Alcune Poesie di Salvatore Quasimodo
- òboe sommerso, Salvatore Quasimodo, Letteratura italiana Einaudi, edizione di riferimento in Poesie e discorsi sulla poesia a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1971
- òboe sommerso
- Avara pena, tarda il tuo dono
- in questa mia ora
- di sospirati abbandoni.
- Un oboe gelido risillaba
- gioia di foglie perenni,
- non mie, e smemora;
- In me si fa sera:
- l'acqua tramonta
- sulle mie mani erbose.
- Ali oscillano in fioco cielo,
- labili: il cuore trasmigra
- ed io son gerbido,
- e i giorni una maceria.
- Curva minore
- Perdimi, Signore, che non oda
- gli anni sommersi taciti spogliarmi,
- si che cangi la pene in moto aperto:
- curva minore
- del vivere m'avanza.
- E fammi vento che naviga felice,
- o seme d'orzo o lebbra
- che sé esprima in pieno divenire.
- E sta facile amarti
- in erba che accima alla luce,
- in piaga che buca la carne.
- Io tento una vita:
- ognuno si scalza e vacilla
- in ricerca.
- Ancora mi lasci: son solo
- nell'ombra che in sera si spande,
- né valico s'apre al dolce
- sfociare del sangue.
- Lamentazione d'un fraticello d'icona
- Di assai aridità mi vivo,
- mio Dio;
- il mio verde squallore!
- Romba alta una notte
- di caldi insetti;
- il cordiglio mi slega
- la tunica marcia d'orbace.
- Mi cardo la carne
- tarlata d'acaridi:
- amore, mio scheletro.
- Nascosto, profondo, un cadavere
- mastica terra intrisa d'orina.
- Mi pento
- d'averti donato il mio sangue,
- Signore, mio asilo:
- misericordia!
- La mia giornata paziente
- La mia giornata paziente
- a te consegno, Signore,
- non sanata infermità,
- i ginocchi spaccati dalla noia.
- M'abbandono, m'abbandono:
- ululo di primavera,
- è una foresta
- nata nei miei occhi di terra.
- Metamorfosi nell'urna del santo
- I morti maturano,
- il mio cuore con essi.
- Pietà di sé
- nell'ultimo umore ha la terra.
- Muove nei vetri dell'urna
- una luce d'alberi lacustri;
- mi devasta oscura mutazione,
- santo ignoto: gemono al seme sparso
- larve verdi:
- il mio volto è loro primavera.
- Nasce una memoria di buio
- in fondo a pozzi murati,
- un'eco di timpani sepolti:
- sono la tua reliquia
- patita.
- Dammi il mio giorno
- Dammi il mio giorno;
- ch'io mi cerchi ancora
- un volto d'anni sopito
- che un cavo d'acque
- riporti in trasparenza,
- e ch'io pianga amore di me stesso.
- Ti cammino sul cuore,
- ed è un trovarsi d'astri
- in arcipelaghi insonni,
- notte, fraterni a me
- fossile emerso da uno stanco flutto;
- un incurvarsi d'orbite segrete
- dove siamo fitti
- coi macigni e l'erbe.
- Amen per la domenica in Albis
- Non m'hai tradito, Signore:
- d'ogni dolore
- son fatto primo nato.
- Un sepolto in me canta
- M'esilio; si colma
- ombra di mirti
- e il sopito spazio m'adagia.
- Né amore accosta
- silvani accordi felici
- nell'ora sola con me:
- paradiso e palude
- dormono in cuore ai morti.
- E un sepolto in me canta
- che la pietraia forza
- come radice, e tenta segni
- dell'opposto cammino.
- Mobile d'astri e di quiete
- E se di me gioia ti vince,
- è nodo d'ombre.
- Non altro ora consola
- che il silenzio: e non ci sazia
- volto mutevole d'aria e di colli,
- giri la luce i suoi cieli cavi
- a limite di buio.
- Mobile d'astri e di quiete
- ci getta notte nel veloce inganno:
- pietre che l'acqua spolpa ad ogni foce.
- Bambini dormono ancora nel tuo sonno;
- io pure udivo un urlo talvolta
- rompere e farsi carne;
- e battere di mani ed una voce
- dolcezze spalancarmi ignote.
- Anellide ermafrodito
- Mite letargo d'acque:
- la neve cede chiari azzurri.
- Sono memoria
- d'ogni mia ora terrena,
- angelo biancospino.
- A te mi porgo trebbiato
- senza seme; e duole dentro
- pietà di magre foglie
- che m'aiuta la morte.
- Dalla fangaia affiora
- roseo anellide
- ermafrodito.
- Fresche di fiumi in sonno
- Ti trovo nei felici approdi,
- della notte consorte,
- ora dissepolta
- quasi tepore d'una nuova gioia,
- grazia amara del viver senza foce.
- Vergini strade oscillano
- fresche di fiumi in sonno:
- E ancora sono il prodigo che ascolta
- dal silenzio il suo nome
- quando chiamano i morti.
- Ed è morte
- uno spazio nel cuore.
- Autunno
- Autunno mansueto, io mi posseggo
- e piego alle tue acque a bermi il cielo,
- fuga soave d'alberi e d'abissi.
- Aspra pena del nascere
- mi trova a te congiunto;
- e in te mi schianto e risano:
- povera cosa caduta
- che la terra raccoglie.
- L'Eucalyptus
- Non una dolcezza mi matura,
- e fu di pena deriva
- ad ogni giorno
- il tempo che rinnova
- a fiato d'aspre resine.
- In me un albero oscilla
- da assonnata riva,
- alata aria
- amare fronde esala.
- M'accori, dolente rinverdire,
- odore dell'infanzia
- che grama gioia accolse,
- inferma già per un segreto amore
- di narrarsi all'acque.
- Isola mattutina:
- riaffiora a mezza luce
- la volpe d'oro
- uccisa a una sorgiva.
- Verde deriva
- Sera: luce addolorata,
- pigre campane affondano.
- Non dirmi parole: in me tace
- amore di suoni, e l'ora è mia
- come nel tempo dei colloqui
- con l'aria e con le selve.
- Sapori scendevano dai cieli
- dentro acque lunari,
- case dormivano sonno di montagne,
- o angeli fermava la neve sugli ontani,
- e stelle ai vetri
- velati come carte d'aquiloni.
- Verde deriva d'isole,
- approdi di velieri,
- la ciurma che seguiva mari e nuvole
- in cantilena di remi e di cordami
- mi lasciava la preda:
- nuda e bianca, che a toccarla
- si udivano in segreto
- le voci dei fiumi e delle rocce.
- Poi le terre posavano
- su fondali d'acquario,
- e ansia di noia e vita d'altri moti
- cadeva in assorti firmamenti.
- Averti è sgomento
- che sazia d'ogni pianto,
- dolcezza che l'isole richiami.
- Nascita del canto
- Sorgiva: luce riemersa:
- foglie bruciano rosee.
- Giaccio su fiumi colmi
- dove son isole
- specchi d'ombre e d'astri.
- E mi travolge il tuo grembo celeste
- che mai di gioia nutre
- la mia vita diversa.
- Io muoio per riaverti,
- anche delusa,
- adolescenza delle membra
- inferme.
Salvatore Quasimodo
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