- Indaco
-
- Indaco. Né
blu né viola. Due gocce di colore rubate
all'ultimo arcobaleno passato su quella terra
sconosciuta. I suoi occhi, bellissimi, unici, potenti.
Tutto il resto non ha alcun peso, nessuna definizione,
nessuna ragione d'esistere. Li fisso e non posso fare
a meno di guardare. È come se udissi un
richiamo irresistibile, un'attrazione antica. Mi
avvicino e continuo a cercare. Allungo il collo quasi
potessi vederci dentro. La curiosità mi fa
tornar bambina. Dimentico la differenza, il pericolo
dell'ignoto, l'odore amaro della delusione. Mi sento
leggera, felice, impaziente. Fame e sete si
trasformano nel desiderio di plasmarmi in una cosa
sola ed unica con le pietre preziose di questa roccia
incantata. Sorda al richiamo della razionalità,
tutto ciò che conta adesso è vivere
questo momento. L'afferro con la forza della passione.
Mi butto, m'immergo nelle sue acque scure. Sono il
cielo che sovrasta il mondo, la terra che si riscalda
al sole, l'oceano che si estende oltre l'infinito. Non
ci sono limiti, confini, barriere. È il fiume
che spacca la diga, la montagna che partorisce il
fuoco, il vento che rapisce la natura. Le mie braccai
sono rami carichi di foglie e fiori che s'intrecciano
con le sue in una continuità calda e morbida
come la sabbia al tramonto. La mia pelle, la sua
pelle, la superficie riflettente di un calice pieno
d'assenzio. Nulla ci divide. Nessuna domanda, nessun
passato, nessuna identità. Ciò che
è certo, tangibile è questa sintonia,
immediata, assoluta. Potremmo vivere così.
Soli, uno di fronte all'altra. Io, lui, io. Io, con la
mia antica disperazione, la mia proverbiale
fragilità. Lui, con la sua essenza, la sua
silenziosa accettazione, il suo garbato distacco.
Continuo a cercare. I suoi occhi ora sono diversi,
opachi.
- Mi arrabbio con il
colore di queste pareti sconosciute, di queste
lenzuola sgualcite. cerco. Non siamo più soli.
C'è la paura, l'imbarazzo, lo scoprirci nudi
senza alcun pretesto dietro il quale nasconderci.
Sorrido sicura di non essermi sbagliata. È lui
il pozzo entro il quale va a finire l'arcobaleno.
È lui il porto sicuro dove ancorare la mia
barca sopravvissuta all'ultima tempesta. Accarezzo le
sopracciglia color ebano e seguendo quella linea
irregolare lascio che il mio sguardo penetri nel suo,
come un gabbiano che spicca il volo e diventa un
puntino bianco che si confonde nell'infinito. Ho
spiegato le ali e mi lascio trasportare in questa
danza silenziosa. Fluttuo, sogno, desiderio. Non ci
sono parole. Solo i nostri pensieri che esplodono
all'unisono.
- A mano a mano che
la luce trasforma le cose in una serie indefinita di
oggetti privi di colore, sento crescere in me la paura
di prima. Di nuovo quell'imbarazzo, di nuovo
quell'urgenza di sapere, chi siamo, da dove veniamo, a
chi apparteniamo e soprattutto da chi andremo una
volta raccolti i nostri stracci incapaci di giudizio.
Lo guardo ed ora vedo riflessa nelle sue pupille tutta
la mia fragilità. Vorrei cancellare questa
immagine così familiare ed aggrapparmi alla
lancetta dei secondi. Ogni sforzo è inutile, la
lancetta è inafferrabile, la sensazione di
paura incontenibile. Per la prima volta da quando
abbiamo smesso i panni di due perfetti sconosciuti, ci
ritroviamo distanti, come se il linguaggio che non
abbiamo mai usato, appartenesse a due mondi diversi, a
due culture opposte. Odo la sua voce. Odo il suo nome.
Sono ancora in tempo per fuggire, per conservare il
ricordo di questo pomeriggio irripetibile. Ma lui
continua. Ha bisogno di dirmi chi è, cosa fa
nella vita e, cosa ancor più amara, per chi lo
fa.
- Mentre le sue
parole m'investono con la forza di uno sciame d'api,
cerco di sopravvivere a quell'impatto nascondendomi
dietro l'illusione che tutto questo non sia mai
accaduto.
- E invece no. Le api
arrivano, dieci, cento, mille. Si accaniscono su di me
ed ogni loro singola puntura è una lancia piena
di veleno che va dritta al cuore. Urlo al cielo tutta
la mia disperazione ma dalla bocca non esce alcun
suono. Sono diventata una statua di pietra, una zolla
di terra rinsecchita al sole, il tronco di una quercia
incenerita dal Fulmine. Urlo ma i suoi occhi non odono
alcun lamento, il suo giovane cuore, alcuna
compassione.
-
- Venezia ho imparato
ad amarla solo adesso, a poche ore dalla mia partenza.
È da cinque giorni che insieme a lei, ed alla
promessa che ci lega per tutta la vita, camminiamo per
calli e campielli, visitiamo musei e palazzi e
scopriamo il Canal Grande sotto una luna splendente.
È lì che l'ho vista per la prima volta.
Il suo sguardo così insistente mi ha preso alla
sprovvista. Jasmine non s'è accorta di nulla.
Si sente deliziosamente protetta dalla mia presenza al
suo fianco. La sua ingenuità è una
pianta sempreverde che non teme le torride estati
né le improvvise gelate invernali. Dall'angolo
di quella parete continua a guardarmi. Mi chiedo se
per caso le ricordo qualcuno tanta è
l'insistenza con cui mi fissa. Jasmine si allontana
unendosi ad un gruppo di turisti giapponesi. Io invece
rimango qui confuso in questa apparente
immobilità. Fingo di seguire dei particolari
sul mosaico ultramillenario che sovrasta la mia testa
ed uso questo banale pretesto per avvicinarmi a lei.
Abbasso lo sguardo e lei è già qui, di
fronte a me ad aspettarmi con un sorriso caldo e
rassicurante. Mi prende le mani e questo contatto
così intimo mi riporta ad una
familiarità che però fatico a ricordare.
La sua pelle morbida è di un colore ambrato, i
suoi occhi faville di lava incandescente. Mai ho visto
tanta beltà. Continua a guardarmi ed è
così vicina che posso sentire il suo respiro,
il suo profumo. Non ho tempo per chiedermi cosa sto
facendo perché la follia di questo momento ha
trasformato la mia vita di alcuni istanti fa nel
desiderio presente ed immediato di stare con lei. Chi
sei? Da dove vieni? Quale volontà divina ti ha
privato delle ali e ti ha fatto cadere qui, ora? La
interrogo con l'irrequietezza del mio animo
frastornato e per la prima volta mi accorgo di non
aver mosso le labbra. Nemmeno lei parla. L'unico suono
udibile è il pulsare delle nostre vene. Il
piacere che provo a guardarla è così
forte che sento di doverla baciare. Ignaro di chi mi
sta aspettando a pochi passi, bacio quelle labbra
sconosciute con l'impeto di un assetato d'amore. Mi
aspetto resistenza, rifiuto, allontanamento. Invece
no. La dolce sensazione che provoca il vino quando
scorre veloce trasformando un banale appagamento della
sete in un gioioso momento di piacere è solo
una delle mille emozioni che ho appena assaporato. Mi
allontano quel poco per guardarla nuovamente. Sento
crescere in me una forza che non sapevo di avere. La
voglia disperatamente. Subito adesso. Capisco dal suo
respiro che anche lei desidera la stessa cosa. La
prendo per mano e come un soldato che fugge di giorno
da una postazione nemica, esco da quella prigione
dorata senza destare alcun sospetto. Nessuna
esitazione, nessun rimpianto. Ora è lei a
guidare me. Corriamo lungo la galleria che fa da
cornice a questa piazza salottiera testimone del
nostro peccato e come gatti randagi che hanno appena
rubato un'alice salata dal retrobottega di qualche
trattoria, ci infiliamo nell'atrio buio di un palazzo
antico. Salgo le scale seguendo il suo corpo minuto e
prima ancora di chiedermi dove mi trovo, di nuovo i
suoi occhi mi fissano conun'intensità che mi
avvolge, mi plasma, mi unisce a lei istintivamente,
senza parole, domande, spiegazioni. Dimentico l'ora,
la fede al dito, Jasmine. Adesso c'è lei, il
suo corpo, il suo odore, le sue labbra, i suoi occhi.
E poi nient'altro che quiete. Guardo il soffitto e mi
accorgo dal colore sbiadito di quelle facce paffute
dipinte almeno tre secoli fa che il sole sta per
tramontare. All'improvviso sento il bisogno di
chiederle come si chiama. Non c'è risposta.
Appena udite le mie parole i suoi occhi sembrano
quelli di un cucciolo impaurito. Sorrido ma continuo a
parlare. Lei scuote la testa come una bambina cocciuta
che non vuole ascoltare. Provo tenerezza ma comunque
devo andarmene. Jasmine è la donna che amo, che
ho sposato una settimana fa. Jasmine... Ora nei suoi
occhi leggo disperazione. Mi spiace, le dico, non
posso restare. Mi sento un idiota, un perfetto
cretino. Perché ho permesso che questo
accadesse? Perché l'ho baciata, l'ho seguita e
l'ho amata? Lei è china sul bordo del letto
sfatto. Mi volta le spalle in silenzio. Scruto la sua
schiena in cerca di un segno. Dove sono le tue ali?
Forse gli angeli non hanno voce. Abbasso la maniglia
della porta e senza far rumore esco dalla sua vita per
sempre.
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