- Sommario
- Editoriale a cura di Umberto Montefameglio
- Federico Garcia Lorca: «Tutta la luce del mondo sta in un occhio» di Massimo Barile
- News
Poesie di Federico Garcia Lorca
Da: Poema del cante jondo *** LA SOLEA - Vestita di neri mantelli
- pensa che il mondo è piccolo
- e il cuore è immenso.
- Vestita di neri mantelli.
- Pensa che il sospiro tenero
- e il grido scompaiono
- nella corrente del vento.
- Vestita di neri mantelli.
- Lasciò aperto il balcone
- e all'alba dal balcone
- entrò tutto il cielo.
- Ah ahi, ahi, ahi,
- vestita di neri mantelli!
*** GROTTA - Dalla grotta si levano
- lunghi singhiozzi.
- (Il viola
- sul rosso.)
- Il gitano rievoca
- paesi remoti.
- (Torri alte e uomini
- misteriosi.)
- Nella voce rotta
- vanno i suoi occhi.
- (Il nero
- sul rosso.)
- E la grotta imbiancata
- trema nell'oro.
- (Il bianco
- sul rosso.)
*** INCONTRO - Né tu né io
- siamo pronti
- a incontrarci.
- Tu... per quello che sai.
- L'ho amata tanto!
- Segui quella stradina.
- Nelle mani
- ho i buchi
- dei chiodi.
- Non vedi come
- mi dissanguo?
- Non guardare mai indietro.
- Vai adagio
- e prega con me
- San Gaetano,
- che né tu né io
- siamo pronti
- a incontrarci.
*** ALBA - Campane di Cordova
- alTalba.
- Campane mattutine
- a Granada.
- Vi ascoltano le ragazze
- che piangono la tenera
- soleà abbrunata.
- Le ragazze
- di Andalusia alta
- e bassa.
- Le ragazze di Spagna
- dal piede piccolo
- e le gonne frementi,
- che riempiono di luci
- i crocicchi.
- Oh, campane di Cordova
- all'alba,
- oh, campane mattutine
- a Granada!
*** DANZA NELL'ORTO DELLA PETENERA - Nella notte dell'orto
- sei gitane
- vestite di bianco
- danzano.
- Nella notte dell'orto
- incoronate
- di rose di carta
- e di busnaghe.
- Nella notte dell'orto,
- i loro denti di madrcperla
- incidono l'ombra
- bruciata.
- Nella notte dell'orto,
- le loro ombre si allungano,
- e toccano il cielo
- viola.
*** JUAN BREVA - Juan Breva aveva
- corpo di gigante
- e voce di bambina.
- Nulla di simile al suo trillo.
- Era la pena stessa
- che cantava
- dietro un sorriso.
- Evocava i limoneti
- di Malaga addormentata,
- e c'erano nel suo pianto tracce
- di sale marino.
- Come Omero cantò
- cieco. La sua voce aveva
- un non so che di mare senza luce
- e di arancio spremuto.
*** Da: Romancero gitano BELLA E IL VENTO A Dámaso Alonso
- La sua luna di pergamena
- Bella suonando viene,
- per un anfibio sentiero
- di cristalli e d'allori.
- Il silenzio senza stelle,
- fuggendo la cantilena
- cade dove il mare batte e canta
- la sua notte piena di pesci.
- Sulle cime della sierra
- dormono i carabinieri
- vigilando le bianche torri
- dove vivono gl'inglesi.
- E i gitani dall'acqua
- alzano per divertirsi
- pergolati di conchiglie
- e rami di verde pino.
- *
- La sua luna di pergamena
- Bella suonando viene.
- S'è levato vedendola
- il vento che mai non dorme.
- San Cristobalón nudo,
- pieno di lingue celesti,
- guarda la bambina che suona
- una dolce piva assente.
- Ragazza, lascia che alzi
- il tuo vestito per vederti.
- Apri alle mie dita vecchie
- la rosa azzurra del tuo ventre.
- Bella getta il tamburello
- e corre senza fermarsi.
- Il vento maschio l'insegue
- con una spada calda.
- Il mare aggrinza il suo rumore.
- Gli olivi impallidiscono.
- Cantano i flauti di penombra
- e il liscio gong della neve.
- Bella, corri, Bella
- che ti prende il vento satiro!
- Bella, corri, Bella!
- Guardalo da dove viene!
- Satiro di stelle basse
- con le sue lingue lucenti.
- *
- Bella, piena di paura,
- entra nella casa che ha,
- più in alto oltre i pini,
- il console degli inglesi.
- Allarmati dai gridi
- tre carabinieri vengono,
- chiusi nei loro mantelli neri
- e i berretti sulle tempie.
- L'inglese da alla gitana
- una tazza di tiepido latte,
- e un bicchiere di gin
- che Bella non beve.
- E mentre piangendo racconta
- la sua avventura a quella gente,
- sulle tegole di ardesia,
- il vento, furioso, morde.
*** ROMANZA SONNAMBULA A Gloria Giner e a Vernando de los Rios
- Verde que te quiero verde.
- Verde vento. Verdi rami.
- La barca sul mare
- e il cavallo sulla montagna.
- Con l'ombra alla cintura,
- essa sogna al suo balcone
- verde carne, capelli verdi,
- gli occhi d'argento freddo.
- *
- Verde que te quiero verde.
- Sotto la luna gitana
- le cose la stanno guardando
- ed essa non può guardarle.
- Verde que te quiero verde.
- Grandi stelle di brina
- vengono col pesce d'ombra
- che apre la strada dell'alba.
- Il fico raschia il vento
- con la squama dei suoi rami,
- e il monte, gatto ladro,
- alza le sue agavi.
- Ma chi verrà? e da dove?
- Essa sta sempre al balcone
- verde carne, capelli verdi,
- sognando il mare amaro.
- *
- Compare, voglio cambiare
- il mio cavallo con la sua casa,
- la mia bardatura col suo specchio,
- il mio coltello con la sua coperta.
- Compare, sanguinando
- arrivo dai valichi di Cabra.
- Se potessi, ragazzo,
- questo contratto si farebbe.
- Ma io ormai non sono io,
- né la mia casa è più la mia casa.
- *
- Compare, voglio morire
- con onore nel mio letto.
- Di acciaio, se è possibile,
- con i lenzuoli d'Olanda.
- Non vedi che ferita ho
- dal petto fino alla gola?
- Trecento rose brune
- porta il tuo bianco sparato.
- Il tuo sangue zampilla e odora
- intorno alla tua fascia.
- Ma io non sono più io,
- né la mia casa è più la mia casa.
- Lasciatemi almeno salire
- fino agli alti balconi.
- Lasciatemi salire! lasciatemi,
- fino ai verdi balconi.
- Ringhiere della luna
- da dove rimbomba l'acqua.
- *
- Già salgono i due compari
- verso le alte balaustre.
- Lasciando una traccia di sangue.
- Lasciando una traccia di lacrime.
- Tremavano sulle tegole
- lampioncini di latta.
- Mille cembali di cristallo
- ferivano l'alba.
- *
- Verde que te quiero verde,
- verde vento, verdi rami.
- I due compari salirono.
- II gran vento lasciava
- in bocca uno strano gusto
- di fiele, di menta e di basilico.
- Compare! Dov'è, dimmi,
- dov'è la tua ragazza amara?
- Quante volte t'aspettò!
- Quante volte t'ha aspettato,
- viso fresco, neri capelli
- su questo verde balcone!
- *
- Sul volto della cisterna
- si moveva la gitana.
- Verde carne, verdi capelli,
- occhi di freddo argento.
- Un ghiacciolo di luna
- la regge sull'acqua.
- La notte si fece intima
- come una piccola
- piazza.
- Guardie civili ubbriache
- battevano alla porta.
- Verde que te quiero verde.
- Verde vento, verdi rami.
- La barca sul mare.
- E il cavallo sulla montagna.
*** ROMANZA DEL CONVENUTO Per Emilio Aladrèn
- Solitudine mia senza riposo!
- Occhi piccoli del mio corpo
- t grandi del mio cavallo
- non si chiudono con la notte
- né guardano dalla parte
- da cui si allontana tranquillo
- un sogno di tredici barche.
- Ma chiari e duri
- vigili scudieri,
- i miei occhi mirano un punto
- di metalli e di rupi,
- dove il mio corpo senza vene
- consulta carte gelate.
- *
- I grandi buoi dell'acqua
- investono i ragazzi
- che si bagnano nelle lune
- delle loro corna arcuate.
- E i martelli cantavano
- sulle incudini sonnambule
- l'insonnia del cavaliere
- e l'insonnia del cavallo.
- *
- Il venticinque di giugno
- dissero all'Amargo:
- puoi tagliare se vuoi
- gli oleandri del tuo cortile.
- Dipingi una croce sulla porta
- e scrivici sotto il tuo nome,
- perché cicute e ortiche
- nasceranno dal tuo costato,
- e aghi di calce bagnata
- ti morderanno le scarpe.
- Avverrà al buio, di notte
- sui monti calanutati
- dove i buoi dell'acqua
- bevono giunchi sognando.
- Chiedi luci e campane.
- Impara a incrociare le mani
- e assaggia i venti freddi
- di metalli e di rupi.
- Perché tra due mesi
- giacerai nel sudario.
- *
- Grande spada nebulosa
- agita in aria Santiago.
- Silenzio grave
- stillava il ciclo curvo.
- *
- Il venticinque di giugno
- aprì gli occhi Amargo
- e il venticinque d'agosto
- si coricò per chiuderli.
- Uomini scendevano la strada
- per vedere il convenuto
- che fissava sopra il muro,
- la sua solitudine in riposo.
- E il lenzuolo impeccabile,
- di duro accento romano,
- equilibrava la morte
- con le pieghe della sua tela.
*** Da: Poeta a New York POESIE DELLA SOLITUDINE ALLA COLUMBIA UNIVERSITY - Furia color d'amore
- amor color d'oblio.
- Luis Cernuda
RITORNO - Assassinato dal cielo
- fra le forme che vanno verso la serpe
- e le forme che cercano il cristallo
- lascerò crescere i miei capelli.
- Con l'albero di moncherini che non canta
- e il bambino col bianco volto d'uovo.
- Con gli animalini dalla testa rotta
- e l'acqua lacera dei piedi secchi.
- Con tutto quello che è stanchezza sordomuta
- e farfalla annegata nel calamaio.
- Contro il mio volto diverso d'ogni giorno.
- Assassinato dal cielo!
*** 1910 (INTERMEZZO) - Quei miei occhi millenovecentodieci
- non videro seppellire i morti,
- né la festa di cenere di colui che piange all'alba,
- né il cuore che trema rannicchiato come un cavalluccio marino.
- Quei miei occhi millenovecentodieci
- videro la bianca parete dove orinavano le bambine,
- il muso del toro, il fungo velenoso
- e una luna incomprensibile che illuminava negli angoli
- i pezzi di limone secco sotto il nero duro delle bottiglie.
- Quei miei occhi sul collo del ronzino
- nel seno trafitto di Santa Rosa addormentata,
- sui tetti dell'amore, con gemiti e fresche mani,
- in un giardino dove i gatti mangiavano le rane.
- Soffitta dove la polvere vecchia raccoglie statue e muschi,
- casse che nascondono silenzi di granchi divorati
- nel luogo dove il sogno inciampava nella realtà.
- Là i miei piccoli occhi.
- Non chiedermi nulla. Ho visto che le cose
- quando cercano il loro corso trovano il vuoto.
- C'è un dolore di vuoti nell'aria senza gente
- e nei miei occhi creature vestite senza nudo!
- New York, agosto 1929
*** IL COZZO E LA MORTE - Alle cinque della sera.
- Eran le cinque in punto della sera.
- Un bambino portò il lenzuolo bianco
- alle cinque della sera.
- Una sporta di calce già pronta
- alle cinque della sera.
- Il resto era morte e solo morte
- alle cinque della sera.
- Il vento portò via i cotoni
- alle cinque della sera.
- E l'ossido seminò cristallo e nichel
- alle cinque della sera.
- Già combatton la colomba e il leopardo
- alle cinque della sera.
- E una coscia con un corno desolato
- alle cinque della sera.
- Cominciarono i suoni di bordone
- alle cinque della sera.
- Le campane d'arsenico e il fumo
- alle cinque della sera.
- Negli angoli gruppi di silenzio
- alle cinque della sera.
- Solo il toro ha il cuore in alto!
- alle cinque della sera.
- Quando venne il sudore di neve
- alle cinque della sera.
- quando l'arena si coperse di iodio
- alle cinque della sera,
- la morte pose le uova nella ferita
- alle cinque della sera.
- Alle cinque della sera.
- Alle cinque in punto della sera.
- Una bara con ruote è il letto
- alle cinque della sera.
- Ossa e flauti suonano nelle sue orecchie
- alle cinque della sera.
- Il toro già mugghiava dalla fronte
- alle cinque della sera.
- La stanza s'iridava d'agonia
- alle cinque della sera.
- Da lontano già viene la cancrena
- alle cinque della sera.
- Tromba di giglio per i verdi inguini
- alle cinque della sera.
- Le ferite bruciavan come soli
- alle cinque della sera,
- e la folla rompeva le finestre
- alle cinque della sera.
- Alle cinque della sera.
- Ah! che terribili cinque della sera!
- Eran le cinque a tutti gli orologi!
- Eran le cinque nell'ombra della sera!
Da: Poema del canto jondo *** LA SOLEA - Vestidas con mantos
- negros piensa que el mundo es chiquito
- y el corazón es inmenso.
- Vestida con mantos negros.
- Piensa que el suspiro tierno
- y el grito, desaparecen
- en la corriente del viento.
- Vestida con mantos negros.
- Se dejó el balcón abietto
- y el alba por el balcón
- desembocó todo el ciclo.
- Ay yayayayay,
- que vestida con mantos negros!
*** CUEVA - De la cueva salen
- largos sollozos.
- ( Lo cárdeno
- sobre el rojo.)
- El gitano evoca
- países remotos.
- (Torres altas y hombres
- misteriosos.)
- En la voz entrecortada
- van sus ojos.
- (Lo negro
- sobre el rojo.)
- Y la cueva encalada
- tiembla en el oro.
- (Lo bianco
- sobre el rojo.)
*** ENCUENTRO - Ni tu ni yo estamos
- en disposición
- de encontrarnos.
- Tu... por lo que ya sabes.
- ¡Yo la he querido tanto !
- Sigue esa veredita.
- En las manos
- tengo los agujeros
- de los clavos.
- ¿No ves como me estoy
- desangrando?
- No mires nunca atrás,
- vete despacio
- y reza como yo
- a San Cayetano,
- que ni tú ni yo estamos
- en disposición
- de encontrarnos.
*** ALBA - Campanas de Córdoba
- en la madrugada.
- Campanas de amanecer
- en Granada.
- Os sienten todas las muchachas
- que lloran a la tierna
- soleá enlutada.
- Las muchachas
- de Andalucìa la alta
- y la baja.
- Las niñas de España,
- de pie menudo
- y temblorosas faldas,
- que han llenado de luces
- las encrucijadas.
- ¡Oh, campanas de Córdoba
- en la madrugada,
- y oh, campanas de amanecer
- en Granada!
*** DANZA EN EL HUERTO DE LA PETENERA - En la noche del huerto,
- seis gitanas,
- vestidas de blanco
- bailan.
- En la noche del huerto,
- coronadas,
- con rosas de papel
- y biznagas.
- En la noche del huerto,
- sus dientes de nácar,
- escriben la sombra
- quemada.
- Y en la noche del huerto,
- sus sombras se alargan,
- y llegan hasta el cielo
- moradas.
*** JUAN BREVA - Juan Breva tenía
- cuerpo de gigante
- y voz de niña.
- Nada como su trino.
- Era la misma
- pena cantando
- detràs de una sonrisa.
- Evoca los limonares
- de Málaga la dormida,
- y hay en su llanto dejos
- de sal marina.
- Como Homero cantò
- ciego. Su voz tenía,
- algo de mar sin luz
- y naranja exprimida.
*** Da: Romancero gitano RECIOSA Y EL AIRE A Dámaso Alonso
- Su luna de pergamino
- Preciosa tocando viene,
- por un anfibio sendero
- de cristales y laureles.
- El silencio sin estrellas,
- huyendo del sonsonete,
- cae donde el mar bate y canta
- su noche llena de peces.
- En los picos de la sierra
- los carabineros duermen
- guardando las blancas torres
- donde viven los ingleses.
- Y los gitanos del agua
- levantan por distraerse,
- glorietas de caracolas
- y ramas de pino verde.
- *
- Su luna de pergamino
- Preciosa locando viene.
- Al verla se ha levantado
- el viento que nunca duerme.
- San Cristobalón desnudo,
- lleno de lenguas celestes,
- mira la niña locando
- una dulce gaita ausente.
- Niña, deja que levante
- tu vestido para verte.
- Abre en mis dedos antiguos
- la rosa azul de tu vientre.
- Preciosa tira el pandero
- y corre sin detenerse.
- El viento-hombrón la persigue
- con una espada caliente.
- Frunce su rumor el mar.
- Los olivos palidecen.
- Cantan las flautas de umbría
- y el liso gong de la nieve.
- ¡Preciosa, corre, Preciosa,
- que te coge el viento verde!
- ¡Preciosa, corre, Preciosa!
- ¡Mìralo por dónde viene!
- Sàtiro de estrellas bajas
- con sus lenguas relucientes.
- *
- Preciosa, llena de miedo,
- entra en la casa que tiene,
- màs arriba de los pinos,
- el cónsul de los ingleses.
- Asustados por los gritos
- tres carabineros vienen,
- sus negras capas ceñidas
- y los gorros en las sienes.
- El inglés da a la gitana
- un vaso de tibia leche,
- y una copa de ginebra
- que Preciosa no se bebé.
- Y mientras cuenta, llorando,
- su aventura a aquella gente,
- en las tejas de pizarra
- el viento, furioso, muerde.
*** ROMANCE SONÁMBULO A Gloria Giner y a Fernando de los Ríos
- Verde que te quiero verde.
- Verde viento. Verdes ramas.
- El barco sobre la mar
- y el caballo en la montaña.
- Con la sombra en la cintura,
- ella sueña en su baranda
- verde carne, pelo verde,
- con ojos de fría plata.
- *
- Verde que te quiero verde.
- Bajo la luna gitana,
- las cosas la estàn mirando
- y ella no puede mirarlas.
- Verde que te quiero verde.
- Grandes estrellas de escarcha,
- vienen con el pez de sombra
- que abre el camino del alba.
- La higuera frota su viento
- con la lij a de sus ramas,
- y el monte, gato garduño,
- eriza sus pitas agrias.
- ¿Pero quién vendrà? ¿Y por dónde...?
- Ella sigue en su baranda,
- verde carne, pelo verde,
- sonando en la mar amarga.
- *
- Compadre, quiero cambiar
- mi caballo por su casa,
- mi montura por su espejo,
- mi cucinilo por su manta.
- Compadre, vengo sangrando,
- desde los puertos de Cabra.
- Si yo pudiera, mocito,
- este trato se cerraba.
- Pero yo ya no soy yo
- ni mi casa es ya mi casa.
- *
- Compadre, quiero morir
- decentemente en mi cama.
- De acero, si puede ser,
- con las sàbanas de holanda.
- ¿No veis la herida que tengo
- desde el pecho a la garganta?
- Trescientas rosas morenas
- lleva tu pechera bianca.
- Tu sangre rezuma y huele
- alrededor de tu faja.
- Pero yo ya no soy yo.
- Ni mi casa es ya mi casa.
- Dejadme subir al menos
- hasta las altas barandas,
- ¿Dejadme subir!,
- dejadme hasta las verdes barandas.
- Barandales de la luna
- por donde retumba el agua.
- *
- Ya suben los dos compadres
- hacia las altas barandas.
- Dejando un rastro de sangre.
- Dejando un rastro de làgrimas.
- Temblaban en los tejados
- farolillos de hojalata.
- Mil panderos de cristal,
- herìan la madrugada.
- *
- Verde que te quieto verde,
- verde viento, verdes ramas.
- Los dos compadres subieron.
- El largo viento dejaba
- en la boca un raro gusto
- de hiel, de menta y de albahaca.
- ¡Compadre! ¿Dónde está, dime?
- ¿Dónde está tu niña amarga?
- ¡Cuántas veces te esperò!
- ¡Cuántas veces te esperara,
- cara fresca, negro pelo,
- en esta verde baranda!
- *
- Sobre el rostro del aljibe,
- se mecía la gitana.
- Verde carne, pelo verde,
- con ojos de fría piata.
- Un caràmbano de luna
- la sostiene sobre el agua.
- La noche se puso ìntima
- omo una pequeña
- plaza.
- Guardias civiles borrachos
- en la puerta golpeaban.
- Verde que te quiero verde.
- Verde viento. Verdes ramas.
- El barco sobre la mar.
- Y el caballo en la montaña.
*** ROMANCE DEL EMPLAZADO Para Emilio Aladrèn
- ¡Mi soledad sin descanso!
- Ojos chicos de mi cuerpo
- y grandes de mi caballo,
- no se cierran por la noche
- ni miran al otro lado
- donde se aleja tranquilo
- un sueño de trece barcos.
- Sino que, limpios y duros
- escuderos desvelados,
- mis ojos miran un norte
- de metales y peñascos
- donde mi cuerpo sin venas
- consulta naipes helados.
- *
- Los densos bueyes del agua
- embisten a los muchachos
- que se bañan en las lunas
- de sus cuernos ondulados.
- Y los martillos cantaban
- sobre los yunques sonàmbulos,
- el insomnio del jinete
- y el insomnio del caballo.
- *
- El veinticinco de junio
- le dijeron a el Amargo:
- Ya puedes cortar si gustas
- las adelfas de tu patio.
- Pinta una cruz en la puerta
- y pon tu nombre debajo,
- porque cicutas y ortigas
- naceràn en tu costado,
- y agujas de cai mojada
- te morderàn los zapatos.
- Sera de noche, en lo oscuro,
- por los montes imantados,
- donde los bueyes del agua
- beben los juncos soñando.
- Pide luces y campanas.
- Aprende a cruzar las manos,
- y gusta los aires frìos
- de metales y penascos.
- Porque dentro de dos meses
- yaceràs amortajado.
- *
- Espadón de nebulosa
- mueve en el aire Santiago.
- Grave silencio, de espalda,
- manaba el cielo combado.
- *
- El veinticinco de junio
- abrió sus ojos Amargo,
- y el veinticinco de agosto
- se tendió para cerrarlos.
- Hombres bajaban la calle
- para ver al emplazado,
- que fijaba sobre el muro
- su soledad con descanso.
- Y la sábana impecable,
- de duro acento romano,
- daba equilibrio a la muerte
- con las rectas de sus paños.
*** Da: Poeta a New York POEMAS DE LA SOLEDAD EN COLUMBIA UNIVERSITY - Furia color de amor,
- amor color de olvido.
- Luis Cernuda
VUELTA DE PASEO - Asesinado por el cielo,
- entre las formas que van hacia la sierpe
- y las formas que buscan el cristal,
- dejaré crecer mis cabellos.
- Con el àrbol de munones que no canta
- y el nino con el bianco rostro de huevo.
- Con los animalitos de cabeza rota
- y el agua harapienta de los pies secos.
- Con todo lo que tiene cansancio sordomudo
- y mariposa ahogada en el tintero.
- Tropezando con mi rostro distinto de cada dìa.
- ¡Asesinado por el cielo!
*** 1910 (INTERMEDIO) - Aquellos ojos mìos de mil novecientos diez
- no vieron enterrar a los muertos,
- ni la feria de ceniza del que llora por la madrugada,
- ni el corazón que tiembla arrinconado como un caballito
- de mar.
- Aquellos ojos mìos de mil novecientos diez
- vieron la bianca pared donde orinaban las niñas,
- el hocico del toro, la seta venenosa
- y una luna incomprensible que iluminaba por los rincones
- los pedazos de limón seco bajo el negro duro de las botellas.
- Aquellos ojos mìos en el cucilo de la jaca,
- en el seno traspasado de Santa Rosa dormida,
- en los tejados del amor, con gemidos y frescas manos,
- en un jardìn donde los gatos se comìan a las ranas.
- Desván donde el polvo viejo congrega estatuas y musgos,
- cajas que guardan silencio de cangrejos devorados
- en el sitio donde el sueno tropezaba con su realidad.
- Alii mis pequenos ojos.
- No preguntarme nada. He visto que las cosas
- cuando buscan su curso encuentran su vacìo.
- Hay un dolor de huecos por el aire sin gente
- y en mis ojos criaturas vestidas ¡sin desnudo!
New York, agosto 1929
*** LA COGIDA Y LA MUERTE - A las cinco de la tarde.
- Eran las cinco en punto de la tarde.
- Un niño trajo la bianca sábana
- a las cinco de la tarde.
- Una espuerta de cai ya prevenida
- a las cinco de la tarde.
- Lo demás era muerte y sólo muerte
- a las cinco de la tarde.
- El viento se llevó los algodones
- a las cinco de la tarde.
- Y el óxido sembrò cristal y níquel
- a las cinco de la tarde.
- Ya luchan la paloma y el leopardo
- a las cinco de la tarde.
- Y un muslo con un asta desolada
- a las cinco de la tarde.
- Comenzaron los sones del bordón
- a las cinco de la tarde.
- Las campanas de arsénico y el humo
- a las cinco de la tarde.
- En las esquinas grupos de silencio
- a las cinco de la tarde.
- ¡Y el toro solo corazón arriba!
- a las cinco de la tarde.
- Cuando el sudor de nieve fue llegando
- a las cinco de la tarde.
- cuando la plaza se cubrió de yodo
- a las cinco de la tarde,
- la muerte puso huevos en la herida
- a las cinco de la tarde.
- A las cinco de la tarde.
- A las cinco en punto de la tarde.
- Un ataúd con ruedas es la cama
- a las cinco de la tarde.
- Huesos y flautas suenan en su oído
- a las cinco de la tarde.
- El toro ya mugía por su frente
- a las cinco de la tarde.
- El cuarto se irisaba de agonía
- a las cinco de la tarde.
- A lo lejos ya viene la gangrena
- a las cinco de la tarde.
- Trompa de lirio por las verdes ingles
- a las cinco de la tarde.
- Las heridas quemaban como soles
- a las cinco de la tarde,
- y el gentío rompía las ventanas
- a las cinco de la tarde.
- A las cinco de la tarde.
- ¡Ay qué terribles cinco de la tarde!
- ¡Eran las cinco en todos los relojes!
- ¡Eran las cinco en sombra de la tarde!
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