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- SOSTE DI
VAGABONDO
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- Forse ella sola è
vera
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- Quando sarò stanco, senza fine
stanco, andrò dall'altra, da colei che,
forse, tu non credi esista, e sola, forse,
veramente esiste. (Io la feci di bellezza
regale:con le mie mani la feci d'infinita bellezza.
Pensai le sue forme volgendomi alle fattezze delle
dee dell'Olimpo, che popolavano i miei giovani
sogni, alle donne incon-trate per sereni giardini,
nei poemi e gli affreschi dove trovai la quiete;
per le sue chiome presi l'oro del sole morente tra
i filari dei pioppi lungo un immenso fiu-me; per
gli occhi guardai smeraldi e zaffiri, la
profon-dità della notte dei laghi del mare;
la sua bocca mi do-nò l'estate quando a
giugno si svena sulle biade; per il suo corpo
trepido, per la sua viva carne ricercai i
più splendidi fiori, rose bianche, pallide
rose, i calici delle magnolie tra il cupo verde
delle foglie lustre, e la rugiada dei mattini di
maggio e il tepore dei merig-gi d'aprile. Poi
vestii di bontà la sua bellezza). Le
dirò le parole che non dissi,
piangerò le lagrime che non piansi. La notte
riposerò sopra il suo cuore.
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- Il seminatore
saggio
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- Io sono saggio come il seminatore, che va
spar-gendo la semente per la maggese.
- Tutto intorno il campo è bruno, a
perdita d'oc-chio nel mattino autunnale, fin dove
la pendice del pog-gio si vela appena di
nebbia.
- Il seminatore cammina a passo eguale, tra
solco e solco lungo il mezzo della zona arata, ed
egualmente partisce intorno a sé la semente.
Non rivela il suo ge-sto alcun impeto d'ira, e la
polvere di gesso, che ogni volta vola brevemente
via dalla sua mano, è lieve, con-tro la
luce, come il respiro che fuma dalle froge dei
buoi.
- Io sono infinitamente saggio e gitto al
vento con cura, come fosse seme di grano schietto,
la polvere dei miei pensieri (domani, alla nova
stagione, germineran-no dalla terra pazze
vegetazioni di sterpi).
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- Parte Quarta
- PAGINE DI VANA E NON VANA POESIA
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- CUI NISI TIBI?
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- Non io oggi, non io. Tornerò forse a
leggere in-sieme con te un altro giorno, ma oggi
parla tu nel mio silenzio, dì tu le mie
parole. Io ti darò soltanto la materia della
lettura. E' poesia che mi nacque nell'anima in
giorni lontani. Posi mano con ebbrezza a darle
l'e-spressione sua propria, ma poi non provvidi a
pubbli-carla (non domandarmi il perché: le
vicende della nostra vita possono avere per gli
altri interessi mol-teplici, non però un
interesse estetico se non quando l'arte le investa
del suo soffio e le elevi dalla loro po-vera
realtà di fatti individuali alla
verità di fatti uma-ni universali; il che
nessuno può fare a suo piacimen-to). Da
allora ne porto chiuso dentro di me il peso come
d'un segreto dolore. Ma prima di morire, ma prima
di impazzire, ch'io senta questa poesia esistere
fuori di me d'una esistenza piena. Dalle tu la sua
esi-stenza piena. Tu puoi farlo. Le parole che
t'offro stanno allineate sui fogli come crisalidi
che non abbiano la forza di aprirsi spontaneamente;
e attendono che qualcuno tragga dal loro freddo
involucro la vi-ta che v'è dentro. Tu puoi
farlo. Non conosco stru-mento musicale che eguagli
voce di donna, quando gli istinti e gl'impeti del
mondo dell'inconscio si fanno suono e
parola.
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- LA CACCIA
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- IL RITORNO
- Ritto nell'alba romana
- dinanzi al mare sonante,
- respirando folate di brezza
- effluvi d'alghe e di sale,
- io stetti pensando al ritorno.
- L'aspra carezza
- del vento dal mare odorante
- di tutti gli odori del maggio
- torcevami il cuore selvaggio
- e negli occhi m'accendeva
- l'orgoglio dei giovani sogni.
- Ansava forte il vapore
- portando i compagni dormenti
- per vie di ferro
- verso la città della gloria.
- In me non è memoria
- di ciò che provassi in
quell'ora.
- Chi fu dei compagni
- che a un tratto mi disse: " Che pensi?
"
- ai fianchi m'era, era grande
- e mi scrutava le tempie.
- Che cosa sentivo, a qual voce
- nell'alba romana ero prono
- quando mi disse: " Che pensi? ".
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- LA VOCE DEI RICORDI
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- Veniva di lontano,
- d'assai lontano, indistinto
- e piano un rumorio
- come di fresco torrente
- che narri ai ciottoli e al ghiareto
- gli amori del cielo e del monte,
- come di vento mansueto
- che parli dell'alba alle fronde.
- Poi più frequente,
- più da presso,
- ma ancor sommesso,
- come scalpito lontano
- di cavalli al piccolo trotto.
- Poi crebbe come il fiotto
- cupo del mar selvaggio,
- come grandine di maggio,
- come croscio dirotto
- sui campi verdi di grano.
- Poi fu ala d'uragano,
- fu brivido nella mia carne.
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- LODE DELLA VITA AGRESTE
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- Pienezza della vita
- vegetale, ch' esulta
- nella natura infinita di tutte le
forme
- erboree che il tempo traveste:
- nei solchi dov'opera e dorme
- l'umido seme, nei prati
- novi, nella ferita
- stillante dei tralci potati,
- nei fiori, nell'occulta
- potenza delle foreste.
- Pervasi di spirto agreste
- sono i sensi: la vita
- umana è una selva fiorita
- che il fresco vento inonda.
- Crucci non ha nelle vene
- di giorni venturi o morti,
- ma immersa avidamente
- nell'ora viva e presente
- beve l'aure serene
- come una selva pro/onda.
- Al corso mortale ella tiene
- ferme le iridi, ignare
- di tristi e pallide sorti,
- cerule come onde chiare
- di fiume tra rive stupende,
- che ai verdi paschi discende
- ed all'oblio del mare.
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