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LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Giuseppe Spiotta
Per leggere la poesia prima classificata al concorso Club Poeti 1999
Per leggere la poesia settima classificato al concorso Sartirana Lomellina 1999
Per leggere la poesia inserito nell'antologia Il Club degli autori 1999-2000
 
Il vento
 
Ancora una volta non era riuscito ad impedire che accadesse.
Il vento l'aveva colto di sorpresa svegliandolo con un lugubre ululato.
Iniziò a stringersi la testa tra le forti mani, che sentiva fredde e tremanti, e smise solo quando il dolore, per quella pressione, fu quasi insopportabile.
Con angoscia si rese conto che anche questa volta non ci sarebbe stato niente da fare per evitare che accadesse.
Come le altre volte alcuni si sarebbero sparpagliati sul grande prato, ed altri sarebbero per sempre spariti volando, sospinti dal vento, oltre il bianco muro.
Odiava quel vento che all'improvviso, sempre di notte, sentiva turbinare nella sua testa con una forza inaudita. Quando cessava si sentiva debole, squassato da quella potenza invisibile capace di strappargli ogni energia.
Dopo quelle crisi faceva fatica a riprendersi, a ritrovare la voglia di ricominciare.
Anche fisicamente si sentiva come un sacco vuoto che aveva bisogno d'essere riempito per poter nuovamente stare in piedi - per non parlare della sua povera testa.
Quando il vento cessava aveva l'impressione che la sua testa si fosse mutata in un leggero palloncino trattenuto da un lungo esile filo che doveva, con penosa fatica in un liquido delirio, raggomitolare, prestando attenzione che il filo non si spezzasse, per richiamarla a sé e ricondurla a fare il suo dovere, che consisteva, come gli avevano insegnato, ad essere ubbidiente, paziente a comportarsi con calma senza lasciarsi andare alla disperazione.
Lui faceva diligentemente tutto quello che gli era detto di fare. Eseguiva con scrupolosa pignoleria le disposizioni al punto da ricevere delle lodi per il suo operato; ma il tutto gli costava fatica.
Avrebbe preferito che quel maledetto vento lo spazzasse via per sempre, per non dover soffrire, per non ricominciare ogni volta da capo.
Non si lamentava quasi mai per un innato senso di dignità e riservatezza che dimostrava anche nel dolore.
Si comportava sempre con grande signorilità, ed anche questo contribuiva a renderlo diverso da tutti gli altri ed anche lui, in verità, si sentiva diverso; questo doveva ammetterlo.
Non sopportava tutto quel chiasso, il petulante vociare, la caotica confusione, quel lamentoso continuo chiedere.
Preferiva starsene da solo, appartato, non gli piaceva condividere con gli altri le sue sensazioni, i pensieri, le sue miserie.
Desiderava la pace, si sentiva mentalmente stanco, assetato di quiete, di quel silenzio interiore che non riusciva a trovare.
Era pur vero che a volte viveva dei momenti d'intesa felicità che lo esaltavano, quando riusciva a fare cose che erano definite "proibite", ma per questo veniva di solito rimproverato.
In quei brevi momenti di felicità era come se si spalancassero i cancelli che tenevano imprigionata la sua mente.
Tutto sarebbe stato anche sopportabile se non ci fosse stato quell'odioso vento che ritornava, di tanto in tanto di sorpresa, nel buio senza alcun preavviso; quel vento che non aveva la possibilità di combattere, che gli faceva odiare la vita.
Anche quella notte lo sentiva soffiare e turbinare, senza tregua, nella mente e la sua angoscia cresceva con il trascorrere dei minuti che sembravano eterni.
Ancora una volta sarebbe stato costretto a dover ricominciare tutto da capo.
Si alzò, con passo malfermo si diresse verso la finestra che spalancò.
Si aggrappò alle gelide sbarre dell'inferriata appoggiandovi la fronte sudata.
Tratteneva il respiro mentre i suoi occhi sbarrati frugavano nella notte, ma era troppo buio per vedere qualcosa.
Doveva attendere, con l'ansia che montava come una straziante marea, la livida luce dell'alba che gli avrebbe palesato la verità.
Li avrebbe ancora una volta visti penosamente sparsi sul grande prato.
Alcuni ancora immaturi, simili a piccoli feti bagnati, strappati impietosamente anch'essi dalla sua mente. Tutti da raccogliere, come sempre, con cura.
Era angosciato. Sapeva che dopo ogni tempesta di vento ne avrebbe ritrovati sempre meno.
Andavano avanti così rischiava di rimanere senza, di perderli tutti.
I primi tempi impiegava anche delle ore per raccoglierli e stiparli in quel grande sacco che gli avevano dato.
Li raccoglieva con gioia, riconoscendoli, uno ad uno man mano che li prendeva.
Li guardava soddisfatto e felice d'averli ritrovati. Li puliva accuratamente prima di metterli nel sacco.
L'ultima volta invece erano veramente pochi quelli che era riuscito a raccogliere.
L'uomo che gli era accanto, che parlava lentamente, affermava che era a causa della stagione, che con il prossimo autunno la sua raccolta sarebbe stata abbondante come in passato.
 
"Devi aver pazienza ed attendere il ritorno dell'autunno che ti consentirà di riempire nuovamente il tuo sacco".
 
Cos'era l'autunno non aveva osato chiederlo all'uomo, vestito di bianco, che cercava di lenire la sua disperazione.
No! Lui non poteva aspettare. Doveva raccogliere subito i pensieri che il vento strappava dalla sua testa e spargeva sul grande prato, di fronte alla casa dove era ospitato.
Non poteva aspettare, non poteva rischiare di perderli, di rimanere senza.
La sua testa, senza i pensieri, sarebbe diventata leggera con il rischio che volasse via per sempre, se si fosse rotto quell'esile filo. Possibile che nessuno riuscisse a capirlo?
Li doveva raccogliere in quel sacco, che avrebbe poi portato nella sua stanza, sapendo che la notte, mentre lui dormiva, loro sarebbero usciti per ritornare nella sua mente.
Anche l'altro uomo, vestito di bianco, che lo accudiva lo sapeva, infatti, quando accadeva, dopo ogni raccolta, la sera prima di chiudere la porta della stanza, come premio gli dava una zolletta di zucchero dallo strano sapore.
Era sempre lui, l'altro uomo vestito di bianco, di mattino a fargli vedere il sacco vuoto e a chiedergli se erano rientrati tutti ai loro posti, e lui annuiva felice sentendo che erano lì, e che per la gioia d'essere ritornati a vivere facevano una gran confusione nella sua testa.
Si sarebbero calmati, dopo un po', riprendendo a tenergli compagnia, prima che quel nefasto vento, ritornando all'improvviso, li spazzasse via ancora una volta, allontanandoli da lui.
Si staccò dalla finestra, prese il sacco che teneva vicino al letto, e si avviò verso la porta della stanza.
Non ebbe bisogno di chiamare per farsi aprire. L'uomo vestito di bianco lo guardava dallo spioncino parlandogli con calma:
 
"Devi attendere almeno che spunti il sole. Devi avere un po' di pazienza; dopo ti lascerò uscire sul prato, anche se fa freddo, a raccogliere tutte le foglie che vorrai.
Ora torna a dormire, fai il bravo, ti chiamerò io".
 
Perché quell'uomo li chiamasse "foglie" lui non lo capiva, ma non aveva importanza.
Era importante invece che fosse lui il primo ad uscire per raccoglierli, per impedire che gli altri se ne impadronissero o peggio che calpestassero i suoi pensieri, che il vento aveva ancora una volta sparso sul prato.
Strinse al petto il sacco e si sedette sul pavimento, accanto alla porta, nella attesa del sole.
 
 
  
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Inserito il 27 ottobre 2000