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LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordientiPoesie tratte dal libro
Rino Passigato, Il ritorno, editrice Montedit, 1999,
pp. 48, Lit. 10.000, ISBN 88-86957-80-
- Me ne andrò
- Incespicano le tue parole
- nella malinconia di questi momenti.
- Me ne andrò...
- Le faticose giornate,
- alla mercé delle ingorde fauci della fabbrica,
- tinteggiate dall'umore delle tue battute.
- La tua carezzevole voce
- scaldava i freddi ton ton,
- che rimbombavano alle nostre spalle;
- pesanti scatoloni tonfavano giù per le scale,
- carrelli che inciampavano sulle porte,
- il gridare polivalente dei motori,
- le bestemmie dell'operaio
- che s'era schiacciato un dito...
- Parto...
- Addio, simpatica amica-collega.
- Un'aria fresca autunnale
- bisticcia con i tuoi biondi capelli,
- li sparpaglia sugli occhi, sulla bocca.
- Mi allontano,
- inseguito dal tuo estroverso sbracciarsi.
- Ed ora che sono tornato
- Ed ora che sono tornato
- posso intrattenermi
- con il rumore conversevole del fiume,
- il frullo dei battelli a vapore,
- affacciarmi
- alla finestra sul mezzogiorno,
- dove la sera attendo
- che arrivi il sonno...
- E mi cullo
- tra le braccia della nostalgia
- per la terra lontana,
- dove a volte tremante
- m'ingarbugliai,
- nel labirinto di strade della metropoli,
- la fabbrica,
- che mi rapinò
- degli anni migliori,
- i rumori del traffico,
- le interminabili file di palazzi...
- Mi siedo sul ceppo
- Mi siedo sul ceppo d'un salice
- sfrangiato di marciume
- ad attendere che il merlo si alzi dal nido,
- mentre i rami sono presi a schiaffi
- da colpi di vento,
- i grilli si sfidano in spavalde capriole,
- i boccioli dei papaveri
- stringono la mano alle acerbe messi.
- Mi pare di essere tornato indietro negli anni.
- Allora una voce
- autoritaria robusta
- veniva ad interrompere i nostri giochi
- (guerre che combattevamo
- con pistole e spade di legno,
- salti che facevamo
- nelle acque giallognole del rivo,
- le ingenue corse per catturare un ramarro...)
- Troppo tempo sono rimasto
- tra le braccia dei grattacieli,
- nella metropoli,
- dove a buon mercato ho avuto solo smog
- per i polmoni
- e nebbia per le ossa.
- Sono tornato per tremare ancora
- ai rumori del tuono,
- conversare con le corse del vento,
- scoprire nidi di cicale...
- Quello che mi resta
- Quello che mi resta della metropoli
- è il chiasso demente delle strade,
- il pigro colore della galleria,
- dove puntuale mi fissava l'appuntamento
- il treno della metropolitana,
- sogni discoli ghiotti curiosi
- che più non riesco a lambiccare,
- il desiderio di tornare
- tra la caligine delle ciminiere
- a conversare con giorni
- che mi parevano infiniti.
- Addio
- corse dietro all'omnibus
- costipato di folla,
- musi freddi longilinei dei grattacieli,
- ore spese ad inseguire voli di gabbiani
- verso spazi di azzurra libertà!
- Addio
- musiche baldanzose che mai più riavrò,
- danze per giardini fiammanti di primule,
- guanciali profumati di gioventù!
- Ti cerco, amico
- Ti rivedo, amico, nello stesso banco
- ansioso di venir interrogato.
- Ahimè, i ribaldi numeri
- che ci entravano in testa scalcagnati e sbilenchi
- e l'antico greco dalla silhouette poco simpatica!
- Quante volte son tornato
- per ritrovare i sogni di cristallo,
- che nascondevamo sotto i banchi di scuola,
- nei prati dove ci perdevamo
- a rincorrere le agili ninfette,
- sulle panchine lungo le mura della città.
- Presto ci venne incontro la vita
- con le sue severe proposte,
- le sue mani che modellano
- enigmi insoluti, drammi dolorosi,
- le sue gambe veloci.
- Sono tornato
- dalla faticosa metropoli lombarda.
- Ti cerco, amico,
- tra i gelsomini della tua dimora,
- sotto le ombrose conifere;
- c'è la tua sdraia,
- la tua bici...
- Ti sei dimenticato
- che dovevo venire per la briscola,
- l'esuberante passeggiata al Montello?
- Il picnic nei boschi,
- i ghiotti panini alla soppressa?
- Non busseranno più alla mia porta quei giorni,
- quando il cuore giocava con le favole del futuro
- e non c'era posto per pettegole amarezze.
- Le braccia affittate
- Più non dovrò udire
- l'antipatico grido della sirena,
- che mi chiamava a timbrare il cartellino.
- Sono lontani
- gli sgangherati rimbombi delle macchine,
- le svagate voci dei colleghi
- annoiati dalla fatica della routine,
- gli autoritari rimbrotti del capo
- per punire la mia pigrizia.
- Erano i mattini uguali ai pomeriggi,
- i giorni tutti punteggiati dalla noia
- ché mai niente di diverso accadeva.
- "Avanti, produrre produrre..."
- Ricerche programmate
- da concludere in breve tempo,
- l'animo sottomesso ai codici della produzione,
- le braccia affittate,
- la volontà soggiogata.
- Ogni giorno gli stessi corridoi,
- le stesse pareti,
- gli stessi volti grami di noia e fatica,
- le stesse provette...
- Quattro case vecchie
- Trent'anni or sono, quando partii per Milano,
- in paese non c'erano che quattro case vecchie
- ruggini di muffa, appiccicate le une alle altre.
- Adesso è tutt'altra cosa:
- ville e palazzi nuovi di zecca,
- fabbriche e fabbrichette
- seminate un po' dovunque,
- le strade attraversate da un pandemonio di veicoli;
- auto di lusso, piccole, grosse,
- Fiat Volkswagen Ford...
- Non ci sono più i crocchi di vecchi,
- seduti sulle sedie davanti all'uscio,
- con la pipa nera di fumo in bocca,
- che avevano sempre tante cose da raccontarsi
- e sulla strada polverosa i bimbi che si rincorrevano
- senza pericolo d'essere investiti...
- Allora si andava in bicicletta;
- era uno spasso con l'aria fresca
- che ti batteva sul viso,
- le ragazze, capelli al vento e gonne all'aria...
- Solo il Sile è rimasto tale e quale,
- divertente ospitale curioso,
- con qualche piccola imbarcazione a remi,
- che vi passeggia sopra.
- La contrada
- Contrada di piccole case
- appiccicate ai rumori della strada.
- Finestre striminzite
- che lasciano passare l'aria a once,
- muri impalliditi dalle scudisciate della bora,
- tetti sporgenti
- agghindati da code di muffe
- e polverosi nidi di rondini.
- Contrada offesa
- dai dispettosi gemiti d'una ribalda segheria,
- nera di notte,
- quando si dileguano
- le numerose voci delle comari,
- il giorno ferme sull'uscio a spappagallare.
- Contrada di sassi polvere e catrame,
- qua e là decorata di rifiuti;
- bucce di mela, sterco di cane,
- carte, foglie secche...
- Contrada natia,
- di povera gente,
- che ritorna la sera curva per la fatica,
- ti allunghi fino alla campagna
- di prati incolti,
- campi di stoppie,
- fossi di fiori selvatici.
- La mia casa
- La mia casa è in un giardino
- popoloso di piante.
- D'inverno le fanno la corte
- la bora dal vocione gelato,
- qualche spavaldo gabbiano,
- profugo del vicino Adriatico,
- d'estate
- l'indiavolato gridio delle cicale
- ed un robusto sole...
- La voce del fiume
- Il fiume di sera ha una voce diversa,
- che buca vivace il silenzio.
- Una voce che porta con sé i sussurri dell'erbe,
- le corse dei pesci,
- i racconti delle sirene...
- I passeri nascosti tra le fronde dei pioppi l'ascoltano
- e di tanto in tanto rispondono con assonnati pigolii.
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