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               Ucciderò
               l'arteTrascorreva le
               sere, sprofondato in una comoda poltrona, ascoltando
               musica. Amava Rossini, Mozart e Donizetti. La musica
               era la fonte dalla quale attingeva vita. Attraverso di
               lei si caricava, si alimentava, ma in cambio non dava
               niente. La soffocante voracità insita in lui
               distruggeva lentamente l'esistenza della musica. Era
               una fredda notte autunnale. Alfredo se ne stava
               comodo, come di consueto, nella sua poltrona di sogno.
               Teneva gli occhi chiusi ed era immerso nell'ascolto
               del secondo movimento della nona di Beethoven, quando,
               ad un certo punto, fu distolto da una strana voce:
               «Chi sei tu da pretendere la mia
               vita?».Alfredo aprì
               gli occhi e cercò nell'oscurità, ma non
               vide nessuno. Rabbrividì. La sinfonia lo
               riempì ed egli si lasciò rassicurare.
               Nel momento in cui si rilassò, la voce si fece
               risentire: «Tu sei l'egoismo puro. Spegni e
               smetti di sfruttarmi. Sono stanca di essere al tuo
               servizio. Attraverso di me prendi vita. Mi spremi.
               Succhi il mio sangue ed io non resisto
               più!».La paura lo
               assalì, si alzò e con slancio accese le
               luci. Le accese tutte e aprì la finestra. I
               rumori della strada gli davano coraggio. Spense lo
               stereo e respirò profondamente, poi rivolto
               alla stanza vuota gridò: «Chi sei? Dove
               sei?».Non ricevendo
               risposta cominciò a cantare, ma alle prime note
               di un'antica romanza fu interrotto da ironiche parole:
               «Ora mi usi anche per liberati dalle tue
               paure?».Alfredo non osava
               voltarsi, ma trovò il coraggio di parlare.
               «Amo il bel canto, dunque, canto». La voce
               lo esortò: «Non voltarti. Il tuo amore per
               me non potrebbe sostenere tanta
               bellezza».Egli rimase
               immobile con lo sguardo fisso sulla parete bianca:
               «Questa voce melodiosa non può essere che
               tua. Che sciocco non averlo capito prima», si
               voltò ed aggiunse: «Sei la Musica».
               Ciò che vide è indescrivibile. Era la
               Musica celestiale nelle sue note dipinte di tutte le
               tinte dell'universo. Era l'insieme di tutto ciò
               che di più bello ci sia sulla terra e
               soprattutto in cielo. Ne rimase abbagliato, si
               appoggiò al pianoforte e chiuse gli occhi:
               «Ti amo Musica. Amo il suono che ti avvolge e
               l'armonia dei tuoi lineamenti. Ti respiro fino a
               morirne». Con il capo reclinato, in atto di
               umiltà, chiese: «Che cosa sei venuta a
               cercare nella semplicità di questa
               casa?».«Voglio la tua
               vita!».«Ce
               l'hai!», sussurrò Alfredo. La Musica si
               mosse dolcemente e parlò: «Non è
               come credi. Ascoltandomi rigeneri te stesso
               impossessandoti dell'eterno che è in me ed io
               mi consumo. Tu non fai niente per me. Mi prendi e
               basta. È necessario uno scambio affinché
               io non muoia». Alfredo fece uno scatto,
               tentò di avvicinarsi, ma una forza sconosciuta
               lo trattenne. Si lasciò
               andare sulla poltrona e sospirò: «Oh
               Musica! Divinità. Non so fare altro che
               ascoltare. Il pianoforte che vedi, ho tentato di
               suonarlo, ma invano. Non so cantare. Non so suonare e
               ora è troppo tardi per fare qualcosa. So
               ascoltarti, estasiarmi nell'udire le infinite note che
               i grandi hanno saputo ricamare insieme. Sii pietosa.
               Lasciami amare come ne sono capace».«Cantanti,
               musicisti, direttori d'orchestra, hanno sacrificato la
               propria vita per me ed io ho donato loro il successo e
               la gioia di possedermi. Tu, ascoltandomi, hai il
               potere di distruggermi. Sono qui per chiederti di
               donarmi la tua vita».Alfredo si mise le
               mani sugli occhi: «Sto sognando. Non credo a
               ciò che vedo, non credo a ciò che
               sento». Ma la Musica ignorò la sua
               disperazione: «Ho intrapreso un lungo viaggio per
               arrivare a te. Ascolta la mia
               preghiera».Alfredo
               allargò le braccia: «Credi che se potessi
               darti ciò che chiedi non te lo darei? Ho sempre
               sentito il bisogno di uno scambio, ma non sono mai
               riuscito a realizzare niente. Ora, a sessant'anni, non
               ho né la voglia, né la forza di
               ricominciare. Mi hai rifiutato e adesso vieni a
               rimproverarmi!»«Non hai
               pazienza, hai sempre avuto fretta volevi tutto e
               subito. Lavorare e studiare è fatica, quella
               che tu non hai mai conosciuto. Mi hai dato un amore
               immenso imparando tutto, ascoltandomi e documentandoti
               con passione, ma non basta. Devi fare qualcosa
               perché sto morendo».«È
               vero, la fretta è stata la mia peggior nemica.
               Volevo essere un artista e volevo dei risultati
               veloci. Non sto cercando di giustificarmi. Aiutami ad
               aiutarti!»«Smetti di
               ascoltarmi. Liberati di me ed io sarò
               salva». Detto questo si dissolse nel nulla.
               Alfredo spense tutte le luci tranne l'abat-jour da
               tavolo e pensò: "Liberarmi di lei. Non posso
               privarmi di un piacere che mi ha accompagnato per
               tutta la vita. Sono solo, non ho niente. La musica
               è l'unico mio conforto". Si avvicinò
               alla libreria e ne estrasse un volume: "leggerò
               qualcosa per non pensare a questo insolito evento". Il
               libro gli sfuggì di mano, cascò a terra
               e aprendosi lasciò uscire una nuvola di fumo
               che lentamente prese la forma di un uomo e
               parlò: «Brucia questi libri. Distruggili
               tutti. Altrimenti io distruggerò
               te».Alfredo sorrise
               imbarazzato: «Non ho il piacere di conoscerla
               signore. Amo i miei libri e non ho intenzione di
               accogliere il suo invito».L'uomo prese un
               libro, lo aprì, lo capovolse, lo scosse e ne
               lasciò cadere il contenuto. Migliaia di parole
               nere si rovesciarono sul pavimento e le pagine
               rimasero bianche. L'uomo diede il libro ad Alfredo:
               «Tieni. Scrivi. Il titolo è ancora sulla
               copertina. Ti servirà da
               spunto».Alfredo prese il
               libro e lo sfogliò: «Che cosa ha fatto?
               Che cosa mi sta chiedendo?», allargò le
               braccia e sussurrò: «Non so
               scrivere!»L'uomo si strinse
               nelle spalle: «Era quello che temevo! Tu leggi,
               leggi tutto e tanto e non scrivi
               niente».Alfredo scosse la
               testa: «Ma perché dovrei farlo? Oggi
               scrivono tutti e pochi leggono. Io amo leggere. Mi
               piace vivere il libro, assimilarlo, possederlo. Che
               male faccio se traggo vita dalla
               lettura?»«Questa sola
               frase è sufficiente per condannarti. Io sono la
               Letteratura. Sono qui per rivolgerti una preghiera.
               Sto morendo. Devi salvare la mia vita. O smetti di
               leggere, di studiare e dai fuoco a questa libreria o
               scrivi qualcosa! Liberami! Se non lo farai
               finirò sepolto in te, e nessuno al mondo
               avrà la possibilità di conoscermi. Per
               amore della cultura salvami!»Alfredo emise un
               lungo sospiro: «Non sono in grado di scrivere.
               Sono troppo tormentato per trovare la pace ed il tempo
               di dedicarmi all'opera che è sepolta dentro di
               me. Non so scrivere, dunque preferisco lasciare la
               penna a chi sa adoperarla».L'uomo guardava la
               libreria. Era bella, fornita dei migliori testi. Era
               una vera e propria biblioteca, degna di un uomo colto.
               Prese un libro e lesse: «Quiete e sonno sembrano
               imprigionati là dentro, quella quiete tipica
               delle case degli artisti, in cui l'anima umana ha
               lavorato...». Tacque, alzò lo sguardo e lo
               rivolse ad Alfredo, il quale tentava di nascondere la
               propria emozione: «Forte come la morte. Parte
               prima».L'uomo chiuse il
               libro e lo depose: «Devi lavorare. Creare.
               Sforzarti di scrivere. Devi rendermi ciò che ti
               ho dato. La vita. Non puoi prendere e basta è
               necessario uno scambio affinché io non sia
               distrutto e sepolto in te».«Lei è
               la Letteratura? Io sarò il suo sepolcro? Non
               voglio che lei muoia. Amo la letteratura e non
               desidero che finisca».L'uomo sorrise:
               «Finirà inevitabilmente. Possiedi una
               massima parte di me... Quasi tutto! Se non scrivi
               trova, almeno, la forza di liberarti di questi libri.
               Non leggere più. Hai una cultura infinita.
               Fermati! Accontentati del tuo sapere e sii
               ragionevole. Liberami dalle tue roventi
               catene!».«Non
               posso!», gridò Alfredo avvicinandosi alla
               libreria. Era bella, immensa e maestosa.
               Allargò le braccia: «Non posso. Mi
               appartiene. Ho impiegato anni per costruirla. L'ho
               vista nascere, crescere ed ora, dovrei vederla
               morire?».«Tu uccidi
               ciò che ami. Sono soggiogato dal tuo folle
               possesso. Mi avrai. Sarai re della letteratura, ma con
               chi scambierai idee e opinioni? Parlerai di Platone,
               Shakespeare, Goethe e gli altri si chiederanno chi
               sono. Diranno che sei pazzo e sarai solo. Tanto solo
               che nemmeno la cultura riuscirà a sanare le tue
               angosce, anzi, le alimenterà, conducendoti alla
               follia».Le parole dell'uomo
               sconvolsero Alfredo: «Non so scrivere e non
               voglio separarmi da questi libri. Ho sempre desiderato
               raccontare qualcosa, ma le belle idee nate nella mente
               morivano sulla carta. Tutto ciò che scrivevo
               era scontato e banale. È grande il dolore di un
               uomo che vuole fare e non può. Ed ora, lei
               viene a rimproverarmi. Le ho dato la vita studiando,
               leggendo, facendo ricerche. Le ho dato la vita nel
               modo in cui ne ero capace».«Quello che
               hai costruito lo hai fatto per te. Ti sei creato un
               alibi per non dare più di quanto ti possa fare
               comodo». «Non è vero»,
               gridò Alfredo. Ma l'uomo continuò:
               «La tua voracità mi annienta. O crei, o
               distruggi. Non hai altra scelta». Alfredo si mise
               una mano fra i capelli: «Ho fatto della cultura
               l'unico scopo della mia vita. Non sono nato per dare,
               ma per prendere. Non è colpa mia se non ho le
               capacità di creare, se il mio nome non
               farà storia. Voglio sapere tutto e
               continuerò ad imparare finché
               avrò fiato», e con sfida concluse
               «Non m'importa se ucciderò
               l'arte».L'uomo gli si
               avvicinò lentamente: «Lo dici
               perché pensi che non possa accadere. Hai rabbia
               perché temi che io non capisca il tuo dolore.
               Non hai mai avuto le idee chiare su niente. Avevi
               fretta e non vedendo risultati rinunciavi nella
               convinzione di non avere talento. Nessuno è
               nato maestro. Il tempo e la fatica avrebbero dato i
               loro frutti. Ora ti aggrappi ad inutili
               giustificazioni per vivere in pace, ma la pace non
               esiste perché tu sei un uomo pericoloso. Anche
               per la cultura esiste la parola fine. Tutto
               sarà in te e tu sarai eterno. Le biblioteche
               saranno vuote, le librerie non esisteranno più
               e le persone colte moriranno, le nuove generazioni non
               andranno più a scuola. Nessuno leggerà,
               scriverà, sarà un mondo senza storia. La
               gente penserà al denaro, alle automobili, ai
               vestiti, a tutto quello che non interessa a te. A che
               ti servirà sapere?» sorrise con amarezza:
               «Tu sarai l'arte! Quella che stai divorando.
               Sarai condannato in eterno, senza la
               possibilità di porre fine alla tua
               esistenza». Detto questo scomparve.Alfredo prese una
               scatola e vi mise le lettere sparse sul pavimento, il
               libro con le pagine bianche, lo gettò nel
               caminetto acceso. Le fiamme si alzarono scoppiettanti.
               Le lingue di fuoco dai colori azzurri, rossi, viola e
               verdi danzarono armoniosamente.Alfredo ne rimase
               affascinato, si avvicinò per ammirarle e una
               fiamma, più scura, assunse la fisionomia di una
               donna: «Sono la Danza, e come questo fuoco mi sto
               consumando. I tuoi occhi mi divorano e la forza del
               tuo amore mi rapisce. La tua anima mi possiede. Come
               la Musica e la Letteratura, anch'io sono qui per
               implorarti. Lasciami vivere!»Il libro
               terminò di bruciare, la lingua di fuoco si
               abbassò e nel camino restarono solo poche
               braci. Alfredo sospirò: «Musica,
               Letteratura e Danza, mi chiedono una libertà
               che io non posso restituire. Come posso donare loro
               una cosa che non possiedo? Pensano di essere in mio
               possesso. L'arte è immortale e all'uomo non
               basta tutta una vita per imparare. Saranno vere quelle
               suppliche? Sarò proprio io il mostro che
               divorerà l'arte?». Si mise le mani tra i
               capelli e domandò a se stesso: "Che cosa posso
               fare? Dov'è la soluzione a questo problema?".
               Prese una penna e cercò di disegnare il volto
               di una donna, ne uscì un'orribile caricatura.
               Gettò la penna con rabbia, sollevò il
               foglio, guardò quel volto e rise, rise sempre
               più forte e qualcuno cominciò a ridere
               insieme a lui. Tacque spaventato e guardandosi intorno
               si accorse che un uomo sedeva sulla sua poltrona. Era
               un uomo bizzarro, aveva occhi gialli, capelli verdi ed
               indossava abiti dai colori svariati. Sedeva tenendo le
               gambe accavallate e le braccia conserte.
               Improvvisamente assunse un'espressione seria, quasi
               severa: «Alfredo, noi comprendiamo ciò che
               rappresentiamo per te, ma devi capire che, per noi,
               è fondamentale che tu ci renda quella
               libertà che pensi di non possedere. Tu divori
               con gli occhi. Il tuo respiro alita in me spegnendo il
               colore. Io sono la Pittura. Le mie tinte sbiadiscono e
               si dissolvono. L'umanità vedrà in bianco
               e nero. Non esisteranno più musei, mostre e
               pittori. Tutto sarà morto, buio, triste. I
               colori svaniranno nei tubi, le tele diverranno polvere
               e la gente guarderà i pennelli chiedendosi a
               che cosa servano. Tu segnerai la fine di un'era e
               l'inizio di un mondo bieco, fosco, indegno di essere
               conosciuto. Tu sei la morte e dal tuo sepolcro
               usciranno sorde grida di dolore, sappi che sarò
               io che invocherò la luce».Si alzò, si
               avvicinò alla scrivania e con una matita
               tracciò, su un foglio bianco, alcuni segni.
               Rise con amarezza e se ne andò. Gravava su
               Alfredo il dolore di una colpa che gli era ignota.
               Dalla finestra aperta penetrava una luce fioca, i
               mobili della stanza assunsero un aspetto sinistro.
               Prese il foglio dalla scrivania e osservò quei
               segni strani: una croce, un cerchio e una linea retta,
               non capì il significato e gettò il
               foglio con disprezzo. Alzò gli occhi e vide
               accanto alla finestra un corpo fluorescente che si
               agitava. Aveva un volto, un volto strano, inquietante.
               Alfredo rimase incantato da quella apparizione, le si
               avvicinò cercandole gli occhi e
               inginocchiandosi disse: «Sono stanco, ma disposto
               ad ascoltare ancora. Dimmi chi sei, anche se, forse
               l'ho già compreso».«Sono
               l'insieme di tutte le tue passioni». «Tu sei
               un angelo divino. Tu sei Dio. Tu sei
               l'Arte».«Musica,
               Letteratura, Danza e Pittura sono venuti ad implorarti
               e tu non li hai ascoltati. Non hai diritto a renderle
               schiave. Ti ordino di liberartene, solo gli artisti
               sono degni di possederle».«Non sono un
               artista, ma il mio animo è nobile. Amo tutto
               ciò che l'artista ha creato e lui compreso.
               Sono assetato di sapere, conoscere, imparare. A modo
               mio anch'io sono un artista. So guardare, ascoltare,
               leggere fra le righe di un'opera. So riempirmi d'arte
               e trasformarmi in arte».«Sciocchezze.
               Tu sei niente. Distruggi, senza pietà, secoli
               di storia. In questi anni hai dato niente all'arte,
               solo occhi e orecchie utili a divorarla. Predichi
               amore e doni morte. L'arte sarà sepolta in te
               ed io ho bisogno di vivere in eterno
               nell'umanità intera. Devi creare
               affinché io rigeneri. Rimane poco tempo.
               È bene che tu decida».Alfredo raggiunse,
               con passi stanchi, il mobiletto bar, prese un
               bicchiere e si versò da bere: «Sono
               accusato di omicidio perché non possiedo
               nessuna capacità creativa. Mi sono rassegnato e
               abbandonato alla passione spremendo le creazioni
               altrui come se fossero state mie e ora devo sopportare
               le vostre ingiurie perché sono stato capace
               solo di amarvi. Ebbene. Devo darvi la mia
               vita?»Portò il
               bicchiere alle labbra e ne ingoiò d'un fiato il
               contenuto: «Devo uccidermi,
               forse?».L'Arte
               ribatté: «Forse. Potrebbe essere una
               soluzione. Potrebbe essere l'unica. Smetti di trarre
               dall'arte la linfa che la fa vivere. Trova un altro
               interesse. Dedicati allo sport o alle stupide
               collezioni».«Faccio sport
               e colleziono vecchie bottiglie, ma lo sport cura il
               fisico e non l'anima e le vecchie bottiglie sono vuote
               ed io ho bisogno di riempirmi». Fece una pausa e
               sospirando aggiunse: «Ora vattene. Sono stanco.
               E... porta loro un messaggio, avranno ciò che
               chiedono».Una luce intensa
               avvolse l'Arte ed essa fluì nel nulla. Alfredo
               si lasciò andare sulla poltrona: "Che mistero
               è la vita! Non ho scelta. Non so amare con
               mediocrità, dunque, se amando con passione
               distruggo, sono costretto di smettere di amare. Non so
               vivere senza amare, ma se amando uccido l'oggetto del
               mio amore, allora, non mi resta che morire. Ma non
               voglio morire per l'arte solo perché me l'ha
               chiesto lei, bensì, perché avendole
               dedicato tutta la vita è giusto ch'io gliela
               doni completamente, ma chi dirà mai: "È
               vissuto e morto per l'Arte". Se io all'arte non ho
               dato materialmente niente? Nessuno mi
               rammenterà, nessun libro scriverà di
               me". Chiuse la finestra e accese lo stereo, Chopin,
               ottimo compagno per passare ad altra vita. Aprì
               il gas e si sedette alla scrivania, prese la penna e
               scrisse: "Ancora pochi momenti e non esisterò
               più". Pensava al passato, quando, da ragazzo,
               preferiva giocare anziché studiare e suo padre
               gli intimava: «La cultura è tutto. Essa ti
               aiuterà in ogni momento della vita». Mio
               padre aveva ragione. Sapere è gratificante. Ma
               se avesse immaginato con quanta avidità mi
               sarei applicato avrebbe preferito lasciarmi giocare.
               Alzò gli occhi e guardò la libreria:
               «Vorrei restare e proteggere i miei libri. Ma
               fino a che punto li proteggerei restando?»
               L'odore del gas, forte e disgustoso gli entrava nelle
               narici. «Muoio. Forse qualcuno verrà a
               salvarmi. Loro sono là e ridono. Conoscevano la
               fine di questa storia fin dall'inizio. Avrei dovuto
               chiedere qualcosa in cambio, ma niente può
               sostituire la vita!». Cominciò a tossire,
               sentiva la testa pesante e gli occhi gonfi. Si
               piegò su se stesso appoggiando il capo sulle
               ginocchia. Non sentiva più il peso del corpo.
               Era leggero, calmo, sereno. Moriva. Nel buio gli
               tornò alla mente quel foglietto scarabocchiato,
               vide quei segni strani.Dicevano:
               «Muori. La vita è un cerchio.
               Ritornerai».
               
               
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