- A Riccardo,
mio marito
- A Giuditta,
mia madre
-
-
- SCATOLA
CINESE
-
-
- Eleonora stava
lentamente percorrendo il tortuoso viottolo che
s'inerpicava ripido sul fianco del colle. Il sole era
alto, la campagna verdeggiante e immobile: non
soffiava neanche un alito di vento eppure l'aria non
era afosa e lei non si sentiva per niente affaticata
dalla salita, anzi aveva la sensazione di essere
leggera, libera e felice. Visualizzò il proprio
volto incorniciato dai lunghissimi capelli bruni e si
piacque, così come le piaceva il paesaggio che
la circondava.
- Quel posto isolato
era bellissimo e lei aveva avuto una fortuna sfacciata
a scoprirlo. Proprio così, quel luogo
incantevole era una sua scoperta, non ne aveva neppure
sospettato l'esistenza fino a quello stesso
pomeriggio. Gli alberi intorno erano alti e frondosi,
il cielo azzurro come lo aveva visto solo nelle
cartoline illustrate e lontano, in fondo alla valle,
scorreva in larghe anse un silenzioso
fiume.
- Desiderò
ardentemente di essere laggiù.
- Ed ora, ritta sul
greto, ammirava con sguardo di bimba l'esplosione di
colori in cui era immersa, quasi che un artista
geniale le avesse dipinto intorno un quadro dalle
tinte inverosimilmente brillanti.
- Fulminea come il
pensiero si ritrovò seduta su uno dei massi
bianchi che rompevano la continuità del fiume
in rapide e cascate, mentre i raggi del sole,
penetrando il fitto fogliame, si riflettevano
nell'acqua regalando al suo sguardo meravigliato uno
sfavillio in perpetuo mutamento. Si lasciò
cadere nella pozza sotto di lei trovandola calda e
confortevole, si bagnò con il cuore che si
gonfiava via via di una gioia mai provata prima,
infine si distese sulla rena per godere
tranquillamente di tutta quella pace.
- Ma aveva appena
chiuso gli occhi al riverbero abbacinante del sole
quando la sgradevole impressione di essere osservata
la indusse a riaprirli: a pochi passi da lei una
vipera la stava fissando. Rimase inerte, sapeva che se
non avesse perduto la testa non ci sarebbe stato nulla
da temere. L'altra però scattò nella sua
direzione ed Eleonora incontrò uno sguardo
volitivo e maligno. Con raccapriccio s'accorse di
essere completamente soggiogata da quegli occhi quasi
umani che non le lasciavano via di scampo. In breve il
rettile fu ai suoi piedi. Qualcosa di aguzzo le si
conficcò in una caviglia costringendola a
guardare da quella parte, proprio nell'attimo in cui
un piacevole solleticamento le sfiorò la
gamba.
- Ma era un gattino!
un simpatico batuffolo grigio che le girava intorno
mordicchiandola e dandole tenere zampate.
- Scoppiò a
ridere.
- Che buffi scherzi
tira il sole, pensò giocherellando con il
micio. Come aveva fatto a scambiare quel delizioso
cucciolo per una serpe velenosa? Ma aveva già
dimenticato, la giornata era troppo bella per essere
sciupata. Tuttavia il tempo stava cambiando e di
lì a poco l'aria divenne irrespirabile sotto un
cielo improvvisamente plumbeo. Non c'erano nuvole,
solo una pesante calotta che s'addensava soffocante su
di lei. Doveva scappare e incominciò a correre
senza avere la più pallida idea di dove le
gambe la stessero portando.
- Il tunnel che si
trovò davanti d'un tratto le parve un
nascondiglio sicuro, ma quando lo ebbe imboccato il
rumore dei suoi passi in fuga risuonò
amplificato e sinistro. Ciononostante non voleva e non
doveva tornare al fiume, doveva andare avanti, dentro
quel tunnel di cui non riusciva a intravedere la fine.
Pure un'uscita c'era sicuramente, bisognava solo
sbrigarsi a trovarla. Cercò di accelerare la
corsa, ma le gambe non volevano ubbidire e il cuore
sembrava scoppiare.
- Inattesa una voce
alle sue spalle la chiamò per nome e lei si
volse rimanendo sbalordita: un giovane uomo biondo la
stava silenziosamente invitando ad
avvicinarsi.
- Sopraffatta dal
desiderio si gettò fra le sue braccia
baciandolo con passione: voleva quell'uomo a tutti i
costi e lo voleva subito. Anche lui la desiderava, non
c'era alcun dubbio, allora perché non le
entrava dentro, perché si limitava a prolungare
quel bacio fino allo spasimo? Un bacio doloroso che
incominciava a non piacerle più: vi era
qualcosa di disgustoso e fetido in quella bocca. Poi
le labbra dello sconosciuto si staccarono dalle sue.
Eleonora non voleva che lui l'abbandonasse, gli
afferrò le mani per ricondurlo a sé e le
sentì gelide. Lo guardò in volto: era
pallidissimo e aveva gli occhi vitrei.
- Chi sei? chiese col
pensiero.
- Il volto di marmo
non rispose e continuò a scrutarla con i suoi
occhi fissi.
- Inorridita Eleonora
indietreggiò di qualche passo dopodiché,
voltate le spalle alla statua, riprese a correre verso
l'uscita.
- L'uscita. Era
proprio a due passi, come mai non l'aveva veduta
prima?
- E finalmente fu di
nuovo fuori, nello sfolgorio del sole. Da quel punto
in alto sulla montagna si dominava la vallata soffusa
di un'impalpabile foschia e il fiume, laggiù in
fondo, scorreva innocuo in un indefinito
stridio.
- Ora poteva sedersi
e riposare.
- Nel frattempo,
però, lo stridio aumentava d'intensità
assumendo forma e consistenza: una folla rumorosa
stava serpeggiando verso la cima del
monte.
- Imbarazzata
Eleonora s'accorse di essere nuda. Doveva nascondersi,
ma dove se intorno era tutto desolatamente brullo?
L'unico nascondiglio possibile era il tunnel appena
lasciato, ma al solo pensiero il cuore le si
riempì d'angoscia e intanto la moltitudine
chiassosa si avvicinava inesorabilmente. Qualcuno
l'aveva già scorta e la stava additando agli
altri e chi sghignazzava, chi dava di gomito, chi
faceva apprezzamenti pesanti, chi la
sbeffeggiava.
- Restò
immobile, rassegnata come una vittima predestinata,
indifesa nella sua nudità, ad attendere
l'inevitabile impatto con la torma
schiamazzante.
- Un barlume di
disperata ribellione nacque e si compresse nella sua
coscienza.
- È un sogno,
è soltanto un sogno, avanti, devo svegliarmi.
Oddio, mi sono quasi addosso, mi sbraneranno, non
posso rimanere qui, devo fuggire, fuggire...
svegliarmi, svegliarmi, gridare...
- Ma perché
non ci riusciva, perché diamine era tanto
difficile gridare? Un pizzicotto, doveva darsi un
pizzicotto, o un calcio, o qualsiasi altra cosa,
qualsiasi cosa andava bene pur di uscire da
quell'assurda rigidità.
- E se non fosse un
sogno, se fosse tutto vero, pensò sgomenta
mentre il vocio andava facendosi sempre più
stridulo e insopportabilmente acuto.
- Con il cuore in
gola si ritrovò seduta sul letto: era tutta
sudata e la sveglia stava squillando sul
comodino.
- Allora era stato
davvero un sogno, ma uno di quei sogni capaci di
rovinarti la giornata. Se ci pensava le veniva la
pelle d'oca: il bacio, la fuga, sembrava tutto
così realistico! Realistico? Che poteva mai
esserci di realistico in quel guazzabuglio? Andarsene
in giro nuda su per i monti, sarebbe morta di freddo.
E come sarebbe potuta uscire di casa in quelle
condizioni e senza rendersene conto per giunta? Per
non parlare di vipere che diventano mici e bei ragazzi
che si trasformano in statue di marmo. Provò un
certo malessere: un bel ragazzo sul serio,
chissà perché non era riuscita a farci
l'amore, del resto nei sogni non le riusciva mai di
concludere niente in quel senso, ci restava sempre
fregata. Poi rammentò il sapore putrido del
bacio e le venne il voltastomaco. Fece una smorfia di
disgusto, quindi sorrise: bisognava scrollarsi di
dosso quelle brutte sensazioni, lasciarle tra le
lenzuola, anzi buttarle giù dalla
finestra.
- Sgusciò
fuori dal letto, s'infilò le pantofole e diede
un'occhiata in giro. Senza ombra di dubbio si trovava
nella sua camera e tutto era perfettamente a posto: i
fogli degli appunti sulla scrivania, le biro dentro il
portamatite, la libreria piena di libri e polvere, gli
armadietti gemelli, il comò antico, il letto
intatto accanto al suo. Quella notte la sua compagna
di stanza non era rientrata.
- - Sai che ti ci
vuole? Un bel caffè forte, vedi come ti
riprendi poi - si disse a voce alta uscendo dalla
camera.
- La cucina era un
piccolo vano situato vicino all'ingresso
dell'appartamentino, un immenso androne che rammentava
la severa entrata di un collegio o di una vecchia
scuola. Un apparecchio telefonico nero era appeso a
fianco del grande portone e nel vederlo Eleonora si
ricordò di dover fare una telefonata
importante, si portò il ricevitore
all'orecchio, ma non percepì alcun segnale: il
telefono era muto. Tuttavia intuì una presenza
dall'altra parte e domandò chi fosse: nessuno
rispose; pure, lei ne era certa, qualcuno stava
ascoltando.
- Il portone si
aprì silenziosamente verso l'interno, fuori il
buio era totale. Eleonora ne ebbe timore e
lasciò cadere il ricevitore che prese ad
oscillare come un pendolo. Non voleva restare
lì neanche un minuto di più, voleva
andare dall'altro lato dell'androne, ma per farlo
avrebbe dovuto passare dinanzi al portone spalancato e
quest'idea l'atterriva. Nondimeno si fece coraggio e
attraversò l'enorme atrio.
- Un uomo le fu
subito accanto.
- Eleonora gli
afferrò una mano attraendolo a sé,
sapeva che era cieco, ma che nonostante ciò
poteva vederla perfettamente.
- L'uomo indossava un
pullover di un blu fluorescente. Lo guardò con
attenzione: era il maglione a possedere tanta
luminosità o non si trattava piuttosto del
riflesso della luce bluastra che pervadeva tutta
l'anticamera?
- Gli afferrò
anche l'altra mano dicendo:
- - Dai, salta
insieme a me.
- L'uomo raccolse
l'invito e insieme cominciarono a saltare e a ogni
salto divenivano più leggeri così che
potevano lanciarsi sempre più in
alto.
- Per la contentezza
Eleonora si mise a cantare e, all'istante, una
delicata pioggia di note musicali cadde dal nulla per
accompagnare quel canto infantile. Il suo compagno
sorrideva, lei cantava con voce sempre più
acuta e del pari aumentava anche l'intensità
della musica, finché il suono divenne
insostenibile e di colpo si ritrovò seduta sul
letto mentre la sveglia squillava
allegramente.
- Aveva sognato di
nuovo, anzi aveva sognato di aver sognato, insomma un
sogno nel sogno, e anche un risveglio. Le ci vollero
alcuni minuti per riprendersi, poi fece una risata:
due spettacoli al prezzo di uno, mica male! Avrebbero
dovuto farlo anche al cinema. L'ultima parte del sogno
inoltre l'aveva messa di buonumore, giusto quello che
ci voleva per iniziare bene la giornata. Comunque era
l'ora di saltar giù dal letto e prepararsi di
corsa se non voleva arrivare tardi al
seminario.
- Prima di uscire
prese due libri dalla scrivania e lanciò
un'occhiata al letto accanto al suo. Ridacchiò:
la sua amica era veramente rimasta fuori tutta la
notte.
- Pochi attimi dopo,
schiacciata dentro un autobus stracarico, guardava
distrattamente lo strombazzante carosello
automobilistico del mattino e l'indaffarata animazione
dei marciapiedi. Al capolinea del centro scese e
raggiunse la città universitaria, seguì
la via principale per un lungo tratto, s'infilò
in un'angusta e corta traversa che percorse
interamente e infine entrò nel portone
dell'ultimo edificio.
- L'atrio deserto
l'accolse maleodorante come di consueto, l'intonaco
scrostato, le infiltrazioni di umidità, le
ragnatele attaccate al polveroso lampadario di
cristallo e agli angoli delle pareti.
- Pensò che
era una gran porcheria lasciare andare in malora
costruzioni antiche e tanto belle e che non era
affatto dignitoso usarle come aule: chissà come
doveva essere avvilente per gli insegnanti lavorare in
simili ambienti malsani e mal tenuti. Anche la porta
dell'aula a pianterreno era in condizioni pessime e
per giunta qualcuno si era divertito a sfregiarla con
scritte oscene. Le diede una spinta per entrare,
quindi la sentì richiudersi rumorosamente.
Dentro le finestre erano chiuse, le luci
spente.
- - C'è
nessuno? - chiese conscia di tutta l'assurdità
della domanda. Nondimeno continuò. -
Professore, lei c'è, vero? lei deve esserci,
è talmente puntuale lei... ma perché non
risponde? Per favore signori, qualcuno dica almeno una
parola.
- La sua richiesta
cadde nel silenzio.
- Ma dove erano
finiti tutti quanti? Eppure non era sola, lì
dentro c'era qualcun altro, ne percepiva chiaramente
la presenza; per quale motivo taceva? Fu assalita da
uno strano timore: quella non era una presenza amica,
bensì qualcosa di oscuro, d'infausto. Tentoni
cercò la porta, la trovò, afferrò
d'impeto la maniglia: doveva uscire. Tuttavia ogni
sforzo fu inutile.
- La presenza ora si
era fatta quasi percettibile, quasi respirabile e la
stava asfissiando.
- - Ma chi sei, chi
sei? - gridò - perché diavolo non
rispondi?
- La presenza era
sempre più vicina e quella maledetta porta non
voleva saperne di aprirsi.
- All'improvviso,
quando ormai il fiato della paura le soffiava gelido
sulla nuca, la maniglia cedette.
- In un baleno
Eleonora fu in strada e corse a perdifiato nel buio
appena rischiarato dalla luce flebile dei lampioni,
finché non si accorse d'essere finita in una
zona del tutto sconosciuta e che la notte stava
cedendo il passo al giorno.
- Adesso, fresca e
riposata, camminava calma costeggiando il muretto che
delimitava la via, chiedendosi in quale parte della
città fosse mai capitata. Avrebbe domandato.
Però nei paraggi non c'era nessuno.
Continuò ad andare avanti fintantoché, a
un centinaio di metri, scorse alcune persone venirle
incontro. Allora si affrettò e, quando le ebbe
raggiunte, vide che erano di statura molto inferiore
alla sua e che avevano volti talmente gialli e
trasparenti da poter essere agevolmente attraversati
dallo sguardo.
- Domandò loro
qualcosa non afferrando per prima il senso delle
proprie parole, ma quelli non le risposero limitandosi
ad un sorriso intenso e, senza rumori di sorta,
seguitarono per la loro strada.
- Lei li
guardò allontanarsi affascinata da quel passo
lieve e silenzioso, quasi una danza eseguita su un
tappeto sonoro straniero al suo orecchio e del quale
le era concesso di cogliere solamente muti echi.
Quindi riprese il proprio cammino, tranquilla e sicura
di sé, assolutamente certa della direzione in
cui procedere, pur non sapendo in alcun modo cosa
avrebbe trovato.
- Dopo un tratto che
poteva essere molto lungo a giudicare da quanto nel
frattempo il cielo si fosse fatto chiaro, ma anche
breve dal momento che il tempo pareva essere volato,
sbucò in uno stradone. Dalla sua parte non
c'era nessuno, ma dall'altro lato una fiumana di
persone era in attesa a quella che aveva tutto
l'aspetto di una fermata d'autobus. Eleonora
attraversò velocemente mescolandosi alla folla.
Poi osservò tutti con attenzione: anch'essi
erano bassi e con i volti insolitamente pallidi e
trasparenti. Solo una giovane accanto a lei esibiva un
bel colorito roseo e una bocca che pareva una
ciliegia, sotto due occhi dal trucco curatissimo che
metteva in risalto la lucente vivacità delle
iridi.
- Un gran bel
maquillage, forse un tantino pesante, tuttavia il
volto della ragazza non risultava affatto volgare,
anzi i suoi lineamenti erano delicati e l'espressione
molto dolce.
- Nulla al mondo
potrebbe involgarirti, disse Eleonora fra sé e
sé, incapace di distogliere lo sguardo dalla
sconosciuta. E sotto il trucco vistoso notò che
il viso della ragazza era diafano.
- Allora anche tu sei
una di loro, pensò.
- - Ma dove sono? -
le chiese - sono forse giunta nella città dei
morti?
- La giovane sorrise
di un sorriso vivo e la guardò con sguardo
vivo, tutto in lei era vivo. Pure non pronunciò
una sola parola.
- In quel momento
Eleonora s'accorse che tutti stavano guardando oltre
di lei e si volse nella stessa direzione.
- Un enorme autocarro
stava avvicinandosi.
- Immediatamente
tutto fu chiaro, anche il fatto di trovarsi fuori
posto: lei non era come gli altri e la grossa
autovettura non era lì per lei.
- Un senso di
delusione le s'ingenerò dentro tramutandosi
all'istante in un pensiero ribelle e determinato: non
voleva essere messa da parte, anche lei voleva
salire.
- In un attimo fu in
mezzo alla rotabile.
- - Portami con te,
portami con te - prese a gridare, frattanto che
l'autocarro si faceva sempre più
vicino.
- Le sue dimensioni
erano davvero impressionanti, occupava trasversalmente
la via da un lato all'altro: non avrebbe potuto
ignorarla, non avrebbe potuto evitarla.
- Nondimeno
l'automezzo, non si sa come, la oltrepassò,
inghiottì la moltitudine in attesa e
proseguì la sua corsa lasciandola sola e
attonita in mezzo all'asfalto grigio.
- In piedi su un
basso sgabello dal piano bucherellato posto in mezzo a
una terrazza illuminata dal sole, Eleonora attendeva
il verdetto.
- Intorno a lei
sedevano parecchie persone che tuttavia non poteva
vedere, protette com'erano dall'ombra di un folto
pergolato.
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