Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Daniela Manzini Kuschnig
è classificata 1a nel concorso Città di Orzinuovi 1998 nella sezione narrativa
Astra
 
Oltre la scogliera, l'occhio vagava fra le onde rivestite di scaglie argentee spezzate solo dal tranquillo avanzare del ferry.
Astra fissava l'oceano con sguardo opaco, in apparenza rilassata, in realtà stanca dei tanti pensieri che le premevano il cuore, le piegavano lo spirito.
«Se domani ci sarà sole, andrò alla spiaggia» disse a voce alta, parlando, lo sapeva, a se stessa.
«Bene» rispose lui, ma lei riconobbe il tono noncurante e le si strinse il cuore.
Era come se non l'avesse neppure sentita. Avrebbe risposto «Bene» a qualunque cosa gli avesse detto, perché lui non l'ascoltava più.
Quel «Bene» la stava uccidendo. E, se in passato, l'aveva accettato come un segno della stanchezza di cui il loro rapporto, nel passare degli anni, s'era andato rivestendo, ormai le era divenuto intollerabile, poiché aveva compreso che era qualcosa di più: era il segnale che l'amore che li aveva legati, amore rosso come il tramonto del sole che sprofonda nel blu, verde come la cascata di foglie dei rampicanti sulla veranda, amore di corallo e madreperla, era finito.
La passione se n'era andata per prima, ma non le era importato più di tanto: si può vivere senza passione. Ma l'amore no, all'amore ci teneva, lo voleva sentire, lo voleva toccare, lo voleva vedere muoversi per le stanze, intorno a lei, intorno a lui, come la magia di un alone iridescente dal sapore dell'arcobaleno.
Non si vive senza amore, solo l'amore rende vivibile il quotidiano, trasformando la noia, il ripetitivo in un'armonica sequenza di gesti e suoni.
La giovinezza era andata ormai per la sua strada, lasciandoli così, loro due, a terminar la tela intessuta, con dita veloci, dal destino. Lui aveva continuato a dipingere e lei aveva continuato ad amarlo.
Lui dipingeva paesaggi chiari, pieni di luce e di freschi colori e anche se non erano capolavori ad Astra piacevano, poiché erano lo specchio della visione solare che lui aveva del mondo in cui vivevano.
Dipingeva solo paesaggi: angoli di paese con case bianche dai balconi drappeggiati da cascate di geranio rosa, vedute dell'eremo incorniciato dal grande arco in pietra fra il verde delle palme.
Non c'erano esseri umani a turbare la sua visione, non uomini, non donne, non un bambino né un cane, solo muri e fiori e onde e scogli. Il suo occhio aveva scelto ciò che il suo cuore sentiva più vicino: lo spirito delle cose e l'opera continua del rinnovarsi della natura, così ogni giorno, per vent'anni, come se considerasse l'essere umano un elemento atto, non ad accrescere, ma a turbare l'equilibrio interiore che egli cercava, l'armonia che voleva far vivere sulle sue tele e che non trovava, Astra lo sapeva bene, dentro di sé.
Astra lo aveva compreso, lei che era stata una ragazza dolce e fragrante e dolce era rimasta invecchiando, anche se una punta d'asprezza s'era incuneato nello sguardo azzurro cupo come l'oceano della notte. Gli si era posata accanto, il capo sul cuscino, per vent'anni.
Ora si sentiva messa da parte come una veste smessa che non riscuote più interesse, prima o poi verrà presa e piegata, con cura magari, per venir riposta nel baule in soffitta, nella soffitta del passato, fra le palline di naftalina. Non voleva, né poteva accettarlo. Tutto in lei si ribellava all'essere accantonata, avrebbe preferito venir lasciata: «Non ti voglio più. Voglio starmene solo». Ma lui non parlava. Non glielo avrebbe mai detto forse per pigrizia, forse per senso di dovere, forse per semplice abitudine a vederla là, come la pipa sul posacenere giallo.
Astra non pensava d'aver sprecato la vita: era stato bello, quasi meraviglioso quel suo vivergli accanto, lui con i suoi quadri, lei a pizzicar le corde della chitarra nei lunghi tramonti quando il sole sembrava non voler mai andar giù dietro la linea dell'orizzonte e rimaneva sospeso fra la garza delle nuvole a fiocco e il profumo dei gerani si mischiava al colore dell'ibisco fiammeggiante.
Non rimpiangeva niente. Se si volgeva indietro, girando il capo elegante e zingaresco insieme, sopra la spalla, poteva vederlo anche adesso al lavoro, sulla grande terrazza piastrellata, il cappellaccio di tela bianca in testa, un vecchio ormai, sì, ma che grande vecchio! Ma non l'ascoltava più, non la sentiva più, non la vedeva neppure.
Era stata bella Astra, ma il tempo era passato anche per lei ed ora le sue belle mani dalle lunghe dita affusolate, si erano allargate e ingrossate e così le caviglie una volta sottili e il viso portava incisi i segni profondi lasciati da una vita passata a sognare intensamente. Anche i sogni possono distruggere.
Era dunque tempo di andarsene, di lasciarlo questo suo sogno finito, di offrire a lui la possibilità di starsene nell'angolo in cui aveva scelto di vivere e in cui non c'era più posto per lei, di lei che non voleva essere umiliata, di lei che si sentiva in colpa per quel suo non esser più giovane e bella.
Se ne sarebbe andata, dunque. Si scosse. passò le mani sulla veste lisciandone le pieghe, come pensierosa. Dentro qualcosa si era inceppato e le doleva il petto.
Si mosse, allontanandosi dalla terrazza e lasciandolo assorto davanti alla tela. Pensò che avrebbe dovuto mettere insieme le sue cose che erano davvero poche: non aveva mai amato possedere cose. La gonna lunga frusciava lungo il corridoio mentre la mano faceva scorrere lo sportello bianco dell'armadio a muro. Si chinò e prese il paio di sandali di cuoio... No, meglio salire prima nel soppalco e prendere una scatola, una borsa, qualcosa dove riporre le sue carabattole.
Astra salì lentamente i gradini della scaletta stretta e fu su, nella stanza sotto il tetto con il grande lucernario che filtrava la luce del sole e che lui aveva preso l'abitudine di usare come studio negli ultimi mesi, spesso, sempre più spesso, allontanandosi da lei, rinchiudendosi in un mondo al quale non le era permesso accedere. Quando diceva: «Salgo», Astra sapeva che voleva starsene solo e chiudeva la porta in faccia al colore del loro vivere insieme. «Salgo», e lei rimaneva nella solitudine selvaggia del cuore invecchiato. Non aveva mai dato da capire quanto la cosa l'avvilisse, la rattristasse: in ultima analisi, non è forse diritto di tutti scegliere e magari sbagliare? E adesso lei non aveva forse scelto di andarsene?
Era rosa la luce nella stanza sotto il tetto, a quell'ora pomeridiana e di rosa tingeva le pareti bianche. C'erano casse appoggiate in un angolo, ordinatamente impilate e c'era il cavalletto ricoperto da un panno a proteggere la tela che vi era posata sopra. E c'erano altre tele appoggiate ai muri, con il dorso rivolto verso l'esterno così che il dipinto non si vedeva.
Astra rimase immobile nel centro della stanza e risentì le loro risate e sentì le carezze e udì parole lontane, suoni lontani come creste di onde sussurranti contro la scogliera sul far della sera: era stato un miracolo quel loro esistere insieme.
Scosse il capo ed una lunga ciocca grigia si sciolse dalla treccia biondo cenere e le sfiorò la guancia appesantita. Si avvicinò al cavalletto e lentamente sollevò il panno, poco per volta, con gentilezza, poiché ben sapeva di star violando l'animo di lui.
Il quadro non rappresentava un paesaggio. Astra guardava Astra dalla tela, nell'atto di porre un mazzo di fiori azzurrini, nel vaso dalla trasparenza acquea, appoggiato sul tavolino di giunco nel soggiorno, proprio come aveva fatto solo la settimana prima, lo ricordava bene e bene ricordava quei fiori che aveva comprato al mercato delle piante perché le era piaciuto il loro colore, tenero e forte insieme. Nel quadro Astra teneva fra le dita affusolate il fascio di fiori, ma gli occhi erano acquemarine, limpidi come le pozze che l'oceano lascia fra gli scogli durante la bassa marea e il viso aveva l'ovale perfetto della giovane che era stata: l'aveva dipinta così, splendente, fulgida e immutata. Un'ombra era alle spalle della giovane, un'ombra pallida, indistinta nei lineamenti, ricurva come una vela ripiegata dopo tanto vento, un'ombra che s'allungava fino a divenire una mano grinzosa a posarsi sulla spalla della fanciulla nel dipinto: la mano di lui. E della vita. E della morte.
Astra si volse alle tele addossate alla parete, le girò, le guardò e Astra e sempre Astra le apparve davanti: Astra giovane, sorridente, serena, Astra felice, immersa nel sole, sfolgorante di passione.
Seppe così che a lui le parole si erano seccate in gola, che i gesti gli si erano congelati nell'immobilità di ossa frantumate, ma che la ricordava, no, lui la vedeva ancora come era stata, il tempo non era passato nel suo cuore, per lui non era cambiata, nulla era cambiato di quello che c'era stato fra di loro. L'aveva avvolta dentro di sé, parte di sé e su, nel soppalco sotto il tetto, cantava da solo il suo amore per lei, era tutto quello che aveva da darle, tutto quello che aveva da dirle, tutto in quelle tele tenute celate per riscaldargli il cuore nel gelo della vecchiaia e della paura. E il cuore di Astra danzò e le sue mani accarezzarono l'ombra alle sue spalle e guardò la galleria di colori che ripetevano il suo viso e il suo corpo.
«Sì, è questo, &endash; si disse &endash; questo è il nostro segreto». Ricoprì la tela sul cavalletto, rimise con cura a posto le altre contro la parete e lasciò la stanza, leggera come una farfalla che nessuno saprà mai che è entrata nella veranda, ha palpitato intorno alle cose e se ne è rivolata via, e nel petto il cuore le batteva piano come se cercasse di trattenere le lacrime dolci che sanno di sale e svaporano fuori dalla finestra aperta sul cortile dove le ombre si allungano e con dita leggere dipingono ragnatele di sentieri, pensieri e sogni che la notte poi culla: Astra riconobbe il profumo della felicità e se ne lasciò avvolgere, la indossò con orgoglio, come una regina indossa una veste intessuta di fili d'oro.
Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
 
Daniela Manzini Kuschnig vi offre la lettura
di due racconti:
"A passeggio fra le nuvole"
"Le cose"
 
 
Per leggere il romanzo inedito "Farfalle"
 
Per leggere la prefazione del libro con "Incontri"
Per leggere alcune pagine tratte dal libro libro con "Incontri"
 
Per leggere la prefazione del libro con "Con ali raccolte"
Per leggere alcune poesie tratte dal libro libro con "Con ali raccolte"
 
 
Collabora inoltre al Club presentando alcuni "Grandi poeti del '900" :
 

 

 
 
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inserito il 5 Febbraio 1998

modificato il 9 ottobre 1998