Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordientiLuigi La Cono
Ha pubblicato il libro
Luigi La Cono, Una scia di parole, editrice Montedit, 2000, Collana I gigli (poesia), pp. 64 - L. 9.500 - Euro 4,91 ISBN 88-8356-031-9 Prefazione - Certamente chi non conosce il dialetto siciliano - anzi, messinese - potrà incontrare qualche difficoltà nella lettura di alcune poesie di questa raccolta; ma, diciamolo subito, il tentativo va fatto, e un valido aiuto ci viene dal poeta stesso, che del suo dialetto ha sfruttato soprattutto la qualità musicale (non a caso è lui stesso a precisare la passione per la musica ereditata dal padre e amorosamente coltivata in prima persona). I versi in dialetto - per i quali non possiamo non immaginare una recitazione a voce alta - sono costruiti su un sistema di rime semplici, quasi sempre baciate, anche se non mancano rime interne o imperfette, grazie alle quali l'andamento della poesia si fa ritmico e cadenzato, sicché i vocaboli "oscuri" si chiariscono proprio grazie ai legami di suono che diventano anche collegamenti semantici.
- D'altro canto, l'uso del dialetto, qualsiasi esso sia, ha una dignità letteraria che non è neppure il caso di sottolineare: l'esigenza di trovare in una lingua la vita - schietta, pura, colta nel suo divenire - ha condotto molti poeti del passato, e c'è da augurarsi ne condurrà molti altri in futuro, a scegliere il vernacolo come codice espressivo privilegiato grazie alla sua ricchezza di sfumature e alla sua aderenza alle cose e ai sentimenti. Un'aderenza non mediata, per così dire, dalla riflessione, ma istintiva e originale. Torna alla mente a questo proposito una dichiarazione del primo Pasolini, quello delle poesie friulane, sull'effetto quasi magico della parola "rosada" colta per caso, un giorno, sulla bocca di un giovanotto di Casarsa; lui, il giovane intellettuale raffinato, comprese allora come quell'unica parola fosse ancora carica di suggestioni e significati perché sicuramente non era mai stata scritta; proprio il dialetto poteva dunque costituire un serbatoio di vocaboli ed espressioni d'uso quotidiano ma ugualmente incontaminate perché vere, autentiche, legate alla cosa da rappresentare.
- La riflessione di Pasolini, ci sembra, acquista un significato attualissimo se si pensa che l'odierna lingua nazionale - la cui levatrice, si può dire, è stata la televisione - appare sempre più spesso terribilmente "media", ovvero standardizzata e banalizzata da un uso commercial-burocratico che la rende vanamente prolissa da un lato e pedante dall'altro. Tanto che tra i più significativi "casi" letterari del presente si conta quello di Camilleri, autore che guarda caso realizza nei suoi testi una singolarissima commistione tra italiano e dialetto siciliano. Non è un caso, probabilmente, che esperimenti di questo genere si realizzino laddove il dialetto è ancora la lingua parlata dalla gente, la vera lingua della comunicazione: e uno di quei luoghi è senza dubbio la Sicilia.
- Eccoci così tornati al nostro sicilianissimo autore, il capitano di lungo corso - con tutto quel che nell'immaginario di ciascuno di noi scatena l'idea di questo lavoro - Luigi La Cono, che dopo aver a lungo viaggiato portandosi nel cuore la sua terra ha cominciato, come lui stesso scrive, a farsi irretire dal fascino della stilografica (quella con la "pumpetta" e del foglio bianco, quello che dura più del suo "regnu"). Stilo e carta alla mano, La Cono ha preso spunto dalla categoria concettuale che, per passione e professione, gli era più congeniale: quella del viaggio. La stilografica viaggia sulla carta, la mente viaggia nei ricordi (la memoria è la mente che non erra, scriveva Dante) e ripercorre tanti altri viaggi: quelli degli emigranti siciliani in cerca di fortuna, quelli degli immigrati africani, anche loro in cerca di fortuna, quelli delle navi che dopo aver valicato tanti mari (aspettando di veder la luce del faro baluginare all'orizzonte) partono per l'ultimo viaggio, quelli fantasiosi del bambino che con la mano stretta in quella della "giovane madre" sogna il "magico mondo di Alice". Partenze e ritorni non sono che un tutt'uno perché è la vita stessa a essere un viaggio, lungo o corto non importa, né importano tanto le mete, salvo l'ultima. Compresa questa verità di fondo, il poeta registra immagini e rievoca emozioni con empatia profonda, ma senza retorica; quando usa l'italiano la poesia si fa più lenta e meditata (non a caso qui mancano quegli accorgimenti musicali di cui si parlava all'inizio); quando invece ricorre al dialetto i versi sono ricchi di brio, e si capisce che il gusto per la narrazione e per la "coloritura" dell'espressione prende il sopravvento, anche laddove il tema è tutt'altro che allegro (si pensi, un esempio per tutti, a "Emigranti"). Non si tratta infatti, di poesia giocosa, anche se non mancano dei momenti di puro "divertissement" ("Questioni di naso, Caccole"); quello che si trova in questa silloge è una dimensione profondamente umana che ha come poli da un lato l'umorismo (come capacità di distanziamento e riflessione) e dall'altro il sentimento della comunione tra tutti gli esseri umani che hanno capito di essere in viaggio. La meta, quella è individuale: ma si può sempre trovare una luce che la illumini, sia essa di faro o di cometa; indietro resterà una scia di parole.
- Bianca Cerulli
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