- Perdona
i labirinti
Settembre, ore 4 pomeridiane, nel giardino della Rosy
che guarda verso la Val Loga il dolce sole di
Montespluga invita alle confidenze. Si è
loquaci sulle nostre storie, presenti e passate. Il
sole sulla pelle è un fiore fresco che profuma
di Piz Buin, è quello giusto per
raccontare.
- Ho
portato un documento che riguarda la Ca' della
montagna, ora Albergo Vittoria: alla Rosy può
certo interessare: l'antica Ca' della montagna le
apparteneva fino a qualche anno fa. Leggo. Mi guarda
sgomenta, il suo interesse è forte: bisogna
andare a Campodolcino, lì ci saranno i registri
dei defunti del Seicento; sarà annotato chi
è morto nel 1618 e perché; bisogna
sapere qualcosa di più su quell'antica
tragedia!
- Ci
lasciamo con la promessa di consultare altri documenti
per chiarire gli efferati delitti per mano del
Campodolcino Giorgio, gestore della Ca' nel
1618.
-
- Poi
nel dicembre di freddo e di bufere la limpida neve
dello Spluga si macchiò di altro sangue, quello
dell'Achille e dell'Adalgisa, trovati abbracciati
nella baita abbandonata presso il ponte della Val
Loga: lui l'aveva uccisa e poi si era tolto la vita in
un ultimo tentativo di stare con l'amata per sempre.
O, almeno, questo scrissero le cronache in un empito
di romanticismo applicato alla tremenda realtà
di una duplice orribile morte. Furono ritrovati dopo
giorni e giorni di ricerche. E sì che qualcuno
aveva detto: provate lì.
- Poi
l'Achille per qualcuno è diventato "mitico",
Achille il buono, Achille il generoso, Achille il
taciturno, quello che giocava con i bimbi a
Montespluga, sempre pronto a dare una carezza, forse
pensando alla figlia lontana, non più
sua.
- Altro
non so, non oso dire, insondabili sono i pensieri
dell'uomo, un guazzabuglio il suo cuore.
-
- Ma
perché tenere ancora sulle spine il lettore
curioso?
- Eccolo,
dunque, il documento che per quattrocento anni
è rimasto sepolto prima in uno stipo, poi in
una biblioteca: è una lettera del dotto prelato
comasco Gerolamo Borsieri trascritta, insieme ad
altre, in un manoscritto. Scorrendolo, l'occhio
attento ha visto un nome: "il Campodolcino". Mi
interessano le cose delle nostre parti. Quando le
scopro, non nascondo che provo un sussulto al cuore.
Dopo segue la fatica di decifrare, di cercare di
capire. Ho letto la lettera con una certa
difficoltà per la grafia che non era chiara, ma
anche perché i fatti e il modo con cui erano
narrati mi lasciavano perplessa, incredula.
- Leggi
tu ora, lettore, con attenzione, seduto al sole di
Montespluga o chissà dove, ma portandoti
lì con la mente e il cuore. Il testo è
forte, ingarbugliato ma forte, è di quelli che
non lasciano indifferenti: per questo ho deciso di
salvarlo; ne ho parlato un po' a tutti a Montespluga,
non solo alla Rosy, suscitando le più varie
reazioni; ora voglio farlo conoscere nella sua
interezza, voglio che parli con la sua lingua, non
altra.
- Dopo
dirò le mie riflessioni, i miei pensieri.
Inadeguati per un simile labirinto.
- Anche
tu ti ci perderai.
-
- Per
lo caso seguito nella famiglia del
Campodolcino.
- Non
potrei ragguagliare Vostra Signoria del caso che pur
è seguito in Valchiavenna con la passata mia
del 2 perché io stava ancor dubbio se dovessi
crederlo o no. Si trovano tanti ingegni che pingono
volentieri ch'appena può prestarsi fede al
più stretto amico.
- Hor
che io ne sono certo, eccone una breve relazione. Al
piè della montagna di Spluga sopra Chiavenna
giace un picciol albergo detto la Chà dove
soleva fare un'hosteria Giorgio detto il Campodolcino.
Aveva costui due figliuoli, un maschio ed una femina.
Il maschio, essendosi dilettato di veder novi Paesi,
erasi trattenuto fuori tanto tempo che aveva perduto e
mutato sì l'aspetto che non si poteva conoscer
a prima vista. Torna nondimeno costui alla Patria
verso il principio dell'agosto e, senza punto
discoprirsi, consegna al padre qual forestiero un
valiggino di danari; e dopo la cena si fa condurre al
letto dalla sorella, secondo l'uso della Valtellina in
cui le donne servono a' forastieri. Cominciasi
cercarla se habbia fratelli. Essa gli risponde che
vive dubbia se pur se ne trovi in vita uno, che si era
partito da casa molti anni avanti. Soggiungine allora
egli se veggendolo una volta lo conoscerebbe. Afferma
la sorella, onde il fratello se le discopre, ma la
prega insieme a non dare di ciò motto veruno al
padre. Essa parte, e tace. Il padre ch'intanto dalla
tentattione del valiggino s'era lasciato vincer, tosto
che la figliola comincia dormire, se ne va di nascosto
alla camera del figliuolo non ancora conosciuto, e
trovandolo addormentato gli taglia la gola, e
l'uccide. Spunta appena l'alba che la figliuola corre
al padre e gli discopre il secreto. Il padre, pien di
dolore insieme e di sdegno perch'ella non gli habbia
scoperto ciò la sera, forse con quell'istesso
ferro con cui aveva ucciso il figliuolo l'assale con
quattro colpi e la lascia in terra per morta. Ricorre
alla camera del figliuolo per piangervi sugli occhi il
peccato commesso pensando pur che non ancora sia
uscito di vita. Ma tadi vi ricorre. Però,
voltosi alla disperatione, s'accosta ad un albero e vi
si sospende. La figliuola non men dogliosa confessa il
caso alla giustizia e tosta si more
anch'ella.
- Questa
relazione hoggi mando a Vostra Signoria. Può
quasi dirsi liberamente che Nostro Signore habbia
lasciata seguire la morte di tutti e tre,
perché ciascuno era stato colpevole. Il padre
come avaro ladro e micidiale, il figliuolo e figliuola
come crudeli, ed io sono appunto di parere che possa
lor darsi colpa maggiore, perché sapendo l'uno
e l'altra quanta allegrezza haverebbero recata al
padre, e quanto gusto, doveva quello discoprirseli
all'arrivo, e questa almeno discoprirglielo subito che
l'ebbe riconosciuto. Obligo maggiore ha il figliuolo
verso il padre di quello che habbia verso se stesso,
dovendo anteporgli il giovargli al proprio comodo
quasi necessariamente. E che più? Iddio stesso
volendo mostrar quest'obligo ne' precetti del decalogo
minaccia per li figliuoli crudeli co' padri pena
eterna e temporale, ciò che non minaccia per la
trasgressione di qualsisia altro precetto che
v'habbia, non minacciando in tutti gli altri se non
l'eterna. Piaccia a sua Divina Maestà che uno
di questi trasgressori non sia anch'io medesimo col
mio, il quale non vorrebbe pur ch'io tornassi
costà particolarmente per dimorarvi il verno.
Ma intorno ciò sa Vostra Signoria quanto far
possa. A me basta saper quanto far debba, e non
più.
- Di
Casnate il 23 d'ottobre 1618.
-
- Hai
letto? Ti ha preso un sussulto al cuore? Certo hai
bisogno di rileggere, di capire. Quanto mi piacerebbe
entrare nei tuoi pensieri, descrivere le tue emozioni,
le titubanze!
-
- Io
ti dirò qualche lacerto dei miei pensieri,
delle mie emozioni, quello che è
rimasto.
- Nella
lettera, di cui non si conosce il destinatario, il
prelato comasco, amico del cardinale Federico
Borromeo, non può esimersi dal dare un giudizio
su quanto successo nella Ca' della montagna.
- Ma
c'è qualcosa che non torna fin dalla narrazione
dei fatti. Sono, quelle avute dal Borsieri, notizie
venute da lontano, tra l'altro in due momenti
successivi, come si ha ragione di credere dall'accenno
all'attesa di ulteriori precisazioni fatto a inizio
lettera, tanto il misfatto gli pare efferato:
- "Si
trovano tanti ingegni che pingono volentieri ch'appena
può prestarsi fede al più stretto amico"
sentenzia incredulo, lui che sa come va il mondo:
è amico di poeti, pittori e letterati che ne
apprezzano i buoni uffici per ottenere vuoi un dipinto
dal celebre Morazzone, vuoi una poesia dal cavalier
Marino, vuoi una descrizione delle Tre Pievi
altolariane dal dotto arciprete di Gravedona,
Giacomantonio Curti Maghini.
- Solo
quando è certo, così dice, dei fatti, ne
fa una breve relazione.
- Noi
siamo increduli ancora.
- Sono
notizie passate di bocca in bocca, di lettera in
lettera e di strada o, meglio, di sentieri impervi e
scivolosi ne hanno percorsi da agosto a ottobre,
perdendosi nel buio delle congetture, ritrovandosi
solo fuggevolmente in radure di luce.
- Che
cosa successe veramente? Che cosa si diffuse di bocca
in bocca? Ma non è questo il punto, visto che
non sapremo mai, come non seppero coloro che accorsero
subito sul luogo della tragedia, pur profondendosi,
immaginiamo, in informazioni, in testimonianze.
- Forse,
in qualche archivio, potremo trovare una relazione
più fedele di quella avuta dal Borsieri, se
fedele ha un senso qui.
- Ma,
ripeto, non è questo il punto. Entrare
nell'animo dei protagonisti del truce fatto
secentesco, ma anche nella mentalità delle
persone di allora, di una certa categoria o di un
singolo individuo è impossibile per noi.
- Io
non saprò mai entrare nell'animo di nessuno,
men che meno in quello di un mio simile del Seicento.
Ma se anche lo sapessi fare per conoscenze
storico-sociali-religiose profonde e non illusorie,
non progredirei di un passo.
- Perché
c'è qualcosa di sconvolgente che accomuna
questi delitti a quelli di oggi: non si saprà
mai che cosa ha stravolto le menti, menti fragili
sempre, che basta un niente a turbare; non si
riuscirà mai a scorgere i passi successivi a un
primo pensiero non necessariamente di morte, anzi
spesso di vita, di gioia, a intuire le speranze
momentanee e i sussulti del cuore. Quello, per
intenderci, che anche i protagonisti, se fossero
sopravvissuti, non avrebbero saputo dire, ricordare
(quali pensieri, immagini, sequenze minime dei
fatti...), essendo le testimonianze, e quindi anche la
loro, immediatamente viziate dalla subitanea
dimenticanza o cancellazione, dal perdersi nei
labirinti della mente, che ricorda e cancella e ripone
e sposta e riprende in veste nuova, sciacquata o
ulteriormente lordata, per riporre in cunicoli ciechi
dove ricercare, può darsi, più tardi, a
distanza di tempo, di giorni o mesi o anni, l'amore e
l'orrore che solo Dio può
perdonare.
- Ma
la giustizia degli uomini, la nostra povera giustizia
deve fare il suo corso, e come l'erudito comasco
Gerolamo Borsieri misurare la colpa, punire, espellere
il vizio turbatore, soprattutto salvare i padri, le
loro leggi, la loro sicumera e arroganza e prepotenza
al di là di ogni ragionevole dubbio e
consapevolezza: "colpa maggior" è dei figli,
egli dice. L'interesse per il "valiggino", la brama di
denaro, l'ingordigia del Campodolcino, causa del primo
delitto, e l'ira e la vendetta, causa del secondo,
passano in secondo piano per il Borsieri.
- Se
si confronta la colpa del Campodolcino con quella dei
figli, questa a noi appare poca cosa, un vezzo, uno
scherzo innocente, un gioco per sorprendere il
genitore, per poi gioire insieme della fortuna che il
figlio ha fatto nel mondo, lontano dal padre, dalla
sua sicumera e prepotenza e
prevaricazione.
- Ma
poi anche il Borsieri confessa di essere un figlio
disubbidiente e, per questo, si rimette al Padre ...
sperando che perdoni.
- In
tutto questo torna solo il fatto che non sapremo mai.
Quante e mutevoli le testimonianze! Quante e mutevoli
le opinioni! Per la vicenda nell'antica Ca' della
montagna, ma anche per l'Achille e l'Adalgisa e questo
per il tempo del nostro interesse per le loro
miserevoli vicende.
-
- Perdonali,
Signore, perdona i Campodolcino, soprattutto il padre,
perdona i figli, perdona l'Adalgisa e l'Achille, i
labirinti nella Ca' della montagna e nella baita in
Val Loga, la nostra impotenza e miseria, la mancanza
di tempestività e il caso imponderabile e
osceno, la scarsa volontà a noi imputabile, la
leggerezza, soprattutto la leggerezza, ma anche
l'insistenza, e la leggerezza che si contrappone
all'insistenza, deprecabile insistenza, il nostro
imporci, il non comprendere che c'è la lettera
e c'è lo spirito, sfuggente però come
l'aria che si respira seduti qui, davanti alla Ca'
della montagna, mentre si cerca un senso al passato,
al presente, al nostro vivere e morire in questa bella
giornata di sole, serena, il giorno di Pasqua 8 aprile
2007, Pasqua di Resurrezione, quattrocento anni dopo o
qualche mese dopo, nel posto più bello del
mondo.
- Signore,
considera anche il nostro amore. E il Tuo amore. E
perdona.
-
- E
tu, lettore, che pensi?
- La
mia, la tua curiosità è solo uno stimolo
a cercare. Così siamo fatti. Ma sappiamo che il
giudizio inappellabile spetta ad Altri, alla Sua
smisurata misericordia.
- Noi
possiamo ricostruire solo un poco della storia, con
smisurati margini di imprecisione. Per non
dimenticare.
-
- P.S.
Certo questa materia il Manzoni avrebbe saputo
trattarla da par suo nello spazio, forse, di un
romanzo, se solo avesse trovato il manoscritto, se
Montespluga fosse stata nei suoi pensieri... , la
villa del Caleotto, a Lecco, non è poi
così lontana ... E il secolo è di quelli
che conosceva.
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