Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maria Luisa Fiorentini
Con questo racconto ha vinto il settimo premio del concorso Marguerite Yourcenar 2002, sezione narrativa
Ucciderò l'arte
Trascorreva le sere, sprofondato in una comoda poltrona, ascoltando musica. Amava Rossini, Mozart e Donizetti. La musica era la fonte dalla quale attingeva vita. Attraverso di lei si caricava, si alimentava, ma in cambio non dava niente. La soffocante voracità insita in lui distruggeva lentamente l'esistenza della musica. Era una fredda notte autunnale. Alfredo se ne stava comodo, come di consueto, nella sua poltrona di sogno. Teneva gli occhi chiusi ed era immerso nell'ascolto del secondo movimento della nona di Beethoven, quando, ad un certo punto, fu distolto da una strana voce: «Chi sei tu da pretendere la mia vita?».
Alfredo aprì gli occhi e cercò nell'oscurità, ma non vide nessuno. Rabbrividì. La sinfonia lo riempì ed egli si lasciò rassicurare. Nel momento in cui si rilassò, la voce si fece risentire: «Tu sei l'egoismo puro. Spegni e smetti di sfruttarmi. Sono stanca di essere al tuo servizio. Attraverso di me prendi vita. Mi spremi. Succhi il mio sangue ed io non resisto più!».
La paura lo assalì, si alzò e con slancio accese le luci. Le accese tutte e aprì la finestra. I rumori della strada gli davano coraggio. Spense lo stereo e respirò profondamente, poi rivolto alla stanza vuota gridò: «Chi sei? Dove sei?».
Non ricevendo risposta cominciò a cantare, ma alle prime note di un'antica romanza fu interrotto da ironiche parole: «Ora mi usi anche per liberati dalle tue paure?».
Alfredo non osava voltarsi, ma trovò il coraggio di parlare. «Amo il bel canto, dunque, canto». La voce lo esortò: «Non voltarti. Il tuo amore per me non potrebbe sostenere tanta bellezza».
Egli rimase immobile con lo sguardo fisso sulla parete bianca: «Questa voce melodiosa non può essere che tua. Che sciocco non averlo capito prima», si voltò ed aggiunse: «Sei la Musica». Ciò che vide è indescrivibile. Era la Musica celestiale nelle sue note dipinte di tutte le tinte dell'universo. Era l'insieme di tutto ciò che di più bello ci sia sulla terra e soprattutto in cielo. Ne rimase abbagliato, si appoggiò al pianoforte e chiuse gli occhi: «Ti amo Musica. Amo il suono che ti avvolge e l'armonia dei tuoi lineamenti. Ti respiro fino a morirne». Con il capo reclinato, in atto di umiltà, chiese: «Che cosa sei venuta a cercare nella semplicità di questa casa?».
«Voglio la tua vita!».
«Ce l'hai!», sussurrò Alfredo. La Musica si mosse dolcemente e parlò: «Non è come credi. Ascoltandomi rigeneri te stesso impossessandoti dell'eterno che è in me ed io mi consumo. Tu non fai niente per me. Mi prendi e basta. È necessario uno scambio affinché io non muoia». Alfredo fece uno scatto, tentò di avvicinarsi, ma una forza sconosciuta lo trattenne.
Si lasciò andare sulla poltrona e sospirò: «Oh Musica! Divinità. Non so fare altro che ascoltare. Il pianoforte che vedi, ho tentato di suonarlo, ma invano. Non so cantare. Non so suonare e ora è troppo tardi per fare qualcosa. So ascoltarti, estasiarmi nell'udire le infinite note che i grandi hanno saputo ricamare insieme. Sii pietosa. Lasciami amare come ne sono capace».
«Cantanti, musicisti, direttori d'orchestra, hanno sacrificato la propria vita per me ed io ho donato loro il successo e la gioia di possedermi. Tu, ascoltandomi, hai il potere di distruggermi. Sono qui per chiederti di donarmi la tua vita».
Alfredo si mise le mani sugli occhi: «Sto sognando. Non credo a ciò che vedo, non credo a ciò che sento». Ma la Musica ignorò la sua disperazione: «Ho intrapreso un lungo viaggio per arrivare a te. Ascolta la mia preghiera».
Alfredo allargò le braccia: «Credi che se potessi darti ciò che chiedi non te lo darei? Ho sempre sentito il bisogno di uno scambio, ma non sono mai riuscito a realizzare niente. Ora, a sessant'anni, non ho né la voglia, né la forza di ricominciare. Mi hai rifiutato e adesso vieni a rimproverarmi!»
«Non hai pazienza, hai sempre avuto fretta volevi tutto e subito. Lavorare e studiare è fatica, quella che tu non hai mai conosciuto. Mi hai dato un amore immenso imparando tutto, ascoltandomi e documentandoti con passione, ma non basta. Devi fare qualcosa perché sto morendo».
«È vero, la fretta è stata la mia peggior nemica. Volevo essere un artista e volevo dei risultati veloci. Non sto cercando di giustificarmi. Aiutami ad aiutarti!»
«Smetti di ascoltarmi. Liberati di me ed io sarò salva». Detto questo si dissolse nel nulla. Alfredo spense tutte le luci tranne l'abat-jour da tavolo e pensò: "Liberarmi di lei. Non posso privarmi di un piacere che mi ha accompagnato per tutta la vita. Sono solo, non ho niente. La musica è l'unico mio conforto". Si avvicinò alla libreria e ne estrasse un volume: "leggerò qualcosa per non pensare a questo insolito evento". Il libro gli sfuggì di mano, cascò a terra e aprendosi lasciò uscire una nuvola di fumo che lentamente prese la forma di un uomo e parlò: «Brucia questi libri. Distruggili tutti. Altrimenti io distruggerò te».
Alfredo sorrise imbarazzato: «Non ho il piacere di conoscerla signore. Amo i miei libri e non ho intenzione di accogliere il suo invito».
L'uomo prese un libro, lo aprì, lo capovolse, lo scosse e ne lasciò cadere il contenuto. Migliaia di parole nere si rovesciarono sul pavimento e le pagine rimasero bianche. L'uomo diede il libro ad Alfredo: «Tieni. Scrivi. Il titolo è ancora sulla copertina. Ti servirà da spunto».
Alfredo prese il libro e lo sfogliò: «Che cosa ha fatto? Che cosa mi sta chiedendo?», allargò le braccia e sussurrò: «Non so scrivere!»
L'uomo si strinse nelle spalle: «Era quello che temevo! Tu leggi, leggi tutto e tanto e non scrivi niente».
Alfredo scosse la testa: «Ma perché dovrei farlo? Oggi scrivono tutti e pochi leggono. Io amo leggere. Mi piace vivere il libro, assimilarlo, possederlo. Che male faccio se traggo vita dalla lettura?»
«Questa sola frase è sufficiente per condannarti. Io sono la Letteratura. Sono qui per rivolgerti una preghiera. Sto morendo. Devi salvare la mia vita. O smetti di leggere, di studiare e dai fuoco a questa libreria o scrivi qualcosa! Liberami! Se non lo farai finirò sepolto in te, e nessuno al mondo avrà la possibilità di conoscermi. Per amore della cultura salvami!»
Alfredo emise un lungo sospiro: «Non sono in grado di scrivere. Sono troppo tormentato per trovare la pace ed il tempo di dedicarmi all'opera che è sepolta dentro di me. Non so scrivere, dunque preferisco lasciare la penna a chi sa adoperarla».
L'uomo guardava la libreria. Era bella, fornita dei migliori testi. Era una vera e propria biblioteca, degna di un uomo colto. Prese un libro e lesse: «Quiete e sonno sembrano imprigionati là dentro, quella quiete tipica delle case degli artisti, in cui l'anima umana ha lavorato...». Tacque, alzò lo sguardo e lo rivolse ad Alfredo, il quale tentava di nascondere la propria emozione: «Forte come la morte. Parte prima».
L'uomo chiuse il libro e lo depose: «Devi lavorare. Creare. Sforzarti di scrivere. Devi rendermi ciò che ti ho dato. La vita. Non puoi prendere e basta è necessario uno scambio affinché io non sia distrutto e sepolto in te».
«Lei è la Letteratura? Io sarò il suo sepolcro? Non voglio che lei muoia. Amo la letteratura e non desidero che finisca».
L'uomo sorrise: «Finirà inevitabilmente. Possiedi una massima parte di me... Quasi tutto! Se non scrivi trova, almeno, la forza di liberarti di questi libri. Non leggere più. Hai una cultura infinita. Fermati! Accontentati del tuo sapere e sii ragionevole. Liberami dalle tue roventi catene!».
«Non posso!», gridò Alfredo avvicinandosi alla libreria. Era bella, immensa e maestosa. Allargò le braccia: «Non posso. Mi appartiene. Ho impiegato anni per costruirla. L'ho vista nascere, crescere ed ora, dovrei vederla morire?».
«Tu uccidi ciò che ami. Sono soggiogato dal tuo folle possesso. Mi avrai. Sarai re della letteratura, ma con chi scambierai idee e opinioni? Parlerai di Platone, Shakespeare, Goethe e gli altri si chiederanno chi sono. Diranno che sei pazzo e sarai solo. Tanto solo che nemmeno la cultura riuscirà a sanare le tue angosce, anzi, le alimenterà, conducendoti alla follia».
Le parole dell'uomo sconvolsero Alfredo: «Non so scrivere e non voglio separarmi da questi libri. Ho sempre desiderato raccontare qualcosa, ma le belle idee nate nella mente morivano sulla carta. Tutto ciò che scrivevo era scontato e banale. È grande il dolore di un uomo che vuole fare e non può. Ed ora, lei viene a rimproverarmi. Le ho dato la vita studiando, leggendo, facendo ricerche. Le ho dato la vita nel modo in cui ne ero capace».
«Quello che hai costruito lo hai fatto per te. Ti sei creato un alibi per non dare più di quanto ti possa fare comodo». «Non è vero», gridò Alfredo. Ma l'uomo continuò: «La tua voracità mi annienta. O crei, o distruggi. Non hai altra scelta». Alfredo si mise una mano fra i capelli: «Ho fatto della cultura l'unico scopo della mia vita. Non sono nato per dare, ma per prendere. Non è colpa mia se non ho le capacità di creare, se il mio nome non farà storia. Voglio sapere tutto e continuerò ad imparare finché avrò fiato», e con sfida concluse «Non m'importa se ucciderò l'arte».
L'uomo gli si avvicinò lentamente: «Lo dici perché pensi che non possa accadere. Hai rabbia perché temi che io non capisca il tuo dolore. Non hai mai avuto le idee chiare su niente. Avevi fretta e non vedendo risultati rinunciavi nella convinzione di non avere talento. Nessuno è nato maestro. Il tempo e la fatica avrebbero dato i loro frutti. Ora ti aggrappi ad inutili giustificazioni per vivere in pace, ma la pace non esiste perché tu sei un uomo pericoloso. Anche per la cultura esiste la parola fine. Tutto sarà in te e tu sarai eterno. Le biblioteche saranno vuote, le librerie non esisteranno più e le persone colte moriranno, le nuove generazioni non andranno più a scuola. Nessuno leggerà, scriverà, sarà un mondo senza storia. La gente penserà al denaro, alle automobili, ai vestiti, a tutto quello che non interessa a te. A che ti servirà sapere?» sorrise con amarezza: «Tu sarai l'arte! Quella che stai divorando. Sarai condannato in eterno, senza la possibilità di porre fine alla tua esistenza». Detto questo scomparve.
Alfredo prese una scatola e vi mise le lettere sparse sul pavimento, il libro con le pagine bianche, lo gettò nel caminetto acceso. Le fiamme si alzarono scoppiettanti. Le lingue di fuoco dai colori azzurri, rossi, viola e verdi danzarono armoniosamente.
Alfredo ne rimase affascinato, si avvicinò per ammirarle e una fiamma, più scura, assunse la fisionomia di una donna: «Sono la Danza, e come questo fuoco mi sto consumando. I tuoi occhi mi divorano e la forza del tuo amore mi rapisce. La tua anima mi possiede. Come la Musica e la Letteratura, anch'io sono qui per implorarti. Lasciami vivere!»
Il libro terminò di bruciare, la lingua di fuoco si abbassò e nel camino restarono solo poche braci. Alfredo sospirò: «Musica, Letteratura e Danza, mi chiedono una libertà che io non posso restituire. Come posso donare loro una cosa che non possiedo? Pensano di essere in mio possesso. L'arte è immortale e all'uomo non basta tutta una vita per imparare. Saranno vere quelle suppliche? Sarò proprio io il mostro che divorerà l'arte?». Si mise le mani tra i capelli e domandò a se stesso: "Che cosa posso fare? Dov'è la soluzione a questo problema?". Prese una penna e cercò di disegnare il volto di una donna, ne uscì un'orribile caricatura. Gettò la penna con rabbia, sollevò il foglio, guardò quel volto e rise, rise sempre più forte e qualcuno cominciò a ridere insieme a lui. Tacque spaventato e guardandosi intorno si accorse che un uomo sedeva sulla sua poltrona. Era un uomo bizzarro, aveva occhi gialli, capelli verdi ed indossava abiti dai colori svariati. Sedeva tenendo le gambe accavallate e le braccia conserte. Improvvisamente assunse un'espressione seria, quasi severa: «Alfredo, noi comprendiamo ciò che rappresentiamo per te, ma devi capire che, per noi, è fondamentale che tu ci renda quella libertà che pensi di non possedere. Tu divori con gli occhi. Il tuo respiro alita in me spegnendo il colore. Io sono la Pittura. Le mie tinte sbiadiscono e si dissolvono. L'umanità vedrà in bianco e nero. Non esisteranno più musei, mostre e pittori. Tutto sarà morto, buio, triste. I colori svaniranno nei tubi, le tele diverranno polvere e la gente guarderà i pennelli chiedendosi a che cosa servano. Tu segnerai la fine di un'era e l'inizio di un mondo bieco, fosco, indegno di essere conosciuto. Tu sei la morte e dal tuo sepolcro usciranno sorde grida di dolore, sappi che sarò io che invocherò la luce».
Si alzò, si avvicinò alla scrivania e con una matita tracciò, su un foglio bianco, alcuni segni. Rise con amarezza e se ne andò. Gravava su Alfredo il dolore di una colpa che gli era ignota. Dalla finestra aperta penetrava una luce fioca, i mobili della stanza assunsero un aspetto sinistro. Prese il foglio dalla scrivania e osservò quei segni strani: una croce, un cerchio e una linea retta, non capì il significato e gettò il foglio con disprezzo. Alzò gli occhi e vide accanto alla finestra un corpo fluorescente che si agitava. Aveva un volto, un volto strano, inquietante. Alfredo rimase incantato da quella apparizione, le si avvicinò cercandole gli occhi e inginocchiandosi disse: «Sono stanco, ma disposto ad ascoltare ancora. Dimmi chi sei, anche se, forse l'ho già compreso».
«Sono l'insieme di tutte le tue passioni». «Tu sei un angelo divino. Tu sei Dio. Tu sei l'Arte».
«Musica, Letteratura, Danza e Pittura sono venuti ad implorarti e tu non li hai ascoltati. Non hai diritto a renderle schiave. Ti ordino di liberartene, solo gli artisti sono degni di possederle».
«Non sono un artista, ma il mio animo è nobile. Amo tutto ciò che l'artista ha creato e lui compreso. Sono assetato di sapere, conoscere, imparare. A modo mio anch'io sono un artista. So guardare, ascoltare, leggere fra le righe di un'opera. So riempirmi d'arte e trasformarmi in arte».
«Sciocchezze. Tu sei niente. Distruggi, senza pietà, secoli di storia. In questi anni hai dato niente all'arte, solo occhi e orecchie utili a divorarla. Predichi amore e doni morte. L'arte sarà sepolta in te ed io ho bisogno di vivere in eterno nell'umanità intera. Devi creare affinché io rigeneri. Rimane poco tempo. È bene che tu decida».
Alfredo raggiunse, con passi stanchi, il mobiletto bar, prese un bicchiere e si versò da bere: «Sono accusato di omicidio perché non possiedo nessuna capacità creativa. Mi sono rassegnato e abbandonato alla passione spremendo le creazioni altrui come se fossero state mie e ora devo sopportare le vostre ingiurie perché sono stato capace solo di amarvi. Ebbene. Devo darvi la mia vita?»
Portò il bicchiere alle labbra e ne ingoiò d'un fiato il contenuto: «Devo uccidermi, forse?».
L'Arte ribatté: «Forse. Potrebbe essere una soluzione. Potrebbe essere l'unica. Smetti di trarre dall'arte la linfa che la fa vivere. Trova un altro interesse. Dedicati allo sport o alle stupide collezioni».
«Faccio sport e colleziono vecchie bottiglie, ma lo sport cura il fisico e non l'anima e le vecchie bottiglie sono vuote ed io ho bisogno di riempirmi». Fece una pausa e sospirando aggiunse: «Ora vattene. Sono stanco. E... porta loro un messaggio, avranno ciò che chiedono».
Una luce intensa avvolse l'Arte ed essa fluì nel nulla. Alfredo si lasciò andare sulla poltrona: "Che mistero è la vita! Non ho scelta. Non so amare con mediocrità, dunque, se amando con passione distruggo, sono costretto di smettere di amare. Non so vivere senza amare, ma se amando uccido l'oggetto del mio amore, allora, non mi resta che morire. Ma non voglio morire per l'arte solo perché me l'ha chiesto lei, bensì, perché avendole dedicato tutta la vita è giusto ch'io gliela doni completamente, ma chi dirà mai: "È vissuto e morto per l'Arte". Se io all'arte non ho dato materialmente niente? Nessuno mi rammenterà, nessun libro scriverà di me". Chiuse la finestra e accese lo stereo, Chopin, ottimo compagno per passare ad altra vita. Aprì il gas e si sedette alla scrivania, prese la penna e scrisse: "Ancora pochi momenti e non esisterò più". Pensava al passato, quando, da ragazzo, preferiva giocare anziché studiare e suo padre gli intimava: «La cultura è tutto. Essa ti aiuterà in ogni momento della vita». Mio padre aveva ragione. Sapere è gratificante. Ma se avesse immaginato con quanta avidità mi sarei applicato avrebbe preferito lasciarmi giocare. Alzò gli occhi e guardò la libreria: «Vorrei restare e proteggere i miei libri. Ma fino a che punto li proteggerei restando?» L'odore del gas, forte e disgustoso gli entrava nelle narici. «Muoio. Forse qualcuno verrà a salvarmi. Loro sono là e ridono. Conoscevano la fine di questa storia fin dall'inizio. Avrei dovuto chiedere qualcosa in cambio, ma niente può sostituire la vita!». Cominciò a tossire, sentiva la testa pesante e gli occhi gonfi. Si piegò su se stesso appoggiando il capo sulle ginocchia. Non sentiva più il peso del corpo. Era leggero, calmo, sereno. Moriva. Nel buio gli tornò alla mente quel foglietto scarabocchiato, vide quei segni strani.
Dicevano: «Muori. La vita è un cerchio. Ritornerai».

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