LA
CIMA DELLA GUIDA
- l
Silenzio non è assenza, ma totale presenza.
Consapevole di questo, Ottavio, amava passare le ore
insonni della notte svolgendo varie attività:
lettura, preghiera, meditazione, contemplazione e
ascolto del paesaggio. Nella vecchiaia aveva ritrovato
pace e serenità, temperato una vita attiva,
pesante, vissuta di petto, tra privazioni e svolte del
destino. Viveva dalla nascita in un piccolo borgo di
montagna, abitato da poco più di duecento
anime, circondato da altissime vette, mete di
innumerevoli alpinisti. Se ne era allontanato solo
poche volte: durante la seconda guerra mondiale,
chiamato nell'esercito, due settimane a San Remo da un
vecchio commilitone per il viaggio di nozze, e a Roma,
alcuni giorni, per ricevere un premio dal Presidente
della Repubblica. Tutto il resto del tempo l'aveva
passato tra i suoi monti, nell'Alta Valtellina,
lavorando la terra ed allevando alcuni animali. Aveva
salutato molti suoi coetanei partiti in cerca di
fortuna in terre lontane e mai più tornati, se
non per fugaci visite ai parenti o per vendere la
propria casa. Aveva salutato figli e nipoti stanchi
della lenta e povera vita di montagna, fuggiti in
cerca di cultura e lavoro nelle cittadine della
Regione. Infine anche la moglie se ne era andata,
accolta dal Signore dopo una lunga e incurabile
malattia.
- Alloggiava
in un'antica casa in centro, le finestre si aprivano
sulla via principale, un susseguirsi di vecchi porfidi
posati da alcuni uomini quando Ottavio era ancora
bambino. Nel paesino abitavano parecchi anziani e vi
era stato il ritorno di alcuni giovani amanti della
montagna, desiderosi di una vita a dimensione umana,
dai ritmi più lenti, e qualche turista caduto
nella rete di alcune agenzie immobiliari capaci di
prendere diverse dimore e trasformate in lussuose
villette.
- Ottavio
pensava a tutto questo mentre la luna piena aveva
cominciato ad illuminare l'ennesima notte d'inverno
scivolando, tra l'altro, entro l'antica casa di lui.
L'orologio a pendolo, vecchio ricordo di Franco, amico
da sempre e ingegnoso falegname del paese, segnava
qualche minuto oltre la mezzanotte. Vi era silenzio,
tanta luce, chiara perla, mentre il vecchio assaporava
l'ultimo libro di Rigoni Stern, compagno di guerra,
compagno di Russia. Fuori alcuni rumori richiamarono
la sua attenzione: sbattere di ferraglie e di
portiere. Lentamente Ottavio si recò alla
finestra e vide sotto, nella via, il giovane Alberto
caricare alcuni oggetti sulla jeep: corda, piccozza,
moschettoni, sci, zaino e ramponi. Alberto era il
terzo ed ultimo figlio di Gioacchino, secondo cugino
di Ottavio e forse la più grande guida alpina
della zona. Alberto seguiva le orme del padre, era
giovane, forte, caparbio e in lui ancora batteva
l'ardore e il sano richiamo della Montagna. Ottavio
spesso si era fermato a parlare con lui, notava come
il giovane amasse ascoltare gli anziani, cosa ormai
estinta nella gioventù moderna, chiedere
consigli, proporre nuove idee, ma poi sapeva comunque
trarre le sue conclusioni ed intraprendere ciò
che sentiva da dentro. Proprio mentre stava per salire
in auto, Alberto, buttò fugacemente lo sguardo
alla finestra con la luce accesa della sala di
Ottavio, e trovandovi il vecchio lo salutò con
un semplice gesto della mano portata al capo. Il
vecchio ricambiò, e per un attimo i loro
sguardi si incrociarono profondi: Ottavio
avvertì un brivido lungo la
schiena.
- Una
volta persa di vista la jeep, lanciata verso l'alta
montagna, Ottavio aprì i battenti della
finestra. Dalla vetta, verso la "Cima della Guida",
scendeva un'aria flebile, quasi temperata, umida. Il
vecchio ne annusò l'indole carpendone una
strana atmosfera:
- "E'
troppo sensuale, è troppo umida e calda.
C'è aria d'attrazione, la montagna chiama e
questo richiamo è ammaliante. Non mi piace, non
mi piace." Pensò, richiudendo i battenti.
Cercò di tornare sulle pagine del libro, ma
pessimi ricami della mente lo allontanavano dalla
lettura, perciò decise di provare a coricarsi.
Dopo qualche minuto il sonno riuscì ad avere il
sopravvento sui pensieri e una serie di sogni pesanti
e veloci lo accompagnarono per alcune ore. Fuori la
luna splendeva immensa nel cielo limpido da nuvole, e
la sua luce rifletteva sul candido manto di neve che
copriva ogni luogo. Il bianco perlato avvolgeva ogni
oggetto, creava un'atmosfera fantastica, accompagnava
suoni e rumori ovattati. Tutto era sinuoso, ogni
spigolo o angolo del paesaggio smussato ed arrotondato
dalla neve, forme lavorate dal vento, un mantello
capace di velare tutto e nulla.
- Ottavio
si svegliò all'improvviso, richiamato alla
veglia da un rumore sordo e lontano, un boato, un
urlo, un grido. Si alzò di scatto portandosi a
fatica in salotto, verso la finestra. L'orologio
segnava le quattro e quaranta, la luce della luna
ancora alta e ammaliante. Decise di riaprire i
battenti e nuova aria lo accarezzò bruscamente:
- "E'
aria fredda, frizzante, cattiva. Viene dalla "Cima
della Guida", è furtiva, profuma di metallo, ha
il sapore del sangue, non mi piace.". Pensò.
Guardò verso la montagna perdendosi lungo la
via tra le vecchie case, retaggio del primo abitare
del luogo. Per la strada silenzio, ma un silenzio che
strideva, che nascondeva, che rideva. Il cuore in
subbuglio, non avvertiva più sonno, una serie
di brividi attraversavano dalla testa ai piedi il suo
magro ed esile corpo. Chiuse la finestra e si sedette
sulla poltrona riprendendo a leggere un vecchio libro
di preghiere che apparteneva a sua moglie. Spesso
quando pensieri o problemi lo assillavano, quando il
battere dell'inquietudine e della solitudine lo
assalivano, recuperava il vecchio breviario della
moglie, dono del parroco per il loro matrimonio, e
leggendo tra le righe ritrovava serenità.
Ritornava a vivere le serate in compagnia di lei,
quando seguiva le sue preghiere, seduti davanti al
fuoco che scoppiettava e riscaldava i loro corpi, come
le preghiere la loro anima. Sempre nella stessa baita,
nello stesso paesino, riparati dalle stesse montagne.
Anche ora non si sentiva più solo, leggendo il
breviario allo stesso ritmo di allora.
- Il
campanile della piccola chiesa suonò le sei e
trenta e la chiamata per la messa delle sette
risvegliando Ottavio, assopito nel sonno, ancora
seduto con il breviario in mano e la luce della
lampada accesa. L'alba stava arrivando e il vecchio
ritornò ai suoi pensieri. Decise di cambiarsi,
indossare l'abito da riposo, quello più consono
per andare a messa nella piccola e fredda chiesetta.
Scese le scale e uscì sulla via, risalendo
lentamente lungo la strada verso la casa del Signore.
Passando davanti alla dimora di Alberto osservò
che la jeep non era parcheggiata al solito posto,
quindi il giovane non era ancora tornato dalla
montagna, e questo non lo rendeva tranquillo. Arrivato
alla chiesa entrò in silenzio ritrovando le
solite quattro vecchiette, uniche avventrici nei
giorni feriali, e Francesco, il ragazzino nipote e
chierichetto del prete che, tutte le mattine, prima
mungeva le poche mucche del padre, poi serviva messa
ed infine si recava nel paese più sotto a
scuola.
- All'uscita,
dopo la funzione religiosa, salutate le donne e il
ragazzino, Ottavio aspettò il parroco e con lui
si diresse alla umile e vecchia osteria ora adibita a
bar ristoro. Vi trovarono Camilla, la non più
giovane, ma sempre avvenente barista, ultima figlia
del primo e non ricambiato amore di Ottavio, la bella
Loretta.
- "Buon
giorno signor Parroco e Signor Ottavio, vi preparo il
solito?" chiese con gentilezza Camilla mostrando occhi
stanchi e gonfi forse per il poco sonno, il bar
chiudeva spesso tardi la sera.
- "Certo
signorina Camilla, per me un buon cappuccio e per
l'Ottavio un caffè lungo macchiato freddo"
rispose il parroco.
- Nel
locale vi erano anche altri clienti: Simone,
l'idraulico, Paolo, suo fratello e socio, Pietro,
allevatore e contadino appena arrivato dalla stalla,
il dottor Pagheri, pensionato milanese, da anni
trapiantato nel borgo ed amante frequentatore dei
luoghi d'incontro, ed infine l'immancabile Savino,
spasimante mai ricambiato da Camilla, capace di
passare intere giornate al bar d'inverno quando il
lavoro di muratore era fermo a causa del
freddo.
- "Mi
sembrate irrequieto e strano stamane signor Ottavio"
chiese ad alta voce il parroco.
- "Non
so come spiegarvi, padre, ma da questa notte ho strani
sentori. Non avvertite anche voi che aria strana tira
giù dalla montagna?" rispose ad alta voce
rivolgendosi a tutti Ottavio.
- "Le
la solita aria fredda che arriva, signor Ottavio"
rispose Simone.
- "Mi
pare anche a me uguale" fu l'intervento poco attento
del fratello.
- "Forse
oggi è un po' più fredda, rispetto a
ieri, il termometro fuori di casa misura due gradi in
meno" s'intromise il dottor Pagheri mostrando
interesse.
- "Macché
due gradi in meno, dottore, non parlo di temperatura.
E' normale è stata notte di ciel sereno e non
nuvolosa come quella prima. Parlo di odore, di sapore,
di atmosfera." Riprese Ottavio.
- "Adesso
l'aria profuma e ha un sapore!" s'intromise Savino
scoppiando a ridere e risvegliandosi dal torpore
mattutino.
- "Fai
silenzio Savino, cosa vuoi saperne tu che altro non
fai che fumare e leggere la Gazzetta dello Sport, qui
al bar" disse decisa Camilla.
- "Certo
che non è comune pensare ad odore e sapore
parlando di aria, al massimo possiamo dire che sia
più fredda o umida, calda o che proviene da
nord o da sud. Non è vero?" riprese il dottor
Pagheri.
- "Non
si tratta di dati scientifici, caro dottore. Deve
sapere che la natura parla e racconta e questo non
è fantasia, occorre saper ascoltare. La
montagna narra ogni minuto e se sappiamo ascoltare
quanto l'aria ci porta a valle tanto possiamo
comprendere" riprese Ottavio.
- "Vede
don Paolo, abbiamo con noi un altro San Francesco!"
riprese Savino con tono di burla.
- "Taci
Savino qualche volta, ti farebbe bene!" disse Camilla
portando cappuccino e caffè al parroco ed a
Ottavio.
- "Ci
vorrebbe qui Alberto, lui potrebbe comprenderla e
sostenerla nella sua tesi. Io vi saluto il lavoro mi
chiama" salutò Simone pagando il conto a
Camilla ed uscendo accompagnato dal
fratello.
- "Si,
ci vorrebbe Alberto, strano che non sia qui a far
colazione, di solito quando non è via per
lavoro viene sempre verso le sette e trenta" riprese
Camilla.
- Ottavio
ricordò il giovane e la nottata passata. "L'ho
visto partire questa notte, attorno alle mezzanotte e
trenta, con la jeep verso l'attacco della "Via della
Guida". Aveva caricato sci e ramponi, ma non credo sia
tornato e questo un poco mi preoccupa".
- "Si,
ora ricordo, l'altra sera mi aveva detto che se fosse
stata notte serena di luna piena voleva salire in
notturna la "Via della Guida" per poi godersi all'alba
una bella sciata scendendo dal costone delle marmotte.
Credo si sia goduto una bella neve friabile.". Riprese
Camilla.
- "Trovo
strano che non sia ancora tornato" preoccupato
Ottavio.
- "Si
sarà perso ad osservare qualche animale o a
contemplare il sorgere del sole. Lo sapete che
è un sognatore quel uomo." Riprese
Savino.
- "Ti
farebbe bene anche a te passare qualche tempo nella
natura a contemplare invece che starmi sempre attorno
dalla mattina alla sera" attaccò di nuovo
Savino la barista.
- "Vabbè,
cercate di non litigare come sempre. E' bene che vada
a portare la comunione alle mie vecchiette. Quanto le
devo signorina Camilla?" chiese il Parroco andando
verso la cassa.
- "Devo
sempre ripeterle, don Paolo, come tutti i giorni, che
non mi deve nulla, al massimo dica qualche preghiera
per me.". Rispose Camilla.
- "Preferirei
vederla di più in chiesa, comunque la ringrazio
e mi ricorderò come sempre nelle mie
preghiere". Disse andandosene il Parroco.
- "Sarà
dura che vedrà la Camilla a messa, povero
Parroco, parole spese per nulla" rise di nuovo
Savino.
- "Va
al diavolo, Savino, ora posso dirtelo visto che il don
se ne è andato, vedi di andare a quel paese e
di farlo in fretta" Riprese lei.
- "Suvvia,
fate i bravi. Eccole i soldi, Camilla, vi saluto,
torno a casa a vedere se Alberto è tornato.".
Disse Ottavio uscendo dal bar.
- "Stia
tranquillo Alberto sa badare alla sua vita, non
è come te Savino". Ribattè Camilla
salutando il vecchio.
- Uscendo
Ottavio diede uno sguardo giù lungo la via, ma
non vide la jeep di Alberto. Allora guardò
verso la cima della montagna e annusò di nuovo
l'aria: era silenziosa, muta, inodore, dava un senso
di pace, di troppa pace. S'incamminò verso
casa, ansia e paura albergavano nel suo
cuore.
- Verso
le undici e trenta decise di recarsi nel piccolo
negozio di generi alimentari che ancora resisteva nel
paese, gestito da alcuni suoi nipoti. Scese di nuovo
sulla via e uscendo sentì il viso
schiaffeggiato da un'aria tagliente, schietta, agitata
che come sempre proveniva da nord. Lo sguardo su verso
la strada, la jeep di Alberto non c'era ancora, al suo
posto quella di Claudio, il fratello maggiore e capo
del soccorso alpino del paese più a valle.
Mettendosi il cappello si avviò verso il
negozio svoltando subito a destra per un piccolo
vicolo. Lì la strada tornava ad essere
sterrata, ai bordi antiche dimore in sassi non
più restaurate portavano ancora vecchi dipinti
e residui di voti e devozioni. Una moderna fontana
aveva sostituito la vecchia costruita a suo tempo da
Bepi, suo suocero, proprio davanti alla baita che gli
apparteneva, ora lasciata in disuso dai nipoti. Ogni
volta che passava, Ottavio si fermava: dalla soglia
della dimora osservava lontano la "Cima della Guida",
proprio lì aveva chiesto a Bepi la mano della
figlia. Si fermò anche questa volta ed
osservando in alto vide l'elicottero del soccorso
muoversi dalla cima e volteggiare lontano verso valle.
Riprese lentamente il cammino giungendo alla piccola
bottega ricavata da un antico fienile. Entrando
sentì uno strano vociferare: Milena, la moglie
del proprietario, stava parlando con la signora Rosa,
la perpetua del parroco.
- "Dicono
che sia stato sommerso da una valanga verso le cinque
del mattino mentre aveva iniziato a scendere con gli
sci. E' successo appena sotto la "Cima della Guida" e
mio marito, che ha partecipato al soccorso, dice che
è strano che una valanga si stacchi proprio da
lì. Comunque a trovarlo è stato proprio
suo fratello Claudio. Alberto era sotto solo mezzo
metro di neve, ma esanime, forse è stato
soffocato dalla neve oppure è morto per il
colpo.".
- "Sono
appena arrivati alcuni parenti, la sorella è
stata dal parroco e stavano pensando di seppellirlo
nella tomba dello zio Valente, qui al cimitero del
paese, in modo che riposi tra le baite che conosceva e
sotto quella maledetta cima che lui tanto amava. Certo
che è una tragedia." Proseguì la
perpetua.
- Ottavio
si fermò sulla porta, un brivido freddo
attraversò tutto il suo corpo. Pensò a
Valente, un uomo di un decennio più giovane di
lui che assomigliava molto ad Alberto, suo nipote. Con
Valente aveva passato pregnanti momenti tra i boschi e
le vette della zona, aveva imparato ad ascoltare i
rumori e le voci della natura, aveva apprezzato la
genuinità e la semplicità. Lo zio di
Alberto, pochi giorni prima di morire per un male
incurabile, aveva voluto raggiungere una radura appena
sopra da dove si poteva scorgere bene la "Cima della
Guida", sopra, ed il borgo, sotto.
- "Guarda
che meraviglia, Ottavio, su in alto la "Cima della
Guida" sembra toccare il cielo, un cielo azzurro e
limpido. E sotto il nostro paese che si stà
spopolando. E' un peccato vedere le baite degradarsi e
cadere sotto l'incuria del tempo e i giovani andarsene
verso valle, in città, lontano da una natura
che parla e che vive. Fra un po' nessuno più
saprà ascoltare la sua voce, leggere nel vento
i messaggi che ci manda la "Cima della Guida",
scorgere e capire quando sfidarla e quando
contemplarla. E' un grosso peccato, perché
così ci allontaniamo da ciò che siamo,
dal Divino, dalla vita, dalla felicità e dalla
gioia.".
- Con
loro c'era Alberto, e pochi giorni dopo, alla morte
dello zio Valente, si erano rincontrati. Il ragazzino
era sconvolto, amava molto lo zio, e si rendeva conto
che non aveva saputo cogliere tutto l'insegnamento che
racchiudeva nel proprio cuore.
- Ottavio
tornò verso casa, non aveva più voglia
di mangiare né di parlare con la gente. Il suo
cuore era distrutto: aveva perso un amico e
soprattutto una delle poche persone nel cui cuore
batteva ancora l'amore profondo per la montagna, per
il loro antico borgo, e in cui la semplicità
d'animo sapeva ancora vivere. Mentre percorreva la via
principale le campane della piccola chiesa iniziarono
a suonare a morto. Si fermò un attimo, l'aria
era ferma, nemmeno un alito di vento muoveva. Ottavio
comprese che la montagna non aveva più nulla da
dire, forse aveva commesso un errore, o forse solo
quanto il volere di Dio, di certo non poteva fare
altro che piangere in silenzio la partenza di uno dei
suoi figli prediletti.
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