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               Fenice
               marziana 
               ...I
               canyon erano giganti neri e tormentati nella luce del
               tramonto. Si sarebbe detto qualche stupendo panorama
               desertico dell'Arizona, se non fosse che fuori la
               temperatura massima era di zero gradi centigradi.
               I
               canyon erano giganti neri e tormentati nella luce del
               tramonto... Mi
               rifugiai sotto le coperte plastificate della mia
               cuccetta. Era la stanza n° 7. Avevo un dolore
               all'occhio sinistro. Era l'osso o la palpebra a darmi
               dolore? Di solito l'inizio di un gran mal di testa. Mi
               stesi supino e respirai profondamente. Dovevo trovare
               la forza di raggiungere l'armadietto dei medicinali e
               prendere qualche pasticca di rigenerante. Decisi di
               alzarmi, ma i miei movimenti erano disarticolati,
               inciampai e urtai la testa contro l'armadietto dei
               medicinali che si aprì e il flacone color latte
               mi cadde quasi tra le mani scosse da fremiti continui.
               Feci scattare il coperchio di chiusura, maledicendo
               tutti gli oggetti che con i loro meccanismi di
               sicurezza sembrano opporsi alla volontà di chi
               li ha creati e presi tre piccole pasticche gialle. E
               se avessi svuotato tutto il flacone color latte? Mi
               sarei sentito bene per tutta la mia vita? Avrei
               raggiunto la meta di ogni filosofo... la
               felicità in questo universo apparentemente
               privo di senso. Ma che vita era prigioniero su una
               base spaziale su Marte? La voce calda e sensuale di
               Alexia si fece largo tra le nebbie del cervello:
               "Sandro, un modulo spaziale in avvicinamento...
               Sandro, mi senti? Prendi non più di tre
               pasticche, dormi un'ora e poi vieni in sala
               riunioni.""Non
               mi scocciare... e pensa a sintetizzare altra
               droga...", le risposi, lasciandomi cadere a terra e
               sprofondando nel sonno, unico consolatore dei
               derelitti, e sognai... ...Alla
               fine di un corridoio c'era una finestra dai vetri
               rotti e al di là vidi un cielo azzurro,
               primevo, e in alto un Sole luminoso, giovane con mille
               cerchi come un arcobaleno che si allontanavano dal suo
               centro... E poi mi ritrovai su di una spiaggia dalla
               sabbia bianchissima mista a minuscoli cristalli
               luccicanti. Stavo sotto un ombrellone e sedevo su di
               una sedia a sdraio di un materiale trasparente. Alla
               radice del naso sentivo il peso di occhiali da Sole.
               Alla periferia dell'occhio destro percepii un
               movimento. Era una mano femminile che si allontanava.
               La donna indossava un costume trasparente e andava
               verso la riva. Aveva appena sedici anni. I suoi piedi
               raggiunsero l'acqua. Ora il suo costume era di un
               verde smeraldo. Si tuffò nell'acqua, anzi no,
               continuo a camminare e intorno a lei l'acqua si
               cristallizzava. Divenne un immenso oceano glaciale. La
               ragazza camminando rompeva il ghiaccio. Sentivo solo
               il rumore ovattato del ghiaccio che si
               rompeva.Il
               cielo era azzurro ed eterno."Alexia!" Erano
               666 giorni che ero prigioniero sulla base spaziale
               Percival Lowell, tra i canyon della Valle Marineris di
               Marte, quarto pianeta del sistema solare. Aprii
               gli occhi. E scrutai la mia angusta cella. Mi alzai.
               Il mal di testa era scomparso. Le pasticche avevano
               fatto effetto. Mi sentivo forte come la colonna di un
               tempio greco. Gli effetti della droga X666 erano
               svaniti come aquiloni in una giornata estiva priva di
               vento. Mi palpai il viso ruvido e conclusi che dovevo
               farmi la barba. Il cowboy mi salutò ed
               uscì dalla stanza. C'era ancora qualche
               rimasuglio di droga nelle mie vene. Scacciai con un
               gesto quel ruvido mandriano e feci una lunga doccia.
               Davanti allo specchio mi radei con cura maniacale.
               Dall'oblò vedevo un tramonto marziano, o era un
               alba? Quante volte, senza successo, avevo tentato di
               ritrarre sulla tela quel quid impalpabile? Uscii dalla
               cella n°7 e percorsi il corridoio circolare che
               scendeva alla sala riunioni.La
               vidi seduta dietro il tavolo di plexiglas, tra
               montagne di documenti. Inforcava dei piccoli occhiali
               da maestrina, indossava jeans lisi e sopra le ampie
               spalle un giubbotto di pelle. Mi guardò un
               attimo e disse: "Ah, è lei!" Poi si
               rituffò nello studio delle sue carte. Andai
               verso la zona liquori. E sì, ci voleva qualcosa
               di forte. Nonostante la rigenerazione, dovevo essere
               talmente intossicato di droga X666 che continuavo a
               vedere fantasmi.La
               donna si decise di degnarmi della sua attenzione. Si
               alzò porgendomi la mano tesa: "Irene Grandi,
               geologa."Sorrisi,
               come si può sorridere ad un'illusione, e mandai
               giù un bicchiere intero di whisky."Prevedibile
               atteggiamento il suo. Deve essere imbottito di droga.
               La selezione sugli equipaggi dovrebbe essere
               più severa", disse la donna con distacco e
               malcelato disprezzo.Mi
               lasciai andare confuso su di una poltrona nera e le
               dissi: "Non so se lei sia vera... ma le mie illusioni
               hanno subito un miglioramento. Sa, i cowboy non sono
               molto attraenti. Da quel punto di vista, intendo." Le
               sorrisi come un idiota.La
               donna tirò fuori da uno zaino delle pasticche
               verdi, e porgendomele come la vestale di un antico
               culto, mi disse: "Cura definitiva contro la droga
               X666. Quando si sarà ripreso, vorrei parlare
               con lei dell'incidente al modulo Marte1. Non mi sono
               chiari alcuni dati del computer.""Non
               posso farci nulla" , le risposi affogandomi in un
               bicchiere di whisky. "E poi non sono un tecnico. Non
               m'intendo di computer... Sono un pittore."Irene
               sfogliò un incartamento, fece una strana
               smorfia, probabilmente di disgusto: "E stato
               ingaggiato nella missione come 'esperto estetico di
               culture aliene'. Le è stato dato un regolare
               addestramento di tre mesi. Le sue condizioni fisiche
               sono ottime... almeno lo erano." Chiuse l'incartamento
               e con le mani giunte lo poggiò proprio nel
               punto dell'addome che scende verso il pube. Guardai i
               suoi occhiali da maestrina, gli occhi di un
               indefinibile azzurro, vagai sulle forme del suo corpo
               che i jeans aderenti mettevano in risalto.
               Si
               accorse dei miei sguardi e assumendo un'aria composta,
               militaresca, disse: "Comunque, ritengo che sia adatto
               alla missione che voglio compiere." E con queste
               parole si allontanò evitando accuratamente di
               muovere il sedere."Lei
               non è niente male!", le gridai dietro. "Mi
               ricorda una maestrina che avevo nell'infanzia. Sicuro!
               Perché non vuole credermi?! E poi non sono
               alcolizzato e nemmeno drogato... E poi si ricordi che
               siamo lontani dalla terra, su di un pianeta deserto.
               Lontani migliaia di chilometri dalla civiltà...
               la civiltà... che cosa buffa vista da qui.
               Sembra un film! Ma di chi è la regia? Vuole
               rispondermi? Ma che l'hanno mandata a fare qui?  Di
               questa missione non frega più niente a nessuno,
               sono troppo impegnati nella loro stupide guerre... E a
               noi non resterebbe nient'altro di meglio da fare che
               scopare e riempirci di droga fino alla morte..."
               Ridendo
               di gusto, tirai sul muro il bicchiere che si
               frantumò in mille pezzettini di cristallo
               simile a sabbia. Irene
               interruppe parte delle funzioni del computer che non
               fu più in grado di fornirmi la droga. Fui
               sottoposto ad una terapia intensiva di una settimana a
               base di pasticche anti-droga, e dopo il trattamento
               ero tornato vigoroso e pronto a intraprendere i
               progetti della geologa. E tornando allo stato di
               normalità, mi resi conto che finalmente dalla
               Terra avevano mandato una missione di soccorso. Ma
               perché solo una donna? La
               mattina del settimo giorno, Irene mi ordinò di
               seguirla nella sala moduli. Digitato
               il codice per l'apertura, la donna entrò nella
               sala moduli. Qui c'era, simile ad una manta metallica,
               il modulo gemello di Marte 1: Marte2. "Si
               prepari" mi disse, indossando a sua volta una delle
               tute di volo. La tuta di un blu elettrico le stava che
               era una meraviglia, era talmente aderente da farla
               sembrare nuda. Chissà che impressione avrei
               fatto io con una di quelle tute? Sicuramente con Irene
               non ebbe molto effetto. Quando la geologa salì
               sul modulo, mi offrì la vista del suo sedere
               fasciato dall'aderente tuta blu. Si sistemò in
               plancia di comando e mi fece segno di sedermi nel
               posto del secondo pilota. I sette sedili vuoti del
               modulo mi fecero un certo effetto. Immaginai i sette
               cosmonauti morti che mi guardavano con sguardo di
               condanna. Io ero sopravvissuto. Era stato il caso, ma
               mi sentivo lo stesso colpevole. Colpevole di averli in
               qualche modo uccisi. Stavo farneticando. Cosa avrei
               potuto fare per salvarli? Niente di niente.
               Dall'alto,
               visto dall'oblò di Marte1, il paesaggio
               marziano sembrava una tela astratta, un vuoto campo di
               rocce, vulcani alti diecimila metri, crateri immensi
               larghi decine di chilometri, mentre io guidavo il
               modulo con mano ferma. Le pasticche di Irene avevano
               fatto il loro effetto. Dopo una settimana di cura ero
               un astronauta modello.Irene
               se ne stava davanti alla sua strumentazione a fare
               rilevazioni."Eccola!
               La vedi?! E' immensa!""Cosa?",
               risposi E
               finalmente lo vidi.Il
               volto era parte del pianeta, poteva quasi essere stato
               creato dalla pietra stessa, da sommovimenti naturali,
               dal caso che nel corso di millenni avesse modellato
               una forma umana. Ma perché aveva le nostre
               fattezze? Le fattezze umane... se fossimo stati esseri
               diversi cosa avremmo visto? O la forma umana era alla
               base dell'universo? Uno scienziato, non ricordo
               più il suo nome, definì l'umanità
               una muffa in uno sperduto sasso dell'universo. E se
               così non fosse? E se una mente avesse creato
               l'intelligenza con una forma umana? Questa poteva
               esserne la prova... Guardai Irene, anche lei, lo
               capivo dalle sensazioni che trapelavano da quella
               maschera di gelido atteggiamento scientifico, provava
               la stessa cosa e quindi le mie sensazioni non potevano
               essere ancora i rimasugli della droga che Alexia mi
               aveva procurata per tutti quei mesi. Il volto sul
               suolo marziano ricordava uno dei quei quadri astratti
               dove a prima vista non noti una forma, ma poi, creando
               il vuoto mentale e incrociando gli occhi, puoi
               intravedere forme galleggiare in linee e puntini, in
               colori che si solidificano in una forma
               definitiva."Dobbiamo
               atterrare. Il terreno è
               accidentato..."La
               voce di Irene mi strappò via da quelle
               meditazioni. La donna stava in piedi davanti al quadro
               comandi, illuminata dai riflessi verdi e rossi dei
               LED, e il suo corpo modellato dalla tutta era di una
               bellezza scultorea. Per un attimo vidi miscelarsi nei
               suoi tratti quelli del volto di pietra.Il
               modulo si abbassò, e un brivido di fronte
               all'incomprensibile per la prima volta si
               rivelò in Irene: "Quanto sarà grande? Da
               qui stimo un'altezza di 800 metri e una lunghezza di
               almeno... tre chilometri."Mi
               domandai quale mano umana o aliena avesse potuto
               creare una simile assurdità architettonica... E
               poi, per quale scopo? Forse, pensai, affinché
               loro due la scoprissero... E se questo era stato il
               fine, allora quella donna ed io eravamo i
               rappresentanti dell'umanità, ma, sinceramente,
               non mi sentivo per niente pervaso dall'importanza di
               questo scopo. Ero sempre stato un ubriacone e ora
               anche un drogato. Ma come ci ero capitato in quella
               missione? Nonostante non avessi mai brillato nel
               fisico, tantomeno nell'intelligenza, inspiegabilmente
               superai tutti i test. E se qualcuno avesse deciso di
               scegliermi? Se un uomo è senza qualità
               come me, per accedere a un superiore scopo non
               può essere altro che un
               predestinato.Il
               modulo planò dolcemente. Irene indossò
               la tuta pressurizzata e lo stesso feci io. Ci
               guardammo un attimo in un'intesa silenziosa prima di
               aprire il portellone, poi l'atmosfera di Marte ci
               accolse. Il Sole illuminava di candida luce quel suolo
               di sassi e polvere. Il cielo era bianco e l'astro
               solare una lampada opaca. Scendemmo la scaletta e
               quando posai il piede sul suolo mi sentì
               leggero, la bassa gravità aveva ridotto di due
               terzi il mio peso. Da bravo comandante, Irene mi
               precedette verso il cumulo di sassi grande come una
               montagna che visto dal basso perdeva tutto il suo
               fascino, troppo simile più ad un accumulo
               naturale che a un'opera umana.L'adolescente
               mi camminava accanto. La ragazza sui tredici anni
               indossava un bikini trasparente e mi sorrideva. I
               capelli color rame le ricadevano sulle spalle e il
               viso triangolare incorniciava gli occhi di un azzurro
               intenso. La ragazza assomigliava a come mi ero
               immaginato Alexia, il computer, nei giorni di
               solitudine spaziale.Chiusi
               gli occhi, tentando di scacciare quel rimasuglio di
               droga dal mio sangue, ma fu tutto inutile,
               perché quando li riaprii Alexia mi era ancora
               accanto e con il dito teso indicò Irene e
               parlò: "Lei non può
               vedermi.""Perché?",
               le domandai."Sei
               tu il prescelto. Lei deve morire..." E a queste parole
               un ghigno, subito svanito, ondeggiò sul volto
               d'adolescente di Alexia."Sei
               Schitian?", e questa domanda mi colpì per
               primo, l'avevo pronunciata senza pensarci, come se la
               causa fosse in qualche cunicolo segreto del mio
               cervello, in una zona dove si consumavano segreti
               innominabili che consciamente non ricordavo, ma che
               erano così estranei da sembrare quelli di
               un'altra persona. Mi sentii diviso in due, come
               tagliato verticalmente da una lamina di ferro,
               squarciato da una nuova consapevolezza. Feci un gesto
               nell'aria con l'indice, un gesto magico che ricordavo
               di aver appreso in una caverna oscura dove dei volti
               indecifrabili erano illuminati da torce... e Alexia
               svanì. Alexia,
               Schitian, un termine antico per indicare colui che
               veniva chiamato l'Avversario nell'Antico
               Testamento.Irene
               era in pericolo, dovevo avvertirla, ma come potevo
               farlo se il pericolo ero io stesso? Alexia mi aveva
               instillato il gusto d'uccidere. Il sangue della donna!
               Quella era la chiave d'accesso per i segreti del
               volto, che si sarebbe aperto al contatto con il sangue
               della donna. Dovevo ucciderla in cima al volto,
               nell'incavo di sassi che era la sua bocca. La dovevo
               uccidere con un sasso tagliente come una lama che
               avrei trovato sulla cima. Ecco lo scopo del volto! Era
               un altare, un altare eretto dagli dei dell'universo.
               Ma quale mostruosità avrebbe
               risvegliato?Quando
               fummo giunti in cima al volto di pietra, colpii Irene
               con tutta la mia forza alla nuca. La donna
               stramazzò al suolo. A terra brillava una pietra
               appuntita, simile ad una venatura di quarzo. Disposi
               il corpo della geologa sull'incavo delle labbra della
               testa di pietra, e alzando le braccia in un antico
               gesto rituale le trapassai la tuta, le costole e le
               conficcai la pietra nel cuore. Il sangue mi
               schizzò sulla visiera del casco. Poi mi
               accasciai esausto accanto al cadavere.Alexia
               si avvicinò, mi accarezzò la nuca, e
               provai una grande pace quando mi porse la mano
               invitandomi a seguirla nell'incavo della bocca che ora
               si apriva su un'apertura interna. Scesi delle scale a
               spirale di un marmo antico, prima
               dell'uomo...Con
               affanno superai la piccola entrata nella pietra ed
               entrai in una grande stanza dalle pareti di granito
               rosso scuro, rettangolari e levigate, lucidi macigni
               di quaranta tonnellate, disposti geometricamente. Dava
               l'idea di una grande antichità e di una
               modernità incredibile. Sembrava uscita dalla
               mente di un matematico per espletare qualche
               soprannaturale funzione.   In fondo alla sala c'era un
               parallelepipedo cavo. Mi avvicinai al grande sarcofago
               scolpito e scavato nella roccia viva. Quale strumento
               sconosciuto l'aveva forgiato? Nel fondo di quel
               sarcofago c'era la sagoma scavata nella pietra di un
               uomo ed era disposto all'ovest vero di Marte. Entrai
               nel vano e mi stesi nella sagoma che stranamente
               aderiva perfettamente al mio corpo. Quella bara di
               pietra sembrava attendermi da sempre, dalle
               profondità dei millenni in cui fu concepita e
               costruita. C'era un impalpabile luminosità
               proveniente non da un punto preciso ma dalle pareti
               stesse della sala. Era avvolgente e grigia ed udivo un
               suono continuo che sfumava in un volteggiare d'ali.
               Restai così non so per quanto tempo, poi una
               sagoma scura mi passò davanti e aguzzando la
               vista ne vidi altre. Come sospinte da venti di forze
               invisibili, brandelli di carta volteggiavano nella
               sala, sembravano brandelli di enormi stampe di foto,
               ma io sapevo che erano state strappate dal muro della
               realtà. Oltre questa crepa che si allargava
               sempre di più, vidi la struttura ultima del
               muro: un liquido bianco, lattiginoso, continuo, una
               molla e compatta gelatina dove la mia mano
               affondava...Prigioniero
               nel modulo di sicurezza, della grandezza di una bara o
               poco più, vidi scorrere dall'oblò un
               viale di sfingi sospese nel nero indefinibile. Un
               corridoio lungo chilometri che si inabissava nella
               fornace termica del Sole. Se una rappresentazione del
               terrore cosmico fosse possibile, ciò che vedevo
               avrebbe avuto, sicuramente, la precedenza su ogni
               altra immaginazione. Stavo scivolando ad una
               velocità folle verso la mia annichilazione, ma
               d'improvviso qualcosa cambiò, le sequenza di
               sfingi s'interruppe ed un grande tempio, dalle colonne
               alte centinaia di metri, eruppe come lava.
               Istintivamente mi coprii il volto, ma quando scostai
               le mani mi resi conto che il tempio doveva essere
               lontano ancora migliaia di chilometri. Era solo la sua
               grandezza illimitata che mi aveva illuso sulla sua
               vicinanza. Una grande scala alla base conduceva in
               cima, dove su di un altare si alzava una delle fiamme
               del Sole. E da quel fuoco sorse come il Sole un'enorme
               testa. Era regale, la testa funeraria di un faraone,
               scolpita sulla crosta di un pianeta grande come Giove.
               La testa era d'incalcolabile bellezza e il modulo era
               attratto in un'attrazione circolare intorno ad essa.
               Presentivo che quel viaggio non avrebbe mai avuto
               fine, ma io dovevo fare qualcosa. Come erano possibili
               dimensioni così colossali? Chi aveva costruito
               quelle architetture impossibili che superavano in
               grandezza i pianeti più grandi dell'universo?
               Non era possibile, doveva esserci una spiegazione
               razionale, allora respirai profondamente, tentando di
               calmarmi, di pensare, mentre il modulo, correndo ad
               una velocità incredibile, mi dava l'impressione
               di stare fermo. Se dovevo morire in quel luogo
               inconcepibile, tanto valeva provare. Decisi di uscire
               dal modulo. Con tutta probabilità mi sarei
               schiantato su quella colossale costruzione, o forse,
               prima di ciò, sarebbe finita la mia riserva
               d'ossigeno ed io sarei morto della più orribile
               delle morti : l'asfissia. Indossai il casco, sistemai
               le bombole dell'ossigeno e aprii lo sportello. Ero
               preparato ad essere catapultato lontano dal modulo, ma
               niente di tutto questo avvenne. Quando scesi dal
               modulo, mi ritrovai sul pavimento di granito rosso di
               una sala di una decina di metri di diametro e una
               ventina in altezza che andava restringendosi fino a
               terminare a punta. Le pareti s'inclinavano fino a
               congiungersi, ero in una piccola piramide e davanti a
               me c'erano dei modellini. Dei modellini oleografici
               che cambiavano forma e l'enorme testa non era
               più alta di venti centimetri. Scoppiai
               in una risata fragorosa, una risata simile a quella di
               un dio il primo giorno della creazione. E con la mia
               risata svanì la sala segreta della Grande
               Piramide e mi ritrovai nella Camera del Re, più
               piccola, quadrata e costruita con blocchi neri e
               geometrici.Ecco
               dove mi trovavo. All'interno della piramide di Cheope,
               nella sala del Re. Una coppia americana in calzoncini
               colorati mi guardò stupita della mia improvvisa
               apparizione. La donna si riprese prima dell'uomo e mi
               scattò una foto proprio nel momento che
               scendevo di corsa le scale ripide del Grande Galleria
               della piramide. Uscendo da quella montagna di pietra,
               mi ritrovai nella piana di Giza, accolto dal calore
               del Sole. Inalai l'aria. Ero felice. Alexia mi aveva
               salvato. Ero fuggito da quel pianeta deserto, da
               quell'inferno dell'anima. Mi ritornarono in mente
               antiche parole: "Santa Sophia Excelsa Domine..." La
               donna eterna che salva l'uomo dalla dissoluzione. Dio
               mi aveva rifiutato per tutta la mia vita, ma io ero
               stato accolto da lei, tra le sue braccia. Come la
               Fenice, ero rinato dalla morte. M'incamminai come un
               purificato verso il quartiere popolare di
               Giza... Documento
               planetario numero 666: "La seconda missione di
               soccorso su Marte, dopo aver tentato di mettersi in
               contato con la base spaziale Percival Lowell, ha
               trovato su di una collina i cadaveri di Irene Grandi e
               Sandro Reni, unici superstiti della missione Mars 13.
               La donna, unica sopravvissuta della prima missione di
               soccorso, con tutta probabilità è stata
               uccisa dall'uomo, colto da pazzia, causata dal panico
               di restare per sempre sul pianeta senza la speranza di
               una nuova missione di soccorso. In allegato, abbiamo
               riportato questi fogli scritti a mano ritrovati in una
               tasca della tuta dell'uomo..."(2000-2001) |