato, perché tanto le cose non ci
                  appartengono, e quindi sapere che adesso siamo in
                  tale rue, street, via, o Straße, cosa
                  importa? Importa la sensazione e non il nome di
                  essa. E la vita allora? No, con la vita è
                  diverso, Remo ha bisogno di una cartina, la vita
                  non è un viaggio, la vita è... una
                  stazione. O forse la vita è un viaggio dopo
                  tutto, ma anche molto di più: è il
                  viaggio, e quello ha bisogno di una
                  cartina.Remo sa che rischia di
                  cadere in contraddizione ma non gli importa, la
                  contraddizione è quello che costituisce
                  l'essenza degli uomini, solo che non si chiama
                  contraddizione, si chiama ambivalenza ed è
                  un luogo originario dove gli opposti stanno
                  insieme, si chiamano e parlano a vicenda, si
                  mescolano. Gli stolti la chiamano contraddizione.
                  Remo sa solo che situazioni simili possono
                  richiedere atteggiamenti diversi e che situazioni
                  differenti possono richiedere atteggiamenti uguali.
                  Ad ogni modo, Remo ha bisogno di pensare e trova
                  che i minuti prima di una partenza siano ideali. In
                  realtà non si tratta neanche di un pensare
                  ma di un osservare pensante. E ne ha ben donde
                  perché Remo vede che la gente non pensa
                  molto. Li vede che si affannano per scoprire il
                  binario della partenza del loro treno, l'orario di
                  partenza e sono cose che dovrebbero sapere
                  già, come lui che è tranquillo al
                  binario, in attesa del suo treno.E se anche non le sanno
                  cosa ci vuole a scoprirlo? La gente non pensa, ecco
                  tutto. Remo ne ha la dimostrazione quando una
                  ragazza, che definirebbe mai fragile, si avvicina e
                  gli chiede: "È questo il binario del treno
                  per Roma?". Remo risponde di sì, ma avrebbe
                  voluto risponderle che se lei avesse alzato
                  leggermente la testa, senza farsi troppo male,
                  avrebbe potuto leggere sul tabellone degli orari,
                  orario e binario del treno per Roma. Perché
                  la gente ha così bisogno di conferme e di
                  sicurezza? Basterebbe pensare di più. E Remo
                  lo capisce maggiormente quando vede e sente la
                  stessa ragazza chiedere ad un signore, seduto
                  qualche metro più in là, se quello
                  è il binario del treno per Roma. Remo vuole
                  urlare ma si trattiene. La gente chiacchiera,
                  questo sì, e chissà mai cosa avranno
                  da dirsi, però non pensa. Perché e
                  poi si affannano. Certamente! E lo fanno ancora di
                  più se il binario cambia oppure se
                  c'è un ritardo. La gente ha bisogno di
                  conferme ma ha bisogno anche che niente si muova
                  perché avrebbero difficoltà a
                  seguirne l'evoluzione. La gente non ama gli
                  alianti, pensa Remo.Arriva il treno e Remo
                  vede gli esemplari più variegati della razza
                  umana assalire il treno e calpestare a vicenda il
                  loro diritto di precedenza. Ricorda vagamente la
                  febbre dell'oro ma in realtà, pensa Remo,
                  assalire un treno è un vano tentativo di
                  giocare col tempo, un tentativo, cioè di
                  ridurre il tempo di attesa. In altre parole la
                  gente pensa, si fa per dire, che mettendosi a
                  sedere subito, il treno parta immediatamente, per
                  poi spazientirsi quando questo non succede e
                  chiedersi compiaciuti: "Perché non
                  parte?".E non si può certo
                  affermare che questa mandria imbufalita corra per
                  disputarsi un posto, perché il meraviglioso
                  progresso ha fatto sì che con questi nuovi e
                  velocissimi treni, i posti a sedere siano tutti
                  assegnati tramite prenotazione.Remo, tra l'altro, pensa
                  che le parole "moderno" e "nuovo", siano inutili
                  perché appena si affacciano sono già
                  passate e che sia ancora più ridicolo che si
                  tenti di rimpiazzarlo con
                  "ultimissimo".Ad ogni modo, la
                  prenotazione ha scatenato reazioni impensate,
                  perché la gente crede veramente che quei
                  posti sino di loro proprietà e abusano
                  dell'aggettivo possessivo. I confini tra pubblico e
                  privato sono quanto mai labili al giorno d'oggi, ma
                  a Remo sembra che il secondo sia in vantaggio sul
                  primo."Questo è il mio
                  posto, si alzi".Perché dunque
                  correre verso ciò che è già
                  falsamente posseduto? Remo non arriva a capirlo e
                  messosi a sedere, incomincia ad osservare scene di
                  quotidiana imbecillità. Ci sono quelli che
                  rivendicano il proprio posto come se affermassero
                  una paternità od una maternità.
                  Quelli che inorridiscono ad un possibile scambio di
                  posto. Quelli che fulminano coloro che non hanno
                  prenotazione, come se questi ultimi
                  s'intrufolassero nell'intimo di qualcun altro.
                  Insomma, un conto è avere una sedia o una
                  poltrona a casa propria che è effettivamente
                  "tua" perché l'hai vissuta, l'hai
                  addomesticata, hai trovato un equilibrio nel modo
                  in cui ti ci appoggi e nel modo in cui essa ti
                  accoglie; altro è volersi impossessare di
                  qualcosa in transito!Finalmente il treno parte
                  e Remo si concede una panoramica sui suoi vicini.
                  Ci sono Antonella e Luigi, c'è la signora
                  Cristalli dalla sua parte e dall'altra parte,
                  simmetricamente, Roberta, una suora e il signor
                  Anselmi. Cerca gli occhi di queste persone ma
                  riceve soltanto scortesi sguardi e impliciti
                  rimbrotti. Ormai è sorpassata la differenza
                  fra guardare, scrutare, osservare, vedere,
                  percepire; ora non ci si guarda neanche più,
                  si ha paura degli sguardi, si ha paura della loro
                  verità, della loro forza di mettere a
                  nudo.Per questo si sono perse
                  tutte quelle sfumature, adesso c'è un grande
                  globalizzante freddo e canonico guardare, sempre
                  uguale per tutti, con molti filtri, un guardare per
                  non vedere niente. Un guardare che è
                  diventato un'aggressione a mano armato. Questo
                  pensa Remo e si lamenta del perduto piacere dello
                  sguardo. E poi la chiamano la società che ha
                  soddisfatto tutti i piaceri. Remo pensa invece che
                  si tratti di un gioco al massacro e che tutti i
                  piaceri (dal cibo al sesso, allo stesso viaggiare)
                  vengono a poco a poco eliminati oppure
                  esageratamente abusati. "Perché non posso
                  guardarti?", si chiede Remo vedendo Roberta
                  risentita. E pensa con tristezza anche che la gente
                  non solo non si guarda più, ma nemmeno si
                  parla: si protegge e basta, protegge la propria
                  proprietà. Una volta entrando nello
                  scompartimento ci si salutava, ci si sentiva
                  compagni di viaggio, s'intrecciavano destini anche
                  senza, per forza, avere un seguito. Viaggiare era
                  scoprire se stessi, mettendosi in gioco nel vortice
                  umano creato dallo scompartimento. A volte
                  sarà stato un teatrino oppure una
                  convenienza, ma almeno la gente si guardava e si
                  parlava, ci si chiedeva che libri leggessimo, ci si
                  chiedeva dove andavamo, ci si chiedeva se ci
                  saremmo rivisti. E soprattutto, una volta scesi, ci
                  si augurava buon viaggio, non necessariamente
                  quello che si stava facendo: era un buon viaggio
                  per la vita.Oggi, invece, in questi
                  nuovi treni che in realtà favorirebbero un
                  migliore contatto perché siamo fisicamente
                  molto più vicini, molto faccia a faccia,
                  dove potremmo sentire l'alterità e farla
                  nostra se fosse il caso, non ci si saluta mai, ci
                  si tratta da estranei, si sbatte il giornale in
                  faccia agli altri, ci tocca spiare il titolo di un
                  libro, e, soprattutto, non ci si chiede più
                  niente, come se non avessimo più bisogno di
                  niente. Certo, i viaggi oggi sono molto più
                  brevi, ma anche in un ora e mezzo si può
                  afferrare un destino. E Remo allora pensa che non
                  si sta insieme per bisogno, lui che ha bisogno un
                  po' di tutto. La gente ha il telefonino, di cosa
                  altro ha bisogno? Ed eccolo, infatti, cominciare il
                  sinfonico trillio in fa maggiore dei telefonini,
                  che fa sussultare le mani di tutti quelli intenti a
                  stringerli troppo forte, come se stringessero il
                  loro cuore. La gente che non pensando usurpa il tuo
                  spazio uditivo e poi ha anche il coraggio di
                  chiedere: "Cosa ascolta lei?". Prima ti sparano
                  giù dall'orecchio le loro infinite stronzate
                  e poi ti assalgono. In fondo fanno come se gli
                  altri non ci fossero. Telefonano invadendoti,
                  leggono invadendoti. Che tristezza, pensa Remo,
                  quelli che si attaccano al telefonino e ogni cinque
                  minuti fanno la telecronaca del viaggio: "Sto
                  partendo adesso". "Sono cinque minuti che siamo
                  partiti, adesso vado in bagno". "Sono appena uscito
                  dal bagno". La solitudine gioca brutti scherzi, ma
                  questo è troppo, grida Remo dentro di
                  sé. Che senso ha raccontare ogni piccola
                  cosa che si fa, sprecando ogni volta una nuova
                  telefonata? Perché non parlano con chi gli
                  sta di fronte? Freud avrebbe goduto al sapere
                  questo, avrebbe sicuramente detto che gli uomini
                  stringono e si trastullano con il cellulare
                  esattamente come si trastullano e stringono il loro
                  pene e che quindi essendo il cellulare un simbolo
                  fallico, esso provoca invidia e desiderio nelle
                  donne che, a loro volta, lo usano come simbolo di
                  una parità raggiunta e di stritolamento del
                  potere maschile. Cambia il giocattolo ma la
                  conclusione è la stessa. È tutto un
                  trillare di suoni perversi, per tutto il viaggio e
                  la gente è senza pudore se il signor
                  Anselmi, si permette di far sapere a tutto il treno
                  chi è, cosa fa, cosa sta cercando di
                  comprare, la trattativa delicata su cui sta
                  lavorando, ignorando magari che vi sia qualcuno sul
                  treno che potrebbe essere felice di sapere tutte
                  queste cose perché è un concorrente.
                  Ed è senza rispetto se Roberta si permette
                  di litigare e di urlare al telefono con il suo
                  ragazzo, esprimendo la loro sessualità
                  repressa, la serata dell'altra sera da Gigi, il
                  nervosismo dovuto al fatto che ha le
                  mestruazioni.Senza coraggio, se la
                  suora si permette di chiudere occhi e orecchie
                  senza intervenire minimamente, senza prendersi la
                  responsabilità di un ruolo che in fondo
                  è suo. Senza forza né direzione se
                  Antonella e Luigi, giovani sulla soglia della
                  maturità, si permettono di sputare sentenze
                  su tutto, di odiare tutto, di non avere nemmeno un
                  briciolo di consapevolezza e semmai nemmeno
                  l'orgoglio di mostrarla, e si dichiarano fieri di
                  non aver letto mai un libro ma in compenso trovano
                  nelle loro cuffiette rimbombanti, la loro
                  comunicabilità. Senza futuro se la signora
                  Cristalli, grande manageress, si permette di dire
                  che la sua ditta va a gonfie vele e che fra pochi
                  anni non avremo più bisogno di muoverci da
                  casa, basta un telefonino (sic!) e un
                  computer.Remo è stordito,
                  non ce la fa quasi a reggere, a trovare la forza e
                  vorrebbe dire qualcosa, recitare una poesia,
                  mostrare la bellezza dei paesaggi che passano
                  dietro ai finestrini e che la gente ormai non
                  guarda neanche più. Ormai la bellezza, come
                  molte altre cose è diventata abitudine.
                  Peccato perché questi paesaggi sono
                  dolcissimi e tutto quello che Remo vorrebbe fare,
                  è gettarsi dal treno e correre giù
                  sui verdi pendii scoscesi, sì, proprio
                  quelli che il treno sta superando adesso. Correre
                  giù e cantare. È quello che vorrebbe
                  fare perché ha provato tante volte a
                  spiegare alla gente che sta sbagliando, che il modo
                  in cui viaggia non funziona, che si stanno
                  distruggendo. Ha provato, ma non ha funzionato,
                  troppo cerone nelle orecchie. Ha provato e non ce
                  la fa più. Ogni viaggio è una via
                  crucis, per lui, fino all'arrivo. È che la
                  gente non ha tempo, si accontenta, non pensa,
                  è fragile. Lo è se c'è gente
                  che non sa neanche rinunciare ad una sigaretta e se
                  appena scesa dal treno se ne accende una come se
                  mancasse loro l'ossigeno, e si affanna a fumarla.
                  Lo è se si alza dieci volte in un ora e
                  mezzo per fumare quelle sigarette invadendo lo
                  spazio olfattivo di Remo e ignorando che non si
                  può fumare su tutta la carrozza e che se
                  fossero più vispi vedrebbero un divieto di
                  fumare anche al di là delle porte che
                  delimitano la carrozza, perché quando quelle
                  porte si aprono (e succedo spesso perché la
                  gente non sta mai ferma), quel maledetto fuma
                  entra.Remo non ce la fa,
                  vorrebbe chiudere gli occhi, vorrebbe aprire la
                  testa alla gente. Ed allora pensa alla stazione di
                  arrivo o di partenza, cioè alla stazione
                  Termini e pensa che in fondo quella non è
                  una stazione ma un motto, un ammonimento
                  filosofico, un oracolo delfico. È una specie
                  di "Conosci te stesso". Infatti, Remo pensa che
                  Termini voglia dire "Tu termini", cioè tu
                  finisci qui, questa è la fine del viaggio,
                  hai trovato il centro che poi è anche il non
                  centro. Questo pensa Remo ogni volta che arriva a
                  questa stazione e quel "Tu termini" in
                  realtà gli provoca una reazione contraria ed
                  ecco che ritorna quella voglia di rimettersi in
                  gioco, di scoprire altre parti di sé, quel
                  partire per ritornare. Termini è un modo per
                  iniziare. Ormai manca poco, Remo si alza, si avvia
                  e verso l'uscita un volto gli appare, due occhi
                  più grandi di tutto il resto, due occhi
                  tristi, due occhi come due punti interrogativi. La
                  bocca è aperta, le mani in cerca di pace.
                  È il volto di Lucia, che si illumina di un
                  sorriso, i sorrisi di una volta, la spontanea
                  reazione ad uno sguardo. La cosa più vera di
                  tutto il viaggio, pensa Remo.Remo risponde al sorriso,
                  prova una fitta, quelle buone, quelle da desiderare
                  sempre. Ed incomincia, in un breve attimo, a
                  guardare, vedere, scrutare, osservare, percepire, a
                  cogliere insomma, tutte quelle sfumature che
                  l'obiettivo opaco della realtà circostante
                  aveva annebbiato e tutto il resto sparisce. Resta
                  quel ponte fra quei due sorrisi e come d'incanto
                  Remo sa cosa legge Lucia, dove sta andando e se
                  l'avrebbe rivista. Le augura anche buon viaggio
                  perché il treno è arrivato e Remo
                  deve scendere, pressato dalla mandria in arrivo.
                  Remo spera che Lucia scenda almeno per intrecciare
                  il primo filo di un destino, per partire di nuovo
                  con lei, ma sa anche che se non succederà,
                  sarà contento lo stesso perché ha
                  rivisto un sorriso, ha riscoperto un antico
                  piacere, ha scritto una parola che non usava da
                  tanto tempo, ha smesso di pensare."Buon viaggio a te",
                  risponde Lucia.  |