- "Jhana
Raphi"
-
- 1.
Vecchi odori stagnanti, poche grida assorbite in
fretta da un atmosfera condensata, densa come la
polvere che si muove ad ogni passo dei rari passanti,
in un caldo umido che rende l'aria appiccicosa.
È tutto immerso in una dimensione statica,
tutto è sospeso fra il tempo che scorre e una
immobilità sovrana, in un equilibrio inalterato
fra la stabilità monotona del già visto
e l'attesa di qualcosa che non succede mai, in quella
piazza indefinita in una metropoli di legno e lamiere.
Grigio il terreno polveroso, grigio il cielo, grigio
il liquido degli scarichi che scorre in rivoli stretti
ai due lati della strada. Grigi i corpi distesi, che
simulano un sonno rigeneratore, che invece sono
lì a smaltire l'inedia di una non esistenza, o
una endemica debilitazione indotta dal più
diffuso dei mali di questo mondo: la fame. Immagine di
desolazione infinita; quella stessa immagine che i
turisti consumano come un souvenir, fotografandola,
senza neanche abbassare i finestrini, dai taxi gialli
e neri che provengono dal quartiere di Colaba. Non ha
un nome la piazza, si è formata per caso
durante la lenta ma costante espansione della
baraccopoli più grande dell'Asia, quella di
Mumbai; o Bombay, come si chiamava prima che il
governo dello stato del Maharashtra, nel 1996, le
cambiasse nome rivendicando l'identità marathi
della città, nonostante la forza e il successo
delle sue radici multiculturali. Ogni giorno arrivano.
Soprattutto giovani uomini in cerca di fortuna.
Vengono dalle foreste tropicali e temperate
sempreverdi dei monti Ghati occidentali, i monti a
'gradino', traduzione letterale di Ghati, che si
innalzano immediatamente a nord della metropoli
indiana. Qualche motorino scoppiettante, poche auto,
spesso di mafiosi in cerca di giovanissime da avviare
alla prostituzione nei loro ritrovi del quartiere a
luci rosse. Come al solito non c'è molto
movimento in quest'angolo della bidonville di Bombay.
Improvvisamente, facendosi annunciare da sonori colpi
di clacson, nella piccola anonima piazza arriva un
furgone bianco. È ammaccato da più parti
ma sembra solido nella sua andatura decisa, e quando
si ferma alza una nuvola di polvere che crea disturbo
solo ai due occupanti che scendono sbattendo le
portiere con un sincronismo perfetto. Hanno indosso un
camice bianco, aprono lo sportello laterale del
furgone, estraggono un tavolo e vi dispongono sopra
dei sacchetti di riso e un altoparlante collegato ad
un registratore, che comincia a gracchiare in lingua
hindi e marathi. Passa poco tempo e i due sono
accerchiati da curiosi che vogliono capire cosa sta
succedendo. Anche se gli annunci sono fatti nelle due
lingue ufficiali, nella baraccopoli si contano almeno
quindici dialetti differenti, per cui il messaggio
rimane semisconosciuto quasi per tutti. All'improvviso
un giovane, nascosto nella piccola folla, alza la mano
e, indicando se stesso, si avvicina ai due vestiti di
bianco. Questi tirano fuori dal furgone una specie di
sedia a sdraio, invitano il giovane a distendersi, gli
prendono un braccio e, con movimenti e azioni sicure,
gli infilano un ago nella vena; il sangue comincia a
sgorgare in un vasetto di vetro. Passano pochi minuti,
il giovane donatore è liberato dall'ago
succhiatore. Prima di dargli il dovuto, come aveva
promesso l'altoparlante, il ragazzo viene appoggiato
con le spalle al furgone, mentre uno dei due uomini in
bianco impugna una macchina fotografica e scatta un
primo piano, chiedendogli:
- -
Come ti chiami?
- -
Jhana Raphi.
- -
Alloggi nei dintorni?
- -
Vivo con alcuni amici in una baracca poco distante da
qui.
- L'uomo
squadra il giovane dalla testa ai piedi, con
attenzione, e segna, fidandosi del suo sguardo
misuratore, l'altezza e il peso su un cartoncino, che
appende al collo della bottiglietta colma di sangue.
Un sacchetto di riso e otto biglietti da un dollaro
passano nelle mani del giovane donatore, che si
allontana con un sorriso sulle labbra. La
perplessità della folla si trasforma in
frenesia di donazione fra tutti i presenti. Passato
poco tempo, i sacchetti di riso sono esauriti, al loro
posto vermigli barattoli con cartoncino appeso. Il
furgone bianco, come rumorosamente era arrivato,
silenziosamente se ne va, con il suo carico liquido.
Jhana Raphi oggi non dovrà succhiare le foglie
di oppio per non sentire i morsi della fame nello
stomaco.
- 2.
La piazza è la stessa dove dieci giorni prima
si era fermato il furgone bianco che raccoglieva
sangue in cambio di riso e dollari. L'automobile di
colore scuro arriva silenziosa, si ferma in un angolo
ma non scende nessuno. La densità
dell'atmosfera metropolitana, che stagna inesorabile
su tutti i quattrocento chilometri quadrati della
città, in quest'ora della sera si confonde con
l'aria un poco speziata per le povere zuppe che stanno
cocendo su piccoli fornelli. Quando il buio avvolge
tutto, i due uomini scendono dall'auto, accendono
potenti pile e, proiettando fasci di luce che guidano
il loro passo tagliando l'oscurità. Entrano in
ogni baracca che trovano sulla loro strada. Illuminano
i volti dei presenti, li confrontano con la foto che
stringono in mano e se ne vanno senza una parola.
Erano già venuti il giorno prima e quello prima
ancora, nessuno sa cosa cercano. Adesso stanno
spingendo una porta costituita da un vecchio pianale
di un tavolo di plastica, ancorato con due staffe da
un lato. Serve una pressione decisa per vincere la
resistenza che la tavolo-porta fa scorrendo su un
piccolo solco semicircolare. Un fascio di luce
colpisce il volto del giovane che sta mangiando riso
bollito in compagnia di una lanterna appoggiata per
terra. Istintivamente alza la mano sugli occhi e si
mette in piedi, aspettando una domanda dagli intrusi.
Questi insistono con quella luce negli occhi, anche se
la alternano per illuminare l'oggetto che hanno in
mano, poi chiedono: - Il tuo nome è Jhana
Raphi?
- -
Sì, ma non ho fatto niente, lo
giuro.
- -
Non siamo poliziotti, siamo venuti a prenderti
perché alla clinica di Swarakli hanno bisogno
del tuo sangue.
- -
Come l'altra volta in piazzetta? E mi darete il riso e
i dollari?
- -
Riso e dollari, uguale all'altra volta.
- La
clinica Swarakli prende il nome da un medico che pur
non avendo fatto grandi fortune, era riuscito ad avere
il monopolio della medicina in un angolo del sobborgo
di Greater Mumbai, vicino all'aeroporto Sahar
International. Le cure non sono costose come negli
ospedali della Marine Drive forse perché le
strutture sanitarie, le apparecchiature, non sono
proprio all'altezza della medicina moderna. L'auto
scura con Jhana Raphi a bordo entra da un ingresso di
servizio; il giovane viene portato in una stanza dove
lo aspettano altre due persone con il camice blu,
hanno anche una mascherina che tengono sospesa fra il
mento e il collo. Parlano poco i due medici: -
Sdraiati sul lettino e distendi il braccio. Jhana
obbedisce. Sente l'ago entrare nella vena del braccio
destro, ma anziché vedere uscire il suo sangue,
come si aspettava, vede entrare un liquido denso. Non
fa in tempo a domandare qualcosa che si ritrova nel
mondo dei sogni. Jhana sogna sempre il suo villaggio
di origine. Spesso sogna il suo migliore amico, il
più bravo cacciatore di serpenti che conosca,
che cattura vivi per venderli al mercante che passa
una volta al mese dal villaggio. Sogna soprattutto
Sarija, la ragazza dagli occhi grandi che lo guardava
fisso, sorridendo, quando i giovani si ritrovano nella
capanna del sacerdote induista. Lui le aveva promesso
di tornare a prenderla, quando avrebbe potuto offrirle
qualcosa di dignitoso. Anche adesso Jhana sta sognando
Sarija, disteso nel lettino, dentro una stanza della
clinica Swarakli. La vede, in primo piano, bellissima
con il suo sorriso splendido. Se i desideri
disciplinano i sogni, Jhana è assolutamente
conforme alla regola. Solo che lui anziché
sognare di realizzare desideri improbabili, sogna
semplicemente di poter lavorare nei cantieri portuali
in modo continuato. Sogna di partecipare con Sarija
alle danze che hanno luogo sull'isola di Elephanta nel
mese di febbraio. Sogna di portarla al Ganesh
Chaturthi, alla festa hinduista di undici giorni che
si svolge a settembre e che raggiunge l'acme quando le
grandi immagini del dio dalla testa di elefante
vengono immerse in mare, presso la spiaggia di
Chowpatty. Sogna di essere insieme a Sarija in
novembre nei giorni più significativi del
Diwali, caratterizzati da un tripudio di fuochi
d'artificio in Marine Drive. Jhana è nel mondo
dei sogni, sta rivisitando i suoi desideri.
Improvvisamente, come quando al cinema si rompe la
pellicola, un buco nero parte dal centro dell'immagine
sognata, si allarga sempre più, cancella il
sorriso di Sarija, poi il suo sguardo e infine i
capelli. Ma al contrario che al cinema, dove alla
scomparsa dell'immagine fa seguito l'accensione della
luce, adesso è tutto buio nella testa di Jhana.
Niente più sogni, niente più desideri,
niente luce, nessuna dimensione.
- -
Piatto. Non ci sono più funzioni vitali del
cervello.
- Detto
questo, il medico toglie a Jhana una specie di casco,
stacca i fili che collegano questo alla macchina che
ha provocato il coma irreversibile al
giovane.
- -
Avverti che tutto sta andando come
prefissato.
- Jhana
è intubato, sta respirando con l'aiuto di
un'apposita pompa d'ossigeno. Intorno ci sono due
persone, quella che sembra un medico dice: - Sono le
due di notte, entro mezzogiorno espianteremo il cuore,
i reni, in fegato. Aggiunge anche: - Cos'è
quell'espressione preoccupata, avvocato! Non
avrà dei rimorsi, spero.
- -
Nessun rimorso, solo un riflusso di umana
pietà, di misericordia. Almeno questo me lo
conceda!
- -
Voi europei! Questo ragazzo era senza presente, senza
futuro. Anche se lei la chiama misericordia, è
l'incrostazione morale nascosta nelle pieghe della sua
cultura, che le risveglia quello che ha appena
definito un riflusso di umanità. Un pensiero
che le induce timore, paura; lo stesso sgomento dei
credenti che pensano alla punizione divina per un
peccato commesso. Sorrida e rimanga canaglia come in
realtà io e lei siamo; lucidi delinquenti senza
timore di nessun dio. La vita di questo giovane in
cambio della nostra ricchezza.
- -
Ha ragione: non devo farmi sorprendere dai riflussi
buonisti che ogni tanto la mia coscienza mi vomita nel
cervello. Siamo canaglie, punto e basta. Abbiamo
pianificato di arricchirci violando il più
nuovo dei tabù dell'umanità: mercificare
pezzi di corpo umano. Noi siamo coloro che tolgono la
vita ai poveri, per venderla, a caro prezzo, agli
uomini ricchi.
- -
Nelle sue parole sento una velata riprovazione per
quello che abbiamo fatto a questo ragazzo. Niente
ipocrisie, la prego. Auguriamoci che tutto prosegua
secondo i piani prestabiliti, piuttosto.
- L'uomo
senza camice blu, sospira, chiude la mano destra a
pugno e la sbatte violentemente nella mano sinistra
aperta, e ritorna freddo, lucido e determinato: - Non
si preoccupi, tutto andrà come previsto.
Buonanotte, ci vediamo domani.
- -
L'intervento è previsto per le undici e trenta.
Buonanotte.
- 3.
Sul promontorio settentrionale di Back Bay si trova la
prestigiosa zona residenziale di Malabar Hill; qui,
favorita dalla fresca brezza che rende l'aria
respirabile, e dalla vista panoramica sulla baia, si
sono riversati i nuovi ricchi di Bombay. Le casette di
legno in stile inglese coloniale, che punteggiavano il
fianco della collina di Malabar nel diciottesimo
secolo, sono state rimpiazzate dai moderni
insediamenti edilizi. In uno di questi, su un terrazzo
all'aperto, sotto una tenda che ripara dal sole del
primo mattino, due uomini dialogano. Uno dei due
è lo stesso che, appellato "avvocato", la notte
precedente era intorno al lettino di Jhana in coma
irreversibile. L'altro è un uomo poco
più di mezza età, orientale, anche se
vestito elegantemente secondo la moda europea. Sembra
impaziente: - Non posso mancare al ricevimento che mia
moglie ha organizzato per il compleanno di una
deputata molto influente nel partito di maggioranza.
Lei mi capisce avvocato, le pubbliche relazioni a
volte sono più importanti del lavoro vero e
proprio. Io non posso aspettare oltre, sono venuto qui
solo per capire se tutto prosegue come si
deve.
- -
Abbiamo sperimentato la "gelatina elettrica" che ci
hanno inviato dal laboratorio americano: funziona
davvero. Al contrario della soluzione salina
fisiologica, questa gelatina non si limita a mantenere
in vita le cellule idratandole. La necrosi dei tessuti
è fortemente rallentata dal movimento degli
elettroni negli atomi della materia organica che
è garantito da una piccolissima corrente
elettrica fornita da una batteria.
- -
Anche con la nuova gelatina elettrica, il trapianto
deve avvenire comunque entro dodici ore. La mia
compagnia aerea garantisce che in otto, nove ore ce la
farà. Vi rimangono tre ore per iniziare e
completare l'operazione.
- -
Tutto dovrà essere sincronizzato. Se va bene,
come spero, sospendiamo le operazioni che avvengono
fra il Mozambico e il Sud Africa. Quella maledetta
organizzazione non governativa italiana ha denunciato
all'Onu un forte aumento nella scomparsa di giovani
nel Mozambico. E finché tutti hanno pensato che
era l'ennesimo avvio alla prostituzione o di una
semplice tratta di schiavi, nessuno ha sollevato
grandi obiezioni. Però quando quel giornalista
inglese ha cominciato a pubblicare articoli mettendo
in relazione la via della speranza, per chi ha bisogno
di un cuore nuovo, con la nostra clinica in Sud
Africa, insinuando il sospetto di un legame fra la
denuncia della Ong italiana e la quantità di
trapianti d'organo che vi avvenivano, è stato
doveroso pensare ad un'alternativa.
- - A
me avete chiesto di procurarvi la materia prima e di
garantire il suo trasporto, tutto il resto è
problema suo avvocato.
- - I
candidati riceventi sono stati selezionati e sono
pronti. La sua squadra di recupero ha fatto un buon
lavoro, la sua équipe di medici sembra
determinata ed efficiente, tutto andrà
bene.
- -
Il pilota e l'aereo sono in attesa, pronti per il
decollo, hanno già comunicato il piano di volo
con partenza alle dodici.
- -
La clinica è a tre chilometri dall'aeroporto,
c'è tempo sufficiente per essere puntuali. Lei,
per quell'ora, avrà già predisposto i
passaggi alla dogana e i controlli per
l'imbarco?
- -
Tutto a posto, ci saranno le persone giuste al posto
giusto, non si preoccupi.
- 4.
Il limite fra la periferia di Greater Mumbai e la zona
dell'aeroporto internazionale non è
comprensibile in modo netto. Nei pressi di questo
confine indefinito, un giovane sembra aspettare
qualcuno con impazienza malcelata. Il ragazzo è
arrivato con un autobus dopo due giorni di viaggio. Ha
con sé un cesto con un coperchio che tiene
stretto sotto il braccio destro. «Prima di
mezzogiorno, tutti i giorni, io passo dalla strada
parallela alla stazione degli autobus, se hai qualcosa
per me, fatti vedere e io mi fermo». Così
gli aveva detto il mercante di serpenti l'ultima volta
che l'aveva visto, perché non sarebbe
più passato dal suo villaggio. Non sono molte
le auto che transitano e c'è un taxi che sembra
non mantenere la linearità dell'andatura, va
veloce ma zigzaga in modo palese. All'interno, insieme
all'autista visibilmente ubriaco, un uomo che sta
andando verso il Sahar International. È lo
stesso individuo che qualcuno poco prima ha salutato
come "avvocato" in una casa del Malabar
Hill.
- Il
giovane non ha visto il taxi, guarda di là
dalla strada dove si è fermato un furgoncino, e
dal cui interno una persona gli fa cenni evidenti di
muoversi ad attraversare la carreggiata. Il giovane
parte di corsa, tiene il cesto stretto fra le mani.
L'autista si trova il ragazzo a pochi metri dal
parabrezza, sobbalza e sterza secco a destra; l'auto
infila la ruota destra anteriore nel fosso di scolo
laterale alla strada, si impenna; poi, con un rumore
sordo, si schianta contro la parte di una casa. Le
portiere si aprono, l'autista vola fuori, rotolando al
centro della strada, il passeggero incrocia con la
testa la stessa parete in cui ha sbattuto l'auto e
ricade come uno straccio inanimato sul selciato,
sangue e materia cerebrale gli fanno da cuscino.
Contemporaneamente vola sull'asfalto anche il cesto
che il giovane istintivamente ha lanciato in aria, nel
tentativo, riuscito, di allungare il passo per evitare
l'auto.
- Il
giovane è impietrito dalla paura, non sa cosa
fare, rimane immobile a guardare l'auto rovesciata, il
timore indotto da un ambiente estraneo, lo sgomento
dell'incidente di cui si sente responsabile lo
costringono in una immobilità incosciente,
mentre lentamente i cobra escono dal cesto e si
infilano in ogni pertugio che trovano. Uno entra sotto
il corpo dell'avvocato, e ne esce lasciandosi dietro
una scia rossa che segna la strada con sanguinose onde
tremolanti.
- Il
giovane vede l'autista del taxi rialzarsi, si guarda
intorno senza battere ciglio, poi con lo sguardo misto
di sorpresa, stupore e preoccupazione, comincia a
correre verso la stazione degli autobus, senza
voltarsi indietro, incurante delle urla dell'uomo del
furgoncino. Corre rapido, e mentre corre si sorprende
a pensare non al corpo dell'uomo occidentale, non al
taxista o al mercante, ma ai suoi serpenti. Si sente
in colpa per averli portati fino qui. "Chissà
che fine faranno, spero che anche loro ritrovino la
strada della foresta", pensa mentre corre
veloce.
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