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               Ancora
               un errore Lorenzo
               è il mio maestro e non è che un
               ragazzino. Mi diverte tantissimo l'idea di imparare
               cosa da un ragazzino. Ancora di più, mi diverte
               il modo in cui si arrabbia di fronte ai miei errori.
               La sua rabbia è eccessiva, e quanto più
               aumenta tanto più cresce il mio divertimento.
               Cerco di trattenere le risate, le infilo in un sorriso
               appena accennato, spero che i baffi nascondano
               abbastanza la mia bocca.Le
               nostre lezioni sono cominciate circa un anno fa, ma
               non siamo andati oltre l'apertura. Non ho fatto che
               commettere errori, ogni volta diversi.Lorenzo
               non riesce a capire il motivo di questo fallimento e
               allora insiste, perché deve essersi convinto
               che il problema sia in lui.Se
               gli dicessi che a casa non mi esercito neanche un po'
               il gioco finirebbe e si arrabbierebbe sul
               serio.Io
               ho più di trent'anni e degli scacchi non me ne
               frega nulla.Da
               bambino pensavo che fosse il gioco più
               affascinante del mondo e, reputandomi tutti una specie
               di genio, credevano che sarei stato uno di quei
               talenti da film. Eravamo
               una famiglia povera e ci prendevamo pochi lussi. Ma
               mia madre un mattino di settembre seppe che un mio
               cugino più grande mi aveva insegnato a giocare
               a scacchi durante le vacanze. Così mi
               accompagnò in un negozio di giocattoli e me ne
               comprò una confezione. Ero contentissimo:
               camminavo fiero, stringendo tra le mani quella scatola
               marrone. Dentro c'era la scacchiera di cartone
               colorato e i pezzi di plastica che tintinnavano. Mi
               ripetevo: <Questa è la prima cosa
               mia>.Continuo
               a sbagliare, e la cosa incredibile è che non lo
               faccio apposta. Stavolta ho sbagliato alle terza
               mossa. Lorenzo neanche parla. Credo stia cercando le
               parole per spingermi a capire. È bello pagare
               qualcuno per arrabbiarsi con te.<Forse...>,
               riesce appena a dire e poi tace.Sorrido,
               mi nascondo sotto i baffi.<Forse
               non me ne frega nulla>, sto per dirgli, ma mi
               spiace essere così maleducato con lui. Allora
               lo assecondo, nascondo la mia ilarità dietro la
               maschera dell'imbarazzo: <No, stavolta è
               solo un errore di distrazione, credimi. Riproviamo e
               vedrai che non lo faccio più>.Distende
               il volto e sorride paziente, perché sa di non
               avere colpe della mia distrazione. <Va bene, allora
               ricominciamo>.Mi
               dirà mai che si è stancato? Si
               accorgerà mai che mi diverto solo a vederlo
               disperato? A volte credo che lo sappia benissimo, ma
               il bisogno di denaro e la devozione a questo gioco lo
               costringono a subirmi. Questo pensiero mi diverte
               ancora di più.Vengo
               al circolo tre volte la settimana, la sera, dopo aver
               finito di lavorare. Oggi è venerdì,
               l'ultimo giorno della settimana, e questo
               m'intristisce perché fino al prossimo
               lunedì non avrò altro modo di distrarmi.
               Non frequento altre persone al di fuori del lavoro,
               non vedo mai nessuno. Venir qui mi
               rilassa.Lorenzo
               si è offerto tante volte di venire a farmi
               lezione a casa, ma ho sempre preferito raggiungere il
               circolo. Amo profondamente la lunga passeggiata che
               devo fare per arrivare fin qui.Faccio
               sempre la strada più lunga. La prima volta la
               feci per caso: era l'unica che conoscessi. Poi facendo
               quella più breve ho scoperto quanto fosse
               più bello fare l'altro percorso.Arrivo
               nella grande piazza del Duomo, percorro la piazzetta
               retrostante tutta ornata di mattoncini rossi e getto
               uno sguardo al salone dell'Auditorium. È un
               teatro dallo stile avveniristico, costruito sotto il
               livello della piazza con il tetto che coincide con la
               strada. Quando ci sono dei concerti alcuni uomini
               hanno il compito di evitare che la gente cammini sul
               cupolotto della sala. Questi signori, dipendenti
               stessi del teatro, hanno la faccia dura e nervosa,
               costretti come sono a passare rigide sere di freddo,
               fermi nello stesso posto a richiamare i passanti
               distratti. Certe volte cammino radente solo per farmi
               richiamare: <Prego signore, di qua, c'è un
               concerto in corso>. Chissà se mi riconoscono
               e se pensano che sia un idiota a far sempre lo stesso
               errore. <Oh, certo. Non sapevo>, rispondo
               ipocrita. Loro, con espressione seccata, tornano al
               proprio posto.Oltrepasso
               la piazzetta e arrivo al grande Ponte degli
               Imperatori. La visione larga del fiume mi apre il
               cuore. Vederlo al crepuscolo mi emoziona, e vorrei
               qualcuno al mio fianco per dirgli che i fiumi non sono
               tutti uguali.Questo
               è straordinario: dolce, come ammaestrato da
               tutte le chiatte che lo solcano, denso di odori, di
               legna bruciata, di sabbia umida e di un qualcos'altro
               che non voglio neanche capire cosa sia. Quel
               "qualcos'altro" forse è solo il suo odore e
               basta. Il suo color grigio e verde è l'immagine
               stessa del suo silenzio.Mi
               perdo in tutte le sue sfumature quando attraverso il
               ponte ed è ancor più bello tremare
               quando il treno mi passa di lato o quando qualcuno
               correndo ne fa vibrare la superficie di
               asfalto.Arrivo
               alle soglie del parco e lo percorro tutto per gustare
               il più a lungo possibile il fiume. Tutte le
               sere incontro un signore con il suo cane: è un
               uomo anziano e indossa sempre una tuta e delle scarpe
               da ginnastica, il suo cane gioca come un bambino nel
               fiume. Non conosco il loro nome ma li saluto entrambi.
               L'uomo ricambia il saluto con simpatia, il cane drizza
               appena le orecchie.A
               volte il tragitto mi stanca e mi pento di non aver
               fatto l'altro percorso, soprattutto quando costeggio
               il grande centro congressi della città, a
               quell'ora vuoto. È un palazzone di pietre rosse
               circondato da un parcheggio: la sua visione di sera mi
               intristisce sempre un po'. Passo sotto al ponticello
               della metropolitana e arrivo nella piazzetta della
               stazione, a quell'ora piena di studenti. Lì
               finisce l'incanto e mi avvio ad un'altra serata di
               errori. Quando entro nel circolo sono già pago
               della lunga passeggiata serale e se non ci fosse
               Lorenzo che si arrabbia tornerei presto a casa, il
               tempo di bere un tè.  Ma poi mi dico, a casa
               non c'è nessuno. Non c'è niente. Rimango
               lì.<Mi
               raccomando però, cerca di stare
               concentrato!> mi dice Lorenzo con espressione
               paterna, mentre riordina con cura i pezzi sulla
               scacchiera.Stavolta
               voglio sorprenderlo e allora tento veramente di far
               bene. Riprendo con la solita apertura di
               Re.Lorenzo
               si fa serio come se dovesse sfidarmi: <Osserva bene
               lo schema della difesa Siciliana>.Annuisco
               ben intenzionato, ma quando dice Siciliana, non riesco
               in alcun modo a pensare a qualcosa di tattico: la mia
               mente mi tradisce ancora e fugge al ricordo della
               pasta alla siciliana che mia madre cucinava nei giorni
               di festa.  Così mi confondo di nuovo, riuscendo
               a ricordare appena che devo muovere il cavallo, ma non
               so che altro fare. La mia apertura si arena per
               l'ennesima volta alla seconda mossa.Lorenzo
               fa la solita smorfia, ma non dice nulla. Temo si sia
               un po' stancato della mia incapacità. <Non
               ci siamo proprio> mi fa sorridendo.Non
               mi piace che non si arrabbi, mi lascia
               spiazzato.<Riproviamo
               ancora una volta, starò più attento>,
               insisto ingenuo.Mi
               guarda, ma poi il suo sguardo va oltre e lo vedo
               sorridere. Mi volto e vedo la sua ragazza. È
               davvero brutta, ha un volto che vive unicamente in
               funzione del suo orribile naso. E poi per me è
               ancora più brutta perché so che quando
               arriva lei, Lorenzo deve andare via e che la nostra
               lezione è finita. Lui mi sorride un po'
               impacciato. Deve dirmi qualcosa. <Non va proprio e
               credo che dovresti lasciar stare>, dice veloce, per
               non darmi il tempo di interrompere. <Ci sono
               sicuramente cose che puoi far meglio>, ora il
               ragazzino mi sento io. <Comunque mi fa piacere
               averti conosciuto. Scusami se sono brusco ma ora devo
               proprio andare>.Mi
               offre la mano per salutarmi da uomo, da avversario
               leale.Vorrei
               sbattere i piedi come un bambino e dirgli che
               finché pago deve continuare, ma quella sua mano
               tesa mi costringe ad arrendermi.Credo
               che abbia ragione: dovrò rassegnarmi a fare
               qualcos'altro. Questo gioco è
               finito. |