- LA
DISTRAZIONE
-
-
- Mariarosa
cuciva benissimo; faceva dei punti piccoli e
regolari che, se non si fosse vista con ago e filo
in mano, si sarebbero scambiati per punti
meccanici. N'era orgogliosa e coltivava questa
passione nella penombra delle persiane semichiuse
della sua camera da letto, sotto il caldo cerchio
di luce della lampada gialla, anche se fuori c'era
un sole che avrebbe potuto accecarle gli
occhi.
- La
televisione la teneva sempre accesa, non per
guardarla, no (che l'attenzione l'aveva sulla
tela), ma perché l'ascoltare quel sottofondo
continuo di voci, cadenzate e lente come il
ritornello di un carillon, sembrava segnarle il
ritmo del ricamo; c'era Ricordi e poi, dopo
un piccolo tintinnio di campane, di seguito e senza
interruzione di pubblicità, veniva
Destino. Un perfetto pezzetto di pomeriggio
come un altro, quel pezzetto senza importanza che
sta sempre sospeso nell'aria insieme a un pisolino;
in casa di Mariarosa, la cui programmazione
giornaliera era in sintonia con quella di tutto il
vicinato, corrispondeva esattamente alle due e
trenta.
- Era
allora che cominciavano le sue storie e
l'epopea di un piccolo centro di provincia
americana si diluiva senza continuità
nell'avventurosa vita di una giovane cieca di
Portorico; il tintinnio di piccoli gong in sequenza
(tra la fine di una e l'inizio dell'altra)
l'avvertiva del mutamento. Le voci, da sincopate e
asciutte che erano, assumevano infine le cadenze di
una più morbida melodia, proprio come il suo
procedere sul ricamo. Ogni puntata terminava con
una specie di sospensione nell'aria (a volte uno
sguardo, una frase non detta, un segreto...) che la
lasciava in quella beata condizione psicofisica
dell'attesa senza ansia. Comunque l'indomani, la
frase sarebbe stata pronunciata, il segreto svelato
e anche lo sguardo (oh! sì, anche quello),
si sarebbe infine posato su qualcuno.
- Insomma
si andava sempre avanti, non c'era mai nulla di
definitivo e anche le disgrazie sembravano
diventare leggere.
- Bene.
Lei ascoltava...ricamava...ascoltava e per guardare
non aveva tempo.
- Lei,
gli occhi, adesso, li perdeva sul ricamo, bianco
come la stoffa dove si andava a
disegnare.
- Bianco
su bianco.
- Ghirigori
di fiori e tralci di grappoli d'uva, stemmi e
conchiglie, animali e farfalle. Tutto, alla fine,
prendeva forma e disegno sulla sua tela; lento, che
c'è bisogno di tempo, ma sicuro come la
sequenza infinita di quei racconti.
- Dedicava
a questo suo piacere due ore precise della
giornata. Per il resto faceva, o tentava di fare,
quello che più o meno aveva sempre fatto;
era sposata, aveva bambini, una madre anziana da
andare a trovare e una casa. Aveva degli amici, un
discreto conto in banca e in generale non si
può dire che se la passasse
male.
- Almeno
fino a poco tempo fa.
- Adesso
questa mania di cucire l'aveva come
stregata.
- Perché?
- Semplicemente
perché le riusciva bene, anzi
benissimo.
- Tanto
da rimanerne stupiti.
- Uno
dietro l'altro i piccoli punti bianchi tessevano e
tessevano trame da sogno. Non c'era giorno che
Mariarosa, puntuale e metodica, alle due e trenta
esatte del pomeriggio, non se n'andasse su in
camera sua, per chiudersi dentro e
iniziare.
-
- ***
-
- Finché
durò l'inverno nessuno praticamente se
n'accorse. Al pomeriggio la casa era vuota, il
marito al lavoro e i figli a scuola; lei cercava di
sbrigare tutto con più fretta e la cena era
pronta, di sera, puntuale come sempre. Le c'erano
voluti tre mesi per impratichirsi sia sul ricamo
che sulla nuova organizzazione del lavoro di casa,
ma ce l'aveva fatta egregiamente, e se l'uno le era
riuscito sorprendentemente facile, l'altra l'aveva
fatta invece penare di più. C'erano stati
giorni in cui aveva cronometrato le varie faccende
da compiere con l'occhio rivolto all'orologio di
cucina, cercando ogni stratagemma per abbreviarle
anche solo di pochi secondi. Aveva studiato i
percorsi più brevi per raggiungere il
congelatore della dispensa, per andare a scaricare
la spazzatura nel contenitore esterno del vialetto,
per stendere il bucato in giardino, aveva cambiato
anche scarpe, negozi e parrucchiere, riempito la
cucina di tanti piccoli elettrodomestici e comprato
il più innovativo e completo kit di
aspira/lucida/asciuga/pavimenti esistente sul
mercato; sino a disporre diversamente le stesse
cose secondo percorsi più consoni e
geometrie spaziali imperscrutabili agli altri, ma a
lei estremamente comode.
- Finché
un giorno decise che era stato raggiunto il massimo
dell'economia temporale raggiungibile e
bloccò in quell'orario il traguardo
più plausibile per le possibilità
presenti e future del suo fisico. Così
allungò il tempo del ricamo dalle poche
manciate di minuti che riusciva a dedicargli sino a
quel momento, sino alle due ore giornaliere. Tempo
rubato che divenne un'abitudine fissa e piacevole
(la più piacevole della sua
vita).
- Quello
che inizialmente l'aveva incantata era stata la
lentezza dell'esecuzione: se un arrosto ci metteva
pochi minuti ad andarsene in fumo e la
soddisfazione di preparare le lasagne svaniva nel
breve tragitto che bastava per vederle scomparire
dentro le bocche affamate di tutta la famiglia, il
disegno ricamato rimaneva lì, ad attenderla
ogni giorno. A puntate... Ed ogni giorno cresceva
un po', ma poco, quel tanto che bastava per non
finire mai.
- Ottobre,
Novembre e Dicembre passarono nelle prove di
apprendistato.
- A
Gennaio principiò la sua arte con una
striscia di tela Aida e il primo punto croce di un
progetto grandioso; un festone ghirlandato di
piccoli fiorellini a grappolo da cucire,
successivamente, sul bordo di un lenzuolo di lino,
nuovo, immacolato, ma troppo spartano per i suoi
gusti.
- Voleva
fare una sorpresa a tutti, bambini compresi; per
questo il pomeriggio si chiudeva in camera e di
sera non diceva niente a nessuno.
- Voleva
fare una bella sorpresa, di quelle che ti senti
dire "Lo hai fatto tu?... Ma davvero? È
bellissimo"; per questo lo nascondeva bene in mezzo
alle lenzuola nell'armadio. Si sentiva già
ronzare nelle orecchie il sussurro di suo marito
che le avrebbe detto "Che brava!"; per questo lo
ricamava tutto in bianco, in modo che si vedesse
meno.
- Così
iniziò la sua seconda vita. Due ore al
giorno rubate al resto.
- E
quando in estate gli altri si accorsero di questa
sua passione, non fu per via della sorpresa, che
non c'era stata e non ci sarebbe stata mai
(perché dopo il festone di fiorellini, venne
il centrino con i passerotti nel nido e l'inizio
dell'alfabeto araldico, tutti sempre rigorosamente
nascosti tra le pieghe di qualche biancheria ancor
più bianca di loro), ma perché la
bambina si era presa gli orecchioni e aveva avuto
la febbre alta.
- Malgrado
quasi delirasse per la temperatura a quaranta
gradi, tutti avevano saputo, tornando la sera a
casa, che "... la mamma è uscita"
lasciandola sola e che quasi la piccola si era
strozzata dal piangere e dal chiamarla.
- Mariarosa,
allo sguardo del marito, aveva risposto
semplicemente "No, non sono uscita, ero di
sopra..." e alla domanda "Ma cosa avevi, ti sentivi
male?" rispose solo:
- "No,
cucivo".
- Quel
"no, cucivo" divenne da quel momento in poi la
frase che l'allontanò sempre più da
tutti, il muro dove si sarebbero infrante le onde
del suo eterno sciacquio domestico.
-
- ***
-
- Non
è il caso di dire che nonostante la
perfezione del suo lavoro, la perizia e la fantasia
delle sue composizioni, non acquistò moto
credito in famiglia. Anzi la sua posizione
sembrò scivolare stranamente verso il basso,
nel senso che nessuno sembrava avere più
bisogno di lei. I bambini si vestivano da soli e
andavano a scuola accompagnati da papà, lui
era gentile, questo sì, ma Dio! Com'era
diventato pignolo! E questo a lei non andava
proprio a genio perché qualsiasi cosa
facesse ci metteva troppo, anche fare l'amore
l'annoiava e non aveva il coraggio di dirglielo. Il
pranzo e la cena li preparava ancora lei
però, malgrado le esagerate esternazioni di
"Mmh!.. che buonoooo!!", "Questo è
proprio delizioso", "Cosa hai fatto?... il pollo
arrosto! Bene, bene...", sempre più
spesso vedeva misteriosamente comparire nel frigo
orrende confezioni di cibi precotti; persino la sua
vecchia mamma non le telefonava più quattro
o cinque volte al giorno com'era abituata a fare
prima.
- Prima
di che poi?
- Questo
Mariarosa proprio non lo capiva.
- La
vita si porta sempre appresso le stesse persone,
poi se ne aggiungono altre e si continua insieme,
come un fiume che s'ingrossa sempre
più.
- Ecco
come la pensava.
- Casette
e alberelli, casette e alberelli, casette e
alberelli. Si poteva trasmigrare da una all'altra,
ma in realtà erano così simili da
confermarla sempre più nell'idea che questa
particolare fluidità del trascorrere
del tempo non fosse solamente una particolare
caratteristica di quel brano di campagna
semiperiferica in cui le era dato vivere, ma si
estendesse a tutto il mondo conosciuto. Anche
questa sua passione per il ricamo si era aggiunta
al resto. Mariarosa non percepiva la differenza, il
salto, la cesura che tutto questo aveva prodotto
nella percezione che gli altri avevano di lei,
né comprendeva il motivo del famigerato
ingresso nel lessico familiare di quel prima
o di quel dopo che lei continuava,
ostinatamente, a non considerare come parametro di
confronto o di giudizio.
-
- ***
-
- I
giorni passavano e suo marito persino le sorrideva,
adesso, quando il pomeriggio la vedeva salire in
camera, anche se lei sapeva benissimo che invece
non ne era per niente contento.
- Com'erano
nervosi, tutti quanti, solo perché se ne
stava due ore in santa pace! "Due ore..... Mari,
due ore?" le aveva gridato una volta (ma era
parecchio tempo fa) giù dalle scale, mentre
lei stava tornando di sotto "Sono le otto di
sera... sono cinque ore che sei chiusa là
dentro, capisci CINQUE ORE!...". Il piede,
pronto a scendere l'altro gradino, le era rimasto
per aria. Non urlava mai, suo marito, e se n'era
già sicuramente pentito perché la
voce da stridula e roca si stava a mano a mano
trasformando in un penoso tentativo di dolcezza;
cominciava a piangere. Singhiozzi piccoli e molto
silenziosi, quasi impercettibili. Si era seduto
sulla poltroncina in fondo alla scala (lacrime
piccole e poche da uomo che piange senza far
scena).
- Faceva
un po' impressione il vederlo così, se solo
qualcuno l'avesse potuto vedere, perché
lì c'era solo lei e impressionata non lo
sembrava per niente.
- Sorriso
e un altro gradino a scendere. Lui alza lo sguardo
e parla piano.
- "Perché
non mi dici cosa succede, ti ho lasciata in pace,
pensavo fossi solo un po' stanca, che poi ti
sarebbe passata... e invece niente, sempre peggio,
sempre di più. Ma ti sei accorta che ti sei
messa addosso la vestaglia a rovescio? Hai i
capelli spettinati. Si vede sai... non puoi non
essertene accorta, non l'avresti mai... prima, non
l'avresti mai fatto..."
- Singhiozzo.
- Una
penosa lacrima che scende sulla faccia di un uomo
alto che si alza dalla seggiola dov'era seduto e va
incontro a sua moglie che nel frattempo è
scesa da tutti i gradini che le stavano davanti e
gli è così vicino che gli mette
improvvisamente tenerezza "Mari..." e lei
non si scosta, no, anzi sorride. Ma quel sorriso,
ora che la sta per toccare, ora che lo vede un po'
più da vicino, è un sorriso
così dozzinale che gli blocca l'abbraccio a
metà. Prova persino un po' di ribrezzo
perché è come una mezza luna
rovesciata in su per sbaglio, andata a gambe
all'aria dopo una tempesta, come fosse cascata dal
cielo e affogata nell'idiozia di un mare/faccia
piatto e senza onde... un sorriso
annegato
- "Cristo
Mari..." Si allontana, dà un pugno alla
parete, mugola versi strani, ogni tanto singhiozza,
dà un altro pugno alla parete, si scompone
tutto, scontra contro gli spigoli dei mobili;
"Sono cinque ore che stai lassù...",
poi singhiozza, è arrabbiato, molto
arrabbiato e anche infelice, si vede dal sudore che
gli ha bagnato tutta la camicia. Lei sta appoggiata
alla ringhiera della scala e lo guarda muoversi,
vede tutte le fasi di quella personale messinscena
della disperazione senza capire bene quale
n'è la trama e senza nemmeno dargli troppo
peso, come si aspettasse che da un momento
all'altro il tintinnio di piccoli gong potesse
mettere fine alla puntata. Cominciano a volare
cose. Dà manate da tutte le parti è
furibondo. I bambini, di là, cominciano a
piangere "Ti chiudi dentro a chiave. Se busso,
taci... so che ascolti, ma taci! CRISTOOO!".
Basta, prende a pugni il tavolino vicino al
telefono.
- Il
vaso blu, quello comprato in Riviera in quella
bella giornata di sole, il vaso del delfino che li
faceva tanto ridere perché era proprio di
cattivo gusto, sobbalza in aria, si piega di lato,
scivola a terra e si rompe.
- Lui,
ridotto ormai ad un cencio, lo guarda e gli
dispiace un sacco.
- Ci
teneva.
- Si
siede sulla seggiola e si prende la testa tra le
mani. Trema un po'.
- "Cinque
ore?" pensa lei, passandogli vicino e scostando col
piede un coccio del vaso (l'occhio e mezza bocca
del delfino l'ammiccano da basso e sembrano ridere
tra le schegge di porcellana); "Ma guarda come
passa il tempo...".
-
- ***
-
- Dopo
due anni esatti dalla sera della febbre e degli
orecchioni (ovvero del segreto svelato) in quella
casa non litigava più nessuno.
- La
foschia crescente che, da quel giorno, aveva
incominciato ad invadere ogni angolo e ogni
ambiente di quella graziosa costruzione
monofamiliare con giardino (casetta + alberello)
prospiciente la strada provinciale, si era
trasformata in un suffuso brontolio di temporale,
attraversato soltanto da sporadiche (quanto brevi)
scosse elettriche. Questi brividi (molto
sgradevoli) che vibravano nell'aria, non erano
prodotti, come sarebbe più logico pensare,
dalle normali incomprensioni che intercorrevano tra
i suoi abitanti, ma piuttosto dalla casa stessa che
stava sopportando, con una certa fatica, un
processo di modificazione logistica che ne
stravolgeva il senso e le funzioni.
- Essendo
sempre stata abituata ad essere considerata un
unico corpo che si poteva attraversare sia
longitudinalmente sia trasversalmente,
nonché in verticale per l'altezza di tutti i
due piani, soffriva l'amputazione spaziale di una
sua parte come se fosse una perdita completa
d'identità. Quella stanza sempre chiusa la
disturbava perché interrompeva la
possibilità di percorrenza proprio in uno
dei suoi punti più significativi; la camera
da letto di papà e mamma.
- Questa
censura, alla lunga, aveva indotto tutti gli
abitanti a cercarsi percorsi diversi, ma
soprattutto a frequentare preferibilmente alcuni
ambienti piuttosto che altri; la stanza da lavoro
modificò la sua destinazione d'uso con
l'aggiunta di un letto e un armadio, e lui vi si
trasferì definitivamente. La continua
rotazione spaziale di un tempo era finita per
sempre, l'abitudine a disertare il piano di
sopra divenne la nuova regola di una
vivibilità domestica ritrovata per pura
disperazione.
- Chi
passava per strada sapeva e, alzando lo sguardo,
scuoteva la testa nel vedere quelle persiane
semichiuse e quei fasci di luce giallastra venirne
fuori a strisce e perdersi inutilmente nell'aria,
qualsiasi ora del giorno fosse e anche se fuori
c'era un sole che poteva accecare gli
occhi.
- La
casa si divise in due...
- Di
sotto si svolgeva la vita quotidiana.
- Di
sopra si sperimentava la vera
beatitudine.
- Col
tempo anche la casa ritrovò un suo
equilibrio.
-
- ***
-
- Mariarosa,
libera di poter gestire ormai tutto il suo tempo
come più le aggrada, inizia il progetto
più ambizioso cui ha mai messo mano fino a
quel momento: un enorme e variopinto "albero della
vita" a piccolo punto su fondo ecrù (tutto
segnato da mille sfumature leggere). Si era
abbonata alla rivista "Ricami e Decori" e
aveva ritagliato tutte le immagini dell'inserto
storico del mese dedicato a "Il paradiso
terrestre: implicazioni simboliche e
interpretazioni decorative nei tessuti mediorentali
ed europei di fine Ottocento", le aveva
allineate bene sul tavolino e guardate a lungo;
dopo averci pensato un po' su aveva optato per un
magnifico albero della tradizione persiana,
perché era il più colorato e c'erano
più animali dentro.
-
- La
tela misura due metri per uno, è tesa,
lucida, ben tramata.
- Perfetta.
- I
filati di lana ordinati uno accanto all'altro, le
sfumature di tutti i colori possibili, dal
più chiaro al più scuro (che ormai
non c'era più motivo di nasconderli tra la
biancheria).
- Gli
aghi pronti, infilati sul cuscinetto a cuoricino,
dritti come aculei d'istrice all'attacco, agili
come spadaccini alla prima stoccata.
- Perfetto.
- Accende
la televisione e inizia. Le trema un po' la mano ma
non per l'ansia, no, solo per l'ondata incredibile
di felicità che sembra invaderle il corpo al
pensiero di principiare il primo piccolo punto. Ha
tutto il disegno fissato in testa, sa come
sarà il suo percorso su quell'enorme campo
chiaro, come si muoverà, partendo dal basso,
delle radici alla sommità delle foglie,
tortuoso, continuo a tracciare i bordi, poi al
centro, e le farfalle sparse con perizia in quel
punto là, là e là, almeno
quattro scimmie e gli uccelli del
paradiso.
- Anche
la Fenice, ci metterà dentro anche quella,
al centro, seminascosta tra le foglie e i fiori
(una deroga alla tradizione che le mette allegria
solo per il fatto che non sa assolutamente come sia
fatta).
- Non
ha fatto prove o disegni perché il suo
essere ricamatrice non vuol dire perdere
tempo in noiosi tracciati preparatori di complicate
costruzioni decorative, ma piuttosto prendere
tempo perché il disegno possa
realizzarsi soltanto nel suo compiersi sulla tela.
Questo lanciarsi in un'impresa senza una doviziosa
preparazione iniziale, poteva assomigliare molto ad
un doppio salto mortale senza rete, ma in
realtà la pericolosità del volteggio
era mitigata dal fatto che era come se tutto si
svolgesse al rallentatore.
- In
fondo che altro era il tempo lungo del
ricamo?
- Il
momento dell'ideazione si diluiva lungo il
percorso, non c'era mai un prima (molto creativo) e
un dopo (molto esecutivo), ma un eterno ed
avventuroso durante, dove tutto si
mescolava, prendeva forza e volontà in un
continuo gioco di rilanci e di rimandi, di
tracciati e di percorsi, di cambiamenti e di
piroette, d'avvitamenti e traiettorie.
- Agganci
e slanci di due magnifici acrobati (ago e filo)
dentro il cerchio magico di una pista
illuminata.
- Proprio
come lei voleva.
- Rosso,
arancione, giallo (sfumature accese).
- Prende
quelli.
- Li
allinea sul tavolino sotto la luce della
lampada.
- Cloch!
- Lo
scatto dei due montanti di legno del telaio addenta
la stoffa, l'imprigiona, la blocca e la stende a
pelle di tamburo.
- Il
cerchio di tela (tesa, lucida, ben tramata)
è intrappolato, come un'enorme lente
d'ingrandimento fissata a concentrare l'attenzione,
a limitare i confini del dilagare della fantasia
nell'esatto campo visivo della prima
puntata.
- Mariarosa,
con un brivido di piacere, sta per cominciare
l'opera con un microscopico e rossissimo punto,
mentre contemporaneamente, sullo schermo, iniziano
le sue storie. Prima di bucare la tela però,
questa volta, alza lo sguardo, così, solo
perché sa che quello è un momento
importante, un momento che durerà un
tempo lunghissimo e la sua faccia arrossata le
ritorna improvvisamente indietro dal riflesso dello
specchio dell'armadio, i capelli un po' scomposti e
quell'incredibile espressione eccitata dello
sguardo.
- Sembra
una bambina.
- E
si vede bellissima.
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