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               Il
               Grande Slam La grande giornata
               era giunta al momento culminante, anche se a
               testimoniarlo non era la lucentezza del sole, tanto
               più brillante tre ore prima. Ma certo l'astro
               non poteva fermare i suoi meccanismi naturali per un
               incontro di tennis, per quanto importante. Anche le
               espressioni sui visi dei giocatori coinvolti non erano
               quelle delle grandi occasioni: sembravano due persone
               andate a letto molto tardi la notte prima, stanche e
               ubriache, che si fossero appena risvegliate dentro un
               bagno turco. Eppure all'inizio erano così ben
               pettinati e puliti, quasi più pronti al sorriso
               che allo smash!Niente da fare, il
               momento culminante era quello, lo dicevano le migliaia
               di occhi febbrili puntate sul campo, il tono fra
               l'incerto e il preoccupato del giudice di sedia
               nell'annunciare: "Seven six, Newman to serve.",
               l'intraprendenza logorroica dei commentatori
               televisivi che bisbigliavano nei microfoni in un
               vomito continuo: "Dopo tre ore di gioco Newman
               può servire la palla del Grande
               Slam!""Che partita... che
               partita! Cinque set e non è ancora finita!
               Tutto, tutto potrebbe ribaltarsi...""Confesso che la
               novità del tie-break al quinto set in un torneo
               come Wimbledon mi aveva fatto storcere la bocca. Ma di
               fronte alle emozioni che insieme a voi, cari
               telespettatori, sto vivendo, mi devo
               ricredere...""Match point! Match
               point! E se Newman serve come sa, il Grande Slam
               è suo!"Come sapeva servire
               Newman? Lui stesso non lo aveva mai capito. Sapeva
               solo che il servizio era considerato la sua arma
               vincente, ma per lui non si trattava che di una
               faccenda burocratica: doveva compilare una domanda in
               carta bollata di direzione e forza del tiro, fare un
               po' di quel particolare tipo di sala di attesa che
               è la concentrazione, consegnare la sua domanda
               ad un ufficio del suo cervello e disinteressarsi del
               tutto della questione. Da quel momento tutto si
               sarebbe svolto automaticamente, in maniera per lui
               misteriosa e di solito favorevole. D'altronde,
               soprattutto per un punto così importante, non
               si poteva certo concedere il lusso di pensare mentre
               metteva in gioco la palla: i suoi nervi sarebbero
               crollati sotto il peso di Wimbledon, del Grande Slam,
               del mondo intero che lo guardava dalle poltrone, della
               storia dello sport che lo chiamava a gran voce. Non
               gli sarebbe rimasta neanche la lucidità per
               lanciare la palla con le mani, figuriamoci con una
               racchetta, e come sapeva far lui. Svolse quindi le
               pratiche mentali necessarie e, facendo rimbalzare la
               palla sull'erba ormai disfatta dal pesticciare dei
               piedi dei migliori tennisti del mondo, si
               sforzò di pensare a quanto era stato buono il
               caffè preso quella mattina.Dall'altro lato del
               campo c'era un giovanotto alquanto innervosito, per
               non dire incavolato come un bufalo, dal fatto di non
               essere riuscito a diventare un protagonista nemmeno
               entrando in finale a Wimbledon. Per che cosa aveva
               sputato sangue sui campi da tennis più
               scalcinati della natia Argentina? Per che cosa aveva
               passato la giovinezza diviso tra la paura di non
               riuscire e restare senza niente in mano e quella,
               forse più grande, di riuscire e non saper
               cavalcare qualcosa di più grande di lui? Ecco
               per cosa: per rappresentare l'ultimo stupido ostacolo
               sulla strada di uno yankee con un fulmine di battuta
               ed un gran dritto, già abbastanza coperto di
               gloria da esserne infastidito e che tuttavia se ne
               andava a cercare altra e di maggior livello, quasi
               solo per forza d'inerzia. Povero Paco Rosas, fosse
               arrivato in finale l'anno prima, o quello successivo,
               sarebbe stato uno dei due finalisti, ed anche perdendo
               avrebbe avuto comunque una parte di occhi su di lui,
               ad indagare come si sente chi cade ad un metro
               dall'arrivo. Avrebbe suscitato pensieri ed emozioni,
               insomma, e al diavolo la coppa, ce n'è sempre
               un'altra in palio. Ed eccolo invece degradato al rango
               di seccatura, ma che vuol vincere questo, come si
               permette di tentare di privarci di un Grande Slam? E
               tutti gli occhi su Newman, come quando si scaccia la
               mosca con una mano: si guarda sempre la mano, mai la
               mosca. Ebbene, se mosca doveva essere, tse-tse sarebbe
               stato. Forza con la battuta, bisteccone biondo, che
               nella risposta Paco ci avrebbe messo l'anima, oltre a
               tutta la tecnica che aveva imparato. E se fosse andata
               bene sarebbero stati di nuovo pari, la mosca avrebbe
               potuto mordere ancora.La palla
               partì come qualcuno che porta la madre
               all'ospedale, l'ospedale è lontano e la madre
               sta male, ma Paco la vide, la capì e
               caricò una risposta perfetta. Ma fra la battuta
               perfetta e la risposta perfetta c'era un rimbalzo, e
               l'erba, che è fra le cose più imperfette
               del mondo, alzò la palla della frazione di
               grado bastante a trasformare la risposta perfetta in
               una stecca clamorosa: la palla si innalzò come
               un missile quasi verticalmente ed il pubblico, conscio
               dell'errore madornale, decise di dimostrare quanto
               forte sapeva urlare ed esultare, se ci si metteva
               d'impegno.Il giudice arbitro
               fu quasi stupito dal chiasso: allora era finita?
               Guardò un secondo gli immobili ed altrettanto
               sorpresi giudici di linea e ben contento si
               liberò del peso: "Game, set, match, Newman wins
               6-4 3-6 6-2 3-6 7-6. Newman is the new champion of
               Wimbledon." Era andata anche questa, meno male,
               nessuna contestazione troppo violenta, nessun problema
               pericoloso, una buona partita ben arbitrata, lui se ne
               andava a casa solamente un po' dimagrito.In campo stava
               succedendo il pandemonio: sciami di giornalisti
               tentavano di bloccare un appena premiato Newman,
               riuscendo più che altro a far confusione. Da
               parte sua il campione non creava difficoltà a
               farsi intervistare: era stanco, ma conosceva il suo
               dovere verso il pubblico, non voleva certo passare da
               antipatico. Quanto avrebbe invece voluto essere
               antipatico Paco Rosas, che invece riusciva solo ad
               essere ignorato, come d'altra parte aveva previsto.
               Mestamente si avviò verso gli spogliatoi non
               accorgendosi, fortunatamente, di Newman che lo cercava
               per fare la foto di prammatica accanto allo sfortunato
               sconfitto. Anche l'uomo più calmo del mondo
               può commettere un omicidio, se spinto al
               limite, e Rosas non era l'uomo più calmo del
               mondo.Mentre la stella
               polare Newman convogliava su di sé l'attenzione
               dei giornalisti, molte cose succedevano sullo sfondo:
               due ragazzini raccattapalle parlavano concitatamente a
               bassa voce. Avvicinandosi un po' a questi
               insignificanti personaggi si sarebbe sentito l'uno che
               accusava l'altro: "L'hai presa tu! Eravamo d'accordo
               che a me ne spettavano due, perché una l'ho
               promessa a mio fratello!" "No ti giuro! Che ne avrei
               fatto?" "Non lo so, ma questa me la
               paghi."Un giudice di linea
               vagava pensieroso all'estremo limite del campo,
               guardando per terra. A un certo punto si riscosse e,
               scorgendo un collega, gli si avvicinò
               apostrofandolo: "Bella cavolata hai fatto nel quarto
               set, stavi guardando qualche donna?". I due si
               allontanarono scherzando sui reciproci errori.
               Nelle tribune un
               signore tirava verso l'uscita il probabile figlio
               assorto nella contemplazione di un piccione che
               svolazzava al di sopra col sistema nervoso in pezzi.
               Prima di scomparire nel tunnel il figlio
               cominciò: "Papà, ma non mi avevi detto
               che..." ...le solite domande dei
               ragazzini. La notte era
               calata, né più in fretta né
               più lentamente del solito, ed aveva portato con
               se la tranquillità che solo lei sa donare,
               spargendola a piene mani sul campo centrale di
               Wimbledon. Sul campo, a far compagnia alle zanzare,
               era rimasto solo un uomo, un po' panciuto, con una
               gran barba e, dopo l'insignificante intervallo di uno
               scorcio di faccia, un enorme berretto della vigilanza.
               Patrick O'Leary era decisamente preoccupato: conosceva
               i maniaci dello sport ed era sicuro che quella notte
               qualcuno sarebbe venuto a portarsi via un pezzo di
               storia, racchiuso in qualche zolla d'erba di
               Wimbledon. Lui naturalmente era là per
               evitarlo, ma non sapeva se le troppe ore di tranquillo
               ufficio degli ultimi tempi gli avrebbero permesso di
               svolgere il suo compito. L'effetto calmante della
               notte agì però anche su di lui, e
               lentamente si lasciò andare a pensieri
               più piacevoli, come per esempio i ricordi della
               partita che poche ore prima si era conclusa su quel
               campo. Distese le labbra in un sorriso sempre
               più ampio, passeggiando per il campo buio, ma
               d'improvviso si fermò come contro un muro.
               Qualcosa non era andata per il verso giusto. Qualcosa
               nell'ultima palla giocata. Rivedeva la scena come
               aveva fatto dai bordi del campo nel pomeriggio... e si
               convinceva sempre di più di un errore, un
               errore di fondo. Trotterellò verso il punto in
               cui Newman aveva effettuato la battuta, e mimò
               un po' goffamente quel gesto atletico; poi velocemente
               si spostò dall'altra parte del campo e
               tirò un'ideale risposta. Fatto questo si
               fermò a riflettere sempre più
               corrucciato. Mentre era lì a far la statua al
               suo orecchio arrivò un suono proveniente
               dall'altra parte del campo. Il tonfo fu seguito da
               altri simili, sempre più frequenti e più
               lievi, e Patrick si riscosse per andare a vedere cosa
               succedeva. La risposta la trovò al centro
               dell'altra metà del campo, nell'oggetto di una
               comune palla da tennis che stava finendo in quel
               momento di rotolare. Con gli occhi sbarrati si
               chinò a prenderla e cominciò ad
               osservare alternativamente lei ed il cielo dal quale
               pareva esser venuta. Nel frattempo capì quel
               che gli aveva dato tanto da pensare: non aveva visto
               ricadere la palla dopo la risposta di Rosas, e dentro
               di sé, dalla fine della partita, aveva
               continuato a chiedersi dove diavolo fosse finita
               quella palla. Possibile che fosse quella che aveva in
               mano? Fisicamente no, eppure... possibile che...?
               Guardò verso le stelle che gli sembrarono
               brillare un po' di più del solito, ad
               intermittenza, come in una chiocciante risatina. Era
               possibile: anche un dio, ogni tanto, può aver
               voglia di fare uno scherzo. Guardò ancora la
               palla decretando: "Sette pari, alla battuta Newman.",
               poi rivolse un'occhiata di rimprovero al cielo,
               mormorando: "Bricconcello...". Le stelle brillarono
               più forte ed anche lui cominciò a
               sghignazzare, tenendosi la pancia.Solo un dio
               burlone, un vigilante panciuto ed un centinaio di
               zanzare sapevano che Newman non aveva ancora
               conquistato il Grande Slam. |