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               Colpisci
               le stelle Niente sarebbe
               più stato come prima.Mai più
               avrebbero passeggiato in piena notte per le stradine
               del paese addormentato.Mai più
               sarebbero tornati a casa sfiniti dopo aver ingerito
               montagne di patatine ricoperte di maionese e
               ketchup.Mai più lei
               avrebbe sentito bussare alla porta della sua stanza
               con tre colpetti, segno che il caffè forte che
               lui da sempre le preparava era pronto.Mai
               più.Sedeva in riva al
               lago. Le stelle illuminavano la notte e si
               riflettevano nell'acqua immobile e scura.Sedeva lì,
               ma non lo sapeva.Fredde lacrime
               scorrevano lungo le sue guance pallide ed eteree, ma
               non se ne accorgeva. Sedeva lì con i lunghi
               capelli sciolti, immobili e scuri.Il caldo umido
               della notte inzuppava il vestitino di cotone bianco,
               ma lei non lo avvertiva.Sentiva il gelo
               dentro."E' morto". Questo
               ripeteva in continuazione da ore.Era fuggita da casa
               lasciando gli altri al loro dolore, risentita,
               infuriata, perché quello non era vero dolore.
               Il suo lo era e lo sarebbe stato per sempre, si
               sarebbe portata dentro quel gelo per tutta la vita e
               per l'eternità. La sua anima avrebbe vagato
               piangente per l'eternità.Non credeva che
               esistesse un luogo in cui le anime si potessero
               ritrovare dopo la morte del corpo. Non ci credeva, e
               ciò non faceva che aumentare l'angoscia
               profonda , senza fine, il tormento insaziabile della
               sua anima. Nemmeno la morte
               l'avrebbe consolata.Né vivere
               né morire la interessavano
               più.Immobile ascoltava
               in sé la voce di lui. Lo sentiva ridere,
               parlare al telefono ed accordarsi per uscire. Lo
               sentiva gridare da un lato all'altro della casa
               "Prendo la tua macchina! Farò tardi, non
               preoccuparti".Malediva quella
               voce mentre ancora una volta riviveva la
               scena.Si rivedeva stesa
               sul letto, il Walkman nelle orecchie. Ma non
               ascoltava. Mandava in continuazione la cassetta avanti
               ed indietro, presa da una strana frenesia, da
               un'inquietudine data da un presentimento che si
               ostinava a negare.Sentiva il cuore
               accelerare i battiti e le lacrime scivolare sul viso
               senza nessun apparente motivo.Sentiva il din don
               ovattato del campanello suonare.Tolse il Walkman
               dalle orecchie, ma non lo spense. Ascoltò il
               ronzio del nastro che girava. Si alzò e rimase
               dritta al centro della stanza senza muovere un solo
               muscolo, gli occhi spalancati, le palpebre
               cristallizzate, la gola arida. I lunghi capelli
               sciolti, immobili e scuri.Sentiva voci prima
               concitate poi disperate venire dal piano di sotto.
               Sentiva qualcuno
               salire a grandi passi le scale ed aprire la porta
               della sua stanza.  Sentiva una voce
               incredula dire "E' morto...è
               morto".Sentiva la stessa
               voce mormorare che non era possibile, che sicuramente
               si erano sbagliati. Guardava il volto e le labbra da
               cui usciva quella voce e vide suo padre, sconvolto,
               annientato. Ma lei sapeva, lo
               sapeva che non si erano sbagliati, lo avvertiva nel
               suo cuore, nella sua anima, percepiva la morte
               scorrere con il suo sangue.Restò
               immobile con il Walkman tra le mani per un tempo
               infinito, dritta in piedi al centro della stanza, la
               pelle eterea, quasi trasparente, gli occhi spenti, i
               lunghi capelli sciolti, immobili e scuri.Poi scese le
               scale.Sentiva i suoi
               genitori, le loro voci lontane ed estranee, le loro
               mani che la cercavano.Tutto era ovattato,
               sfuocato e sbiadito.Non seppe mai dire
               quanto tempo passò seduta al tavolo della
               cucina con le mani appoggiate sulle
               ginocchia.La casa era invasa
               da un continuo via vai di amici, parenti e conoscenti.
               Tutti le si avvicinavano, con le lacrime agli occhi
               mormoravano parole che lei non udiva. Non sollevava lo
               sguardo verso nessuno.Fissava la porta
               dell'ingresso aperta, come se qualcuno dovesse sempre
               entrare...o uscire...Si alzò ed
               uscì. Forse nessuno se ne accorse.Camminò fino
               al lago immobile e scuro e lì nel buio si
               sedette, il vestitino bianco, i lunghi capelli
               sciolti, immobili e scuri.Con le orecchie di
               qualcun altro udì dei passi e con gli occhi di
               qualcun altro vide avvicinarsi un'ombra nella
               notte.Sedette in silenzio
               accanto a lei, la guardò con i suoi occhi neri
               e lucidi.Lei disse: "Niente
               sarà più come prima, né la vita
               né la morte...niente ha più importanza
               ora". Lui non rispose,
               continuò ad osservarla, bella, eterea,
               trasparente con i lunghi capelli sciolti, immobili e
               scuri. Improvvisamente si alzò, prese un
               sassolino e lo lanciò. I capelli argentei che
               riflettevano la luce delle stelle."Colpisci le
               stelle" disse.Lei udì
               quelle parole con le sue orecchie e lo guardò
               con i suoi occhi."Le stelle non si
               possono colpire...sono irraggiungibili".Lui continuò
               a fissare il cielo, allora lei si avvicinò e
               posò la mano delicata sulla sua
               spalla."Nonno...""Colpisci le
               stelle, bambina" e le mise un sassolino tra le mani
               gelate.Rimasero lì
               in silenzio, lui fissava il cielo, lei stringeva tra
               le mani il sassolino.Rimasero lì
               a lungo, immobili e vicini.Poi lei si
               alzò e scagliò verso il cielo il
               sassolino. Non lo sentirono ricadere nell'acqua
               né videro i cerchi formarsi sulla superficie
               del lago.Rimasero lì
               a lungo, lei con i lunghi capelli sciolti, immobili e
               scuri, lui con i capelli argentei e gli occhi
               scintillanti.Lei con il volto di
               suo fratello negli occhi, lui con il volto che
               rifletteva il dolore di lei.Rimasero lì
               e videro spegnersi le stelle, percepirono
               l'intensità del buio che li avvolgeva, li
               circondava e penetrava il loro essere.Il lago era
               immobile e sempre più scuro. Sedeva con il volto
               che spiccava candido nel buio, i lunghi capelli
               sciolti, immobili e sempre più
               scuri.Sentì la
               voce di suo nonno bucare il buio."Hai colpito le
               stelle, si sono spente".Rimasero ancora
               lì con i vestiti appiccicati ai loro corpi,
               vicini, senza toccarsi."Ora devi solo
               riaccenderle". |