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                  IL
                  ROSSETTO ROSSO SANGUE Jack
                  le faceva sempre dei regali stravaganti, ma questa
                  volta si era superato: la mattina alle 9.00 precise
                  si era presentato nel suo ufficio con un pacchetto
                  incartato malissimo in una improbabile plastica blu
                  a fiori gialli che aveva deposto con molta
                  attenzione sulla scrivania. Con aria compunta
                  mentre gli occhi ridevano aveva detto:-
                  Melanie, questo l'ho portato per te da Haiti:
                  è un feticcio woodoo molto potente. La mama
                  che me l'ha venduto dice che risolverà tutti
                  i problemi della donna a cui
                  apparterrà.E
                  aveva raccontato con il suo solito entusiasmo per
                  le sciocchezze quello che aveva tutta l'aria di
                  essere stato un rito per turisti sprovveduti, al
                  termine del quale naturalmente ognuno aveva potuto
                  acquistare un talismano carico di forze ancestrali
                  o qualcosa del genere per vivere
                  meglio.Era
                  tanto caro Jack: un cucciolone troppo cresciuto che
                  le voleva bene come ad una specie di mamma orsa da
                  accudire e da cui essere accudito.Erano
                  poi arrivati altri pacchetti da colleghi amici: il
                  giorno dopo, sabato, avrebbe compiuto 30 anni;
                  lavorava alla casa editrice Stafford ormai da
                  quattro anni ed era rispettata e benvoluta da
                  molti.Uscì
                  alle 16.00, prima del solito: era tesa, per tutto
                  il giorno aveva inciampato dappertutto, aveva fatto
                  cadere oggetti, muovendosi aveva urtato mobili che
                  erano lì da sempre. Le accadeva sempre
                  più spesso ultimamente; era come se il suo
                  corpo le dicesse che qualcosa non andava, ma lei
                  non capiva, coglieva i segnali ma non riusciva ad
                  interpretarli.Respirò
                  lentamente e si guardò intorno. Chicago era
                  molto bella in dicembre, soprattutto la zona del
                  centro in cui aveva la fortuna di lavorare: il
                  freddo era ancora sopportabile, la neve era
                  arrivata abbondante e gli scoiattoli facevano le
                  ultime scorte prima del sonno forzato. Decise di
                  non andare subito a casa, tanto non c'era nessuno
                  ad aspettarla: Philip era dovuto andare a Seattle
                  due giorni prima per lavoro e sarebbe tornato solo
                  martedì. Le cose non si stavano mettendo
                  molto bene: la società informatica presso la
                  quale lavorava era sull'orlo del fallimento e non
                  era certo il momento più felice per trovare
                  un nuovo impiego.Si
                  diresse verso la profumeria Whiterose, la
                  più bella della zona, che era proprio
                  lì vicino: perché non festeggiare un
                  compleanno così importante con un acquisto
                  frivolo e costoso? Non aveva mai dato la minima
                  importanza ai prodotti di bellezza, proprio come
                  sua madre, ma forse era venuto il momento di
                  cominciare, di prendere più contatto con
                  questo suo corpo che sfuggiva sempre più al
                  suo controllo.Entrò
                  e comprò d'istinto, senza pensarci due
                  volte, semplicemente un rossetto rosso sangue.
                  Quando fu di nuovo in strada si chiese
                  perché diavolo (non riusciva ad usare
                  termini più pesanti nemmeno con se stessa)
                  avesse acquistato una cosa che non avrebbe mai
                  usato: troppo volgare, avrebbe detto sua madre.
                  Certo il rosso scuro era in generale il suo colore
                  preferito, il colore della passione repressa: lei
                  era una passionale, ma pochi se ne
                  accorgevano.Pensò
                  di andare al parco e sedersi un po' in pace a
                  meditare. A casa avrebbe dovuto per forza parlare
                  al telefono con sua madre; l'aveva già
                  chiamata due volte in ufficio, ma lei si era fatta
                  negare: sapeva che la depressione si acuiva in
                  occasione delle ricorrenze familiari e quel giorno
                  non si sentiva proprio di fare l'angelo
                  consolatore.Mentre
                  si sedeva sulla panchina, le caddero di mano i
                  sacchetti con i regali, tutti tranne quello di
                  Jack: questo problema stava diventando veramente
                  fastidioso, bisognava venirne a capo. Quando era
                  cominciato? Non ricordava esattamente, ma andando
                  indietro nel tempo riuscì a vedere
                  nitidamente un periodo della sua vita in cui si
                  muoveva con sicurezza e
                  fluidità.Aveva
                  11 anni, era estate e si trovava a Newport.
                  Passavano sempre le loro vacanze a Newport,
                  chissà perché: era la spiaggia di New
                  York, non di Chicago. Ma sua madre aveva deciso che
                  era l'unico posto accettabilmente chic di loro
                  conoscenza e suo padre naturalmente non aveva fatto
                  obiezioni. Lì aveva conosciuto Roland, il
                  suo primo vero amore. Con lui aveva provato, appena
                  adolescente, una passione soffocante, bruciante,
                  non più ritrovata da adulta. Roland aveva 14
                  anni allora. Non avevano mai fatto l'amore, ma ci
                  erano andati molto vicini e la notte Melanie non
                  riusciva a dormire: si sentiva il cuore stretto e
                  gli occhi brillanti. Erano amanti consumati senza
                  avere esperienza: sapevano come capirsi, ferirsi e
                  rendere felice l'altro compiutamente, con una
                  sicurezza che lei non aveva più conosciuto
                  in seguito.Non
                  ne poteva parlare con nessuno, le amiche erano
                  troppo bambine per ricevere confidenze del genere,
                  del resto difficili da esprimere in modo chiaro:
                  erano sensazioni fortissime ma elusive.Proprio
                  in quel periodo erano cominciate anche le prime
                  conversazioni intime con sua madre. Dopo pranzo, si
                  sedevano da sole in terrazza all'ombra e si
                  confidavano, mentre Melanie imparava a ricamare:
                  voleva tanto diventare brava come lei, che tutti
                  ritenevano insuperabile in quest'arte difficile e
                  ricercata. Non ricordava le parole precise, ma
                  risentiva il tono benevolo, complice che sua madre
                  usava così di rado e che bisognava cogliere
                  con attenzione amorevole appunto perché era
                  insolito. Le aveva fatto capire con delicata ironia
                  che il suo comportamento con Roland era
                  sconveniente, da donnicciola e poteva essere
                  giudicato addirittura volgare. Nel loro codice
                  privato ma assoluto, la volgarità era il
                  vero peccato, ben più grave
                  dell'immoralità: era molto peggio abbinare
                  colori sbagliati o ridere sguaiatamente che
                  uccidere qualcuno per un motivo ritenuto giusto.
                  Del resto gli uomini erano rozzi e alla fine
                  miravano ad una cosa sola, che alle donne
                  interessava poco; quindi era elegante farsi amare e
                  mercanteggiare con cura questo bene che a loro
                  sembrava così prezioso per ottenere
                  più vantaggi possibile, poi abbandonarli
                  alla loro sofferenza: se l'erano meritato in fondo.
                  Le aveva raccontato tanti aneddoti in proposito e
                  avevano riso insieme alle spalle dei
                  malcapitati.Sull'onda
                  delle confidenze, le parlava anche della nonna: a
                  Melanie piaceva molto, era una donna non comune,
                  rigida e aristocratica, ma capace di improvvisi
                  momenti di folle allegria che l'affascinavano. Sua
                  madre invece non la sopportava, diceva che l'aveva
                  oppressa per tutta la vita in tanti modi; eppure,
                  pensava Melanie, non riusciva a stare a lungo senza
                  parlare di lei nel bene o nel male, senza litigare
                  e fare pace, senza portarla a modello o
                  disprezzarla.L'amore
                  con Roland era continuato, pur se meno intenso, per
                  due estati ancora, poi avevano continuato a
                  frequentarsi per altri 4 anni e alla fine si erano
                  lasciati perché la magia non si ripeteva
                  più, qualcosa si era spezzato. Da allora i
                  suoi amori erano stati una serie di
                  fraintendimenti: non ci si capiva, si
                  interpretavano male i segnali inviati dall'altro,
                  si viaggiava a velocità diverse, si rimaneva
                  distanti. Era come se lei tentasse sempre di
                  mettersi in una posizione di superiorità;
                  quando ci riusciva la cosa non la interessava
                  più, quando non ci riusciva sbagliava
                  tutto.Si
                  guardò intorno. Si era fatto buio, ma il
                  parco era ben illuminato. Si accorse all'improvviso
                  che sulla panchina di fronte stava ora seduto un
                  uomo che la guardava. Doveva essere buffa, nel suo
                  cappotto lungo blu, i guanti gialli, a capo
                  scoperto nonostante il freddo, circondata da
                  sacchetti multicolori e con lo sguardo fisso da
                  molti minuti su una insignificante
                  betulla!Soppesò
                  in pochi istanti il suo dirimpettaio di panchina:
                  35 anni, alto, capelli lunghi curati,
                  disinvoltamente elegante, maschio ma di classe; non
                  in cerca di avventure (non sopportava il genere),
                  solo curioso. Poteva essere intrigante, ma quel
                  giorno non ne aveva proprio voglia. Lo fissò
                  con il suo migliore sguardo sprezzante, lui
                  guardò altrove, lei si alzò e si
                  avviò alla fermata del metro.Le
                  capitava spesso: incontrava un uomo nelle
                  circostanze più disparate e scattava in lei
                  un bisogno inconsapevole di dispiegare tutto il suo
                  fascino. Riusciva ad essere tanto più
                  brillante quanto meno le interessava la persona in
                  questione. Lo faceva anche solo per arricchire la
                  sua collezione di un pezzo insolito o come sfida
                  con se stessa in una mission impossible. E se si
                  metteva d'impegno non falliva mai. La parte
                  veramente divertente del gioco era come uscirne:
                  cercava di inventarsi sempre modi diversi,
                  modificando le strategie a seconda dell'avversario
                  che si trovava di fronte. Quando era l'altro a
                  convincersi di averla lasciata e lei faceva la
                  parte della vittima, si sentiva trionfante. Giocare
                  al gatto e al topo le piaceva molto e lei amava e
                  capiva benissimo i gatti.Se
                  qualcuno le scompigliava il gioco con mosse strane,
                  si infuriava ed era capace di fare davvero male.
                  Giusto un anno prima Mr Stafford le aveva dato
                  finalmente l'aiuto che gli chiedeva da tanto tempo.
                  Un giorno era arrivato in ufficio raggiante e le
                  aveva detto:-
                  Ho trovato la persona che fa per te: è
                  giovane, in gamba e soprattutto ha molta voglia di
                  imparare. Fallo lavorare un po' e poi dimmi cosa te
                  ne pare: se funziona potremmo anche mandarlo a
                  Little Rock a impiantare la nuova sede.Così
                  aveva conosciuto Mark, 20 anni, spalle larghe e
                  sorriso disarmante. Effettivamente era inesperto ma
                  imparava in fretta. Melanie aveva deciso che poteva
                  anche essere l'allievo giusto a cui insegnare
                  cos'è la vera passione d'amore: c'era
                  qualcosa nel suo atteggiamento quando la guardava
                  dritto negli occhi che sembrava una via di mezzo
                  tra la sicurezza del conquistatore nato e la
                  verginità del neofita. Le cose procedevano
                  bene, quando un pomeriggio lui le disse che doveva
                  assolutamente parlarle prima di uscire. Lei si
                  predispose ad ascoltarlo immaginando con
                  voluttà le successive contromosse; allora
                  Mark le confessò con aria sognante che
                  grazie a lei aveva capito che cos'era veramente
                  l'amore e ora si era innamorato perdutamente di una
                  ragazza che aveva conosciuto da poco e con la quale
                  stava vivendo un'intensissima passione! Melanie
                  decise all'istante di vendicarsi fino in fondo:
                  stese un rapporto molto negativo su Mark e gli
                  suggerì le risposte più sbagliate da
                  dare al direttore dell'Ufficio del Personale nel
                  colloquio decisivo per la sua assunzione.
                  Naturalmente fu allontanato subito e anche le
                  successive richieste di referenze da parte di altre
                  case editrici ricevettero risposte scoraggianti.
                  Aveva avuto solo quello che si meritava, non si
                  pentiva affatto del suo comportamento, nemmeno a
                  distanza di un anno.Si
                  fermò ad ammirare di nuovo Chicago: di sera
                  era perfino meglio che alla luce del giorno. Era
                  illuminata in modo vivace e cordiale, c'era tanta
                  gente in giro che non andava di corsa verso casa
                  dopo essere uscita dagli uffici, ma incontrava
                  amici e si preparava alla serata; si sentiva la
                  vita scorrere sopra e sotto la neve. Aveva sempre
                  pensato che, proprio per via del clima infame e dei
                  ritmi di lavoro più intensi qui che in altre
                  parti degli States, gli abitanti di Chicago
                  sentivano un bisogno di calore umano, di allegria e
                  di bellezza che si manifestava in tanti modi:
                  c'erano parchi e fiori dappertutto in estate;
                  ottimi ristoranti e cabaret di razza, e soprattutto
                  era la patria del blues! Melanie aveva ascoltato
                  blues in tanti posti, anche a New Orleans, ma a
                  Chicago era diverso: sembrava che qui l'anima dei
                  neri, immigrati a forza tanto tempo prima, avesse
                  deciso di dare il meglio di sé per reagire
                  alle condizioni avverse e non dimenticare. Il blues
                  le prendeva le viscere, si rendeva conto che
                  lì c'era l'essenza della vita e non serviva
                  nient'altro per capire il mondo. Ecco l'idea giusta
                  per festeggiare quel benedetto anno in più:
                  andare con Annie alla House of Blues! Ma bisognava
                  prima affrontare la mamma, che avrebbe preteso come
                  sempre, come se fosse un diritto, un'intera
                  giornata di dedizione reciproca; oltretutto odiava
                  il blues, diceva che era una musica da
                  selvaggi.Melanie
                  si sorprese a battere furiosamente i piedi per
                  terra nel breve spazio d'ombra tra due lampioni.
                  Sua madre, sua madre, sua madre! Perché
                  doveva sempre trovarla in mezzo quando esprimeva
                  un'opinione, quando faceva un progetto, quando
                  pensava a qualcuno? Si accorse che era sempre stato
                  così, che non erano mai state due persone
                  realmente distinte e il condizionamento era stato
                  talmente pesante da impedirle di rendersene conto.
                  La vide per la prima volta com'era, come l'avrebbe
                  vista un estraneo: una donna di 62 anni invecchiata
                  male per via della depressione, grassa (mangiava in
                  continuazione), fumatrice accanita e in fondo
                  ignorante: questo sì era un grave peccato,
                  ma solamente per Melanie, che aveva studiato alla
                  Columbia di New York e non sopportava chi non
                  sentiva la vera cultura come parte necessaria della
                  propria vita. Guardò i suoi pacchetti e
                  sentì un moto di irrefrenabile allegria: ma
                  sì, evviva il blues, evviva il rossetto
                  rosso sangue, evviva il feticcio woodoo che adesso
                  non vedeva l'ora di scartare! Lo avrebbe messo
                  vicino alla maschera indiana di Philip e alla
                  lancia maori che le aveva portato Freddy dalla
                  Polinesia, avrebbe girato il mondo per comprare una
                  quantità di oggetti assurdi ma divertenti:
                  basta guardare al passato, bisognava essere
                  ottimisti e pratici, c'era il lavoro, c'era Philip,
                  eccetera eccetera.Scese
                  di corsa le scale della fermata del metro, prese al
                  volo il treno e si sedette con calma, lontana da
                  altri passeggeri. I due giganteschi poliziotti neri
                  di pattuglia la guardavano benevoli e sembravano
                  dirle: "Non si preoccupi Miss, pensi
                  tranquillamente alle sue cose, ci siamo qui noi".
                  Già, Philip. Erano insieme da cinque anni.
                  Dopo Roland era l'unico uomo che avesse amato:
                  dagli altri si faceva amare e basta; in ogni caso
                  il suo orgoglio non le permetteva di farsi
                  coinvolgere se non aveva in partenza la certezza di
                  essere adorata, e questo non era amore, lo sapeva,
                  era solo un scambio di favori da misurare con
                  attenzione per non subire perdite. Il legame con
                  Philip era solido e rassicurante: lei gli si
                  aggrappava nei momenti di disperazione e lui le
                  tendeva sempre la mano, semplicemente, senza
                  chiedere contropartita; senza di lui si sarebbe
                  sentita completamente perduta. Eppure non le
                  bastava, doveva sempre avere qualcuno sottomano da
                  dominare, con cui giocare in modo
                  crudele.Arrivò
                  a casa senza rendersene conto. Aprì la porta
                  e vide subito la luce rossa della segreteria
                  telefonica che lampeggiava: sua madre l'aveva
                  cercata chissà quante volte. Il senso del
                  dovere si fece avanti imperioso: ascoltò i
                  messaggi. Il contenuto lo conosceva a memoria: la
                  solitudine, le mille ansie quotidiane, le colpe
                  della figlia. La colpì per la prima volta,
                  quasi con ripugnanza, il tono di voce aldilà
                  delle parole: a quella nenia angosciata non c'era
                  rimedio, non serviva il suo tono rassicurante, non
                  serviva ragionare con pacato ottimismo sui fatti,
                  non serviva vedersi sempre o non vedersi affatto.
                  C'era dentro il fallimento di una vita, consapevole
                  di essere senza speranza, che cercava solo di
                  scaricare sugli altri il proprio dolore per
                  soffrire meno. Melanie non ne poteva più di
                  sforzi inutili, di sentirsi risucchiare la vita
                  senza scopo. Forse sua madre non voleva guarire,
                  forse voleva solo tenerla stretta e trascinarla nel
                  suo baratro. Ricordava bene quando era comparsa la
                  depressione: esattamente quando lei era andata a
                  vivere con Philip e si era lasciata alle spalle la
                  bella casa con giardino di Evanston per un piccolo
                  appartamento nel centro di Chicago, in mezzo al
                  traffico e al rumore; aveva bisogno di sapere che
                  intorno c'era tanta gente viva, che le teneva
                  compagnia senza saperlo quando la solitudine
                  prendeva quel terribile sapore amaro.Chiuse
                  un attimo gli occhi, emise un gemito di impotenza
                  poi si gettò disperatamente ad aprire i suoi
                  regali, prima di tutti quello di Jack: era una
                  statuetta di legno scuro piuttosto rozza, alta
                  circa 30 cm., che rappresentava un guerriero
                  completamente nudo, accovacciato con le ginocchia
                  divaricate; teneva una lancia nella mano sinistra e
                  un coltello nella destra. Il viso appariva
                  singolare: era coperto di strisce rosse, forse
                  simboli di guerra, in mezzo alle quali spiccavano
                  due occhi di vetro colorato intensissimi, che la
                  colpirono profondamente. Sia pure con le debite
                  proporzioni, le ricordavano gli occhi del famoso
                  scriba che aveva visto due anni prima al museo
                  egizio del Cairo. Aveva accompagnato Philip in un
                  viaggio di lavoro ed era rimasta incantata da tutto
                  quanto, ma in modo particolare da quello sguardo
                  che nemmeno gli stessi Egizi erano più
                  riusciti a riprodurre in seguito; per lei
                  rappresentava l'essenza dell'arte: creato dall'uomo
                  ma più vero del vero, era la somma di tutti
                  gli sguardi, ti attraversava e ti costringeva a
                  dargli una risposta adeguata. Cosa le diceva ora il
                  guerriero e soprattutto che risposta chiedeva?
                  Melanie avvertì un senso di pericolo,
                  distolse lo sguardo e si concentrò sugli
                  altri pacchetti.All'improvviso
                  suonò il campanello: Melanie andò ad
                  aprire e si trovò davanti con piacere Mrs.
                  Dawson, la sua vicina di casa, una vecchia signora
                  adorabile che lei considerava una specie di angelo
                  custode: viveva da sola ma c'era sempre allegria
                  nei suoi occhi pervinca; sembrava indovinare i
                  pensieri e calmare le ansie di tutti. Aveva in mano
                  un mazzo di rose gialle e una scatolina che Philip
                  le aveva affidato prima di partire, pregandola di
                  consegnargliele proprio quella sera. Melanie
                  ringraziò con gioia e non insistette quando
                  Mrs Dawson rifiutò di entrare dopo averle
                  fatto gli auguri con la sua voce bassa e dolce che
                  sapeva di vita dura ma attraversata con
                  passione.Le
                  rose gialle se le aspettava: erano le sue preferite
                  e Philip non gliele faceva mancare mai, in tutte le
                  ricorrenze. Ma la scatolina, consegnata in quel
                  modo poi, era una novità. Adorava le
                  sorprese di qualsiasi genere, come una bimba.
                  L'aprì e rimase senza fiato: c'era un anello
                  con un brillante straordinario, un solitario di
                  almeno un carato. Troppo bello, troppo costoso per
                  la loro situazione economica, troppo al disopra di
                  ogni sua aspettativa. Questo era Philip! Non gli
                  interessavano i soldi e tutto il resto, la sola
                  cosa che contava per lui era vedere, o immaginare
                  in questo caso, un'espressione davvero felice sul
                  viso della sua donna. Sapeva che quella sera
                  sarebbe stata sola e disperata, lui capiva tutto
                  anche senza spiegazioni perché l'amava
                  veramente, e aveva scelto proprio quel momento per
                  darle forza e calore. Lesse il biglietto che
                  spuntava dal mazzo di rose. Diceva: "Un gioiello
                  speciale per l'unica passione della mia vita: tu."
                  Si dichiarava e basta, non pretendeva niente da
                  lei, intuiva che lei non poteva essere di un uomo
                  solo ma non gli importava. Melanie andò
                  vicino alla finestra, guardò fuori e si mise
                  a piangere, non per solitudine o per un'emozione
                  contingente: era come se una parte compressa della
                  sua anima avesse trovato finalmente la strada per
                  uscire. Non si trattenne come al solito, ma si
                  lasciò andare ai singhiozzi che la
                  scuotevano tutta.Si
                  preparò un bagno caldo e vi rimase
                  finché l'acqua non si fu raffreddata, con
                  gli occhi chiusi senza far nulla, senza
                  pensare.Tornò
                  a guardare il guerriero: i suoi occhi erano ancora
                  più brillanti e non facevano più
                  paura. Melanie poteva sostenere quello sguardo
                  perforante e cominciava a trovare una risposta. Ora
                  si muoveva sicura e agile, non inciampava, non
                  urtava nulla perfino chiudendo gli
                  occhi.Era
                  notte ormai. Si distese sul letto completamente
                  nuda, come non le accadeva mai. Pensò a
                  Roland, a Philip e a tutta la sua vita e piano
                  piano sentì nascere un orgasmo lungo e
                  dolcissimo che dalla vagina si diffondeva in tutto
                  il corpo e anche oltre, fino ad abbracciare la
                  stanza e i suoi pensieri. Non era un orgasmo voluto
                  a tutti i costi e conquistato come una preda di
                  guerra; non era breve, controllato dal cervello e
                  subito dimenticato come le accadeva spesso. Tutto
                  ora aveva un senso preciso, un significato chiaro,
                  tutto rientrava o veniva respinto dalla grande
                  armonia che le era penetrata
                  nell'anima.Suonò
                  il telefono. Melanie andò a rispondere con
                  lucida lentezza. La solita, insopportabile voce
                  implorante disse:-
                  Finalmente ti trovo Mely! (odiava quel diminutivo
                  con cui la chiamava sempre sua madre per ricordarle
                  l'infanzia, quando non riusciva ancora a
                  pronunciare bene il suo nome). Perché non mi
                  hai chiamato? Beh, non importa: vengo da te domani
                  alle nove così potremo stare insieme tutto
                  il giorno una volta tanto e parlare delle nostre
                  cose. Ne ho tanto bisogno, sai?Melanie
                  rispose con calma, lasciando cadere la parole una
                  ad una:-
                  Mamma, domani vorrei festeggiare il mio compleanno
                  con Annie, giusto per fare qualcosa di diverso. Noi
                  potremmo vederci un'altra volta, no?Dopo
                  un lungo silenzio, la voce, divenuta
                  improvvisamente sicura, disse con sarcasmo
                  implacabile:-
                  Ma cara, lo sai che non si possono interrompere le
                  tradizioni di famiglia: il tuo compleanno lo devi
                  festeggiare con me.Melanie
                  abbassò il ricevitore e tornò a
                  letto. Era arrivato il momento. Ciò che
                  aspettava nelle sue giornate riempite a forza di
                  azioni indispensabili, ciò che sapeva da
                  sempre, si stava per compiere. Dormì
                  tranquillamente fino al mattino, come le succedeva
                  ormai di rado.Si
                  alzò, andò in bagno, prese in mano il
                  rossetto rosso sangue e si guardò allo
                  specchio.Pochi
                  minuti dopo era davanti alla porta d'ingresso,
                  nuda, accovacciata con le ginocchia divaricate;
                  batteva ritmicamente sul pavimento la lancia maori
                  che teneva con la mano sinistra; nella destra aveva
                  un coltello da cucina. Il viso era coperto da
                  strisce rosso sangue. Aspettava sua
                  madre.
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