- Staffetta
-
- È
giovedì, ed ho tempo. Il tempo per qualsiasi
cosa voglia. Dovrò aspettare almeno
lunedì perché il dovere bussi alla mia
porta, forse anche di più. Credo leggerò
qualcosa oppure mi farò ipnotizzare dalla TV,
ma non uscirò di casa.
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- La
mia casa ha un lungo corridoio, e non è uno
scherzo attraversarla.
- Sono
cinquantuno passi, li ho contati. Se c'è da
muoversi dalla mia camera al salotto, mi assicuro
sempre di aver portato con me tutto quello di cui
potrei aver bisogno: rubrica, telefono, penna,
quaderno, fazzoletti, libri. La mia casa è
lunga, e mentre l'attraversi hai tempo per
riflettere.
-
- Rifletto
sul fatto che più nulla mi emoziona. Non voglio
nulla e nulla mi manca. Non mi importano più le
persone e la loro ammirazione. Sto immobile sul letto
nella mia camera e non so nemmeno cosa augurarmi. Ho
tutto alla portata di un telecomando, e non lascerei
il mio letto se il citofono non mi costringesse ad
alzarmi ed attraversare il corridoio.
-
- Quando
attraverso il corridoio non posso fare a meno di
concentrarmi su me stesso, sul mio corpo. Oltre alle
spoglie pareti, il mio corpo è l'unica cosa ad
esistere qui. Non che sia poco. Il mio corpo in
movimento è quanto basta per fare apparire
insignificanti le mie facoltà di comprensione:
vengo travolto da un mare di intuizioni sulla mia
natura, sull'evoluzione della mia specie, su come sto
spendendo la mia vita. Fra le tante intuizioni
incompiute, mi sembra di scorgerne alcune importanti.
Mi sembra di scorgere il percorso del mio destino, e
mi viene voglia di seguirlo.
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- Uscire
con Massimo era l'ultima cosa di cui avevo
voglia.
- <Ciao
Maurizio, che fai?>
- <Niente>.
- <Ti
va di fare un giro?>
- <Scendo>.
- Massimo
deve comperarsi un cappotto. Lo accompagno in
silenzio. Nella testa mi sforzo di mettere in riga i
miei pensieri, ma l'impresa è oltre le mie
capacità. I pensieri hanno vita propria, non
accettano ordini. Ognuno di loro infila le sue nervose
radici nel tuo cervello, e pretende la sua parte di
ragione: pretendere che tu assaggi i suoi frutti. Di
tanto in tanto compare un'idea più forte, e
prova a coagularne un grappolo intorno ad un unico
ramo.
-
- Ho
sempre avuto paura delle idee: o le contieni tutte o
è meglio non averne alcuna. Le idee sono come
virus. Si diffondono di cellula in cellula e ti
uccidono, prendono il tuo posto. Le devi combattere
tutte, o accettare di soccombere alla più
forte, alla più resistente. Arrendermi ad
un'idea, una qualsiasi, era la malattia cui ero
destinato.
-
- <Massimo,
non mi sento bene, torno a casa>. Giro i tacchi e
mi allontano, ignorando le sue proteste. Ho un
improvviso bisogno del mio corridoio, che mi faccia di
nuovo affacciare su di un mare di idee in cui cercare
comprensione. Faccio in fretta, faccio in un attimo, e
sono di nuovo solo con le mie due pareti. Sono con la
mia carne e con tutto ciò che un uomo
può pensare di se stesso.
-
- Cosa
può pensare un uomo di se stesso senza
affogare? Si può semplificare l'oggetto, certo.
Si può fare uno schizzo, ma gli schizzi sono
carta ed inchiostro. "Io sono...", non ho mai
cominciato una frase con queste parole: sarebbe come
morire. Non voglio avere caratteristiche. Non voglio
un carattere.
-
- Ci
vogliono almeno quattro piani per racchiudere uno
spazio, ma a me ne è sempre mancato uno, e per
questo imbarco acqua. Ci sono "io", c'è il
"mondo" e tra me ed il mondo una "rappresentazione".
Se fosse tutto qui, sarebbe uno scherzo di cattivo
gusto.
-
- Non
voglio credere che la vita sia tutto uno scherzo, ed
è per questo che passeggio, come uno
squilibrato, avanti ed indietro per il corridoio.
Nessuna magica intuizione arriva a soccorrermi, i
pensieri mi scoppiano in faccia come bolle di sapone.
La mia intelligenza non sopporta l'infinita
varietà e grandezza dell'universo personale in
cui sono immerso.
-
- Consumo
la cena in un silenzio insopportabile e non
sarò io ad interromperlo. Negli occhi di mio
padre e di mia madre c'è il mio stesso
smarrimento. Fuggo da tavola con ancora in bocca
l'ultimo morso, deciso, una volta per tutte, a
perdermi nella folla felice delle immagini televisive,
a lasciarmi cadere nel vuoto.
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- Sono
al dodicesimo dei cinquantuno passi, quando una
improvvisa vertigine mi fa barcollare. Appoggio le mie
due mani alle due pareti e mi fermo. Sto forse
morendo?
-
- Non
sento più le mani e sudo freddo. Ancora una
volta mi è concesso di scegliere, purificato
del superfluo e dei particolari, mi si ripresenta il
bivio del mio destino: fidarmi di un'unica idea che le
contiene tutte oppure rinunciare, per sempre, a sapere
quanto vale il mio tempo.
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