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               SiSal Le
               nuvole si rincorrevano buffamente nel cielo di un
               celeste eccessivo e prendevano forme e sembianze che
               di volta in volta alimentavano le fantasie dei ragazzi
               che, dal piazzale antistante alla scuola, le
               fissavano.- I
               cirri! I cirri! Con
               una voce gracchiante improvvisamente uno di loro
               rifece il verso all'insegnante di scienze e tutti si
               ritrovarono a sghignazzare. Era
               indubbia la volontà di esorcizzare quella
               tensione che li accomunava nell'attesa dei risultati
               scolasticiDa
               lì a poco, con la meticolosa liturgia che gli
               era abituale e fissandoli con bullette riciclate, il
               bidello avrebbe reso pubblici i vari tabulati
               affiancandoli nelle bacheche. Si
               erano diffuse le solite anticipazioni (all'arrivo
               delle quali si erano già consumate le
               patologiche scene isteriche) ma quei momenti trascorsi
               tra le "voci" e l'affissione dei "quadri" alimentavano
               ancora residui di speranze. Silvia
               e Salvatore, detti anche SiSal perché sin dalla
               prima media erano inseparabili (lì s'incontrava
               sempre mano nella mano, quasi in simbiosi...) seduti
               sul prato, avevano abbandonato la presa ed abbrancate
               le ginocchia vi avevano poggiato il capo
               pensieroso.Per
               loro, infatti, sussisteva anche un ulteriore problema:
               quello di coppia.Nello
               stesso banco da cinque anni ora un risultato ineguale
               avrebbe cumulato punizione a sofferenza.Per
               allentare l'ansia crescente e quasi in un rito
               propiziatorio Andrea continuava nervosamente a
               lanciare sassi su di un barattolo di
               latta.Affidava
               alla percentuale di centri effettuati una premonizione
               sul suo destino scolastico.Elisabetta,
               da sempre ritardataria per l'assoluta necessità
               di affidare ad un impeccabile aspetto esteriore
               l'antidoto ad insicurezze ataviche, oggi si ritrovava
               puntualissima nell'attesa e, seduta sulla panchina e
               sulle sue mani, dondolava le gambe lasciando una
               doppia traccia sul pietrisco sottostante.Il
               pennarello di Piero con una lunga militanza
               nell'aggressione di muri, pareti e banchi continuava
               nella sua opera schizofrenica sulla colonna del
               porticato ma la lucidità e la genialità
               dei suoi tipici graffiti si erano disciolte in una
               stucchevole sequela: "Piero- Piero - Piero
               -...".-
               Da chi l'aveva saputo Gaetano che c'erano cinque
               respinti? Gino
               ruppe il silenzio ma la risposta tardava ad arrivare.
               -
               Siete diventati tutti muti?.-
               Ha dichiarato che non lo poteva dire... Che gli era
               impossibile far nomi per non compromettere
               l'informatore.Paolo,
               che aveva telefonicamente allarmato i compagni,
               avvertiva la scarsa salivazione e la necessità
               di ridurre al minimo la conversazione.Il
               sentore (qualcosa in più di un presentimento)
               di essere nella cinquina gli faceva intravedere un
               futuro al fianco del padre tra mortadelle e formaggi
               giusta la minaccia che da sempre gli era piovuta
               addosso ad ogni insufficienza.Il
               suo aereo (aveva da sempre sognato di diventare
               pilota) s'inabissava, fatalmente, in un vassoio
               d'insalata russa da cui il decollo si sarebbe rivelato
               molto improbabile.Un
               calpestio nell'atrio della scuola fece lo stesso
               effetto della pistola di uno starter.Dodici
               sprinter si catapultarono verso l'entrata ancora
               sbarrata dell'edificio.La
               figura ieratica di don Mimì si aggirava con
               grossi fogli in mano dirigendosi verso la parete,
               completamente coperta da bacheche, che si trovava
               sulla destra della scala.Dodici
               visi spiaccicati sul vetro del portone...I
               moduli da esporre erano poggiati sul tavolo ed
               iniziava una meticolosa opera di rimozione di
               circolari, avvisi e foglietti con il susseguente
               recupero di puntine da disegno.Avrebbero
               voluto rumoreggiare per farsi aprire ma sapevano tutti
               che, per nulla al mondo, il bidello anziano Domenico
               Izzo avrebbe rinunciato alla sua tradizionale
               esercitazione di sadismo."Cambio
               la mia bici seminuova e la collezione di Tex Willer
               con motorino anche usato.":Giorgi
               vedeva il suo annuncio seguire gli altri nel
               cestino.Un'improvvisa
               folata di vento portò sui ventiquattro polpacci
               il brecciolino più minuto senza provocare
               apprezzabili segni di reazione.La
               prima tabella, intanto, era stata fissata sulla parte
               sinistra della bacheca in modo tale che proprio la
               colonna con la sintesi di quelle precedenti venisse in
               gran parte nascosta dal legno sporgente.-
               Non mi sembra di vedere linee rosse...-
               Guarda che due anni fa le linee rosse non
               c'erano!-
               No, no... RESPINTO, lo scrivono sempre in
               rosso!I
               visi schiacciati sul cristallo, le mani arcuate sugli
               occhi nel maldestro tentativo di evitare il riflesso
               che il sole provocava sul vetro della porta
               d'ingresso, per carpire e quindi anticipare un
               verdetto che campeggiava a quindici metri di
               distanza.Un
               gruppo di ragazzi con i muscoli tesi ed il cuore in
               tumulto... -
               Come sempre, non hai capito niente!Glielo
               aveva quasi gridato sul viso in fondo alle scale,
               Silvia, dopo quella festicciola da ballo in famiglia e
               lui l'aveva guardata con stupore senza neanche
               accennare ad un tentativo di risposta.Dopo
               la fine di quel loro flirt adolescenziale e la
               bocciatura di Salvatore si erano quasi persi di vista
               e solo da un paio d'anni, frequentando la stessa
               combriccola, s'incontravano più
               spesso.In
               Silvia si era risvegliato un certo interesse nei
               confronti di Salvatore e col tempo era maturato un
               sentimento più profondo. Dopo
               i diversi segnali che lei gli aveva lanciato in quei
               mesi e che lui non aveva colto, dopo vari tentativi
               andati inspiegabilmente a vuoto, aveva deciso che era
               giunto il momento di giocarsi tutte le sue carte quel
               pomeriggio. La
               combriccola si era ritrovata nel pomeriggio a casa di
               Maria e Si erano ritrC'era stata la solita riunione
               domenicale Erano in programma i soliti quattro salti
               con ritmi Durante il ballo, al suo invito, non aveva
               atteso che le cingesse la schiena con un braccio e le
               stringesse, con la mano libera, la sua e gli si era
               avvinghiata abbracciandolo strettamente. Aveva
               sperato che le braccia di Salvatore avessero seguito
               quella sfacciata indicazione ed era rimasta
               nell'attesa di sentire la loro calda pressione sulla
               schiena e sui fianchi ma inutilmente; il tocco invece
               era stato come sempre pudico ed anonimo ed il suo
               esplicito messaggio era rimasto senza risposta.
               Quell'amore,
               l'immenso amore che attendeva di riversare su di lui,
               le era rimasto nel cuore a tormentarla a lungo ed a
               rendere meno credibili le sue successive esperienze
               sentimentali. Era,
               infatti, sicura, sicurissima, di avvertire anche in
               lui una predisposizione, un amore che oltrepassava i
               margini di quello che era stato, tra loro, prima un
               flirt e poi una lunga amicizia. Sentiva
               che avevano perso una grand'occasione per indirizzare
               la loro vita su di un percorso non anonimo come quelli
               che invece, entrambi, si erano poi trovati a
               percorrere. Delusa
               e colpita nell'orgoglio lo aveva successivamente
               evitato con cura e dopo due anni aveva risposto di
               sì alla proposta di fidanzamento che le era
               venuta da Piero, il fratello della sua più cara
               amica, cercando inutilmente di sopire, in quel nuovo
               rapporto, il rimpianto che portava dentro.Di
               solito gli amori finiscono, anche traumaticamente,
               quando si prende atto che, sul proprio o sull'altro
               fronte, quel fuoco iniziale si è ridotto a
               pochi tizzoni, che lentamente si trasformano in
               cenere, ma nel suo caso questa controprova non c'era
               mai stata. Era
               tutto rimasto nel vago, nel limbo dei dubbi, ed aveva
               acquistato la concretezza di un'occasione perduta.
               Piero,
               pur con tutta la disponibilità e l'affetto con
               cui la circondava, non era riuscito ad evitarle di
               portarsi dietro quel rammarico che le aveva, di fatto,
               impoverito la vita anche se, nonostante ci fossero
               tutte le premesse, Silvia non era stata capace di
               trasformare quell'amore mancato in rancore.
               Una
               domenica di maggio, dopo che per trent'anni si erano
               totalmente persi di vista, Silvia se lo ritrovò
               davanti, all'uscita della chiesa, in abito grigio che
               attendeva, insieme agli altri invitati, l'uscita della
               propria figlia andata in sposa. I
               loro sguardi si erano incontrati attraverso la pioggia
               di riso che, beneaugurante, cadeva sulla coppia
               novella e molto naturalmente si erano sorrisi.
               Non
               aveva alcun nesso logico quel sorriso ma aveva messo
               in moto un carosello di profonde e piacevoli
               sensazioni in contrasto con una realtà che
               avrebbe preteso scintille. -
               Ciao. -
               Ciao. E' tua figlia?-
               Si. La maggiore. -
               Auguri. -
               Grazie. Banalità
               assolute, espressioni ipocrite, con la fortuna che la
               situazione non concedesse altri spazi. Poco
               prima di arrivare alla località delle Grazie,
               dalla piazzola situata nella curva a gomito da cui si
               poteva ammirare il paesino e l'imponente fortezza,
               utilizzata ora come caserma della Marina Militare,
               c'è un ripido viottolo che porta sugli scogli e
               Salvatore, pescatore molto dilettante, vi si recava
               almeno due volte la settimana per rinnovare i suoi
               tentativi di pesca.Non
               gli era andata mai troppo bene (qualche bavosa, una
               triglietta ed alcuni pesci arlecchino) ma quell'attesa
               solitaria sullo scoglio lambito dal leggero sciabordio
               dell'acqua gli serviva a scaricare le tensioni: un
               effetto terapeutico rilassante. Quella
               mattina aveva lanciato l'amo con l'esca il più
               lontano possibile e poi, nell'attesa, si era immerso
               nella lettura del quotidiano. Improvvisamente
               la canna si era flessa in avanti verso il pelo
               dell'acqua ed aveva incominciato a vibrare
               freneticamente ed allora lui si era catapultato su di
               essa impugnandola ed azionando, eccitato, il mulinello
               per recuperare la preda nel più breve tempo
               possibile. La
               lenza si avvicinava sempre più rapidamente allo
               scoglio mentre la punta della canna guizzava nell'aria
               con scatti bruschi. E'
               in quei momenti che la pesca vive i suoi attimi
               più intensi: la preda che si dibatte e che
               tenta di sottrarsi ed il pescatore che adotta tutte le
               precauzioni perché questo non avvenga.
               Aveva
               imparato che il filo avrebbe dovuto essere sempre in
               tensione, per non poter permettere al pesce il salto
               in avanti che gli avrebbe consentito di staccarsi
               dall'amo, e quindi riavvolgeva la lenza intorno alla
               bobina più in fretta che potesse. Nell'acqua
               il filo di nailon, trainato dal pesce, tracciava dei
               semicerchi sempre più veloci e, quando ormai si
               cominciava a distinguere la sagoma argentata della
               preda, Salvatore si rese conto di aver finalmente
               pescato un'orata di proporzioni insolite rispetto a
               quelle che gli erano abituali.Ora
               poteva ammirarla da vicino, a pochi metri dallo
               scoglio, e già pregustava la soddisfazione di
               tirarla su e poterla poi mostrare agli scettici che
               avevano salutato sempre ironicamente il suo rientro
               con pescato irrilevante. -
               Ti aiuto io! Dove l'hai il retino a sacco?Si
               girò di scatto ed alle sue spalle un ragazzo
               fremente si avvicinava a grandi salti sugli scogli
               finendogli infine al fianco. -
               Dove l'hai il retino a sacco?-
               Non l'ho il retino. -
               In che modo la tiri su?-
               Ora vediamo...-
               Hmmm...Gli
               si era messo accovacciato poco lontano mentre la
               canna, completamente arcuata, segnalava con scatti
               sempre più ravvicinati gli strattoni disperati
               del pesce e lui faticava a dare gli ultimi giri di
               manopola al mulinello. Ad
               un ulteriore strappo la lotta s'interruppe di colpo:
               il filo di nailon pencolò malinconicamente
               dalla cima della canna che si era raddrizzata di
               scatto anche se poi continuava a flettersi per
               inerzia, liberando la residua energia
               accumulata.L'orata
               aveva vinto la sua battaglia approfittando
               dell'inesperienza di Salvatore. -
               Peccato. Avessi avuto il retino...E'
               in questi momenti che è pericoloso stare
               accanto ad un pescatore; pronunciare poi una frase che
               metta in evidenza la sua inettitudine potrebbe
               rivelarsi addirittura azzardato e Salvatore si
               rivolse, infatti, all'intruso con uno sguardo furente.
               -
               Mimmo, Mimmo, dove sei? -
               Sono quaggiù, mamma. Dalla
               sommità del pendio si sporse una donna
               affannata. -
               Che cosa fai laggiù? Vieni immediatamente che
               perdiamo l'autobus.-
               Volevo aiutare il signore... Aveva pescato un'orata.
               -
               Silvia!La
               donna si portò una mano sul viso per
               fronteggiare i raggi di sole che le impedivano di
               mettere a fuoco l'uomo e poi, sorpresa ed imbarazzata,
               rispose: "Ah, sei tu, Salvatore..."-
               Vi conoscete?-
               Si, io e tua madre frequentavamo la stessa
               scuola...-
               Mimmo, vieni, subito! Porca miseria!-
               Cosa c'è, mamma?-
               E' passato l'autobus. -Silvia,
               non ti preoccupare vi do io un passaggio. Solo un
               attimo che raccolgo le mie cianfrusaglie. -
               Non ti disturbare. Fra un quarto d'ora ne passa
               un'altro; continua pure a pescare. -
               Per oggi basta, e poi non ho neanche il retino ad
               imbuto come dice Mimmo...-
               Dai mamma, andiamo a casa in macchina...L'auto
               procedeva lentamente su quel tratto tutto curve verso
               La Spezia con il mare a strapiombo sulla destra
               attraversando quelle tipiche borgate liguri, con le
               case, ravvivate dai colori che si alternavano dai toni
               chiari e sfumati a quelli accesi, avvinghiate come
               molluschi alla collina digradante a mare. Mimmo
               era incontenibile: aveva preso la parola e si lasciava
               andare ai commenti più disparati, sulla pesca,
               su quel mare e sulla sua vacanza...Approfittando
               di una pausa Salvatore s'insinuò in quel
               monologo: -
               Come mai siete da queste parti?-
               Un fratello di Piero presta servizio in Marina e siamo
               suoi ospiti per una quindicina di giorni. E
               tu?-
               Io lavoro e vivo qui da vent'anni.Sarà
               stata colpa di quella storia che non era mai
               ricominciata, sarà stata colpa del tempo che
               era trascorso implacabilmente ma che non era riuscito
               a suturare le ferite, ma il fatto innegabile è
               che non riuscirono a riannodare nessun filo che li
               potesse unire. Solo
               due frasi ed un disagio che acuiva il desiderio del
               termine del tragitto in comune. -
               Grazie, ciao. -
               Di nulla, ciao Mimmo. Salvatore
               rincasò di malumore: quell'incontro l'aveva
               turbato. Era
               da molti anni che non pensava a Silvia; c'era stato un
               periodo in cui l'aveva ricordata con insistenza ed
               aveva provato ad immaginare come sarebbe stata la sua
               esistenza con lei, aveva fantasticato e ne era venuto
               fuori con melanconia. Era
               evidente che questo rinvangare ricordi e coltivare
               rimpianti coincideva con il periodo negativo del suo
               rapporto matrimoniale logorato da troppe
               incomprensioni e da differenze che emergevano sin
               troppo evidenti nel momento in cui la passione avrebbe
               dovuto lasciar il passo ad un amore più
               consapevole. Per
               tanti anni non si erano incrociati ed ora, invece, due
               incontri ravvicinati nel tempo con una strana
               casualità. -
               No, niente, non sono nervoso. Solo un po' seccato per
               un'orata che mi è scappata. Le
               mani appoggiate al lavandino, il capo proteso in
               avanti a scrutarsi nello specchio nel tentativo di
               ritrovare chissà cosa e poi il chinarsi su quel
               getto d'acqua per un risciacquo rigeneratore.
               Era
               passato un paio di volte con l'auto in viale Italia,
               laddove aveva accompagnato Silvia e Mimmo, non sapendo
               nemmeno lui se augurarsi di incontrarla, ma poi aveva
               desistito; era tutto così vago, così
               improponibile quell'andirivieni di moti
               istintivi...Nel
               suo girovagare per l'Italia per motivi d'ufficio non
               gli era mai capitato di essere assegnato in una
               località meridionale. Aveva
               espresso più volte, nelle sedi competenti, il
               suo desiderio di essere trasferito in una città
               campana ma con la motivazione di generiche esigenze di
               servizio e di gestione del personale non era stato mai
               accontentato. Ora,
               dopo venticinque anni e per un periodo limitato di sei
               mesi, gli era stata richiesta una missione a Caserta a
               turare una falla procurata da un dirigente che aveva
               anticipato il collocamento a riposo. Era
               stato tentato di rifiutare perché questo
               significava rinunciare per tanto tempo alle sue
               abitudini consolidate, al proprio giro d'amicizie e
               d'interessi extra ufficio, alla presenza in famiglia
               ormai consolidatasi nel territorio ma poi
               accettò soprattutto spinto dal desiderio
               d'interrompere quel tran quotidiano cui si era
               forzatamente adeguato. In
               effetti, effettuò un bel salto all'indietro nel
               tempo incontrando più frequentemente parenti,
               ritrovando gli amici della sua giovinezza con le
               interminabili partite a tressette e si
               confrontò con i pettegolezzi tipici del Circolo
               Sociale.Un
               sabato mattina, libero da impegni d'ufficio,
               gironzolava nel mercato ortofrutticolo divertito dai
               pittoreschi inviti degli erbivendoli, conditi da
               espliciti e coloriti doppi senso, quando
               inciampò in un qualcosa che rotolava per terra.
               Si
               dirigevano verso di lui, favorite dal pavimento in
               leggera pendenza, un consistente quantitativo d'arance
               che qualcuno evidentemente perdeva da una borsa.
               Si
               chinò a raccoglierle guardandosi in giro per
               ritrovarne il legittimo proprietario. Accovacciato
               per terra ne aveva raccolte ormai una dozzina, che
               stringeva a fatica tra le braccia, quando
               percepì un vociare che si avvicinava e si
               ritrovò di fronte ad una signora che, anch'essa
               curva in terra, raccattava affannata i frutti che le
               erano scivolati via dalla borsa squarciata dal peso
               eccessivo. -
               Silvia! Alzando
               gli occhi se l'era ritrovata davanti china, in
               difficoltà con tutti quei pomi che le
               sfuggivano da tutte le parti. -
               Salvatore!Rannicchiati
               per terra, in equilibrio precario sospinti e
               strattonati com'erano dalla calca, si sorrisero
               impacciati e poi esplosero in una risata
               irrefrenabile. -
               Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?....
               Aveva
               preso in prestito le parole di Mogol, Salvatore, reso
               euforico da quell'incontro stravagante ed inatteso ma
               era stata questione d'attimi: l'imbarazzo aveva
               ripreso il sopravvento e per esorcizzarlo finsero un
               interesse predominante per le arance che ricollocavano
               nella borsa. -
               Grazie, Salvatore. -
               Figurati. Mentre
               si allontanava tra la folla, con quel suo tipico passo
               elastico, ristette a guardarla. Alla
               fine del rettilineo mentre stava per voltare a destra,
               Silvia si girò ed i loro occhi si incontrarono.
               Gli
               parve che sorridesse e lui rispose al sorriso.
               Quando
               qualche giorno dopo un fattorino recapitò a
               Silvia un cestino di lillà bianchi, al cui
               centro spiccava una magnifica rosa rossa, accompagnati
               da un bigliettino anonimo su cui era scritto:
               "Perdonami di non aver capito.", non ebbe il minimo
               dubbio e le si imporporarono le gote.Mentre
               sfaccendava in cucina continuava razionalmente a
               chiedersi perché non avesse istintivamente
               rimandato indietro quei fiori senza darsene una
               spiegazione plausibile ma rimanendo profondamente
               felice di non averlo fatto. Quell'attimo
               magico rimase tale senza che ci fossero ulteriori
               sollecitazioni e, per circa un paio d'anni, non
               s'incrociarono. Il
               treno procedeva a rilento, quasi sbuffando, obbligato
               a fermate sempre più ravvicinate dal suo dovere
               di treno locale, e dopo una lunga sosta, non
               proporzionata al tempo che ci sarebbe voluto per
               permettere l'accesso allo sparuto numero di
               passeggeri, si rimetteva in moto quasi goffamente.
               Silvia
               distolse lo sguardo dal finestrino per scrutare il
               passeggero che tentava, aprendo la porta con fatica,
               di entrare nello scompartimento dove, in quel primo
               tratto, aveva viaggiato da sola. S'irrigidì
               di scatto mentre l'altro, intento a sistemare un
               borsone ed il cappotto sulla reticella, le voltava le
               spalle. Quando
               l'uomo finì di mettere a posto il bagaglio ed
               incrociò il suo sguardo trasalì ed ebbe
               un attimo di smarrimento. -
               Silvia!-
               Salvatore...Il
               treno trotterellava tra le campagne ancora immerse
               nella nebbiolina autunnale e Salvatore le si sedette
               di fronte, accanto al finestrino, incapace come lei di
               dare inizio alla conversazione. -
               Caffè, aranciate, panini
               imbottiti!...La
               porta si era spalancata ed il chiassoso invito
               dell'ambulante aveva fatto irruzione nello
               scompartimento rompendo un silenzio anomalo,
               attraversato com'era da messaggi criptati.
               -
               Vuoi un caffè?-
               No, grazie. -
               Niente, non vogliamo niente. Nuovamente
               lo sferragliare prese il sopravvento. -
               Come stai?-
               Bene, e tu?-
               Insomma...Si,
               trent'anni l'avevano segnata con qualche ruga ma il
               viso, quel volto radioso, era sempre li...-
               Dove vai, ora?- A
               Cassino, l'azienda per la quale lavoro ha un cantiere
               aperto in quella città e porto dei documenti. E
               tu? - A
               Sora. Un tuffo nei ricordi infantili. Durante la
               guerra eravamo sfollati lì e mi è venuta
               voglia di rivedere quei luoghi che appartengono alle
               nitide e dolorose memorie che conservo. -
               Biglietti, per favore, signori. Non
               c'era alcun dubbio che le interruzioni repentine che
               accadevano facessero fatica ad intromettersi in
               quell'atmosfera, allo stesso tempo di disagio e di
               tenerezza, che si era venuta a creare e che aveva
               ancora bisogno di pause e silenzi per prendere quota.
               In
               lontananza spiccava bianca e maestosa l'abbazia di
               Montecassino mentre un pallido sole squarciava le nubi
               compatte. I
               loro sguardi erano apparentemente fissi sul panorama
               che scorreva ma, in effetti, non si perdevano di vista
               attenti ambedue a carpire le immagini, l'uno
               dell'altro, che il vetro del finestrino specularmente
               rifletteva. -
               Alla prossima devo scendere. -
               Che peccato... Hai molto da fare?-
               No, devo solo consegnare questi fogli in Municipio.
               -
               Che ne dici se pranzassimo insieme?-
               Ma non dovevi andare a Sora?-
               Sarà per un'altra volta. Ora mi piacerebbe
               tanto rimanere ancora un po' con te. Se sei d'accordo,
               naturalmente.-
               Si, certo, l'idea non mi dispiace. Le
               diede la mano aiutandola nello scendere e lei non
               gliela lasciò mentre andavano verso il
               sottopassaggio. Il
               ristorantino che gli avevano consigliato aveva
               un'enorme camino che occupava l'angolo estremo della
               sala ma che emanava un sano calore sufficiente per
               tutto il vano. Si
               sedettero ad un tavolino situato accanto ad una
               finestra molto ampia da cui s'intravedeva una piccola
               cascatella provocata dal torrente che scorreva intorno
               al fabbricato.La
               campagna autunnale dai toni rossicci, carica
               d'umidità, si estendeva a perdita d'occhio e
               rendeva particolarmente gradevole quel tepore che
               nell'ambiente si assaporava. - I
               signori desiderano?-
               Per quanto mi riguarda mi rimetto a voi ed alle
               specialità della casa. Per te,
               Silvia?-
               Va bene anche per me anche se, mi raccomando, le
               porzioni non devono essere abbondanti. -
               Vino della casa?-
               Silvia?-
               Si, va bene. I
               grissini integrali erano troppo allettanti per non
               subire un immediato assalto ed il rumore dello
               sgranocchiamento entrò in gara con lo
               scoppiettio della brace. -
               Mi sento proprio bene, Silvia, stando qui con te.
               -
               Anch'io, Salvatore. Ma facciamo un patto. -
               Che patto?-
               Lasciamo fuori di quella porta quello che siamo e che
               siamo stati, i nostri errori, i nostri rimpianti.
               Siamo qui, entrambi contenti di esserci. Apriamo una
               parentesi e godiamocela. -
               Va bene. Sono d'accordo. Mi getto a capofitto nella
               parentesi. Anche se, con questa pancetta, ci entro a
               malapena. -
               L'hai avuta buona! Sai le diete che avresti dovuto
               sorbirti!E
               riesplose come d'incanto quella complicità d'un
               tempo; risero di gusto, parlottarono sottovoce,
               più di una volta si strizzarono l'occhio
               ammiccando. Le
               avevano tentate tutte per allungare quella
               opportunità incantata ma dopo tre ore si
               dovettero piegare all'esigenza dell'orario ferroviario
               e si alzarono da tavola. Dopo
               che Salvatore l'aveva aiutata ad infilarsi il cappotto
               Silvia gli passò le mani dietro la schiena e
               l'abbracciò teneramente. Salvatore
               freneticamente la strinse con tutte le forze
               appoggiando poi il viso sulla sua testa. -
               Non è mai troppo tardi. Questa volta hai
               capito!Le
               passò delicatamente la mano sotto il mento e le
               alzò il viso fissandola con tenerezza negli
               occhi. Il
               bacio cui si abbandonarono era scritto che fosse
               inevitabile e li lasciò carichi di desiderio
               mentre si allontanavano con le mani che cingevano i
               fianchi verso la stazione ferroviaria. Il
               vagone stavolta era affollato e, mentre Silvia aveva
               rimediato un posticino, Salvatore le stava, in piedi,
               accanto. Questa
               volta il treno sembrava volesse sbarazzarsi al
               più presto di un carico imbarazzante ed in meno
               di mezz'ora s'intravide in lontananza il maestoso
               palazzo reale. A
               Caserta sarebbero scesi quasi tutti ed incominciarono
               a prepararsi. -
               Siamo arrivati... Peccato... Silvia, che incantevole
               giornata!-
               Si, Salvatore, hai ragione. Proprio bella.
               -
               Potremo rivederci? -
               No, Salvatore, no. Alla stazione c'è Piero che
               mi aspetta. Ora la parentesi si chiude. Non potevamo
               sperare che rimanesse aperta in eterno. Il destino di
               una parentesi è quello di chiudersi e non
               possiamo costringerla ad essere anomala. E' stato
               bello proprio perché rimane tutto così.
               Alla nostra età e nella nostra condizione non
               possiamo permetterci di essere ridicoli. Rincorrere i
               diciott'anni... Quella rosa che mi hai regalato,
               perché era come se lo avessi firmato quel
               bigliettino, quella rosa è meglio che rimanga
               solo uno splendido fiore. In fondo è soltanto
               una rosa e non puoi caricarla di responsabilità
               che non potrebbe reggere. Anche se devo riconoscere
               che è stato proprio splendido incontrarti
               cosi... Ciao, Salvatore. -
               Ciao, Silvia. Buona fortuna. |