- Giorgio
de Chirico:
- l'Uomo
e l'Artista nel mondo
metafisico
-
- L'uomo e la sua arte
- In queste pagine non ho
inteso fare una inutile elencazione di tutto
ciò che ha creato Giorgio de Chirico ma ho solo
cercato di ricomporre i numerosi frammenti a volte
contrastanti nel tentativo di disegnare il ritratto di
un uomo, genio ed artista, che ha concepito una nuova
visione dell'arte. È implicito che ho dovuto
compiere una selezione drastica del materiale per
limitarmi alle poche pagine a disposizione. (Non
è escluso che l'esperienza si possa ripetere
con un secondo articolo).
- Ho letto ciò che de
Chirico ha scritto, ho osservato con maggior
attenzione le sue opere che d'altronde conosco a
memoria ed amo dalla prima volta che le guardai,
incuriosito e stupito, da un libro d'arte di mio
padre.
- Ricordo ancora quando vedevo
mio padre assorto nel suo studio davanti al cavalletto
intento a dipingere Renoir, Monet, Sisley, Utrillo.
Tutt'intorno una miriade di colori, boccette di vetro
e vasetti dal contenuto degno di un alchimista. La
luce penetrava appena dalla finestra, come un raggio
ispiratore e l'atmosfera soffusa regalava un mistero
indescrivibile. Quegli anni passati ad osservare e
scrutare i gesti lenti e meditati di mio padre mi
hanno portato ad amare l'arte sotto qualsiasi forma si
presentasse.
- Senza pregiudizi e con animo
leale.
-
- Nella storia dell'arte
Giorgio de Chirico è tra i massimi artisti del
nostro secolo. Non esiste una personalità
più complessa e contraddittoria. Pittore,
scultore, scrittore, precursore, inventore e
ricercatore di tecniche pittoriche. Non v'è
artista che sia riuscito a creare volontariamente
effetti così sconvolgenti, non v'è
pittore che sia stato così acuto nell'usare
l'ironia, o così grande mascheratore della
verità. Non esiste nessuno che assomigli al
pictor optimus, nessuno che sia stato capace di una
eguale proposta di inquietudini sul senso
dell'esistenza e sul significato dell'arte. Non
v'è una tradizione, uno stile o una tendenza
pittorica che possa contenere o limitare la
personalità di de Chirico. Nonostante
ciò egli ha attinto alla tradizione e si
è nutrito di tutto ciò che ogni stile
pittorico forniva, ha scandagliato come un esploratore
ogni angolo, ha ricercato con avidità ogni
elemento potesse fornire una nuova visione, una
creazione di immagini avvolte da una profonda poesia.
Di ogni esperienza vissuta è stato lui il poeta
ed il legislatore, l'ha conquistata e l'ha difesa con
coraggio al cospetto di chiunque fino ad arrivare,
senza remore, a ripudiarla quando ha deciso di
adottare una nuova via: ecco allora che si è
trovato ad essere di volta in volta metafisico,
classico, naturalista, inventore, parodia del pictor
optimus, conformista. Un geniale artista che ha sempre
creduto in se stesso ed è sempre stato
fermamente convinto che la "scelta imminente" era
l'unica opzione possibile, l'unica mèta da
perseguire.
- Anche il processo di
avvicinamento alla sua opera e l'approccio critico
nell'esaminarla deve necessariamente di volta in volta
plasmarsi e modellarsi sulle varie contraddizioni
della sua personalità: spesso ci troviamo di
fronte a sorprendenti rivelazioni dell'artista, altre
volte ad una fulminea polemica che dura un battito di
ciglia, altre volte ancora ad un manifesto
sarcasmo.
- Ne è un esempio
mirabile il rapporto che de Chirico ebbe con il Museum
of modern art di New York che attualmente possiede
numerose opere metafisiche del primo periodo. Nelle
sue Memorie de Chirico scrisse che il Museo d'arte
moderna di New York batteva, per gli orrori esposti,
addirittura la Galleria nazionale d'arte moderna di
Roma. La rabbia divenne furiosa quando il direttore
del museo gli inviò un volume intitolato "Art
in progress" e lui modificò il titolo sulla
costa del libro con un irridente "Art in progressive
putrefaction". Questo era de Chirico.
- Ma il suo percorso artistico
è sereno, procede attraversando diversi periodi
e svariate fasi pittoriche sempre con una maestosa
tranquillità: vi sono momenti di intensa
contemplazione, di silenzio ed immobilità, di
classicismo e nuova luce e colore, ma egli rende
sempre omaggio agli obblighi inderogabili di una
severa disciplina pittorica.
- È uno sperimentatore
di tecniche, le plasma al metodo che vuole adottare,
inventa miscugli, modifica e combina ricette, le
utilizza con risultati soddisfacenti e le diffonde.
È orgoglioso di ciò che produce e scrive
un trattato di tecnica pittorica; è creativo ed
ispirato ma non dimentica mai le esigenze di un
mestiere duttile. Il mistero della pittura lo
affascina. Dipinge stravaganti costruzioni ma con
prospettive perfette, recupera il mondo ellenistico,
riscopre le rovine romane, si tuffa
nell'antichità classica. Si inoltra nella
pittura del Rinascimento e scrive con passione: "In
questo secolo di faticoso lavoro compiuto attraverso
tutto il medioevo; i sogni di mezzanotte e i magnifici
incubi di Masaccio o di Paolo Uccello si risolvono
nella chiarezza immobile e nella trasparenza
adamantina di una pittura felice e tranquilla, ma che
serba in sé un'inquietudine come nave giunta al
porto sereno d'un paese solatìo e ridente dopo
aver vagato per mari tenebrosi e traversato zone
battute da venti contrari. Il Quattrocento ci offre
questo spettacolo, il più bello che ci sia dato
godere nella storia dell'arte nostra, d'una pittura
chiara e solida in cui figure e cose appaiono come
lavate e purificate e risplendenti d'una luce intensa.
Fenomeno di bellezza metafisica cha ha qualcosa di
primaverile e di autunnale nel tempo
stesso".
- Il mistero della pittura lo
affascina ancora di più, sempre di più.
Inizia a ricercare le miscele per i fondi, studia i
diversi sottostrati, l'amalgama, la matericità
e la fluidità dei colori, la permanenza
dell'intensità delle materie coloranti, la
stesura e la qualità. Non si vuole fermare alla
pura estetica dell'opera ma vuole ricercare la
perfezione fin dalla materia del supporto, negli
impasti delle miscele coloranti, nei giochi di luce,
nelle ombre e nei chiaroscuri da rendere alla
perfezione: vuole utilizzare nel miglior modo
possibile gli elementi che rendono viva un'opera.
-
- La ricerca
artistica
- Nato a Vòlos in
Grecia nel 1888, figlio di una baronessa genovese e di
un ingegnere siciliano trapiantato in Grecia, de
Chirico si muove in un paesaggio mitico. I luoghi lo
educano al culto della forma e la sua passione per il
disegno lo aiuta a sviluppare la fervida
immaginazione: il mare, le colline dei templi, le
rovine, le statue, le letture classiche. Ogni cosa
partecipa ad incrementare una cultura umanista.
- Il suo primo maesto di
disegno si chiama Mavrudis e il giovane de Chirico
rimane affascinato dalla sua bravura "... mi insegnava
a tracciare delicatamente i contorni di un naso, di un
occhio, della bocca... a ombreggiare e sfumare le
ombre con profonda maestria degna di un Raffaello e...
quando lo guardavo vagavo in un mondo chimerico di
fantasticherie: pensavo che quell'uomo potesse
disegnare tutto... le nubi fuggenti nel cielo e le
piante della terra, le fronde degli alberi mosse dal
vento ed i fiori dalle forme più complicate...
Guardandolo immaginavo di essere lui; sì avrei
voluto allora essere quell'uomo. Mi insegnò
l'amore per le linee pulite, per i bei contorni e le
forme ben modellate. Se oggi il mio maestro Mavrudis
fosse con me potrebbe condurre a scuola tutti i geni
modernisti ed insegnare loro che prima di essere
cèzanniani, picassiani, soutiniani o matissiani
e prima di avere l'emozione, l'angoscia, la
sincerità, la spontaneità ed altre
scemenze della stessa risma, farebbero meglio ad
imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis
e poi con quella punta cercare di disegnare bene un
occhio, un naso o una bocca".
- Scrive de Chirico nelle
Memorie che, ancora ragazzo, durante un soggiorno a
Venezia, esausto per le lunghe camminate a visitar
chiese, palazzi e dipinti, se avesse potuto fare
quello che voleva, invece di andare in giro tutto il
giorno ad affaticarsi, avrebbe volentieri passato il
suo tempo al Caffè Florian a mangiar paste con
la crema e gelati al cioccolato. Anche questo è
de Chirico e la sua golosità rimarrà
intatta anche negli anni a venire.
- Quegli anni sono il
sedimento culturale di de Chirico: il momento nel
quale diviene chiaro che la comprensione del mistero e
della bellezza della materia della grande pittura
è una cosa infinitamente più occulta e
più difficile a capire che non il lato poetico
e metafisico di un'opera d'arte. La profondità
e la metafisica delle opere di Boecklin, di Klinger,
di tutti quelli che hanno narrato qualcosa di poetico,
di sorprendente.
- "Quando confronto la
felicità di capire la qualità di una
materia pittorica con quella di capire il lato poetico
e metafisico sento che la prima è molto
più profonda e completa".
-
- Tutto ciò che
creerà più avanti negli anni, dai
disegni ai quadri ai libri, sarà
immancabilmente legato alle immagini, alle suggestioni
ed alle visioni della sua adolescenza, alla sua
memoria classica così fertile e
sorprendente.
- Dopo aver frequentato, dal
1906 al 1910, i corsi dell'Accademia di Monaco ed aver
studiato la pittura di Arnold Boecklin e di Max
Klinger con le loro influenze simboliste nonchè
le suggestioni dell'arte classica, de Chirico
approfondisce anche la lettura di Nietzsche e
Schopenhauer che avranno un forte influsso
sull'artista e risulteranno fondamentali per cogliere
il senso del percorso e della ricerca artistica e
filosofica di de Chirico. Da queste esperienze deriva
lo studio e l'elaborazione di una pittura enigmatica,
fatta di atmosfere sospese, di figure che anticipano
il clima dei futuri dipinti metafisici come L'enigma
di un pomeriggio d'autunno (1910), dipinto che segna
la nascita della metafisica, L'enigma dell'oracolo
(1910), L'enigma dell'ora (1911), L'enigma dell'arrivo
e del pomeriggio (1911).
- L'elaborazione della
dimensione metafisica si accresce con un altro gruppo
di opere dipinte tra il 1911 ed il 1914: sono le
famose Piazze d'Italia con i loro paesaggi urbani
deserti e silenziosi, fermati in pomeriggi assolati,
in una atmosfera immota. Le uniche presenze sono le
statue immerse nel silenzio come nel dipinto I piaceri
del poeta (1911); o le architetture fatte di piazze
con portici, torri, monumenti equestri come nel
dipinto La torre rossa (1913), considerato uno dei
massimi capolavori dell'artista e conservato alla
Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
- Siamo in pieno cubismo e a
Parigi de Chirico conosce Apollinaire e Picasso che ha
già dipinto L'Arlesiana ed ha già creato
i papiers collès utilizzando pezzi di stoffa e
ritagli di giornali.
- Giorgio de Chirico non viene
minimamente attratto da tali fermenti e idee
perchè è alla ricerca di una sua arte,
di una idea più profonda, più complessa.
Le astrazioni cubiste non lo interessano e vi
contrappone le solide immagini dei suoi templi e delle
sue basiliche deserte.
- "Io, solo nel mio squallido
atelier della rue Campagne-Première, cominciavo
a scorgere i primi fantasmi di un'arte più
completa, più profonda, più complicata
e, per dirlo in una parola a rischio però di
far venire le coliche epatiche a un critico francese:
più metafisica. Nuove terre apparvero
all'orizzonte. Il guantone di zinco colorito delle
terribili unghie dorate, altalenato sulla porta della
bottega dai soffi tristissimi dei pomeriggi cittadini,
m'indicava coll'indice rivolto ai lastroni del
marciapiede i segni ermetici di una nuova malinconia.
Sul soffitto scorgevo nuovi segni zodiacali quando
miravo la sua fuga disperata che andava a morire in
fondo alla stanza nel rettangolo della finestra aperta
sul mistero delle strade".
- De Chirico guarda solo alla
sua pittura enigmatica, portatrice di un senso di
abbandono, di un velo di mistero che permea ogni opera
e sono proprio questi gli elementi che mantengono
tuttora una carica innovativa ed emozionante: guardare
queste opere è una lenta osservazione, uno
scandaglio che esplora le profondità, una
paziente ricerca del dettaglio, una continua
riscoperta di riferimenti e di apparenze, di quel
senso di mistero che de Chirico riassumeva in una sola
parola: enigma.
- È decisamente una
pittura difficile e raffinata che farà
osservare come "le architetture e gli oggetti
collocati nello spazio secondo prospettive multiple
perdono il loro significato comune e diventano simboli
o metafore di concetti nascosti dietro l'apparenza del
mondo visibile. La metafisica diventa la scoperta del
mistero che si cela negli aspetti più comuni
del vivere, davanti ai nostri occhi". Una
novità densa di fascino che manterrà
tutta la sua portata inquietante tale da produrre
innumerevoli interpretazioni critiche e numerose
spiegazioni della pittura metafisica.
-
- Il mondo antico e la
nascita della Metafisica
- L'interesse sistematico di
de Chirico allo studio degli antichi, al mondo omerico
e miceneo, al reperto arheologico, fa tornare alla
mente il gusto all'antico del collezionismo romano
rinascimentale della corte papale, le ricognizioni
sistematiche del '600 e gli scavi italiani di Pompei
nel '700. Sono numerose le statue antiche (Cleopatra,
Apollo, Euripide, Minerva solo per citare le sculture
presenti nei Musei Vaticani) che entrano a far parte
della costruzione metafisica e testimoniano la
volontà di de Chirico di porsi in una
condizione di artista colto ed accademico utilizzando
proprio questa propensione e disposizione all'antico,
ai capolavori della scultura classica.
- Il mondo antico occupa
scenari di invenzione e di evocazione: la memoria
dell'arte e dell'architettura, la cultura classica e
la filosofia, diventano la linfa vitale della prima
rivelazione della pittura metafisica nel 1910, in
piazza Santa Croce a Firenze, con un dipinto come
L'enigma di un pomeriggio di autunno. È proprio
in uno scritto giovanile e poi nelle Memorie che de
Chirico descrive come nacque l'idea del suo dipinto
ispirato a un pomeriggio d'autunno: "Certo non era la
prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena
uscito da una dolorosa malattia... e mi trovavo in uno
stato di sensibilità quasi morbosa. ...A
Firenze dipingevo qualche volta quadri di piccole
dimensioni; il periodo boeckliniano era passato ed
avevo cominciato a dipingere soggetti ove cercavo di
esprimere quel forte e misterioso sentimento che avevo
scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle
belle giornate d'autunno, di pomeriggio, nelle
città italiane". Da questo momento inizia una
delle più emozionanti scoperte intellettuali
del Novecento e l'impatto della metafisica di de
Chirico segna in modo fondamentale la cultura
internazionale. Nel 1918 de Chirico spiegherà:
"C'è molto più mistero in una piazza
fossilizzata nel chiarore di un meriggio che non nelle
scienze occulte. La figura umana (e tutto ciò
che è vitale), è un paravento che ci
nasconde molte cose". La rivelazione nasce appunto
dalla pietrificazione e cioè dalla sostituzione
del paesaggio con le architetture, e dell'uomo con la
statua che poi sarà manichino. Questo processo
di pietrificazione, di stupore nell'immobilità,
di fossilizzazione dello spazio e del tempo è
la vera essenza della metafisica di de Chirico:
"L'arte... ci consiglia oggi più che mai
l'inquadramento e la diasprificazione totale
dell'universo. Il cielo deve essere serrato tra i
rettangoli delle finestre e le arcate dei portici
cittadini perchè lo si possa mungere sapien
temente alle vaste mammelle della sua cupola
traditrice. La stessa terra... è vinta oggi
dalla metafisicità delle umane costruzioni...
Tu vedi una stazione ferroviaria, una piazza
circondata da cubi di pietra colorata ed adorna di
squares e di statue in paletot, far zampillare getti
altissimi, veri geyser di lirismo
metafisico...".
-
- La nuova stagione dei
Manichini
- Nella pittura metafisica si
apre una nuova stagione che ha come pilastro un'altra
raffigurazione, dopo le architetture e le geo metrie
delle piazze, è con la creazione dei manichini
che de Chirico inaugura uno dei periodi più
affascinanti, più straordinari ed avventurosi
di tutta la sua opera e introduce una rivoluzione nel
campo dell'arte. "Il manichino di de Chirico
più che un personaggio vero e proprio è
un veicolo plastico. La sua struttura è
complessa ed elementare. È una macchina ma
è anche un essere soprannaturale, uno scheletro
ragionato, una specie di androgino matematico composto
di squadre, con una testa ovale senza lineamenti o con
un profilo proiettato. Ha qualcosa di solenne e di
conturbante. L'involucro di un eroe antico o futuro
non ancora identificato".
- Infatti de Chirico li mette
uno a fianco dell'altro, li separa, li articola
fornendo loro nuovi attributi, regala loro un nome:
Ettore e Andromaca, Il Trovatore, il Poeta, il
Pittore, il Filosofo, l' Archeologo. Il manichino
però conserva sempre la sua prospettiva e si
mantiene su piani leggermente inclinati: può
essere senza braccia o senza mani, sostenuto da
squadre, squadrette e righelli quasi come grucce
trigonometriche. Una parte della critica lo
definirà in modo astioso e becero "Dio
ortopedico" ma de Chirico è sopravvisuto anche
a questo.
-
- Le Muse inquietanti:
l'Opera
- Se esiste un dipinto che
è famosissimo, pubblicato su ogni libro d'arte
, emblematico e rappresentativo della produzione di de
Chirico, è Le Muse inquietanti, il quadro
simbolo della metafisica. Questa opera è la
sintesi di tutti gli elementi ed i caratteri
iconografici, formali e stilistici della versione
matura della metafisica. Domina una atmosfera sospesa
ed enigmatica e rappresenta una summa della produzione
metafisica di de Chirico. Eseguito nel 1918, durante
il soggiorno di de Chirico a Ferrara, questa opera
rappresenta uno dei massimi capolavori della
metafisica: raffigura una piazza silenziosa,
trasformata in un palcoscenico, chiuso ai lati e sul
fondo da edifici: il castello degli Estensi, una
torre, un'officina moderna con le ciminiere, un
palazzo rinascimentale. Quasi nascosta all'ombra di un
palazzo una statua senza volto che diventa presenza
muta. In primo piano due grandi manichini disposti
specularmente tra loro, in modo che l'osservatore ne
veda uno di schiena e l'altro di fronte quasi a voler
escludere ogni forma di comunicazione. Accanto a loro
sono disposte scatole colorate, una maschera ed un
bastone: oggetti di un mondo in bilico tra
realtà ed immaginazione, disposti su un
palcoscenico misterioso e non svelato dall'artista.
È in tutto questo che risiede la carica
enigmatica dell'immagine e la netta sensazione che non
ci si trova davanti ad una visione nata da un sogno ma
ad una realtà concreta, strutturata in volumi e
con le ombre che evidenziano l'ora pomeridiana. La
forma dei manichini che ricorda la statuaria arcaica,
un contesto architettonico che sfugge ad una logica
temporale, oggetti che fanno eco silenziosa alle muse
inquietanti senza un motivo logico che unisca tali
elementi nella loro apparizione. Il disegno
dettagliato, il colore smaltato, steso in modo
levigato, i chiaroscuri, la volumetria delle forme, il
colore nitido che esalta la matericità dei
manichini, delle scatole e degli edifici, sono
elementi che accentuano la scena e fanno lievitare il
carattere enigmatico dell'immagine.
- Il silenzio domina la scena
che pare fissata e cristallizzata in una dimensione
senza tempo. L'ambiguità figurativa determina
l'atmosfera sospesa e le divinità protettrici
delle arti sono inquietanti perchè non
v'è spiegazione al fatto che si trovino,
pietrificate e trasformate in manichini, in questa
piazza-palcoscenico.
-
- Ormai tutto ciò che
immagina, vede, raffigura e dipinge de Chirico diventa
inesorabilmente una cosa sua. Gladiatori, Cavalli
antichi, Bagni Misteriosi, Mobili nella valle: tutto
è immortalato ed ipnotizzato in una atmosfera
dechirichiana. Ogni cosa diventa meraviglia, perfino
gli oggetti comuni diventano suppellettili-metafore ed
assumono ruoli fantastici. Dal mondo classico e dalle
rovine di templi e capitelli si passa ai mobili in
serie, alle poltrone delle sale provinciali, ai letti
in ghisa. L'indagine sistematica e scientifica degli
scenari e il tripudio di invenzioni sono una fonte
eterna di energia per la sua continua voglia di essere
uno sperimentatore, un inventore: dall'idealismo passa
all'ironia, dall'astrattismo passa al naturalismo, dal
manichino alla natura morta.
- Da grande maestro di tecnica
pittorica quale è, riguarda, rivive, plasma,
ricontempla le esperienze passate e si tuffa nella sua
prodigiosa immaginazione. Non pone limiti alla sua
fantasia ed applica nuove tecniche, ricerca nuove
resine ed intrugli vari e riscopre l'uso dell'acqua
con diverse emulsioni: "La pittura delle grandi epoche
non è mai pittura ad olio... ma invece è
una polpa di bellissima qualità tinta con del
colore; ora in ogni polpa che si rispetti, da quella
d'una mela o del corpo umano, vi è sempre una
forte percentuale d'acqua; senza l'acqua non esiste
bellezza e buona qualità di
materia".
- Ormai gli oggetti e le
atmosfere non sono più limitate dalle esigenze
metafisiche: adesso dipinge tutto. Cavalli, frutta,
animali vari, corazze d'oro, tappeti e tessuti,
paesaggi all'aperto o solo quelli visibili dalla
finestra del suo studio. Ecco allora che il cerchio si
chiude e si ritorna allo studio del pittore col quale
abbiamo iniziato questo viaggio.
- Adesso lo studio è il
suo mondo. Nello studio ha a portata di mano i
pennelli, i pentolini per far bollire l'emulsione, i
vasetti e le bottiglie con le miscele segrete, i
disegni, le sue ricette misteriose che nessuno
può leggere, le nuove resine e le
inimmaginabili essenze. Nel suo studio adesso trova la
felicità di sentirsi "operaio" e proprio come
l'operaio sognatore si curva sulla tavolozza dove
stanno disposti i colori come un "minuscolo arcobaleno
composto da tante palline di topazi, di zaffiri, di
smeraldi, di turchesi e di rubini". In questo mondo
non desidera essere un mago ma solo un operaio e
scrive: "Quanto mai nobile è la fatica di
questi figli dell'arte, poichè tanta è
l'oscurità e l'ignoranza, tanta è la
malafede e la testardaggine che li circondano, che
allorquando a forza di faticare, di cercare, di
frugare, di osservare, di leggere, di pensare e
ripensare, di ordinare, di filtrare, di emulsionare,
di unire e separare, di aggiungere, di interrogare, di
guardare e riguardare, di pesare, di bagnare e di
asciugare, di sperare, di disperare e risperare
più di prima, essi riescono finalmente a
qualcosa di meglio, una felice sorpresa li fa tremare
di pura e santa gioia, perchè sentono che
quello che hanno trovato permetterà loro di
meglio operare".
- In queste parole
appassionate vi sono tutte le sue esperienze, le sue
solitarie ricerche, le sperimentazioni, le immancabili
contraddizioni di un artista: la sua vita.
- Il pictor optimus, l'operaio
sognatore, il padre metafisico, adesso è alla
ricerca della perfezione e le materie coloranti con le
alchimistiche essenze lo affascinano. Dipinge tutto
ciò che vede. Dipinge le stoffe e i costumi
d'epoca, gli oggetti d'argento, i bicchieri e le
teiere, la frutta, gli animali dall'oca, ai pesci alla
tigre reale. Dipinge scene sacre come la crocifissione
e il calvario. Ritratti ed autoritratti. Si veste da
pascià con turbante di raso adornato di perle,
perché il raso e le perle sono difficili da
dipingere.
- Ormai ha alle spalle una
vita di conoscenza e di coscienza del proprio
mestiere.
-
- Il lungo cammino verso la
vera arte
- Quello che è
particolarmente caratteristico nei riguardi di de
Chirico è l'inestinguibile sete di progresso
che lo accompagna sempre. Scriverà nelle
Memorie: "Io sono proprio il contrario di quello che
sono quasi tutti gli artisti e non solo gli artisti di
oggi i quali come si può constatare, non
avanzano nemmeno di un millimetro ogni dieci anni.
Pittori che io conosco da lungo tempo continuano
ancora e sempre a fare le stesse cose e se qualcuno
cambia soggetto di pittura lo fa, non per tentare di
migliorare la qualità della propria opera, ma
semplicemente per migliorare la propria situazione,
per vendere più facilmente, per rendersi
più favorevoli i critici e gli intellettuali,
pertanto il cambiamento riguarda solo il soggetto di
quello che fa e lo scopo che vuole raggiungere non
è per nulla uno scopo ideale e non ha nulla a
che vedere con la vera arte".
- Infatti se si guardano le
opere esposte alle mostre da de Chirico si nota un
continuo progresso, una marcia cadenzata ed ostinata
verso la maestria dei maggiori artisti del
passato.
- Ma de Chirico non dimentica
neanche i plagiatori della sua arte, della sua
metafisica quando racconta che capitò a Ferrara
Carlo Carrà, per caso nello stesso ospedale
militare dove de Chirico aveva ottenuto un permesso
per dipingere in tranquillità in una piccola
camera. "Quando Carrà mi vide fare i quadri
metafisici andò a comprare tele e colori e si
mise a rifare gli stessi soggetti cha facevo io, e
tutto con una spudoratezza ed un sans-gêne
veramente ammirevoli... Poi si affrettò a
tornare a Milano portando con sè i quadri
"metafisici" dipinti a Ferrara e si affrettò ad
organizzare una mostra, probabilmente con la speranza
di persuadere i suoi contemporanei che egli era il
solo ed unico inventore della pittura metafisica ed
io, caso mai, un suo oscuro e modesto imitatore. Tutte
queste manovre naturalmente erano di un'incredibile
ingenuità poichè si sapeva che i quadri
metafisici io li avevo già dipinti parecchi
anni prima ed erano stati esposti, riprodotti ed
acquistati".
- Da grande artista non ha
ereditato e non ha fatto sua nessuna delle svariate
teorie del secolo, si è lasciato solo
accarezzare da leggere infatuazioni ma non si è
fatto mai imprigionare dall'imperativo dell'epoca che
era "cercare l'estrema mobilità della
sensazione e fare del colore un seguito di
evaporazioni luministiche". Totalmente indifferente
all'egemonia francese di Cèzanne dipingeva
paesaggi immobili dove "era concesso deambulare solo
alle statue".
- Il caos quotidiano che gli
impressionisti si portavano dietro come esplosione
coloristica si infrange contro i muri delle piazze e
gli anfiteatri di de Chirico.
- Non è mai stato
sentimentale. Non è mai stato loquace. Non ha
mai avuto fretta. È stato creativo e fecondo ma
sempre con metodo e perseveranza. È sempre
stato ironico ed indifferente. Feroce con i
detrattori. Velenoso con la critica. Straordinario ed
irripetibile per la dovizia e la pratica pittorica in
diversi periodi della propria vita. È sempre
stato altero e di una forte personalità.
Studioso di filosofia, storia e letteratura. Scrittore
con il romanzo Ebdòmeros (1929) che rappresenta
una raffinata creazione della letteratura artistica.
Un artista completo: unico ed immune da ogni
confraternita, indifferente ai luoghi comuni, ironico
e sempre controcorrente: le sue preferenze non
coincidono mai con coloro che dominano la scena. La
direzione della sua avventura umana ed artistica
guarda sempre oltre: senza limiti, senza mète
prefissate, senza facili ammiccamenti.
- Al suo funerale nel 1978
pare regnava un clima di desolazione: pochi critici,
pochissimi artisti e mercanti d'arte presenti alla
cerimonia. Una totale ingratitudine da parte di un
mondo che aveva dimenticato velocemente la lezione di
uno dei più grandi artisti dell'arte
moderna.
- La storia ha poi ristabilito
le distanze ed i valori della sua opera: l'intera
produzione di de Chirico è stata riesaminata,
rivalutata, riconsiderata. Alcuni critici e studiosi
dell'arte sono riusciti perfino a far passare come
autentici alcuni quadri che sono dei miseri ed
indecenti falsi con firme contraffatte ("...per non
vedere che era falso bisognava avere sugli occhi non
delle fette di prosciutto ma lastre di cemento
armato..." de Chirico). Sono stati scritti da parte
della critica internazionale numerosi di libri, saggi,
studi, articoli e sono stati stampati cataloghi,
illustrazioni, depliants, cartoline e quant'altro sia
possibile immaginare dove i quadri metafisici dominano
la scena.
- Credo che l'ironia di de
Chirico avrebbe perdonato tutti, dai critici
denigratori in mala fede a quelli che cambiano idea in
relazione al vento.
- Sono altresì convinto
che non avrebbe comunque tenuto in considerazione
nessuno di costoro.
- A lui bastava la coscienza
del proprio mestiere, la nobiltà di un "operaio
sognatore" alle prese con i colori : "La pittura
è un tessuto, è una sapiente
sovrapposizione di tinte che si potrebbero paragonare
a quegli antichi tappeti orientali, tanto belli e
tanto pregiati, che non erano fatti a macchina ma
pazientemente tessuti da abili artigiani. Quando un
artista sente e capisce queste cose, allora per lui
sarà una gioia, una specie di gioco ideale, di
divina distrazione, provare e riprovare, cercare e
sperimentare continuamente per progredire sempre nella
sua arte".
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- Massimo
Barile
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- Bibliografia
- Biblioteca di cultura-
Arte e critica- Giorgio de Chirico, R. Carrieri,
Milano Editrice
- I colori del tempo -
La pittura italiana attraverso venticinque
capolavori, San Paolo Imi, 2000.
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