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                   Cammino nella polvere rossa che si secca e
                  si screpola e si appiccica alla pelle sudata e si
                  stacca sotto il suo stesso peso, nella terra
                  macchiata di emozioni quasi stessi visitando i
                  confini disorientati e inesistenti di un'anima
                  qualunque. Cammino tra i tagli e gli strappi che
                  restano di un nervosismo inascoltato, compresso,
                  come grida isteriche trattenute senza pianto con la
                  dignità finta del dolore o gridate di botto
                  con una cattiveria disperata a chi ne capisce solo
                  la premeditazione, negli angoli troppo stretti di
                  una durezza inutile. Come fossi nello studio di un
                  artista, bozze di opere appena cominciate, parole
                  sconnesse su fogli sporchi, come buttate via dalla
                  rabbia del vento, barattoli aperti e secchi di
                  vernice, pennelli incrostati gettati nell'angolo di
                  un deserto improvvisato, quasi gettati con
                  delusione e con stizza, quasi a cercare l'angolo
                  più inaccessibile di un grido inutile. Vedo
                  pezzi di tela strappata, bozzetti di mani strette a
                  pugno su un dipinto quasi finito, come paralizzate
                  da una rinuncia troppo grande... vedo lacrime di
                  argilla sull'orlo di un tornio annerito, argilla di
                  scoglio e cristallo nuda e scoperta al vento,
                  disidratata e spaccata dal sole, che nasconde,
                  quasi se ne vergognasse, come un ricordo mai avuto
                  la leggerezza della forma che avrebbe dovuto
                  avere... un cassetto di fotografie bruciato con
                  qualche angolo di foto ingiallito di qualche pezzo
                  di un'ora dimenticata semicoperto di terra,
                  così da non venire più perso tra una
                  foglia rossa che si spacca come un'ultima rosa
                  secca sotto i piedi degli uomini. Poi angoli di una
                  pulizia e un ordine irreali. Immagini dimenticate per incapacità o
                  per rabbia o per paura o per solitudine. Forse solo
                  per amore. I tratti, gli odori di quelle bozze mai
                  finite, hanno in sé gli occhi di chi le ha
                  lasciate andando via di corsa, impauriti, forse,
                  incoscienti. Imploranti, arrabbiati. Più
                  stanchi.Tutto intorno non ci sono porte né
                  pareti né tetti. Solo un forte odore di
                  quelle tende o quei divani delle vecchie case,
                  odore dolciastro e impolverato, di finestre chiuse,
                  di mobili vecchi, di ricordi invalicabili di tanti
                  anni fa, di foto in bianco e nero, quell'odore che
                  nessuno sa dire di cosa, odore lontano che nessuno
                  sa ricordare. Che io non smetto di
                  chiedere. A cui nessuno fa caso mai. Tutto sembra ferocemente autobiografico,
                  trattato come si può trattare solo sé
                  stessi. Un pozzo al posto del cuore come la
                  contraddizione di una donna.Vola lontano e leggero irreale e lontano
                  tutto quel che resta di qui. Ognuno ha le proprie solitudini, forse
                  annerite, forse incrostate di colori sul fondo di
                  un abisso inconoscibile. Ognuno ha le proprie
                  solitudini, incancellabili e dimenticate come travi
                  di cemento in una soffitta disabitata. Una soffitta
                  senza scatoloni di ricordi o cassettoni magari
                  vuoti, senza stelle e pioggia vicino al camino e
                  senza polvere che balla dietro le finestre su un
                  fascio di foglie e di sole. Travi di una casa.
                  Travi scoperte che pulsano come arterie nascoste
                  nell'ultimo luogo possibile sotto il tetto, quasi a
                  volersi far dimenticare... ma
                  inattaccabili. in una lunache non mi spiego, riconosco la vita corta di una rosa un'ombrauna lunaun silenzio tra le dita come un petalo secco
                  tra gli appunti scrivere con cenere d'inchiostro
                  sull'anima, come un ritratto di me adesso Una soffitta dove non ci si può
                  giocare a nascondino né piangere. Una
                  soffitta non finita, come qualcosa che si è
                  fermato tanti anni fa e non è più
                  ripartito.Ma non bisogna crederla un sogno interrotto.
                  È dove si riposano le solitudini con le loro
                  rughe stanche. Non è una soffitta vuota con
                  travi di cemento... è un ritratto. "E rosa ella ha vissuto quel che vive una
                  rosa" 
 
               
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