Scrittori italiani contemporanei Sergio Barbieri Ha pubblicato il libro
Sergio Barbieri, Ultima Thule, ed. Montedit (Le schegge d'oro, i libri dei premi), febbraio1998, pp. 80, lit.10.00, ISBN 88-86957-31-9
Prefazione:
- È l'amore l'ultima Thule, fantastico miraggio per naufraghi nella tempesta, terra di sogno il cui profilo azzurro lentamente emerge tra le diradanti nebbie del mattino, approdo benedetto e sfuggente che mani avide d'acqua fresca e sorgiva non riescono a trattenere?
- "Ultima Thule, poesie d'amore". Questo è il titolo che Sergio Barbieri, noto e pluripremiato poeta lombardo-ligure, ha scelto per la sua nuova raccolta. Sessanta poesie che, con qualche rara eccezione, si rivolgono tutte a un unico soggetto: "tu".
- Un tu senza volto e senza nome. O meglio, con tutti i volti dell'amore incontrato, offerto e sofferto in una vita che s'indovina piena e libera. L'amore è una corrente di scambio che prepotentemente si dirige verso una meta unica e irripetibile: tu, per l'appunto. E senza incertezze né pudori Barbieri la invoca ed evoca, talvolta disfandone la fisicità nelle baluginanti immagini della natura (come in "Forse a te piace"), talaltra afferrandone a piene mani il corpo e seguendone i contorni che sensualmente si intravedono sotto vesti piene di vento ("Alla fine di una estate - finale 1982").
- Chi sei tu? La domanda, inespressa, percorre tutte le liriche, si affaccia ad ogni tentativo di delineare un profilo, un'emozione, un brivido; resta lì, sospesa, di fronte a un pugno chiuso da cui tutta la sabbia è scivolata via, inesorabilmente. Ed eccolo di nuovo, quel ticchettio d'orologio: il tempo. Tempo maledetto, che trascina via i vent'anni; tempo benedetto che si trasforma in ricordo, e ci lascia giocare con le immagini del passato smontandole e montandole, affiancando momenti diversi magari lontanissimi tra loro. Ed ecco che scatta l'intuizione, la scintilla d'oro della comprensione: ma certo, eri tu; allora, forse...
- Sergio Barbieri ama misurarsi col tempo e il ricordo, questo lo sappiamo. Abbiamo già avuto modo di segnalare come le sue poesie rifuggano dalla metodica scansione del tempo nelle categorie normalizzate di passato, presente e futuro; la sua voce di poeta le supera d'un balzo, cercando una dimensione esistenziale che non debba soggiacere al disfarsi della materia. Proseguendo in questa direzione Barbieri incontra nuovi simboli che per loro stessa natura si pongono al di fuori di ogni tempo: la luce e, soprattutto, la pietra. Esemplarmente miscelati, fino a fondersi tra loro, ne "Il volto del passato", luce e pietra sono gli elementi primordiali che sintentizzano ogni trasformazione e anticipano visivamente il risultato finale, quel deserto invaso da una luce bianca e luccicante, interrotto solo da enigmatiche Sfingi dai vuoti occhi senza ciglia che con voce di chimera chiamano a sé l'attonito viaggiatore al quale la sabbia già lambisce le caviglie. Egli sta per trasformarsi in un "sasso consumato / dal tempo".
- Siamo a un passo da un disperante deserto metafisico. E lì ci fermiamo; non a caso abbiamo invocato l'ultima Thule. La ragazza del deserto chiama ancora, ma il poeta ora tiene in una mano un aquilone, e con l'altra accarezza un fiore. Rosso. Come il sangue che pulsa, come la vita, come l'amore. Da sempre il rosso è il colore dell'amore: rosse sono le rose che si regalano alla donna amata, rosse sono le sue labbra e le sue guance quando le si accende il cuore. Un fiore rosso è il legame con la vita, mentre l'aquilone lanciato nel cielo brillante è il canto di un uomo che osa librare la sua anima in alto, ma sa di avere calore e colore, e un peso che tiene i suoi piedi saldamente ancorati alla terra. Quella terra che sa essere dolce collina d'agosto, fresco fruscio di rugiada, brezza delicata che smuove i capelli. E dalla quale è così emozionante alzare gli occhi verso una notte forata di stelle. Specialmente se si è in due.
- Certo Barbieri non è così ingenuamente romantico da pensare che l'amore sia una magica pozione capace di dare senso alla vita (non dimentichiamo che l'ultima Thule può essere una meta, mai un approdo), e naturalmente si guarda bene dal mistificare, magari offrendo al lettore un crescendo di chiari di luna e sospiri nei quali lavare i propri dubbi esistenziali. Quel che mostra, al contrario, è un'anima messa a nudo di fronte al suo travaglio. Che consiste nel drammatico confronto tra l'intima certezza - percepita ad ogni respiro - di un'originaria e ineliminabile condizione di solitudine, e la tensione verso l'altro (di qui il tu che diventa via via richiamo, invocazione, preghiera), verso quella metà di noi che cerchiamo tra tante ombre, ombre noi stessi, per ritornare innocenti e integri nell'ultima Thule.
- Come a rendere, anche visivamente, il procedere verso la dura essenza di questo confronto, le ultime (cronologicamente) liriche si fanno più rapide, sintetiche, concentrate: spogliate di ogni referente esterno puntano dirette verso la piaga, sempre aperta e dolorante, della ricerca di un contatto tra due solitudini. Ed è così che nasce "Come logica quotidiana", geometrica poesia dove ogni verso espone con lucidità un termine del problema fino a che l'ultima riga propone, con immediata evidenza, una soluzione (ma per quanto?): "e insieme continuiamo a esistere".
- E questa è la maledizione dell'essere uomini, e la benedizione dell'esser poeti.
- Olivia Trioschi
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