LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Poesie tratte dal libro
Rino Passigato, I passi del tempo,
Collana I gigli (poesia) - pp. 48 -
L. 11.000 - Euro 5,68 ISBN 88-8356-033-7
- Forse è tardi
- Mai mi arrivò tanto crudele il suono
- dell'orologio, come adesso
- che ho sfilato la vestaglia dei sogni
- e più non inseguo curioso
- una ghiotta carriera...
- Un futile intrigo di chimere,
- d'inutili speranze
- la faccia del passato.
- Forse è tardi; troppi passi inutili
- su sentieri che portavano a spiagge
- deserte secche aride.
- Vivo senza quasi accorgermi
- che l'ultima neve s'è sciolta,
- il sole è malato di vertigini,
- le mani dell'orizzonte non sanno
- più stringere code di arcobaleni.
- Non s'avvede
- Non s'avvede l'uomo
- che i trucioli del tempo
- scappano
- nascosti in batuffoli di vento,
- rubando dalle mani degli adolescenti
- gocce di luna
- cadute con la rugiada
- evviva di successo
- e lasciano l'uomo
- vinto dall'età
- senza le meteore
- che ha rapito al cielo,
- le voci delle aquile
- che ha collezionato.
- Solo
- chiama per nome il tempo
- ché gli ricordi
- ciò che gli anni
- gli hanno rapinato.
- Cerco di colorare
- Cerco di colorare
- questa caparbia monotonia,
- tentando di rapire
- qualche brano di cielo
- intarsiato di sinuosi cirri
- e custodirlo nel cassetto dei ricordi,
- imbrigliare voci di rondini
- nella sacca delle malinconie autunnali,
- collezionare raggi di luna
- per illuminare nelle notti buie
- il cammino dei sogni,
- incatenare
- le alchimie della primavera
- nella tana delle nebbie.
- Il prato delle lucciole
- Vorrei tornare al prato
- delle lucciole per avere
- nelle mani la vertigine
- di quei bizzarri giorni;
- le preoccupazioni inghiottite
- nelle bocche dei grilli,
- le malegrazie chiuse nelle tasche
- del futuro, i pianti smarriti
- nella penombra della sera.
- Subimmo momenti crudeli;
- le arroganti sconfitte,
- i traguardi mancati.
- I sogni ingiallivano, cercavamo
- di ravvivarli ritornando al prato
- delle lucciole; ma si facevano
- sempre più pallidi, più vizzi.
- Mi rincuoravi 'Sii ottimista, verrà
- il carnevale'.
- E questo arrivava colorito
- di maschere giocose e coriandoli,
- canti, ghignate.
- Finché ci cadde la maschera.
- E scoprimmo i volti appassiti,
- rugosi, la chioma imbiancata.
- La Befana
- C'è ancora la simpatica vecchierella,
- che si calava dai camini
- con la gerla carica di doni?
- Di fuori le urla del vento
- strangolavano gli isterici gnaulii
- dei gatti randagi,
- che si sfamavano
- di cristalli di brina
- e cercavano uno slargo
- nella siepe per ripararsi.
- Si cucivano favole
- nei buchi delle calze
- da appendere al caminetto.
- La brace rosseggiante tra la cenere
- scaldava un'intera casa,
- i bimbi divoravano sogni
- con un occhio aperto
- per vedere i colori della Befana
- ed i boschi della luna
- folleggiavano
- di danze di elfi.
- Siamo nell'era spaziale;
- le divertite favole
- della Befana sono ingoiate
- dalle avide fauci del consumismo.
- Strade della metropoli
- Strade larghe, viuzze cieche
- attraversate da voci ferrigne di tram,
- moltitudini di volti anonimi,
- strade che vi arrampicate con gli occhi
- su muri alti longilinei di grattacieli
- per incontrare un lembo di cielo
- lentigginoso di fumi, mi muovete
- desideri imprendibili.
- Potessi ancora rimbrottarvi
- per la fastidiosa polvere
- la sguaiata inquietudine,
- narrarvi come mi commuova
- il ricordo dei lunghi marciapiedi
- qua e là interrotti da panchine solitarie,
- sulle quali solo qualche passero,
- cinguettando rauco, si ferma.
- Potessi ancora esprimervi la mia rabbia
- per le fitte nebbie, che si siedono
- sui muri e sui quadrati di porfido,
- per i frequenti refoli saturi di smog
- che vi percorrono.
- Strade della metropoli,
- che vi sormontate v'inseguite
- v'intrecciate vi sdoppiate
- potessi ancora perdermi nei vostri labirinti,
- affogare il ricordo pingue di rammarico
- che mi rincorre e mi riporta
- le vie lunghe e neutre,
- dove ogni sera mi venivano incontro
- voci amiche angoli noti
- per soccorrermi dalle fatiche del giorno.
- Strade della vecchia metropoli,
- che per anni ho abitato,
- invano cercai d'incontrarvi in altra città.
- Lasciai la faticosa fabbrica
- Lasciai la faticosa fabbrica,
- le lotte sindacali,
- la piana acida di fumi di ciminiere
- per tornare,
- dove l'agile gabbiano
- contende gli insetti
- alla bionda cincia,
- dove Scirocco inonda
- le magiche calli della Serenissima
- e Bora riempie di geloni
- le tenere betulle
- e l'annosa quercia,
- in autunno un gradito aroma di mosto
- passeggia per l'aria,
- dove la ninfea in fiore
- nuota divertita
- sulle acque del rivo
- e vidi i miei sogni fanciulli
- farsi soffi di vento
- e non m'accorsi dei passi del tempo
- che correvano sempre più avanti
- e seppellivano il biondo fanciullo
- che collezionava favole di lune,
- carezze di vergini risacche,
- vezzose sirene uscite dalle acque del Sile.
- Mai dimenticherò
- Ho dimenticato
- le nebbie appisolate sulle strade,
- il capriccioso tram
- che arrancava cigolando
- in mezzo a bisbetiche file di palazzi,
- le lunghe ore
- spese al bar ad attendere
- quelli della briscola,
- le fatiche in fabbrica,
- il pesante traffico,
- la numerosa anonima folla...
- Mai dimenticherò
- il negro fermo al semaforo
- con uno straccio in mano;
- cercava un pallido sorriso
- sui volti rigidi ed indifferenti
- degli autisti.
- La maglia tinta polvere,
- la bocca storta dal ghiaccio,
- lo sguardo lontano
- al sole della sua Africa,
- al simpatico vociare degli amici,
alle generose carezze della madre.
- Il giorno nella grande città
- E presi ad amare le strade
- straripanti d'imbrogliato traffico
- e il cielo opaco di fumo.
- Non conoscevo altro desiderio
- che quello di girovagare
- per le vie larghe ed infinite.
- Eppure contavo i giorni
- che mi avrebbero portato lontano
- dagli stress
- degli interminabili incroci
- che imboccavo sbagliati
- e ripetevo fino a giungere
- alla mia cameretta.
- Qualche passante
- ubriaco di stanchezza
- accennava un discorso.
- Erano uomini in cerca
- d'un'occupazione.
- Non avevano casa,
- elemosinavano una sedia, un letto
- per la notte.
- Tentennavo scantonavo.
- Più avanti, sui gradini della centrale,
- avrebbero trovato albergo.
- Si appisolava nel silenzio notturno
- il viavai della strada.
- Le falene giravano
- attorno al lampione.
- Qualcuna cadeva in fin di vita.
- Entravo nel portale buio.
- Era finito il giorno nella grande città
- di volti amorfi,
- di rugginosi palazzi,
- di caparbia solitudine.
- Prigioniero del tempo
- Il tempo non ha carezze
- per i suoi assistiti.
- Pensa solo a correre
- senza lasciare indietro
- nessuno.
- Mi sono nascosto
- nelle tasche del vento,
- sotto i cavalloni delle maree,
- ho dipanato
- matasse di ricordi,
- distillato
- i colori dei sogni,
- mai sono riuscito
- a fuggire
- alle catene del tempo.
- Essere profumo di bosco
- Essere profumo di bosco,
- che nelle notti di luna
- applaude
- le danze degli elfi
- e s'impingua
- di gocce di rugiada resinosa,
- nei giorni di luce
- bacia le selci,
- accarezza i ciclamini,
- conversa
- con la maggiorana e l'erica
- e non ode
- i passi del tempo
- che assottigliano
- i giorni di vita
- che ancora mi restano.
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