- Liquidambar
-
- Spesso, al lavoro,
passo davanti alla grande finestra del mio ufficio che
illumina la stanza di una luce calda e paglierina. A
volte mi soffermo distrattamente scartabellando le mie
carte, altre, magari durante una pausa mentre
sorseggio un caffè, rimango a guardare
incantato attraverso i vetri. Il mio sguardo,
inevitabilmente si posa sul grande Liquidambar che
troneggia nel giardino di una villetta dall'altra
parte della strada. Adoro quest'albero! Il mutare
della sua chioma, il fruscio delle sue fronde al
vento, la bruma invernale che decora i suoi rami,
tutto di lui mi accompagna quotidianamente, ed
è come se un pezzetto di giardino fosse anche
nel mio ufficio; il suo aspetto mi condiziona l'umore
dell'intera giornata. Un giorno, pochi mesi fa, in
autunno, appena rientrato dalla pausa pranzo, la mia
attenzione fu catturata dalle foglie fiammanti e ocra
a cinque punte del Liquidambar: racchiudevano pezzetti
di cielo come cristalli, il sole ancora caldo vi
filtrava attraverso e una leggera brezza le faceva
danzare. Subito mi venne in mente una sinfonia di
Cajkovskij che amo molto. Ad un tratto il mio sguardo
scese più in basso: seduta su una panchina,
all'ombra del Liquidambar c'era una giovane donna. A
vederla da quella distanza, avrebbe potuto avere circa
venticinque anni. Era bionda, con i capelli raccolti;
la pelle era diafana, quasi opalescente. I suoi
lineamenti erano minuti e teneva il bavero del
soprabito fino al mento. Leggeva un libro. Questo mi
incuriosì: da accanito lettore, tutto
ciò che ha a che fare con i libri o chi legge
libri mi attira moltissimo. Inoltre, ultimamente, non
mi capita spesso di vedere ragazze che, sedute
seraficamente su una panchina al parco, leggono un
libro! Ogni tanto interrompeva la lettura e guardava
assorta il palazzo di fronte. Il telefono
squillò e gli impegni mi richiamarono alle
sudate carte. Il giorno dopo la rividi. Era sempre
lì. Leggeva il libro. Non aspettai un minuto di
più: dissi al mio collega che mi sarei
assentato un attimo e che mi avrebbe potuto contattare
al cellulare, infilai la giacca e scesi. Mi avvicinai
lentamente, camminavo con le mani in tasca e,
più per darmi un'aria disinvolta che per
voglia, mi accesi una sigaretta: era tempo orami che
non sentivo più l'esigenza di fumare. Non si
accorse di me o forse fece finta di non vedermi.
Continuava a leggere il suo libro, elegantemente
rilegato con una copertina in pelle rossa e i
caratteri in oro; lo teneva posato sulle ginocchia
accavallate: notai che aveva mani piccole e affusolate
e mi ricordarono le esili foglie geometriche del
Liquidambar. A tratti distoglieva lo sguardo dalle
pagine e guardava il caseggiato di fronte di un colore
marrone smorto, ma signorile nell'aspetto. Ebbi
l'impressione che guardasse una finestra in
particolare. Non capivo cosa l'interessasse di
più se leggere o continuare ad osservare il
palazzo. Riuscii a scorgere il titolo: era una
raccolta di poesie di Pablo Neruda; Ebbi un tuffo al
cuore. Da sempre sono grande estimatore di quel poeta
e cercai anch'io, tempo fa, quell'edizione, ma senza
successo. Spinto da quella scoperta, feci per
avvicinarmi a lei, quando nervosamente guardò
l'orologio e in tutta fretta se ne andò. Mi
sedetti allora al suo posto, sconsolato, con le
braccia abbandonate lungo i fianchi e anch'io, non so
perché, guardai quel palazzo. Il giorno dopo,
alla stessa ora era nuovamente lì, sempre con
lo stesso soprabito e sempre con lo stesso libro,
seduta nello stesso posto. Imprecai con me stesso per
non potere scendere da lei; troppi erano gli impegni
per quella giornata e una sottile malinconia,
guardando la chioma dorata del Liquidambar, mi pervase
sommessamente. Per circa dieci giorni, a causa della
mia professione, dovetti assentarmi dal mio paese e
dal mio ufficio. Quando ritornai ad osservare il
paesaggio davanti alla mia finestra, il Liquidambar
era splendido: mai visto un concerto di simili gamme
cromatiche!! Foglie arancioni, rosse rubino e cremisi,
si stagliavano nel cielo ceruleo. Lei non c'era.
Innervosito, guardavo con insistenza il grande
orologio appeso alla parete: si avvicinava l'ora
dell'"appuntamento": ma lei non c'era!
- E così il
giorno dopo e quello dopo ancora! Non riuscivo a
distogliere il pensiero da lei, forse perché
volevo saperne di più, forse perché
ormai faceva parte del paesaggio, insieme al mio
albero... Non so... Spesse volte, passando accanto
alla finestra, mi rimproveravo per il fatto di non
essere riuscito a rivolgerle la parola, a scambiare
due chiacchiere, a chiederle il nome.
- Un giorno volli
aspettarla seduto sulla panchina. L'aria pungente di
fine autunno si faceva sentire e mi pentii di non
avere indossato il giaccone più pesante. Il
cielo era plumbeo e preannunciava pioggia. Le foglie
del mio Liquidambar erano oramai quasi tutte cadute;
le più impavide resistevano ancora sui rami,
ormai spogli. Osservavo impaziente la strada, gli
alberi... Ma niente. Lei non arrivava. Il vento alzava
le foglie e la polvere dai marciapiedi. Mi accorsi poi
di un inusuale trambusto all'ingresso del caseggiato
marrone. Mi avvicinai incuriosito e trovai il portiere
del palazzo che, concitato, stava parlando con altre
persone. Sentii qualcuno dire che "li hanno portati in
ospedale"; afferrai da altri che "avremmo potuto
saltare in aria tutti" e che "i due vecchietti sono
morti". Quando il portiere si liberò dai suoi
interlocutori, confuso, gli rivolsi alcune domande,
senza nascondere una certa apprensione. MI rispose che
la coppia di anziani del secondo piano era morta per
aver respirato il gas del fornello. Poi, un signore
alto, emaciato, un agente in borghese (capii dopo) lo
chiamò. Io rimasi lì vicino alla siepe
di bosso, infreddolito, vicino all'entrata. Era come
se fossi inchiodato al pavimento e mi ostinavo a
carpire qualche frase detta qua e là dai vicini
di casa dei defunti. Non so quanto tempo passò,
ma ormai il cielo era già buio e il pomeriggio
inoltrato quando vidi scendere dalle scale il
portinaio: era pallido in volto e,
trafelato:
- - Sembra che i
coniugi non siano morti accidentalmente: mancano
alcuni oggetti di valore e i soldi della pensione che
ormai da un po' di tempo tenevano a casa! Sono
trent'anni che lavoro qui come portinaio e so che non
avevano né parenti, né amici. Erano
persone riservate, ma a modo, educate! -
- Nel tramestio
generale poi arrivò di nuovo l'agente in
borghese che, rivolto ad un appuntato:
- - Lo avevano tra le
mani - e così dicendo, gli mostrò,
avvolto in un sacchetto di plastica trasparente un
libro: aveva una copertina rossa di pelle, con i
caratteri in oro. Lo riconobbi. Rimasi impietrito: un
brivido percorse la mia schiena. Senza salutare,
attonito, a fatica mi allontanai dal sinistro
ingresso, ormai illuminato da una fredda luce al neon.
Feci la strada per ritornare in ufficio, ma i miei
passi erano quelli di un automa. Distrattamente, mi
accorsi di uno spazzino che terminava il suo turno
mentre raccoglieva le ultime foglie di Liquidambar
dalla strada. Ne raccolsi una dal bidone: era secca,
avvizzita, marrone, dello stesso marrone spento di
quel palazzo, un marrone quasi nero, nero di
morte.
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