| 
               Anima
               sola
 
	Nella
               capsula della nostra anima i pensieri viaggiano a
               quelle velocità che un tempo ci sembravano
               impossibili. I concetti sono diventati più
               astratti, gli obiettivi della nostra esistenza volano
               incontro al miraggio di poter raggiungere la
               perfezione dell'Assoluto. Ci aggiriamo in sospensione
               su quel che resta della nostra terra, senza più
               il timore di poter cadere o soffrire. Anche le parole
               sono cambiate oramai, vetuste idee di bene e di male,
               di gioia e dolore hanno lasciato il posto alla
               levità del volo nella quale sappiamo di
               esistere, nonostante tutto, prive dei nostri
               corpi.	Accadeva
               milioni di anni fa, noi non ne abbiamo più
               traccia o ricordo, la carne ed il sangue, con le mani,
               i capelli, il respiro ed il cuore ci ospitavano,
               offrendoci la possibilità delle emozioni, dello
               strazio e delle gaie spensieratezze, da noi ora
               intuite solo per eredità genetica ma di cui non
               abbiamo la minima percezione reale. Ora, sul nostro
               nuovo mondo spaziamo al di là dei fiumi e dei
               monti, dei deserti di sabbia e delle nuvole, inutili
               dispensatrici di piogge. Siamo le compagne invisibili 
               di evolute specie animali, così simili a quel
               che un tempo anche noi, in parte, eravamo.
               	Adesso
               sappiamo, ad enne tempo, di essere sempre esistite:
               ribelli, addolorate, crudeli, derelitte,  cacciatrici
               di corpi, nostre effimere discutibili protezioni.
               Eravamo state le libere prede di un complesso sistema
               di cellule, che al di là del suo intrinseco
               limite materiale, aveva finito con l'inchiodarci
               meravigliosamente al muro della vita.	In
               quel tempo perduto, c'era l'uomo. Poi, in una sorta di
               disgregazione millenaria si è dissolta ogni sua
               possibile traccia. Il nulla, o vuoto cosmico l'hanno
               divorato. Forse anche l'infinito può sparire  e
               così anche per l'uomo, nel susseguirsi
               impercettibile dei secondi, delle ore, dei millenni,
               ci fu il dissolvimento. I corpi si compattarono, gli
               uomini e le donne finirono con il somigliarsi, si 
               assottigliarono le diversità, nacque  un essere
               con organi riproduttivi sia maschili che femminili, le
               capacità percettive si svilupparono in un
               crescendo esponenziale poi, sempre a cavallo dei
               secoli dei secoli, si finì con il fare a meno
               di qualunque cosa e qualunque sentimento. L'uomo aveva
               corso molto, inseguendo il possesso della terra stessa
               e di tutto ciò che su di essa era stato capace
               di edificare, fino a quando non ci fu più posto
               per tutti. La sete e la fame di avere produssero due
               effetti diametralmente opposti: accesero il dissidio e
               abbatterono le manifestazioni emotive. L'intelligenza
               raggiunse l'idiozia, l'odio sposò
               l'indifferenza. L'umanità si arrestò in
               un limbo di opposti dove la follia e la ragione si
               fronteggiarono senza esclusione di colpi. La testa
               divenne un bacino di pensieri astrusi, la mani e le
               gambe fecero il loro tempo, procreazione, vita,
               sangue, tutto invisibilmente svanì. Avevamo
               ottenuto la libertà e il  cammino verso
               l'Assoluto ebbe al fine, inizio.	Sulla
               terra, dove stoicamente continuano a succedersi le
               notti coi giorni, le stagioni e le lune, io, anima
               sola, da un tempo eterno o impercettibile, non saprei
               dire, sono rimasta inspiegabilmente catturata di un
               suono misero, lontano, ma costante, modulato dal
               freddo di una gola di ghiaccio, profonda chilometri,
               che fende la terra quasi a spezzarla nel mezzo. Vagano
               la notte ed il giorno a tale latitudine dai confini
               incerti, mentre questo atavico suono dai lampi
               intermittenti, soffia dal ghiaccio la sua tenera
               nenia. Nel vortice di questa mia improvvisa
               immobilità perdo ragione di me, in attesa che
               una mano pietosa mi sganci dall'inspiegabile
               incantesimo. 	Sono
               passati miliardi di lune, ho sentito morire le stelle,
               cadere nel mare il sole e i pianeti,  ma il suono
               leggero che viene dal ghiaccio, resiste e incatena. Si
               leva distinto, non più confondibile, rimbalza
               fra le lastre gelide addensate dal verde del tempo e
               ora è già eco. Caleidoscopio di un
               miracolo atteso sommessamente da sempre.	Sono
               io la predestinata testimone? Piccolo pensiero,
               effimera umana illusione, quale strada tortuosa
               può percorrere un ragionamento tanto
               sentimentale! 	La
               verità che mi viene restituita dal mio
               sprofondare in millenni di pensieri verso la
               Perfezione, è che nel  medesimo istante , tutte
               noi, anime sole, siamo state raggiunte dallo stesso
               richiamo, quel suono scaturito dal ghiaccio ha
               immobilizzato noi tutte e insieme abbiamo viaggiato
               sul filo di una ricerca estenuante, la stessa, per
               ognuna di noi: braccia di un'unica macchina. Quindi
               nulla più al caso o al libero arbitrio, io
               testimone come le miriadi di gemelle sparse fra cielo,
               terra, acqua e fuoco.	Ascolto,
               forse vedo, non so come, non oso chiedermelo, eppure
               il suono rifulge e le sue modulazioni vanno
               rimbalzando dalle pietre di ghiaccio alla mia anima
               sorpresa, stupita, per poi tornare nel cuneo profondo
               disegnato nella profondità abissale della
               terra, dove trova nuova forza e voce.	Saranno
               i sensi dell'anima al loro risveglio? Assoluto, mi
               stai forse, finalmente abbandonando? Memoria di un
               tratto dimenticato o solo troppo a lungo celato, gli
               opposti che come sempre si toccano, quel che un tempo
               era stato: Dio perché mi hai
               abbandonato!	Il
               suono rimanda martellante un messaggio che ripete
               perpetuo e ostinato le sue parole di approccio, di
               ritrovato impudico contatto. 	
               
               
                     Ti
                     amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di
                     saleCome
                     se alzandomi la notte bruciante di
                     febbreBevessi
                     l'acqua con le labbra sul
                     rubinettoTi
                     amo come guardo il pesante sacco della
                     postaNon
                     so che cosa contenga e da chiPieno
                     di gioia pieno di sospetto
                     agitatoTi
                     amo come se sorvolassi il mare per la prima
                     volta in aereoTi
                     amo come qualche cosa che si muove in
                     meQuando
                     il crepuscolo scende su Istanbul poco a 
                     pocoTi
                     amo come se dicessi Dio sia lodato son
                     vivo.
 	Un
               brivido corre lungo la mia schiena, ho la pelle
               sottile, chiara, venata di piccole righe blu, milioni
               di anni attraversati senza tempo, senza caldo, ne
               freddo. D'intorno lo scorrere lieve del sangue e i 
               capelli a giocare sul viso. Sorprendo una mano a
               cercarsi nell'altra, catturo il mio sguardo perduto
               fra i piedi. Ho fianchi, ventre, spalle, ginocchia,
               muscoli e piccoli nei. Un corpo, il mio. Mi sollevo
               cercando e ritrovando equilibrio, passi misurati in
               crescente progressione, allora tento una corsa poi un
               salto. Ricado. La mano, una piccola ferita sul palmo,
               gioisco per il dolore provato, la terra che macchia e
               germoglia. Mi stendo sul greto del fiume e l'acqua
               lambisce le spalle e le gambe, sommersa di nuovo da
               gioia e dolore. Il sole trafigge lo sguardo, lo sfido,
               ma anch'esso fa male e le lacrime, essiccate dal
               tempo, al fine scendono felici, irrefrenabili. Ho
               deciso, sospingo il mio corpo un po' oltre, al di
               là della collina, mentre un incedere di passi
               sta scuotendo la terra. Sono i corpi rinati e le anime
               smarrite che  li accompagnano.	Il
               sacrilegio si è compiuto. Fuggite attraverso i
               secoli, svincolate e liberate dalla carne, ad un passo
               dall'Assoluto in un abbraccio che sembrava ormai
               indissolubile, ci siamo ritratte e l'abbiamo tradito.
               Avevamo assistito alla lenta dissoluzione del corpo,
               convinte che il disegno divino si stesse compiendo,
               prima ancora al cataclisma degli innumerevoli
               cambiamenti: grandi teste pietrificate, l'evoluzione
               del pensiero, perdita dei sensi e del corpo, unione
               sublime delle anime sole protese in un unico abbraccio
               verso l' agognato destino. Ma poi.	Sono
               bastate quelle parole, dio quelle parole, a
               risvegliare i dolori e i piaceri, il peccato e
               l'amore. La vergogna, persino la vergogna ci è
               sembrata suadente. Siamo tornate indietro in un
               percorso infinito, lambito appena dalla percezione di
               un traguardo chiamato: origine, così simile
               alla fine, d'altronde. In un accordo totale, abbiamo
               lasciato che fosse e nella semplicità del
               più facile gesto abbiamo ritrovato quello che
               avevamo perduto (distrutto) in un percorso durato
               millenni.	Dalla
               cima della collina, fin giù nella valle milioni
               di esseri umani sono in cammino, guidati da un impeto
               antico, tutti a provare, come in un polverone da
               battaglia, i possibili gesti dimenticati. 	Un
               uomo rivolge una carezza leggera sul viso di una
               giovane donna, lei ricambia sorridendo, un vecchio
               poco più in là guarda e piange pensando
               ai suoi figli e al tempo perduto. Un bimbo correndo
               sorpassa un po' tutti, urtando e sbattendo chi
               già vorrebbe imbrigliarlo. Ci sono i cattivi e
               poi i buoni, ma compiono tutti le medesime azioni, ci
               sono coloro che parlano molto e dirigono gli altri al
               cammino, ci sono poi quelli che fingono e quelli che
               già intendono insopportabili prediche. Siamo
               oltre l'Inferno, al di là del Paradiso, siamo
               nel nostro caro, vecchio brodo primordiale.
               	Diamoci
               tempo.	Riprenderemo
               il filo del discorso esattamente dal punto in cui
               l'avevamo abbandonato e allora ci sporcheremo ancora
               uno del sangue dell'altro, ci faremo cogliere dalla
               commozione, ci privilegeremo di magnifici buoni
               propositi, compiremo gesta eroiche all'insaputa del
               mondo, ma saremo anche ignobili e meschini e privi di
               scrupolo. Eleggeremo uomini dio e vorremo che dio si
               faccia uomo, riempiremo carte su carte di
               verità tutte plausibili, cercheremo di credere
               che siamo tutti uguali ma forzeremo la mano per non
               esserlo mai, l'amore colerà sui nostri cuori
               rendendoci schiavi, poi tradiremo gli amici,
               abbandoneremo i figli, rilegheremo alla solitudine i
               vecchi, non avremo vergogna della nostra
               vanità, pregheremo davanti alla morte e
               verseremo le più tenere lacrime al primo
               abbraccio d'amore. Saremo uomini, ancora.	Ma
               intanto la voce risuona nell'aria ad ubriacare di vita
               la terra e gli uomini navigano felici in tempesta,
               cercando di riconoscere il senso meraviglioso di
               ciascuna parola. Tutti  guardano il cielo, dove
               appiccicate come piccole calamite brillano nuove
               antiche stelle:	
               
               
                  pane,
                   	febbre,	ti
               amo,	aereo,
               	crepuscolo,	dio
               sia lodato, 	son
               vivo.
               
               
 |