Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Daniela Raimondi
Con questo racconto ha vinto il primo premio al concorso
Fonopoli - Parole in movimento 2003, sezione narrativa

Hackney Marshes
 
Si svegliò che era ancora notte. C'era una luna di lino nel buio. Tess non amava il buio. Di sera lasciava aperte le tende della finestra, così quando non dormiva poteva starsene a letto e guardare il cielo, la luce gialla dei lampioni, i rami secchi degli alberi riflessi nel lago.
Fissò il soffitto in penombra. Vide gli angeli, la foglia di quercia, la mappa dell'Islanda che le ultime piogge torrenziali avevano disegnato sull'intonaco bianco.
Il gatto le balzò sulla pancia. Lei chiuse di nuovo gli occhi.
Poi sentì il furgone del latte frenare e stridere sull'asfalto ghiacciato. Le bottiglie tintinnarono.
Diede un'occhiata all'orologio: le cinque.
Si alzò.
Passò davanti alla camera dei bambini. Dormivano tutti e due con la bocca socchiusa. Erano sempre più grandi. Così grandi mio Dio! Ormai riempivano i letti.
 
Andò in bagno. Mai più, mai più! Ripeteva quelle due parole con ritmo ossessivo mentre si lavava i denti. Sempre più forte, sempre più forte. Sputò dentifricio, sangue e saliva.
 
Scese in cucina per farsi il caffè. Diede un'occhiata alla posta: buste e buste impilate su un mobile, tutte chiuse. Erano settimane che non apriva le lettere.
Il telefono era stato tagliato. Niente poteva interrompere quel lento rituale di silenzio e di zucchero; quella carezza che si concedeva di primo mattino quando il mondo dormiva e vivere le era ancora sopportabile. Respirò l'aroma del caffè che riempiva l'aria, attenta al borbottio della moka sul fornello, al rumore del liquido nero che scendeva nella porcellana, alla canzone del cucchiaino che girava nella tazza.
Guardò fuori dalla finestra: il lago era bianco come la luna, immobile come quella notte di dicembre.
 
Quel mattino non sarebbe andata in banca. Né il mattino dopo. Né mai più. Qualcuno avrebbe pagato i debiti, le bollette, il canone della TV, l'assicurazione dell'auto. Qualcuno si sarebbe preso cura di Jeoffrey e di Bob. Di tutto. Persino del gatto.
Aspettò l'alba in piedi, davanti alla finestra.
Alle sette e quaranta preparò sul tavolo i cereali con le scodelle e il latte. Poi svegliò i ragazzini. Solo chiamarli, aprire e chiudere il frigo, camminare da stanza in stanza, persino il più piccolo gesto le costava fatica, un'enorme, schifosa fatica.
Mentre facevano colazione li sentì chiacchierare della partita fra il Manchester United ed il Chelsea; del prof di scienze che era proprio fuori, dello skate board di Malcom, che quello sì andava forte.
Chiese che materie avessero quel giorno a scuola, ma non trovò altro da dire. Li baciò di corsa mentre uscivano di casa. Aveva gli occhi lucidi, però loro erano abituati a vederla piangere, alle sue mani che tremavano, agli scatti d'ira quando si chiudeva in camera per ore. Ormai non facevano nemmeno più caso alla cucina sempre sottosopra, o alle pizze ordinate per cena e le sere passate da soli davanti alla TV.
 
Non ripulì niente. Lasciò tutto lì: briciole, latte, i bicchieri pieni di succo d'arancia, le piccole schegge di cornflakes, le tazze sporche. C'era una striscia bianca di zucchero a forma di S sulla formica verde. I tovagliolini di carta erano imbevuti di latte e tutti molli, appiccicati ai piatti.
Si infilò il cappotto e uscì di casa.
 
La portò via l'inverno. Se ne andò trascinata dal vento scricchiolando sul ghiaccio dei marciapiedi. Gli alberi gemevano. Il cielo era pallido ma tranquillo, senza nuvole. Muto.
 
Le Hackney Marshes erano coperte di gelo. La brughiera si allungava davanti ai suoi occhi: immobile e deserta; un fantasma cristallizzato ai bordi dalla città.
Giunse al lago.
Camminò sulla passerella di legno del molo.
Si fermò sul bordo.
Il treno per Liverpool Street Station sfrecciò in lontananza.
Lei ondeggiò appena. Un dondolio leggero, impercettibile.
La punta delle scarpe nel vuoto. Il corpo rigido.
L'acqua vibrava in piccoli mulinelli. Sembrava chiamarla.
 
La paura le percorse la schiena, le si strinse addosso, raggiunse il dolore raggrumato in un nodo stretto nella gola e colpì laggiù, in fondo, nel suo cuore di marmo.
Tremò tutta, convulsamente, dalla testa ai piedi. Poi iniziò a singhiozzare e il corpo scandiva come uno strumento ritmico e legnoso ogni suo piccolo suono infantile, ogni sussulto.
Il suo urlo squarciò l'aria. Uscì come un sibilo rabbioso, acuto some quello di un bollitore d'acqua.
Uno stormo di uccellini tremò dentro un cespuglio. Ci fu un frullio d'ali, un tremito nervoso nell'aria. Un'onda viva, quasi elettrica, le volò tutt'intorno.
Fu un attimo.
Tutto tornò silenzio.
 
Tess riaprì gli occhi e si sentì vuota, ma stranamente libera, quasi leggera.
Si accasciò a terra senza più nervi, senza più muscoli, senza più gambe. Si rannicchiò abbracciando stretta le ginocchia sulle assi di legno.
Si sentì una sola cosa col suo corpo. Una sola cosa, dopo tanto tempo.
Fissò con meraviglia la piccola nuvola di fiato che si formava ad ogni suo respiro. Sentì di amare il morso dell'inverno sul viso, quel colpo di vento, i piccoli brividi di gelo che sentì correre lungo la schiena.
Un ragazzo le passò vicino senza guardarla.
 
Rimase immobile, rannicchiata nel cappotto rosso, circondato dal grigiore calmo del lago.
 
Non sapeva quanto tempo era passato quando si rialzò.
 
Infilò le mani in tasca. Camminò. Camminò per ore nella brughiera. Incrociò solo due pensionati che discutevano dello sciopero dei pompieri. Uno scoiattolo. Un paio di topi. Un'auto abbandonata coperta di ruggine.
Giunse ad un bivio. Il double-decker numero 73 le sfrecciò davanti. Era pieno di gente. Londra era di nuovo lì, lontana eppure vicinissima, brulicante di voci, di motori, di radioline accese, di pianti di bimbi, di risate, di grida, di clacson furiosi, di parole d'amore, di sussurri, di annunci economici, di pubblicità cantilenante in TV; di massaie, di avvocati, di bancari, di ladri, di musicisti, di filosofi e disoccupati.
Pensò a Jeffrey, a Bob. Allo skate board che filava via come un razzo e al cinema che avrebbero potuto andare a vedere quella sera.
Guardò in su. La neve cadde sul suo viso. Si sentì felice.

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 Ins. 17-01-2004