Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Sergio Marzocchi
Con questo racconto ha vinto il primo premio al concorso
Marguerite Yourcenar 2004, sezione narrativa

"Jhana Raphi"
 
1. Vecchi odori stagnanti, poche grida assorbite in fretta da un atmosfera condensata, densa come la polvere che si muove ad ogni passo dei rari passanti, in un caldo umido che rende l'aria appiccicosa. È tutto immerso in una dimensione statica, tutto è sospeso fra il tempo che scorre e una immobilità sovrana, in un equilibrio inalterato fra la stabilità monotona del già visto e l'attesa di qualcosa che non succede mai, in quella piazza indefinita in una metropoli di legno e lamiere. Grigio il terreno polveroso, grigio il cielo, grigio il liquido degli scarichi che scorre in rivoli stretti ai due lati della strada. Grigi i corpi distesi, che simulano un sonno rigeneratore, che invece sono lì a smaltire l'inedia di una non esistenza, o una endemica debilitazione indotta dal più diffuso dei mali di questo mondo: la fame. Immagine di desolazione infinita; quella stessa immagine che i turisti consumano come un souvenir, fotografandola, senza neanche abbassare i finestrini, dai taxi gialli e neri che provengono dal quartiere di Colaba. Non ha un nome la piazza, si è formata per caso durante la lenta ma costante espansione della baraccopoli più grande dell'Asia, quella di Mumbai; o Bombay, come si chiamava prima che il governo dello stato del Maharashtra, nel 1996, le cambiasse nome rivendicando l'identità marathi della città, nonostante la forza e il successo delle sue radici multiculturali. Ogni giorno arrivano. Soprattutto giovani uomini in cerca di fortuna. Vengono dalle foreste tropicali e temperate sempreverdi dei monti Ghati occidentali, i monti a 'gradino', traduzione letterale di Ghati, che si innalzano immediatamente a nord della metropoli indiana. Qualche motorino scoppiettante, poche auto, spesso di mafiosi in cerca di giovanissime da avviare alla prostituzione nei loro ritrovi del quartiere a luci rosse. Come al solito non c'è molto movimento in quest'angolo della bidonville di Bombay. Improvvisamente, facendosi annunciare da sonori colpi di clacson, nella piccola anonima piazza arriva un furgone bianco. È ammaccato da più parti ma sembra solido nella sua andatura decisa, e quando si ferma alza una nuvola di polvere che crea disturbo solo ai due occupanti che scendono sbattendo le portiere con un sincronismo perfetto. Hanno indosso un camice bianco, aprono lo sportello laterale del furgone, estraggono un tavolo e vi dispongono sopra dei sacchetti di riso e un altoparlante collegato ad un registratore, che comincia a gracchiare in lingua hindi e marathi. Passa poco tempo e i due sono accerchiati da curiosi che vogliono capire cosa sta succedendo. Anche se gli annunci sono fatti nelle due lingue ufficiali, nella baraccopoli si contano almeno quindici dialetti differenti, per cui il messaggio rimane semisconosciuto quasi per tutti. All'improvviso un giovane, nascosto nella piccola folla, alza la mano e, indicando se stesso, si avvicina ai due vestiti di bianco. Questi tirano fuori dal furgone una specie di sedia a sdraio, invitano il giovane a distendersi, gli prendono un braccio e, con movimenti e azioni sicure, gli infilano un ago nella vena; il sangue comincia a sgorgare in un vasetto di vetro. Passano pochi minuti, il giovane donatore è liberato dall'ago succhiatore. Prima di dargli il dovuto, come aveva promesso l'altoparlante, il ragazzo viene appoggiato con le spalle al furgone, mentre uno dei due uomini in bianco impugna una macchina fotografica e scatta un primo piano, chiedendogli:
- Come ti chiami?
- Jhana Raphi.
- Alloggi nei dintorni?
- Vivo con alcuni amici in una baracca poco distante da qui.
L'uomo squadra il giovane dalla testa ai piedi, con attenzione, e segna, fidandosi del suo sguardo misuratore, l'altezza e il peso su un cartoncino, che appende al collo della bottiglietta colma di sangue. Un sacchetto di riso e otto biglietti da un dollaro passano nelle mani del giovane donatore, che si allontana con un sorriso sulle labbra. La perplessità della folla si trasforma in frenesia di donazione fra tutti i presenti. Passato poco tempo, i sacchetti di riso sono esauriti, al loro posto vermigli barattoli con cartoncino appeso. Il furgone bianco, come rumorosamente era arrivato, silenziosamente se ne va, con il suo carico liquido. Jhana Raphi oggi non dovrà succhiare le foglie di oppio per non sentire i morsi della fame nello stomaco.
2. La piazza è la stessa dove dieci giorni prima si era fermato il furgone bianco che raccoglieva sangue in cambio di riso e dollari. L'automobile di colore scuro arriva silenziosa, si ferma in un angolo ma non scende nessuno. La densità dell'atmosfera metropolitana, che stagna inesorabile su tutti i quattrocento chilometri quadrati della città, in quest'ora della sera si confonde con l'aria un poco speziata per le povere zuppe che stanno cocendo su piccoli fornelli. Quando il buio avvolge tutto, i due uomini scendono dall'auto, accendono potenti pile e, proiettando fasci di luce che guidano il loro passo tagliando l'oscurità. Entrano in ogni baracca che trovano sulla loro strada. Illuminano i volti dei presenti, li confrontano con la foto che stringono in mano e se ne vanno senza una parola. Erano già venuti il giorno prima e quello prima ancora, nessuno sa cosa cercano. Adesso stanno spingendo una porta costituita da un vecchio pianale di un tavolo di plastica, ancorato con due staffe da un lato. Serve una pressione decisa per vincere la resistenza che la tavolo-porta fa scorrendo su un piccolo solco semicircolare. Un fascio di luce colpisce il volto del giovane che sta mangiando riso bollito in compagnia di una lanterna appoggiata per terra. Istintivamente alza la mano sugli occhi e si mette in piedi, aspettando una domanda dagli intrusi. Questi insistono con quella luce negli occhi, anche se la alternano per illuminare l'oggetto che hanno in mano, poi chiedono: - Il tuo nome è Jhana Raphi?
- Sì, ma non ho fatto niente, lo giuro.
- Non siamo poliziotti, siamo venuti a prenderti perché alla clinica di Swarakli hanno bisogno del tuo sangue.
- Come l'altra volta in piazzetta? E mi darete il riso e i dollari?
- Riso e dollari, uguale all'altra volta.
La clinica Swarakli prende il nome da un medico che pur non avendo fatto grandi fortune, era riuscito ad avere il monopolio della medicina in un angolo del sobborgo di Greater Mumbai, vicino all'aeroporto Sahar International. Le cure non sono costose come negli ospedali della Marine Drive forse perché le strutture sanitarie, le apparecchiature, non sono proprio all'altezza della medicina moderna. L'auto scura con Jhana Raphi a bordo entra da un ingresso di servizio; il giovane viene portato in una stanza dove lo aspettano altre due persone con il camice blu, hanno anche una mascherina che tengono sospesa fra il mento e il collo. Parlano poco i due medici: - Sdraiati sul lettino e distendi il braccio. Jhana obbedisce. Sente l'ago entrare nella vena del braccio destro, ma anziché vedere uscire il suo sangue, come si aspettava, vede entrare un liquido denso. Non fa in tempo a domandare qualcosa che si ritrova nel mondo dei sogni. Jhana sogna sempre il suo villaggio di origine. Spesso sogna il suo migliore amico, il più bravo cacciatore di serpenti che conosca, che cattura vivi per venderli al mercante che passa una volta al mese dal villaggio. Sogna soprattutto Sarija, la ragazza dagli occhi grandi che lo guardava fisso, sorridendo, quando i giovani si ritrovano nella capanna del sacerdote induista. Lui le aveva promesso di tornare a prenderla, quando avrebbe potuto offrirle qualcosa di dignitoso. Anche adesso Jhana sta sognando Sarija, disteso nel lettino, dentro una stanza della clinica Swarakli. La vede, in primo piano, bellissima con il suo sorriso splendido. Se i desideri disciplinano i sogni, Jhana è assolutamente conforme alla regola. Solo che lui anziché sognare di realizzare desideri improbabili, sogna semplicemente di poter lavorare nei cantieri portuali in modo continuato. Sogna di partecipare con Sarija alle danze che hanno luogo sull'isola di Elephanta nel mese di febbraio. Sogna di portarla al Ganesh Chaturthi, alla festa hinduista di undici giorni che si svolge a settembre e che raggiunge l'acme quando le grandi immagini del dio dalla testa di elefante vengono immerse in mare, presso la spiaggia di Chowpatty. Sogna di essere insieme a Sarija in novembre nei giorni più significativi del Diwali, caratterizzati da un tripudio di fuochi d'artificio in Marine Drive. Jhana è nel mondo dei sogni, sta rivisitando i suoi desideri. Improvvisamente, come quando al cinema si rompe la pellicola, un buco nero parte dal centro dell'immagine sognata, si allarga sempre più, cancella il sorriso di Sarija, poi il suo sguardo e infine i capelli. Ma al contrario che al cinema, dove alla scomparsa dell'immagine fa seguito l'accensione della luce, adesso è tutto buio nella testa di Jhana. Niente più sogni, niente più desideri, niente luce, nessuna dimensione.
- Piatto. Non ci sono più funzioni vitali del cervello.
Detto questo, il medico toglie a Jhana una specie di casco, stacca i fili che collegano questo alla macchina che ha provocato il coma irreversibile al giovane.
- Avverti che tutto sta andando come prefissato.
Jhana è intubato, sta respirando con l'aiuto di un'apposita pompa d'ossigeno. Intorno ci sono due persone, quella che sembra un medico dice: - Sono le due di notte, entro mezzogiorno espianteremo il cuore, i reni, in fegato. Aggiunge anche: - Cos'è quell'espressione preoccupata, avvocato! Non avrà dei rimorsi, spero.
- Nessun rimorso, solo un riflusso di umana pietà, di misericordia. Almeno questo me lo conceda!
- Voi europei! Questo ragazzo era senza presente, senza futuro. Anche se lei la chiama misericordia, è l'incrostazione morale nascosta nelle pieghe della sua cultura, che le risveglia quello che ha appena definito un riflusso di umanità. Un pensiero che le induce timore, paura; lo stesso sgomento dei credenti che pensano alla punizione divina per un peccato commesso. Sorrida e rimanga canaglia come in realtà io e lei siamo; lucidi delinquenti senza timore di nessun dio. La vita di questo giovane in cambio della nostra ricchezza.
- Ha ragione: non devo farmi sorprendere dai riflussi buonisti che ogni tanto la mia coscienza mi vomita nel cervello. Siamo canaglie, punto e basta. Abbiamo pianificato di arricchirci violando il più nuovo dei tabù dell'umanità: mercificare pezzi di corpo umano. Noi siamo coloro che tolgono la vita ai poveri, per venderla, a caro prezzo, agli uomini ricchi.
- Nelle sue parole sento una velata riprovazione per quello che abbiamo fatto a questo ragazzo. Niente ipocrisie, la prego. Auguriamoci che tutto prosegua secondo i piani prestabiliti, piuttosto.
L'uomo senza camice blu, sospira, chiude la mano destra a pugno e la sbatte violentemente nella mano sinistra aperta, e ritorna freddo, lucido e determinato: - Non si preoccupi, tutto andrà come previsto. Buonanotte, ci vediamo domani.
- L'intervento è previsto per le undici e trenta. Buonanotte.
3. Sul promontorio settentrionale di Back Bay si trova la prestigiosa zona residenziale di Malabar Hill; qui, favorita dalla fresca brezza che rende l'aria respirabile, e dalla vista panoramica sulla baia, si sono riversati i nuovi ricchi di Bombay. Le casette di legno in stile inglese coloniale, che punteggiavano il fianco della collina di Malabar nel diciottesimo secolo, sono state rimpiazzate dai moderni insediamenti edilizi. In uno di questi, su un terrazzo all'aperto, sotto una tenda che ripara dal sole del primo mattino, due uomini dialogano. Uno dei due è lo stesso che, appellato "avvocato", la notte precedente era intorno al lettino di Jhana in coma irreversibile. L'altro è un uomo poco più di mezza età, orientale, anche se vestito elegantemente secondo la moda europea. Sembra impaziente: - Non posso mancare al ricevimento che mia moglie ha organizzato per il compleanno di una deputata molto influente nel partito di maggioranza. Lei mi capisce avvocato, le pubbliche relazioni a volte sono più importanti del lavoro vero e proprio. Io non posso aspettare oltre, sono venuto qui solo per capire se tutto prosegue come si deve.
- Abbiamo sperimentato la "gelatina elettrica" che ci hanno inviato dal laboratorio americano: funziona davvero. Al contrario della soluzione salina fisiologica, questa gelatina non si limita a mantenere in vita le cellule idratandole. La necrosi dei tessuti è fortemente rallentata dal movimento degli elettroni negli atomi della materia organica che è garantito da una piccolissima corrente elettrica fornita da una batteria.
- Anche con la nuova gelatina elettrica, il trapianto deve avvenire comunque entro dodici ore. La mia compagnia aerea garantisce che in otto, nove ore ce la farà. Vi rimangono tre ore per iniziare e completare l'operazione.
- Tutto dovrà essere sincronizzato. Se va bene, come spero, sospendiamo le operazioni che avvengono fra il Mozambico e il Sud Africa. Quella maledetta organizzazione non governativa italiana ha denunciato all'Onu un forte aumento nella scomparsa di giovani nel Mozambico. E finché tutti hanno pensato che era l'ennesimo avvio alla prostituzione o di una semplice tratta di schiavi, nessuno ha sollevato grandi obiezioni. Però quando quel giornalista inglese ha cominciato a pubblicare articoli mettendo in relazione la via della speranza, per chi ha bisogno di un cuore nuovo, con la nostra clinica in Sud Africa, insinuando il sospetto di un legame fra la denuncia della Ong italiana e la quantità di trapianti d'organo che vi avvenivano, è stato doveroso pensare ad un'alternativa.
- A me avete chiesto di procurarvi la materia prima e di garantire il suo trasporto, tutto il resto è problema suo avvocato.
- I candidati riceventi sono stati selezionati e sono pronti. La sua squadra di recupero ha fatto un buon lavoro, la sua équipe di medici sembra determinata ed efficiente, tutto andrà bene.
- Il pilota e l'aereo sono in attesa, pronti per il decollo, hanno già comunicato il piano di volo con partenza alle dodici.
- La clinica è a tre chilometri dall'aeroporto, c'è tempo sufficiente per essere puntuali. Lei, per quell'ora, avrà già predisposto i passaggi alla dogana e i controlli per l'imbarco?
- Tutto a posto, ci saranno le persone giuste al posto giusto, non si preoccupi.
4. Il limite fra la periferia di Greater Mumbai e la zona dell'aeroporto internazionale non è comprensibile in modo netto. Nei pressi di questo confine indefinito, un giovane sembra aspettare qualcuno con impazienza malcelata. Il ragazzo è arrivato con un autobus dopo due giorni di viaggio. Ha con sé un cesto con un coperchio che tiene stretto sotto il braccio destro. «Prima di mezzogiorno, tutti i giorni, io passo dalla strada parallela alla stazione degli autobus, se hai qualcosa per me, fatti vedere e io mi fermo». Così gli aveva detto il mercante di serpenti l'ultima volta che l'aveva visto, perché non sarebbe più passato dal suo villaggio. Non sono molte le auto che transitano e c'è un taxi che sembra non mantenere la linearità dell'andatura, va veloce ma zigzaga in modo palese. All'interno, insieme all'autista visibilmente ubriaco, un uomo che sta andando verso il Sahar International. È lo stesso individuo che qualcuno poco prima ha salutato come "avvocato" in una casa del Malabar Hill.
Il giovane non ha visto il taxi, guarda di là dalla strada dove si è fermato un furgoncino, e dal cui interno una persona gli fa cenni evidenti di muoversi ad attraversare la carreggiata. Il giovane parte di corsa, tiene il cesto stretto fra le mani. L'autista si trova il ragazzo a pochi metri dal parabrezza, sobbalza e sterza secco a destra; l'auto infila la ruota destra anteriore nel fosso di scolo laterale alla strada, si impenna; poi, con un rumore sordo, si schianta contro la parte di una casa. Le portiere si aprono, l'autista vola fuori, rotolando al centro della strada, il passeggero incrocia con la testa la stessa parete in cui ha sbattuto l'auto e ricade come uno straccio inanimato sul selciato, sangue e materia cerebrale gli fanno da cuscino. Contemporaneamente vola sull'asfalto anche il cesto che il giovane istintivamente ha lanciato in aria, nel tentativo, riuscito, di allungare il passo per evitare l'auto.
Il giovane è impietrito dalla paura, non sa cosa fare, rimane immobile a guardare l'auto rovesciata, il timore indotto da un ambiente estraneo, lo sgomento dell'incidente di cui si sente responsabile lo costringono in una immobilità incosciente, mentre lentamente i cobra escono dal cesto e si infilano in ogni pertugio che trovano. Uno entra sotto il corpo dell'avvocato, e ne esce lasciandosi dietro una scia rossa che segna la strada con sanguinose onde tremolanti.
Il giovane vede l'autista del taxi rialzarsi, si guarda intorno senza battere ciglio, poi con lo sguardo misto di sorpresa, stupore e preoccupazione, comincia a correre verso la stazione degli autobus, senza voltarsi indietro, incurante delle urla dell'uomo del furgoncino. Corre rapido, e mentre corre si sorprende a pensare non al corpo dell'uomo occidentale, non al taxista o al mercante, ma ai suoi serpenti. Si sente in colpa per averli portati fino qui. "Chissà che fine faranno, spero che anche loro ritrovino la strada della foresta", pensa mentre corre veloce.

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