- Il
sipario
-
- Il drago del lutto
all'ingresso del cortile, fu per me un pugno alla
bocca dello stomaco.
- Ricordavo appena
quell'antica usanza, un giorno sparita insieme alla
necessità di un portinaio. Fu comunque come la
prima volta.
-
- Vivo nel condominio
da sempre; da ragazzo con i miei genitori, ora con
Marta, mia moglie.
- È un
fabbricato del ventennio, di quelli che racchiudono
tra lunghi edifici disposti su ogni lato di un
ipotetico rettangolo, un ampio cortile interno, dove
le donne a turno stendevano i panni prima che il
ricambio generazionale portasse anche nuovi modi e
private solitudini.
-
- Ero ancora
adolescente quando quello stesso drappo, che avrei poi
visto altre volte compitamente allestito, ebbe per me
la coscienza della morte. Prima di quel mesto giorno
la mia fanciullezza ne era stata lontana, forse solo
per pura fortuna, o forse perché amorevolmente
ovattata dai miei genitori.
- I nonni materni che
pure la giovane sorella di papà, erano
scomparsi dal mio difeso presente in silenzio, tanto
che quando me ne resi conto non riuscii più a
soffrirne come vorrei per loro invece
voluto.
-
- Quella prima volta
però, quando a tradimento papà se ne
andò senza darmi la possibilità e il
tempo di piangere sul cuscino umane richieste e
promesse di buoni propositi a quel Dio che fino allora
avevo trascurato; e quando le urla disperate di mia
madre che con la tazzina del caffè tra le mani
tremanti chiamava istericamente il marito, capii d'un
colpo cosa significasse la morte.
-
- Seguii muto mia
madre accompagnando il feretro per l'estremo saluto
combattuto da tra sentimenti di rancore per
l'abbandono repentino e propositi di vendetta per le
disattese preghiere.
- Passai tra due ali
di inquilini che si segnavano. Gente che conoscevo
bene e anche qualcuna che pur vivendo lì non
avevo mai incontrato. In testa c'era il portinaio con
la sua grossa moglie, artefice della luttuosa
scenografia, poi l'anziano Cavaliere, l'Avvocato
dell'ultimo piano del palazzo di fronte e via via
tutti gli altri.
-
- C'era proprio tutto
il condominio quella mattina, e tutti, dal primo
all'ultimo, s'erano poi accodati per raggiungere il
cimitero distante solo trecento metri.
-
- Varcai il cancello
d'ingresso che s'affacciava sul cortile guardando in
altro al settimo piano verso il balcone della mia
abitazione per capire da mia moglie, o dal vecchio
Cavaliere sempre lì ad attendere il mio
rientro, per chi fosse stato fatto l'addobbo. Marta
non era sul balcone, ed il tranquillo inquilino
dell'appartamento attiguo col quale dividevo tramite
una ringhiera orlata di inutili spuntoni anche il
balcone, nemmeno.
- «Strano!...»
Pensai.
- Il vecchietto che
da alcuni anni senza perdere un giorno, pazientava tra
la sedia sul balcone e la poltrona davanti al
televisore nell'attesa di rivolgermi le solite quattro
frasi, magari per sentir e da me le sole parole della
giornata che non scaturissero da elettroni comandati
dalla mano tremante sulla tastiera, non
c'era...
- Sapevo fargli un
immenso piacere quell'abitudine, ed io, orfano di un
affetto precocemente consumato, non riuscivo o forse
non volevo sottrarmi al rito che pure qualche volta mi
risultava pesante.
-
- Entrambe le
finestre del piano erano chiuse, nessuna luce filtrava
tra le doghe sgangherate delle mie vecchie persiane ne
di quelle del mio vicino.
-
- Ciò che
appariva agli occhi di chi guardasse in su dal basso
del cortile era uno spettacolo deprimente ma di
indubbia vita di decorosa quotidianità. Sopra i
lunghi balconi si vedeva di tutto; panni perennemente
stesi ad un raro sole che trovava la strada soltanto
per brevi minuti al giorno; vecchie bagnarole smaltate
bianche col bordo blu e nuove in plastica azzurra;
trecce d'aglio, grappoli di piccoli e tondi pomodori
di Natale, ciuffi di odori sbiaditi; biciclette
stanche e arrugginite; cataste di cassette da frutta
in attesa di diventare caldo tepore; variopinti scarti
di vita.
- Ai lati di ogni
balcone si trovavano le finestre delle cucine dei
rispettivi appartamenti con le strette tubazioni del
gas metano che da poco s'inerpicavano sui muri delle
case del quartiere. Ricordo ancora quando le tubazioni
furono installate, di come modificarono l'aspetto
delle facciate fino a che l'abitudine non le ebbe
assimilate, e come si dipanavano dal basso
raggiungendo come un tralcio di vite americana, tutti
gli appartamenti.
- Vicino ad ogni ramo
del gas trovava posto la tubazione di plastica dello
scarico che, di colore arancione, cozzava
irrimediabilmente contro i colori pastello stinto del
vecchio intonaco e quelli del variegato verde delle
persiane, originali o autonomamente risistemate dagli
inquilini più abbienti.
-
- Salii al mio
appartamento col vecchio ferroso ascensore,
riconoscendo, dall'odore di cucina, ogni piano cui
transitavo: la ribollita della vedova al primo piano;
la frittata dello studente del secondo; il cavolo o la
verza del terzo; l'odore di medicinali del triste
quarto piano.
- Mi aspettavo di
riconoscere l'odore forte del brodo dell'appartamento
del del Cavaliere che con la porta spalancata mi
attendeva sulle scale, ma fui investito invece da
un'aria più respirabile della solita, quasi
anonima. La sua porta era chiusa. Mia moglie non era
in casa e non potei quindi soddisfare la mia stanca
curiosità. Preparai la solita macchinetta del
caffè per affacciarmi poi al balcone con le due
tazzine per le solite quattro chiacchiere col
Cavaliere.
- Anche se con la
discrezione che lo distingueva dagli altri condomini,
lui sapeva tutto o quasi, di tutti.
- «Strano...»
pensai di nuovo, non vedendolo dondolare sulla sedia
ne accudire le piante lasciategli in eredità
cinque anni prima dalla moglie, ma fu solo un attimo,
a quel punto, percepire la concreta diversità
di quella giornata fu facile... non udivo la sua
televisione. Accostai l'orecchio alla parete che mi
divideva dal mio vicino, ma mi fu impossibile capire a
cosa fosse impegnato. Lo pensai allora assopito e
m'accinsi a mettere l'acqua sul fuoco. Sentii Marta
rientrare. Non sapeva nulla. D'altra parte era stata
fuori tutto il giorno anche lei come me. Dopo aver
mangiato in silenzio, lavato piatti e constatato che
iniziava il telegiornale, ci lasciammo finalmente
cadere sulla sospirata poltrona. Fu allora che anche
Marte mi fece notare la strana atmosfera che
regnava.
- Mi guardò in
viso proprio mentre facevo ugualmente con lei. La
sigla a tutto volume del Telegiornale delle sette e
trenta non arrivava dall'altra parte della parete.
Cominciammo a temere. La luce che all'imbrunire
filtrava fioca fino a sera tardi dalla finestra della
cucina del Cavaliere e che non avevamo notato; l'odore
mancato di brodo riscaldato o di cavolo fritto che da
anni aveva occupato giornalmente ogni angolo del
pianerottolo; il rumore del solito tegame che gli
cadeva dalla mano durante il lavaggio; il tintinnio
del piatto portato da mano incerta nello
sgocciolatoio, quella sera non c'erano
stati.
- Ricordai di non
aver visto il Cavaliere attendermi quella sera, di non
aver notato il solito richiudere la persiana per
rientrare in casa. Realizzai di non averlo incontrato
sulle scale intento in vestaglia a fingere di
annaffiare il suo Ficus per potermi salutare
solennemente, con la gentilezza di cui solamente chi
ha il suo tempo sa ancora godere.
- Stanco e incredulo,
più per volontà che per convinzione,
andai a letto rassicurandomi che la mattina dopo
l'avrei trovato come sempre sul balcone, con le due
tazzine del caffè, mentre m'attendeva per
scambiare le quattro impressioni sul tempo, sulle
notizie del telegiornale della notte prima, sulle
tasse o sull'onore di un tempo che non c'è
più.
-
- Non chiusi occhio
quella notte, più volte ebbe l'impulso di
alzarmi e andare ad origliare alla parete o suonare a
quella porta che da ieri era troppo silenziosa. Un po'
per discrezione, un po' per paura della realtà,
non lo feci. Rimasi tra le lenzuola a ricordare le
distratte chiacchiere che negli anni avevo fatto con
lui, e che non erano state, nel tempo, molti dissimili
tra loro. I volti dei morti di una mano nella prima
guerra e quelli uccisi di partigiano nella seconda; il
condominio curato con integerrima onestà per
dieci lunghi anni e le amare discussioni con alcuni
condomini che lo fecero desistere a proseguire; le
stagioni mutate per sempre dalla "bomba atomica"; le
attese giovanili; le speranze della maturità;
le delusioni della vecchiaia. L'avevo ascoltato con
cortesia, e, per l'avarizia di quel poco tempo che si
ha la mattina presto, con impazienza. La forza delle
sue amare parole ripetute fino all'ossessione mi
avevano affascinato per anni, e più volte, nel
viaggiare sull'assonnato autobus del mattino, mi ero
ricordato nei luoghi e nei tempi da lui evocati. Avevo
così potuto partecipare al suo matrimonio;
spiare le passeggiate che con la moglie aveva fatto
spingendo con fierezza la carrozzina orlata di rosa;
le passioni e le lotte del quotidiano per la
costruzione di quel domani, che sapevo ormai per via
diretta, non arriva mai pienamente come si spera e che
troppo presto raggiunge lo ieri per ritrovarsi, con
esso, accomunato e confuso nell'oggi.
- Quanti giorni
doveva aver visto quell'uomo, quante parole doveva
aver conosciuto per permettersi il lusso di
dimenticarle, e poi, perché aveva agito in quel
modo? Perché non diversamente pur sapendolo
migliore? Si era lasciato andare al destino, o aveva
capito quali fossero i suoi limiti? "Come stranamente
sono uguali le vite di tutti gli uomini: felici,
tristi, speranzose, e come finiscono poi sempre nello
stesso modo, nella consapevolezza di aver fatto troppo
poco nel tempo concesso". Poggiato a braccia conserte
sulla spalliera del sedile anteriore dell'autobus, ho
sonnecchiato e pensato al Cavaliere che per anni,
seduto sul balcone della sua cucina, cercava con amara
nostalgia di farmi capire che la sua rappresentazione
non era diversa da quella che sarebbe stata al fine la
mia, e che la vita di ognuno è uguale a quella
dell'altro, perché le aspettative, per se
diverse, sono comunque tali, e che la delusione per
non aver raggiunto l'ambito traguardo, fosse stato
esso la prestigiosa carriera o la semplice
partecipazione, è dal punto di vista di chi la
prova, la medesima.
- Alla fine, il
sipario si chiude.
- "È strano
come le cataratte nell'età offuschino la vista
del presente e chiariscano le ragioni del
trascorso".
- Per anni mi ero
ostinato a replicare quella che credevo la sua
cecità, e oggi, finalmente, se l'avessi rivisto
ancora una volta gli avrei confessato di averlo
raggiunto per merito di un drappo di velluto
viola.
-
- Mi ero alzato
sudato e più stanco del giorno prima. Non avevo
trovato subito il coraggio d'affacciarmi, poi visto il
tempo poco promettente, lo feci per non rischiargli un
malanno nell'inconscia speranza che mi stesse
aspettando per il caffè. Non c'era.
-
- Quella sera
rincasai alla stessa ora di sempre. Il drappo
già non c'era più. Alzai mesto lo
sguardo e tirai un sospiro di sollievo.
- La luce filtrava
dalle doghe della sua persiana. Zigzagai sul portone
tra le scatole di un probabile trasloco e salii con
l'ascensore fino al piano, felice di farmi dare la
buona sera. Ne uscii con difficoltà per le
scatole che, anche lì, impedivano il
passo.
- La sua porta era
spalancata e le luci tutte accese. All'interno il
classico trambusto eccitato di chi progetta il suo
futuro.
- Mi avvicinai timido
non ancora rassegnato, e, senza dover bussare, mi
trovai davanti a visi mai visti prima.
- "Il Cavaliere?
È morto..." disse la ragazza senza mostrare
particolari sentimenti. "Oggi abbiamo fatto i
funerali... era mio nonno, non lo vedevo da anni, sa,
la città..."
- La fermai con cenno
della mano.
- Capì ed ebbe
la compiacenza di non continuare. Mi ritirai nel mio
appartamento e non combinai nulla fino a che Marta
ritornò stanca e trafelata come al solito. "Era
per lui..." mi disse. L'ho saputo dall'Avvocato appena
sei uscito questa mattina.
-
- Da mesi non vedo i
ragazzi dell'appartamento vicino. Se casualmente li
incontro fanno i distratti. Spesso li sento litigare,
qualche volta discutere, quasi mai ridere o
scherzare.
-
- Dall'avvocato
dell'ultimo piano del palazzo di fronte, ormai
anch'egli molto vecchio, ho saputo che il drappo di
velluto nero e viola era stata una espressa
volontà del Cavaliere, e che egli stesso aveva
raccolto in testamento, un giorno di qualche anno
prima, la sola civetteria che quel saggio uomo si era
permetto con i risparmi di una vita.
- "Deve essere il
sipario che chiude la mia rappresentazione..." gli
aveva detto
- "... quello che
dopo l'applauso del pubblico all'ennesimo rientro, si
chiude definitivamente..."
-
- "Con queste
parole..." mi disse l'avvocato, "...il cavaliere mi
consegnò il suo testamento".
Per leggere la
prefazione e il 1 capitolo del libro "Bugiarda
solitudine"
Per leggere il racconto "Il
sipario" 
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