Rivista Club degli autori n° 163-164-165-166
Settembre 2006
 
Poesie di Federico Garcia Lorca
Da: Poema del cante jondo
 
***
 
LA SOLEA
 
Vestita di neri mantelli
pensa che il mondo è piccolo
e il cuore è immenso.
 
Vestita di neri mantelli.
 
Pensa che il sospiro tenero
e il grido scompaiono
nella corrente del vento.
 
Vestita di neri mantelli.
 
Lasciò aperto il balcone
e all'alba dal balcone
entrò tutto il cielo.
 
Ah ahi, ahi, ahi,
vestita di neri mantelli!
 
***
 
GROTTA
 
Dalla grotta si levano
lunghi singhiozzi.
 
(Il viola
sul rosso.)
 
Il gitano rievoca
paesi remoti.
 
(Torri alte e uomini
misteriosi.)
 
Nella voce rotta
vanno i suoi occhi.
 
(Il nero
sul rosso.)
 
E la grotta imbiancata
trema nell'oro.
 
(Il bianco
sul rosso.)
 
***
 
INCONTRO
 
Né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.
Tu... per quello che sai.
L'ho amata tanto!
Segui quella stradina.
Nelle mani
ho i buchi
dei chiodi.
Non vedi come
mi dissanguo?
Non guardare mai indietro.
Vai adagio
e prega con me
San Gaetano,
che né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.
 
***
 
ALBA
 
Campane di Cordova
alTalba.
Campane mattutine
a Granada.
Vi ascoltano le ragazze
che piangono la tenera
soleà abbrunata.
Le ragazze
di Andalusia alta
e bassa.
Le ragazze di Spagna
dal piede piccolo
e le gonne frementi,
che riempiono di luci
i crocicchi.
Oh, campane di Cordova
all'alba,
oh, campane mattutine
a Granada!
 
***
 
DANZA
 
NELL'ORTO DELLA PETENERA
 
Nella notte dell'orto
sei gitane
vestite di bianco
danzano.
 
Nella notte dell'orto
incoronate
di rose di carta
e di busnaghe.
 
Nella notte dell'orto,
i loro denti di madrcperla
incidono l'ombra
bruciata.
 
Nella notte dell'orto,
le loro ombre si allungano,
e toccano il cielo
viola.
 
***
 
JUAN BREVA
 
Juan Breva aveva
corpo di gigante
e voce di bambina.
Nulla di simile al suo trillo.
Era la pena stessa
che cantava
dietro un sorriso.
Evocava i limoneti
di Malaga addormentata,
e c'erano nel suo pianto tracce
di sale marino.
Come Omero cantò
cieco. La sua voce aveva
un non so che di mare senza luce
e di arancio spremuto.
 
***
 
Da: Romancero gitano
 
BELLA E IL VENTO
 

A Dámaso Alonso

 
La sua luna di pergamena
Bella suonando viene,
per un anfibio sentiero
di cristalli e d'allori.
Il silenzio senza stelle,
fuggendo la cantilena
cade dove il mare batte e canta
la sua notte piena di pesci.
Sulle cime della sierra
dormono i carabinieri
vigilando le bianche torri
dove vivono gl'inglesi.
E i gitani dall'acqua
alzano per divertirsi
pergolati di conchiglie
e rami di verde pino.
*
La sua luna di pergamena
Bella suonando viene.
S'è levato vedendola
il vento che mai non dorme.
San Cristobalón nudo,
pieno di lingue celesti,
guarda la bambina che suona
una dolce piva assente.
Ragazza, lascia che alzi
il tuo vestito per vederti.
Apri alle mie dita vecchie
la rosa azzurra del tuo ventre.
Bella getta il tamburello
e corre senza fermarsi.
Il vento maschio l'insegue
con una spada calda.
Il mare aggrinza il suo rumore.
Gli olivi impallidiscono.
Cantano i flauti di penombra
e il liscio gong della neve.
 
Bella, corri, Bella
che ti prende il vento satiro!
Bella, corri, Bella!
Guardalo da dove viene!
Satiro di stelle basse
con le sue lingue lucenti.
*
Bella, piena di paura,
entra nella casa che ha,
più in alto oltre i pini,
il console degli inglesi.
 
Allarmati dai gridi
tre carabinieri vengono,
chiusi nei loro mantelli neri
e i berretti sulle tempie.
 
L'inglese da alla gitana
una tazza di tiepido latte,
e un bicchiere di gin
che Bella non beve.
 
E mentre piangendo racconta
la sua avventura a quella gente,
sulle tegole di ardesia,
il vento, furioso, morde.
 
***
 
ROMANZA SONNAMBULA
 

A Gloria Giner e a Vernando de los Rios

 
Verde que te quiero verde.
Verde vento. Verdi rami.
La barca sul mare
e il cavallo sulla montagna.
Con l'ombra alla cintura,
essa sogna al suo balcone
verde carne, capelli verdi,
gli occhi d'argento freddo.
*
Verde que te quiero verde.
Sotto la luna gitana
le cose la stanno guardando
ed essa non può guardarle.
Verde que te quiero verde.
Grandi stelle di brina
vengono col pesce d'ombra
che apre la strada dell'alba.
Il fico raschia il vento
con la squama dei suoi rami,
e il monte, gatto ladro,
alza le sue agavi.
Ma chi verrà? e da dove?
Essa sta sempre al balcone
verde carne, capelli verdi,
sognando il mare amaro.
*
Compare, voglio cambiare
il mio cavallo con la sua casa,
la mia bardatura col suo specchio,
il mio coltello con la sua coperta.
Compare, sanguinando
arrivo dai valichi di Cabra.
Se potessi, ragazzo,
questo contratto si farebbe.
Ma io ormai non sono io,
né la mia casa è più la mia casa.
*
Compare, voglio morire
con onore nel mio letto.
Di acciaio, se è possibile,
con i lenzuoli d'Olanda.
Non vedi che ferita ho
dal petto fino alla gola?
Trecento rose brune
porta il tuo bianco sparato.
Il tuo sangue zampilla e odora
intorno alla tua fascia.
Ma io non sono più io,
né la mia casa è più la mia casa.
Lasciatemi almeno salire
fino agli alti balconi.
Lasciatemi salire! lasciatemi,
fino ai verdi balconi.
Ringhiere della luna
da dove rimbomba l'acqua.
*
Già salgono i due compari
verso le alte balaustre.
Lasciando una traccia di sangue.
Lasciando una traccia di lacrime.
Tremavano sulle tegole
lampioncini di latta.
Mille cembali di cristallo
ferivano l'alba.
*
Verde que te quiero verde,
verde vento, verdi rami.
I due compari salirono.
II gran vento lasciava
in bocca uno strano gusto
di fiele, di menta e di basilico.
Compare! Dov'è, dimmi,
dov'è la tua ragazza amara?
Quante volte t'aspettò!
Quante volte t'ha aspettato,
viso fresco, neri capelli
su questo verde balcone!
*
Sul volto della cisterna
si moveva la gitana.
Verde carne, verdi capelli,
occhi di freddo argento.
Un ghiacciolo di luna
la regge sull'acqua.
La notte si fece intima
come una piccola
piazza.
 
Guardie civili ubbriache
battevano alla porta.
Verde que te quiero verde.
Verde vento, verdi rami.
La barca sul mare.
E il cavallo sulla montagna.
 
***
 
ROMANZA DEL CONVENUTO
 

Per Emilio Aladrèn

 
Solitudine mia senza riposo!
Occhi piccoli del mio corpo
t grandi del mio cavallo
non si chiudono con la notte
né guardano dalla parte
da cui si allontana tranquillo
un sogno di tredici barche.
Ma chiari e duri
vigili scudieri,
i miei occhi mirano un punto
di metalli e di rupi,
dove il mio corpo senza vene
consulta carte gelate.
*
I grandi buoi dell'acqua
investono i ragazzi
che si bagnano nelle lune
delle loro corna arcuate.
E i martelli cantavano
sulle incudini sonnambule
l'insonnia del cavaliere
e l'insonnia del cavallo.
*
Il venticinque di giugno
dissero all'Amargo:
puoi tagliare se vuoi
gli oleandri del tuo cortile.
Dipingi una croce sulla porta
e scrivici sotto il tuo nome,
perché cicute e ortiche
nasceranno dal tuo costato,
e aghi di calce bagnata
ti morderanno le scarpe.
Avverrà al buio, di notte
sui monti calanutati
dove i buoi dell'acqua
bevono giunchi sognando.
Chiedi luci e campane.
Impara a incrociare le mani
e assaggia i venti freddi
di metalli e di rupi.
Perché tra due mesi
giacerai nel sudario.
*
Grande spada nebulosa
agita in aria Santiago.
Silenzio grave
stillava il ciclo curvo.
*
Il venticinque di giugno
aprì gli occhi Amargo
e il venticinque d'agosto
si coricò per chiuderli.
Uomini scendevano la strada
per vedere il convenuto
che fissava sopra il muro,
la sua solitudine in riposo.
E il lenzuolo impeccabile,
di duro accento romano,
equilibrava la morte
con le pieghe della sua tela.
 
***
 
Da: Poeta a New York
 
POESIE DELLA SOLITUDINE
ALLA COLUMBIA UNIVERSITY
 
Furia color d'amore
amor color d'oblio.
Luis Cernuda
 
RITORNO
 
Assassinato dal cielo
fra le forme che vanno verso la serpe
e le forme che cercano il cristallo
lascerò crescere i miei capelli.
 
Con l'albero di moncherini che non canta
e il bambino col bianco volto d'uovo.
 
Con gli animalini dalla testa rotta
e l'acqua lacera dei piedi secchi.
 
Con tutto quello che è stanchezza sordomuta
e farfalla annegata nel calamaio.
 
Contro il mio volto diverso d'ogni giorno.
Assassinato dal cielo!
 
***
 
1910
 
(INTERMEZZO)
 
Quei miei occhi millenovecentodieci
non videro seppellire i morti,
né la festa di cenere di colui che piange all'alba,
né il cuore che trema rannicchiato come un cavalluccio marino.
 
Quei miei occhi millenovecentodieci
videro la bianca parete dove orinavano le bambine,
il muso del toro, il fungo velenoso
e una luna incomprensibile che illuminava negli angoli
i pezzi di limone secco sotto il nero duro delle bottiglie.
 
Quei miei occhi sul collo del ronzino
nel seno trafitto di Santa Rosa addormentata,
sui tetti dell'amore, con gemiti e fresche mani,
in un giardino dove i gatti mangiavano le rane.
 
Soffitta dove la polvere vecchia raccoglie statue e muschi,
casse che nascondono silenzi di granchi divorati
nel luogo dove il sogno inciampava nella realtà.
Là i miei piccoli occhi.
 
Non chiedermi nulla. Ho visto che le cose
quando cercano il loro corso trovano il vuoto.
C'è un dolore di vuoti nell'aria senza gente
e nei miei occhi creature vestite senza nudo!
 
New York, agosto 1929
 
***
 
IL COZZO E LA MORTE
 
Alle cinque della sera.
Eran le cinque in punto della sera.
Un bambino portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una sporta di calce già pronta
alle cinque della sera.
Il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
 
Il vento portò via i cotoni
alle cinque della sera.
E l'ossido seminò cristallo e nichel
alle cinque della sera.
Già combatton la colomba e il leopardo
alle cinque della sera.
E una coscia con un corno desolato
alle cinque della sera.
Cominciarono i suoni di bordone
alle cinque della sera.
Le campane d'arsenico e il fumo
alle cinque della sera.
Negli angoli gruppi di silenzio
alle cinque della sera.
Solo il toro ha il cuore in alto!
alle cinque della sera.
Quando venne il sudore di neve
alle cinque della sera.
quando l'arena si coperse di iodio
alle cinque della sera,
la morte pose le uova nella ferita
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Alle cinque in punto della sera.
 
Una bara con ruote è il letto
alle cinque della sera.
Ossa e flauti suonano nelle sue orecchie
alle cinque della sera.
Il toro già mugghiava dalla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s'iridava d'agonia
alle cinque della sera.
Da lontano già viene la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba di giglio per i verdi inguini
alle cinque della sera.
Le ferite bruciavan come soli
alle cinque della sera,
e la folla rompeva le finestre
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ah! che terribili cinque della sera!
Eran le cinque a tutti gli orologi!
Eran le cinque nell'ombra della sera!

Da: Poema del canto jondo
 
***
 
LA SOLEA
 
Vestidas con mantos
negros piensa que el mundo es chiquito
y el corazón es inmenso.
 
Vestida con mantos negros.
 
Piensa que el suspiro tierno
y el grito, desaparecen
en la corriente del viento.
 
Vestida con mantos negros.
 
Se dejó el balcón abietto
y el alba por el balcón
desembocó todo el ciclo.
 
Ay yayayayay,
que vestida con mantos negros!
 
***
 
CUEVA
 
De la cueva salen
largos sollozos.
 
( Lo cárdeno
sobre el rojo.)
 
El gitano evoca
países remotos.
 
(Torres altas y hombres
misteriosos.)
 
En la voz entrecortada
van sus ojos.
 
(Lo negro
sobre el rojo.)
 
Y la cueva encalada
tiembla en el oro.
 
(Lo bianco
sobre el rojo.)
 
***
 
ENCUENTRO
 
Ni tu ni yo estamos
en disposición
de encontrarnos.
Tu... por lo que ya sabes.
¡Yo la he querido tanto !
Sigue esa veredita.
En las manos
tengo los agujeros
de los clavos.
¿No ves como me estoy
desangrando?
No mires nunca atrás,
vete despacio
y reza como yo
a San Cayetano,
que ni tú ni yo estamos
en disposición
de encontrarnos.
 
***
 
ALBA
 
Campanas de Córdoba
en la madrugada.
Campanas de amanecer
en Granada.
Os sienten todas las muchachas
que lloran a la tierna
soleá enlutada.
Las muchachas
de Andalucìa la alta
y la baja.
Las niñas de España,
de pie menudo
y temblorosas faldas,
que han llenado de luces
las encrucijadas.
¡Oh, campanas de Córdoba
en la madrugada,
y oh, campanas de amanecer
en Granada!
 
***
 
DANZA
 
EN EL HUERTO DE LA PETENERA
 
En la noche del huerto,
seis gitanas,
vestidas de blanco
bailan.
 
En la noche del huerto,
coronadas,
con rosas de papel
y biznagas.
 
En la noche del huerto,
sus dientes de nácar,
escriben la sombra
quemada.
 
Y en la noche del huerto,
sus sombras se alargan,
y llegan hasta el cielo
moradas.
 
***
 
JUAN BREVA
 
Juan Breva tenía
cuerpo de gigante
y voz de niña.
Nada como su trino.
Era la misma
pena cantando
detràs de una sonrisa.
Evoca los limonares
de Málaga la dormida,
y hay en su llanto dejos
de sal marina.
Como Homero cantò
ciego. Su voz tenía,
algo de mar sin luz
y naranja exprimida.
 
***
 
Da: Romancero gitano
 
RECIOSA Y EL AIRE
 

A Dámaso Alonso

 
Su luna de pergamino
Preciosa tocando viene,
por un anfibio sendero
de cristales y laureles.
El silencio sin estrellas,
huyendo del sonsonete,
cae donde el mar bate y canta
su noche llena de peces.
En los picos de la sierra
los carabineros duermen
guardando las blancas torres
donde viven los ingleses.
Y los gitanos del agua
levantan por distraerse,
glorietas de caracolas
y ramas de pino verde.
*
Su luna de pergamino
Preciosa locando viene.
Al verla se ha levantado
el viento que nunca duerme.
San Cristobalón desnudo,
lleno de lenguas celestes,
mira la niña locando
una dulce gaita ausente.
Niña, deja que levante
tu vestido para verte.
Abre en mis dedos antiguos
la rosa azul de tu vientre.
Preciosa tira el pandero
y corre sin detenerse.
El viento-hombrón la persigue
con una espada caliente.
Frunce su rumor el mar.
Los olivos palidecen.
Cantan las flautas de umbría
y el liso gong de la nieve.
 
¡Preciosa, corre, Preciosa,
que te coge el viento verde!
¡Preciosa, corre, Preciosa!
¡Mìralo por dónde viene!
Sàtiro de estrellas bajas
con sus lenguas relucientes.
*
Preciosa, llena de miedo,
entra en la casa que tiene,
màs arriba de los pinos,
el cónsul de los ingleses.
 
Asustados por los gritos
tres carabineros vienen,
sus negras capas ceñidas
y los gorros en las sienes.
 
El inglés da a la gitana
un vaso de tibia leche,
y una copa de ginebra
que Preciosa no se bebé.
 
Y mientras cuenta, llorando,
su aventura a aquella gente,
en las tejas de pizarra
el viento, furioso, muerde.
 
***
 
ROMANCE SONÁMBULO
 

A Gloria Giner y a Fernando de los Ríos

 
Verde que te quiero verde.
Verde viento. Verdes ramas.
El barco sobre la mar
y el caballo en la montaña.
Con la sombra en la cintura,
ella sueña en su baranda
verde carne, pelo verde,
con ojos de fría plata.
*
Verde que te quiero verde.
Bajo la luna gitana,
las cosas la estàn mirando
y ella no puede mirarlas.
Verde que te quiero verde.
Grandes estrellas de escarcha,
vienen con el pez de sombra
que abre el camino del alba.
La higuera frota su viento
con la lij a de sus ramas,
y el monte, gato garduño,
eriza sus pitas agrias.
¿Pero quién vendrà? ¿Y por dónde...?
Ella sigue en su baranda,
verde carne, pelo verde,
sonando en la mar amarga.
*
Compadre, quiero cambiar
mi caballo por su casa,
mi montura por su espejo,
mi cucinilo por su manta.
Compadre, vengo sangrando,
desde los puertos de Cabra.
Si yo pudiera, mocito,
este trato se cerraba.
Pero yo ya no soy yo
ni mi casa es ya mi casa.
*
Compadre, quiero morir
decentemente en mi cama.
De acero, si puede ser,
con las sàbanas de holanda.
¿No veis la herida que tengo
desde el pecho a la garganta?
Trescientas rosas morenas
lleva tu pechera bianca.
Tu sangre rezuma y huele
alrededor de tu faja.
Pero yo ya no soy yo.
Ni mi casa es ya mi casa.
Dejadme subir al menos
hasta las altas barandas,
¿Dejadme subir!,
dejadme hasta las verdes barandas.
Barandales de la luna
por donde retumba el agua.
*
Ya suben los dos compadres
hacia las altas barandas.
Dejando un rastro de sangre.
Dejando un rastro de làgrimas.
Temblaban en los tejados
farolillos de hojalata.
Mil panderos de cristal,
herìan la madrugada.
*
Verde que te quieto verde,
verde viento, verdes ramas.
Los dos compadres subieron.
El largo viento dejaba
en la boca un raro gusto
de hiel, de menta y de albahaca.
¡Compadre! ¿Dónde está, dime?
¿Dónde está tu niña amarga?
¡Cuántas veces te esperò!
¡Cuántas veces te esperara,
cara fresca, negro pelo,
en esta verde baranda!
*
Sobre el rostro del aljibe,
se mecía la gitana.
Verde carne, pelo verde,
con ojos de fría piata.
Un caràmbano de luna
la sostiene sobre el agua.
La noche se puso ìntima
omo una pequeña
plaza.
 
Guardias civiles borrachos
en la puerta golpeaban.
Verde que te quiero verde.
Verde viento. Verdes ramas.
El barco sobre la mar.
Y el caballo en la montaña.
 
***
 
ROMANCE DEL EMPLAZADO
 

Para Emilio Aladrèn

 
¡Mi soledad sin descanso!
Ojos chicos de mi cuerpo
y grandes de mi caballo,
no se cierran por la noche
ni miran al otro lado
donde se aleja tranquilo
un sueño de trece barcos.
Sino que, limpios y duros
escuderos desvelados,
mis ojos miran un norte
de metales y peñascos
donde mi cuerpo sin venas
consulta naipes helados.
*
Los densos bueyes del agua
embisten a los muchachos
que se bañan en las lunas
de sus cuernos ondulados.
Y los martillos cantaban
sobre los yunques sonàmbulos,
el insomnio del jinete
y el insomnio del caballo.
*
El veinticinco de junio
le dijeron a el Amargo:
Ya puedes cortar si gustas
las adelfas de tu patio.
Pinta una cruz en la puerta
y pon tu nombre debajo,
porque cicutas y ortigas
naceràn en tu costado,
y agujas de cai mojada
te morderàn los zapatos.
Sera de noche, en lo oscuro,
por los montes imantados,
donde los bueyes del agua
beben los juncos soñando.
Pide luces y campanas.
Aprende a cruzar las manos,
y gusta los aires frìos
de metales y penascos.
Porque dentro de dos meses
yaceràs amortajado.
*
Espadón de nebulosa
mueve en el aire Santiago.
Grave silencio, de espalda,
manaba el cielo combado.
*
El veinticinco de junio
abrió sus ojos Amargo,
y el veinticinco de agosto
se tendió para cerrarlos.
Hombres bajaban la calle
para ver al emplazado,
que fijaba sobre el muro
su soledad con descanso.
Y la sábana impecable,
de duro acento romano,
daba equilibrio a la muerte
con las rectas de sus paños.
 
***
 
Da: Poeta a New York
 
POEMAS DE LA SOLEDAD
EN COLUMBIA UNIVERSITY
 
Furia color de amor,
amor color de olvido.
Luis Cernuda
 
VUELTA DE PASEO
 
Asesinado por el cielo,
entre las formas que van hacia la sierpe
y las formas que buscan el cristal,
dejaré crecer mis cabellos.
 
Con el àrbol de munones que no canta
y el nino con el bianco rostro de huevo.
 
Con los animalitos de cabeza rota
y el agua harapienta de los pies secos.
 
Con todo lo que tiene cansancio sordomudo
y mariposa ahogada en el tintero.
 
Tropezando con mi rostro distinto de cada dìa.
¡Asesinado por el cielo!
 
***
 
1910
 
(INTERMEDIO)
 
Aquellos ojos mìos de mil novecientos diez
no vieron enterrar a los muertos,
ni la feria de ceniza del que llora por la madrugada,
ni el corazón que tiembla arrinconado como un caballito
de mar.
 
Aquellos ojos mìos de mil novecientos diez
vieron la bianca pared donde orinaban las niñas,
el hocico del toro, la seta venenosa
y una luna incomprensible que iluminaba por los rincones
los pedazos de limón seco bajo el negro duro de las botellas.
 
Aquellos ojos mìos en el cucilo de la jaca,
en el seno traspasado de Santa Rosa dormida,
en los tejados del amor, con gemidos y frescas manos,
en un jardìn donde los gatos se comìan a las ranas.
 
Desván donde el polvo viejo congrega estatuas y musgos,
cajas que guardan silencio de cangrejos devorados
en el sitio donde el sueno tropezaba con su realidad.
Alii mis pequenos ojos.
 
No preguntarme nada. He visto que las cosas
cuando buscan su curso encuentran su vacìo.
Hay un dolor de huecos por el aire sin gente
y en mis ojos criaturas vestidas ¡sin desnudo!
 

New York, agosto 1929

 
***
 
LA COGIDA Y LA MUERTE
 
A las cinco de la tarde.
Eran las cinco en punto de la tarde.
Un niño trajo la bianca sábana
a las cinco de la tarde.
Una espuerta de cai ya prevenida
a las cinco de la tarde.
Lo demás era muerte y sólo muerte
a las cinco de la tarde.
 
El viento se llevó los algodones
a las cinco de la tarde.
Y el óxido sembrò cristal y níquel
a las cinco de la tarde.
Ya luchan la paloma y el leopardo
a las cinco de la tarde.
Y un muslo con un asta desolada
a las cinco de la tarde.
Comenzaron los sones del bordón
a las cinco de la tarde.
Las campanas de arsénico y el humo
a las cinco de la tarde.
En las esquinas grupos de silencio
a las cinco de la tarde.
¡Y el toro solo corazón arriba!
a las cinco de la tarde.
Cuando el sudor de nieve fue llegando
a las cinco de la tarde.
cuando la plaza se cubrió de yodo
a las cinco de la tarde,
la muerte puso huevos en la herida
a las cinco de la tarde.
A las cinco de la tarde.
A las cinco en punto de la tarde.
 
Un ataúd con ruedas es la cama
a las cinco de la tarde.
Huesos y flautas suenan en su oído
a las cinco de la tarde.
El toro ya mugía por su frente
a las cinco de la tarde.
El cuarto se irisaba de agonía
a las cinco de la tarde.
A lo lejos ya viene la gangrena
a las cinco de la tarde.
Trompa de lirio por las verdes ingles
a las cinco de la tarde.
Las heridas quemaban como soles
a las cinco de la tarde,
y el gentío rompía las ventanas
a las cinco de la tarde.
A las cinco de la tarde.
¡Ay qué terribles cinco de la tarde!
¡Eran las cinco en todos los relojes!
¡Eran las cinco en sombra de la tarde!
 

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