I grandi Scrittori del Novecento
Testi di Aldo Palazzeschi
Testi tratti da «L'Incendiario», Arnoldo Mondadori Editore, 2001
- L'Incendiario
- A F.T. Marinetti
- anima della nostra fiamma.
- In mezzo alla piazza centrale
- del paese,
- è stata posta la gabbia di ferro
- con l'incendiario.
- Vi rimarrà tre giorni
- perché tutti lo possano vedere.
- Tutti si aggirano torno torno
- all'enorme gabbione,
- durante tutto il giorno,
- centinaia di persone.
- - Guarda un pochino dove l'ànno messo!
- - Sembra un pappagallo carbonaio.
- - Dove lo dovevano mettere?
- - In prigione addirittura.
- - Gli sta bene di far questa bella figura!
- - Perché non gli avete preparato
- un appartamento di lusso,
- così bruciava anche quello!
- - Ma nemmeno tenerlo in questa gabbia!
- - Lo faranno morire dalla rabbia!
- - Morire! È uno che se la piglia!
- - È più tranquillo di noi!
- - Io dico che ci si diverte.
- - Ma la sua famiglia?
- - Chi sa da che parte di mondo è venuto!
- - Questa robaccia non à mica famiglia!
- - Sicuro, è roba allo sbaraglio!
- - Se venisse dall'inferno?
- - Povero diavolaccio!
- - Avreste anche compassione?
- Se v'avesse bruciata la casa
- non direste così.
- - La vostra l'à bruciata?
- - Se non l'à bruciata
- poco c'è corso.
- À bruciato mezzo mondo
- questo birbaccione!
- - Almeno, vigliacchi, non gli sputate addosso,
- infine è una creatura!
- - Ma come se ne sta tranquillo!
- - Non à mica paura!
- - Io morirei dalla vergogna!
- - Star lì in mezzo alla berlina!
- - Per tre giorni!
- - Che gogna!
- - Dio mio che faccia bieca!
- - Che guardatura da brigante!
- - Se non ci fosse la gabbia
- io non ci starei!
- - Se a un tratto si vedesse scappare?
- - Ma come deve fare?
- - Sarà forte quella gabbia?
- - Non avesse da fuggire!
- - Dai vani dei ferri non potrà passare?
- Questi birbanti si sanno ripiegare
- in tutte le maniere!
- - Che bel colpo oggi la polizia!
- - Se non facevan presto a accaparrarlo,
- ci mandava tutti in fumo!
- - Si meriterebbe altro che berlina!
- - Quando l'ànno interrogato,
- à risposto ridendo
- che brucia per divertimento.
- - Dio mio che sfacciato!
- - Ma che sorta di gente!
- - Io lo farei volentieri a pezzetti.
- - Buttatelo nel fosso!
- - Io gli voglio sputare
- un'altra volta addosso!
- - Se bruciassero un po' lui
- perché ridesse meglio!
- - Sarebbe la fine che si merita!
- - Quando sarà in prigione scapperà,
- è talmente pieno di scaltrezza!
- - Peggio d'una faina!
- - Non vedete che occhi che à?
- - Perché non lo buttano in un pozzo?
- - Nel cisternone del comune!
- - E ci sono di quelli
- che avrebbero pietà!
- - Bisogna esser roba poco pulita
- per aver compassione
- di questa sorta di persone!
- Largo! Largo! Largo!
- Ciarpame! Piccoli esseri
- dall'esalazione di lezzo,
- fetido bestiame!
- Ringollatevi tutti
- il vostro sconcio pettegolezzo,
- e che vi strozzi nella gola!
- Largo! Sono il poeta!
- Io vengo di lontano,
- il mondo ò traversato,
- per venire a trovare
- la mia creatura da cantare!
- Inginocchiatevi marmaglia!
- Uomini che avete orrore del fuoco,
- poveri esseri di paglia!
- Inginocchiatevi tutti!
- Io sono il sacerdote,
- questa gabbia è l'altare,
- quell'uomo è il Signore!
- Il Signore tu sei,
- al quale rivolgo,
- con tutta la devozione
- del mio cuore,
- la più soave orazione.
- A te, soave creatura,
- giungo ansante, affannato,
- ò traversato rupi di spine,
- ò scavalcato alte mura!
- Io ti libererò!
- Fermi tutti, v'ò detto!
- Tenete la testa bassa,
- picchiatevi forte nel petto,
- è il confiteor questo,
- della mia messa!
- T'ànno coperto d'insulti
- e di sputacchi,
- quello sciame insidioso
- di piccoli vigliacchi.
- Ed è naturale che da loro
- tu ti sia fatto allacciare:
- quegl'insetti immondi e poltroni,
- sono lividi di malefica astuzia,
- circola per le loro vene
- il sangue verde velenoso.
- E tu grande anima
- non potevi pensare
- al piccolo pozzo che t'avevan preparato,
- ci dovevi cascare.
- Io ti son venuto a liberare!
- Fermi tutti!
- Ti guardo dentro gli occhi
- per sentirmi riscaldare.
- Rannicchiato sotto il tuo mantello
- tu sei senza parole,
- come la fiamma: colore, e calore!
- E quel mantello nero
- te l'àn gettato addosso
- gli stolidi uomini vero,
- perché non si veda che sei tutto rosso?
- Oppure te lo sei gettato da te,
- per ricuoprire un poco
- l'anima tua di fuoco?
- Che guardi all'orizzonte?
- Se s'alza una favilla?
- Dimmi, non sei riuscito a trafugare
- l'ultimo zolfino?
- Ti si legge negli occhi!
- Ma ti saltan dagli occhi le faville,
- a cento, a cento, a mille!
- Tu puoi cogli occhi
- bruciare il mondo!
- T'à creato il sole,
- che bruci al sol guardarti?
- Quando tu bruci
- tu non sei più l'uomo,
- il Dio tu sei!
- Mi sento correr per le vene un brivido.
- Ti vorrei vedere quando abbruci,
- quando guardi le tue fiamme;
- tutte quelle bocche,
- tutte quelle labbra,
- tutte quelle lingue,
- non vengono a baciarti tutte?
- Non sono le tue spose
- voluttuose?
- Bello, bello, bello.... e Santo!
- Santo! Santo!
- Santo quando pensi di bruciare,
- Santo quando abbruci,
- Santo quando le guardi
- le tue fiamme sante!
- E voi, rimasti pietrificati dall'orrore,
- pregate, pregate a bassa voce,
- orazioni segrete.
- Anch'io sai, sono un incendiario,
- un povero incendiario che non può bruciare,
- e sono come te in prigione.
- Sono un poeta che ti rende omaggio,
- da povero incendiario mancato,
- incendiario da poesia.
- Ogni verso che scrivo è un incendio.
- Oh! Tu vedessi quando scrivo!
- Mi par di vederle le fiamme,
- e sento le vampe, bollenti
- carezze al mio viso.
- Incendio non vero
- è quello ch'io scrivo,
- non vero seppure è per dolo.
- Àn tutte le cose la polizia,
- anche la poesia.
- Là sopra il mio banco ove nacque,
- il mio libro, come per benedizione
- io brucio il primo esemplare,
- e guardo avido quella fiamma,
- e godo, e mi ravvivo,
- e sento salirmi il calore alla testa
- come se bruciasse il mio cervello.
- Come mi sento vile innanzi a te!
- Come mi sento meschino!
- Vorrei scrivere soltanto per bruciare!
- Nel segreto delle mie stanze
- passeggio vestito di rosso,
- e mi guardo in un vecchio specchio,
- pieno di ebbrezza,
- come fossi una fiamma,
- una povera fiamma che aspetta....
- il tuo riflesso!
- Fuori vado vestito di grigio,
- ovvero di nessun colore,
- c'è anche per le vesti una polizia,
- come per le parole.
- E quella per il fuoco
- è tremenda, accanita,
- gli uomini ànno orrore delle fiamme,
- gli uomini ser î,
- per questo ànno inventato i pompieri.
- Tu mi guardi, senza parlare,
- tu non parli,
- e i tuoi occhi mi dicono:
- uomo, poco farai tu che ciarli.
- Ma fido in te!
- T'apro la gabbia và!
- Guardali, guardali, come fuggono!
- Sono forsennati dall'orrore,
- la paura gli à tutti impazziti.
- Potete andare, fuggite, fuggite,
- egli vi raggiungerà!
- E una di queste mattine,
- uscendo dalla mia casa,
- fra le consuete catapecchie,
- non vedrò più le vecchie
- reliquie tarlite,
- così gelosamente custodite
- da tanto tempo!
- Non le vedrò più!
- Avrò un urlo di gioia!
- Ci sei passato tu!
- E dopo mi sentirò lambire le vesti,
- le fiamme arderanno
- sotto la mia casa....
- griderò, esulterò,
- m'avrai data la vita!
- Io sono una fiamma che aspetta!
- Và, passa fratello, corri, a riscaldare
- la gelida carcassa
- di questo vecchio mondo!
- La fiera dei morti
- I poeti cantano
- malinconicamente
- questa fiera;
- tutti alla stessa maniera,
- questa giornata grigia o nera.
- (Ma si può benissimo cantare
- anche in un'altra maniera).
- Dice che sempre piove
- un'acquerugiola trita,
- che tutto fiorisce nel fango
- in una primavera di pillacchere.
- Le solite antiche fole
- della solita antica gente!
- Oggi invece non piove,
- splende un magnifico sole;
- il tempo ci porta le sue cose nuove.
- Avete dei pensieri neri?
- Veniteli a svagare
- dentro i cimiteri.
- Potete entrare, avanti,
- fatevi tutti avanti,
- sono spalancate le porte,
- anche per chi non c'à persone morte!
- Tutti possono andare,
- girare a proprio piacimento;
- anche un poeta ci si può benissimo intruffolare
- per suo divertimento.
- Le solite baracche dei saltimbanchi
- fuori dei cancelli;
- quella classe sociale che à per mira
- di far conoscere agli uomini,
- meglio assai degli astronomi,
- che il mondo gira.
- Scimmie vestite da ballerina,
- oppure alla militare;
- una se ne va di braccetto
- con un sergentino,
- un'altra cerca di trascinare
- un caporale dietro in una stanza;
- una vestita da serva
- è tutta affaccendata per spazzare,
- un capitano dà uno schiaffo
- a un'ordinanza pietrificata.
- Donne che gridano a squarciagola
- di alcuni miracoli scientifici,
- l'ultima portata della scienza
- alla portata di qualunque sapienza,
- strane fisiche psicologiche deformità!
- E i buoni festaioli
- se ne stanno davanti in perplessità.
- Trombe tamburi piatti,
- tutti gridan come matti:
- è la fiera dei morti!
- I dolci fatti lì, immancabili dolci,
- che tutti stanno ad aspettare,
- le calde arroste
- che non riparano a castrare.
- Nelle osterie si suonano chitarre,
- si cantano canzonette paesane,
- gli ultimi stornelli popolari,
- o romanze napolitane.
- Dai beccai pendono sanguinanti,
- fenomenali, i primi ottimi porci,
- quelli d'ognissanti,
- che àn già sentito il primo freddo dei morti.
- E sui banchi, ammassata,
- oppure tortuosamente attaccata,
- chilometri di salsiccia,
- che sembra l'ammasso degli intestini malati
- di tutti i morti.
- I salumai ànno appesi
- i salamini nuovi, cotechini,
- zamponi, mortadelle;
- e viene fino sulla strada
- un odore stuzzicante
- di lepre e di pappardelle.
- Tutti si riversano a mangiare
- a crepapelle.
- I carabinieri a cavallo
- coi loro pennacchioni rossi,
- si fanno posto trionfanti
- nella calca stordita dei festanti.
- Ai cimiteri ci si può andare
- coi fiori, e senza i fiori,
- ma anche il più insopportabile,
- lontanissimo parente,
- si può aspettare quel giorno un fiore
- dalla sua antica gente.
- I morti non sono uguali,
- come credono tutti,
- e sopratutto, non sono muti,
- quelli almeno dei cimiteri
- sono indecentemente ciarlieri.
- Sulla pelle della loro faccia marmifica,
- meglio assai che sui vivi,
- si qualifica la fisionomia
- caratteristica.
- «Qui riposa
- «l'uomo dalle rare virtù:
- «Telemaco Pessuto
- «d'anni cinquantatre,
- «padre e marito esemplare.»
- Se t'avessimo incontrato vivo,
- che l'avrebbe saputo?
- Tutti gironzan leggendo
- più o meno speditamente,
- alcuni sillabando.
- Ma non sapete che quelle parole
- che voi leggete con indifferenza,
- sono la faccia dei morti?
- Tutte quelle espressioni di dolcezze,
- sono l'espressione delle loro fattezze?
- Oh! Curiosa combinazione!
- «Celestina Verità
- «d'anni novantasette
- e accanto:
- «Peppino
- «d'anni tre
- «dei coniugi Del Re.»
- Strana combinazione!
- Quale fu, di voi due, la vostra mèta?
- Dovevate ognuno campare cent'anni,
- oppure, Peppino Del Re,
- Celestina Verità,
- faceste involontariamente
- della vostra vita
- una così parziale società?
- Fu Peppino che ti giunse, o Celestina,
- e ti trasse inaspettatamente
- tre anni dalla vita?
- O tu, Peppino, nascendo,
- trovasti i tuoi anni
- quasi tutti consumati
- dalla Celestina?
- Uno di voi fu il parassita
- dell'altro.
- Che poco posto occupano i morti,
- meno assai del naturale.
- E qualcuno di voi fu padrone
- da solo d'un podere,
- che sempre gli sembrò tanto piccino!
- Quelle alte pareti
- con tutte quelle teste fitte fitte,
- nell'immobilità,
- sembrano quelle di un loggione
- per una straordinaria rappresentazione.
- E tutti gironzano indifferenti,
- sgusciando calde arroste,
- succiando confetti, o i duri di menta,
- leggiucchiando senza fede
- le ciarle di quei poveretti.
- Gli uomini accorti,
- che passeggiano sempre fra i vivi,
- non vedono il momento
- di passeggiare fra i morti.
- I vivi àn delle facce,
- che per quanto espressive, sono mute,
- e una faccia per bene
- la possono avere anche i mascalzoni,
- invece le facce dei morti
- sono piene d'ottime informazioni.
- Se incontrate per via un giovine pensoso,
- come potete sapere se sia virtuoso?
- In cima al camposanto,
- sopra un grande palcone
- improvvisato per l'occasione,
- si mettono i teschî all'incanto.
- Lo circondano pigiate
- centinaia di persone,
- fissano l'atletico allottatore
- che grida fiocamente a squarciagola.
- Intorno è pieno di carabinieri,
- - Quattro!
- - Cinque!
- - Otto!
- - Dieci!
- - Quindici soldi!
- I primi vanno a ruba!
- - Si delibera signori!
- I più frettolosi pagano i teschî
- anche più d'una lira.
- Molti aspettano che la gara cessi
- e il prezzo ribassi.
- - Quattro!
- - Sei!
- - Otto!
- Una giovine sposa
- si stringe al braccio del suo sposo
- tutta piagnucolosa:
- - Comprami quel teschio.
- - Stai zitta! - Le dice il giovinotto
- - Comprami quel teschio,
- - Stai zitta grulla,
- verso sera gli daran via per nulla.
- - Dieci!
- - Undici!
- - Dodici!
- - Si delibera signori!
- - Comprami quel teschio.
- - Stai zitta t'ò detto,
- non vedi ch'è un teschiaccio vecchio?
- - Comprami quel teschio.
- - Se non stai zitta ti porto via;
- - Potrebbe essere il teschio della mamma mia.
- - Ma che mamma mia!
- - Cosa c'è stato laggiù, lontano?
- - Corrono i carabinieri!
- - Dove corre tutta quella gente?
- - Ànno arrestato quel nano
- che vendeva i teschi di seconda mano.
- E per le vie polverose,
- per le serpeggianti vie campagnole,
- in un bel tramonto pieno di vapori
- di fiamme e di viole,
- la gente se ne torna
- dai camposanti allegramente.
- E ogni buon diavolaccio
- se ne viene col suo teschio sotto il braccio.
- Le Beghine
- Frammenti di penne di struzzo,
- tentennanti
- polverose, intignate,
- su piccoli cestini
- in forma di nido d'uccello;
- questa è a un dispresso
- la forma del loro cappello.
- Roselline consumate, scolorite,
- indecifrabili tinte,
- stinte e ritinte;
- fiorellini impossibili,
- a ciuffettini a mazzettini,
- velettine come ragnatele,
- tutte bucherellate,
- su sulla fronte rialzate
- e molto tirate;
- di dietro un nodino
- col suo ciondolino.
- O cappelli in forma
- di piatto regolare,
- proprio nel mezzo
- un pennacchio strano,
- la punta d'una vecchia
- penna di fagiano
- messa tutta per ritto.
- Pennine di galline,
- di tacchino, di galletto,
- di cappone, tutto tutto sta bene
- sopra i cappelli delle beghine.
- Mantiglie di vecchio pizzo,
- con guarnizioni di gè,
- di tibet, a sproni di velluto,
- a guaine, con galicine
- di piccole trine.
- Giacchetti pieni di fianchette,
- e con gala alla vita,
- sul petto, e sopra le spalle,
- sottane con crespe,
- avanzi di cerchi qua e là,
- rimasugli di tornù,
- tutte bellissime cose
- che non si vedono più
- che alle beghine.
- Alcuna, per suprema dedizione,
- veste alla foggia dei preti,
- col suo bravo collare;
- qualcuna con compassata
- serietà monacale.
- Ma tutte, tutte
- siete un pochino studiate.
- Come mi piace di guardarvi!
- Vi aggirate, vi aggirate
- piene di compunzione,
- d'importanza e di pratica,
- piene di etichetta,
- per la vostra reggia prediletta.
- Fra gli ori, fra i damaschi,
- i pizzi degli altari,
- i doppieri i candelabri,
- andate e venite
- come in casa vostra.
- Inchini secchi
- di gambe irrigidite.
- Mi sembra di sognare
- alle decrepite reggie
- di spodestati re centenari,
- che tutto crepita crepita.
- V'alzate, andate, venite,
- v'inchinate, v'inchinate,
- vi ringinocchiate.
- Le vostra facce
- sono pugni di rughe,
- i vostri colli sbucano,
- si muovono fra i cenci,
- come colli di tartarughe.
- I vostri occhi quilquiano
- dalle infossature,
- con fare di puntiglio,
- di sussiego, di piccosità,
- di superficialità,
- per la vostra interiore
- grande sicurità.
- Dite, nella purità
- siete così avvizzite,
- o nel vizio?
- Come riconoscere
- dai vostri avanzi?
- Eppure siete ancora civette!
- Vi ungete, vi tingete malamente
- gli ultimi capelli,
- portate finte trecce,
- riccioli finti, tinti
- d'un altro colore;
- avete il vestito per le feste,
- e le feste siete meste,
- meste e cocciute;
- la gente che riempie
- la chiesa di colori
- vi urta, vi dà noia,
- non è più la vostra casa
- dove dovete regnare,
- la vostra reggia,
- perché in ognuna di voi
- c'è un fondo di regalità grottesca.
- Camminate a saltelli,
- o nella massima compostezza,
- taluna stampellando per la gotta,
- talaltra con un far da piruette,
- con mosse paralitiche del capo.
- Cosa foste? Cosa siete?
- Vecchie cameriere pensionate?
- Dame decadute?
- Taluna di voi non fu ballerina,
- taluna coccotte?
- Ballerina, coccotte!
- Come siete ridotte!
- V'intanaste nell'ostinazione
- della purità, o nessuno vi volle?
- O conosceste bene l'amore?
- Ecco il mistero
- che m'interessa in voi.
- L'amore! Voi!
- Quanti anni sono ormai?
- Io penso a denudarvi,
- cavarvi i vecchi giacchetti sbiaditi;
- i sudici panciotti
- che v'ammassate addosso
- per la paura delle polmoniti,
- spogliarvi, spogliarvi
- di quel sudicio fasciume,
- e avervi nude dinanzi.
- Gobbe, torte, mostruose,
- farvi rinascere per un istante solo
- un brivido del più orribile desiderio,
- vedervi ballettare dinanzi sconciamente,
- stampellare ridendo aizzate,
- le più vergini vorrei,
- magari quella
- che non fu toccata mai,
- e darvi i miei vent'anni!
- Sentirvi sotto cigolare,
- stridere, cricchiolare;
- schiacciarvi, pestarvi,
- darvi la più orribile gioia,
- il più feroce martirio!
- (Le vostre bocche
- sdentate, sinuose,
- mi fanno vedere
- libidini mostruose.)
- Contaminarvi tutte,
- tutte, darvi odio amore scherno,
- perdervi, gettare in un sol pugno,
- al vento, tutte le vostre preghiere,
- eppoi lasciarvi ridendo!
- Via! Via! Via!
- Cosa vedo dinanzi? Chi?
- Nuda dinanzi a me,
- la madre di mia madre,
- la vecchia....
- No! lo giuro!
- Non le ò mai toccate, le beghine,
- mi piace solamente di guardarle.
- E lasciatemi divertire!
(Canzonetta)
- Tri tri tri,
- fru fru fru,
- ihu ihu ihu,
- uhi uhi uhi!
- Il poeta si diverte,
- pazzamente,
- smisuratamente!
- Non lo state a insolentire,
- lasciatelo divertire
- poveretto,
- queste piccole corbellerie
- sono il suo diletto.
- Cucù rurù,
- rurù cucù,
- cuccuccurucù!
- Cosa sono queste indecenze,
- queste strofe bisbetiche?
- Licenze, licenze,
- licenze poetiche!
- Sono la mia passione
- Farafarafarafa,
- Tarataratarata,
- Paraparaparapa,
- Laralaralarala!
- Sapete cosa sono?
- Sono robe avanzate,
- non sono grullerie,
- sono la spazzatura
- delle altre poesie.
- Bubububu,
- Fufufufu,
- Friu!
- Friu!
- Ma se d'un qualunque nesso
- son prive,
- perché le scrive
- quel fesso?
- Bilobilobilobilobilo,
- blum!
- Filofilofilofilofilo,
- flum!
- Bilolù. Filolù.
- U.
- Non è vero che non voglion dire,
- voglion dire qualcosa.
- Voglion dire....
- come quando uno
- si mette a cantare
- senza saper le parole.
- Una cosa molto volgare.
- Ebbene, così mi piace di fare.
- Aaaaa!
- Eeeee!
- Iiiii!
- Ooooo!
- Uuuuu!
- A! E! I! O! U!
- Ma giovinotto,
- ditemi un poco una cosa,
- non è la vostra una posa,
- di voler con così poco
- tenere alimentato
- un sì gran foco?
- Huisc.... Huiusc....
- Sciu sciu sciu,
- koku koku koku.
- Ma come si deve fare a capire?
- Avete delle belle pretese,
- sembra ormai che scriviate in giapponese.
- Abì, alì, alarì.
- Riririri!
- Ri.
- Lasciate pure che si sbizzarrisca,
- anzi è bene che non la finisca.
- Il divertimento gli costerà caro,
- gli daranno del somaro
- Labala
- Falala
- Falala
- eppoi lala
- Lalala lalala.
- Certo è un azzardo un po' forte,
- scrivere delle cose così,
- che ci son professori oggidì
- a tutte le porte.
- Ahahahahahahah
- Ahahahahahahah
- Ahahahahahahah.
- Infine io ò pienamente ragione,
- i tempi sono molto cambiati,
- gli uomini non dimandano
- più nulla dai poeti,
- e lasciatemi divertire!
- Ginnasia e Guglielmina (*)
- Ginnasia e Guglielmina
- sono due belle cenerine,
- le mie care sorelline.
- Una persona in voga come me,
- non può far senza
- delle sorelline,
- ce ne vogliono almeno due o tre.
- Pio Decimo à le sue,
- come ogni buon uomo alla moda,
- due ottime sorelline
- colle quali andare a spasso per la mano
- nei giardini del Vaticano.
- Giovanni Pascoli,
- ch'è il primo poeta d'Italia,
- à anche lui la sorellina,
- ne à una, ma che ne vale due.
- Le belle cenerine
- sono le mie sorelline.
- Pire pire pire pire pire!
- Eccole come corrono
- le mie pirine,
- le due ragazzine civette,
- come corrono, le mie belle sculette!
- Come siete carine
- con tutte le vostre
- pennine cenerine.
- Uh! Se siete ingrassate,
- brutte mangione, che non sapete far altro
- delle vostre giornate.
- Venite belle cocche,
- venite pirine dal vostro Bubù,
- dal vostro gallettino rosso.
- Vi metterò il fioccone,
- il fioccone rosso,
- del colore del vostro padrone,
- che fa pandà col bel crestone,
- che sembra un cappellino di Parigi
- d'ultima moda,
- le mie civettone.
- Non fate che lisciarvi e carezzarvi
- le pennine,
- proprio come due sorelline
- ch'àn da trovar marito.
- Sono io il vostro gallettino,
- il vostro Bubù;
- non mi volete più?
- Brutte sgualdrine!
- Come vi voglio bene,
- come ci sto volentieri
- insieme con voi!
- Siete due sorelle deliziose,
- con tutte le grullerie,
- le stupidaggini di due ragazzine,
- ma che non ànno lingua
- altro che per dare
- una grande consolazione
- al loro caro fratellone.
- Oh! Io non sto più in me
- quando sento:
- cococococococococodè
- cococococococococodè
- cocodè cocodè.
- E la gioia che provo
- quando vengo a prendermi
- quel bell'uovo!
- Il vostro bel regalo, sorelline garbate
- Il cibo miracoloso per la mia salute.
- L'uovo fresco delle cenerine
- il mio cibo prediletto.
- Il pranzo
- E anche i pranzi e le cene
- devono essere numeri del programma
- della gente perbene.
- Si pranza così felicemente da per sè,
- nella più completa libertà,
- ma bisogna sottostare,
- come si fa?
- Un pranzo di etichetta
- in tutta la stagione,
- qualche pranzo famigliare,
- e per non crepare di noia, ogni tanto faccio
- una cenetta alla Boccaccio.
- Io prendo posto al centro della tavola,
- alla mia destra Ginnasia,
- a sinistra Guglielmina,
- in fronte Cherubina
- come padrona di casa.
- Io che faccio le mie cene
- con un uovo, o con due frittelline,
- e me ne avanza,
- che disgusto provo
- al passare d'ogni nuova pietanza,
- che mi conviene un po' assaggiare
- per la buona creanza.
- La cena procede con brio,
- con molta eleganza.
- Chi si diverte meno sono io.
- Se non fosse Stellina,
- se non fosse Cometuzza!
- Ogni tanto vengono a beccare nel mio piatto,
- io rido come un matto.
- Oppure saltano in mezzo al tavolo,
- e si mettono a beccare i fiori del bocchè
- come se fosse un cavolo!
- Che gioia per me!
- Se non fosse Cherubina
- con qualche sua smorfiettina
- piena di simpatia!
- Dà uno scappellotto
- al servo che le porge il vassoio,
- si prende un mezzo pollastro
- tutto per sè!
- Si leva qualche cosa
- dalla sacca della gola
- e la mette nel piatto del vicino.
- Caccia un osso dentro una bottiglia
- eppoi ci va a guardare piena di meraviglia.
- Mangia un pochino troppo colle mani,
- buffa, buffa!
- (Qualche invitato forse sbuffa).
- Che cosa ci posso fare
- se la padrona di casa
- è una birichina?
- Alle volte perfino
- si mette col suo culo sul suo piatto!
- (Mi par che gl'invitati si scandalizzino!)
- Io divento matto!
- E Cherubina lo rifà.
- Ma queste sono vere indecenze,
- è troppo, sono veri orrori!
- (Qualcuno deve gridare!)
- Infine Cherubina à ragione,
- io vi ò invitato ad una cena boccaccesca,
- miei nobili signori!
- E alla meglio,
- anche i pranzi e le cene passano,
- e la quiete desiderata
- ritorna nel mio bel castello.
Aldo Palazzeschi
Leggi l'articolo I grandi scrittori del Novecento: Aldo Palazzeschi un saltimbanco tra fantasia e divertissement
di Massimo Barile
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