- Prefazione
-
- In
questa raccolta di Rino Passigato che comprende
dieci brevi racconti emergono emozioni fuggevoli
evocate con soavi visioni di luoghi amati,
personaggi caratterizzati nella loro umanità
e quant'altro fa parte di un mondo ancora onesto e
genui-no che riporta inevitabilmente a storie della
provincia italiana. Le storie racchiuse in una
forma convincente ed immediata sono narrate con un
accurato e sapiente lavoro di cesello dove parte
dominante rimane sempre la storia narrata sospesa
tra passato, presente e futuro: come se si
assistesse ad un incanto che rende l'atmosfera
rarefatta e dilata le emozioni oltre ogni limite
spazio temporale. Esempi emblematici di questa
narrazione sono alcuni racconti ma forse "La voce
del fiume" è quello che rende meglio il
risultato di questa tensione: la speranza per una
buona annata del raccolto dell'uva che andrà
delusa, il dolore per la perdita del figlio
Battista avvenuta molti anni prima, l'imprevedibile
piena del fiume che rompe gli argini ed inonda la
casa di fango distruggendo ogni cosa, la rabbia
impotente nel momento della disgrazia davanti alla
forza della natura.
- Ma
anche in ogni altro racconto vi è una
continua affermazione della memoria a gli
avvenimenti, le sensazioni, gli stati d'animo dei
protagonisti, il loro vissuto quotidiano sono in
sintonia con il sottofondo poetico che permea ogni
pensiero che viene espresso: si può
riprendere a questo proposito la citazione di
Lamartine "Tutto nasce, tutto passa, tutto arriva
al termine ignoto della sua sorte: l'onda piangente
dell'oceano, la foglia fuggitiva al vento, l'aurora
della sera, e l'uomo alla morte".
- Questo
eterno parallelo fra la vita e la morte alimenta
alcuni dei racconti e crea sempre un sottile filo
che unisce ogni evento al suo destino.
- Rino
Passigato, dopo avere dimostrato di essere un
autore sensibile con diverse raccolte di poesia
questa volta ci offre una serie di racconti di
forte coinvolgimento emotivo dimostrando che la
centralità della sua tematica non è
una scelta casuale ma il frutto di vibranti
suggestioni interiori che sono espresse con grande
capacità e nitidezza formale. L'aspetto
fortemente positivo è l'eliminazione di ogni
fronzolo inutile e di ogni orpello letterario per
ottenere con sapienza una essenzialità di
scrittura che coinvolge il lettore.
- Non
cade mai nel tranello della prolissità o
della ripetizione ma con sguardi precisi riesce ad
arricchire le storie raccontate di umanità
anche quando gli eventi sono tristi e dolorosi.
Come un fiume che durante il suo incedere leviga
ogni contorno, ogni oggetto così anche la
vita molte volte racchiude in sé
aspettative, desideri ed attese che una volta
esaudite rendono il tutto più dolce, soave,
in una parola sopportabile.
- L'Autore
è un uomo che raccoglie esperienze,
sentimenti che sono dipinti sui volti, che esorta
ad avere il coraggio di vivere, che suscita una
rivisitazione di un mondo vicino ma in alcuni casi
diverso per mentalità, luoghi e soprattutto
per il modo di vita.
- Con
una efficacia non comune e una ancor più
innata dote della sintesi rappresenta in poche
parole gli stati d'animo di ogni protagonista, in
poche descrizioni i luoghi, gli ambienti naturali
come il fiume: acqua cristallina impetuosa che
diventa lago di fango durante la piena che tutto
travolge ma poi sempre ritorna, come presagio di
nuove speranze "una voce allegra di leggeri
sciacquettii, fertile di nuove promesse, l'unica
ancora viva in quelle aie deserte".
- La
lettura di questi racconti scorre sempre piacevole
e merita attenzione soprattutto perché
l'intento dell'Autore non è quello di
riportare fatti di cronaca o storie fantasiose
inverosimili ma profonde ricognizioni con epilogo
doloroso o felice nell'animo umano che deve
contrastare le difficoltà esistenziali che
ogni giorno si profilano all'orizzonte.
- Per
capire, per conoscere, per amare con un gusto della
semplicità propria dell'uomo comune che si
guadagna ogni giorno il "privilegio di
vivere".
- L'Autore
disegna nella sequenza di questi brevi racconti le
vicende umane: la piena del fiume, la morte,
l'essere cieco ed altre ancora che leggerete per
affidare un messaggio senza tempo che faccia
riflettere chiunque.
-
Massimo
Barile
-
-
- La voce
del Fiume
-
-
- "Avremo
una buona annata". Disse l'uomo sfregandosi le
mani, che teneva vicine alla fiamma del
caminetto.
- "Ogni
anno le stesse previsioni piene di ottimismo. Poi
arriva l'imprevisto (la grandine, la cocciniglia o
chissà quale altro malanno) e metà
del raccolto dell'uva va marcio, il grano fa la
muffa perché non è maturato
bene..."
- L'uomo
si girò verso la moglie, che stava
sferruzzando, mosse due brevi passi, si alzò
il cappello per grattarsi la pelata e
continuò:
- "Quest'anno
avremo un raccolto eccezionale. Proprio stamane
guardavo il fiume, la corrente limpida, impetuosa,
carica di girini. Quando avvengono questi fenomeni,
quasi sicuramente l'annata è prodiga di
raccolto. Con tutte queste piogge la terra si sta
caricando di fertili umori..."
- La
donna, silenziosa, continuò a sferruzzare.
Era magra, bassa di statura, il volto ed il corpo
folti di piccole grinze, i capelli grigi. Mostrava
tutti i suoi cinquant'anni.
- "Cosa
ne faremo di tanta abbondanza? Ci fosse almeno il
nostro Battista! Da quando il buon Dio se
l'è portato via, non so proprio per chi
lavoriamo". Disse in tono dimesso la
donna.
- L'uomo
le venne a fianco per ascoltare da vicino i
ticchettii dei ferri e cauto rispose:
- "Se
non avessimo la terra, la stalla allegra degli
zoccolii di Roma, dei muggiti della Nera, i nostri
crucci perché non piove o perché gela
troppo, mi sapresti dire che altro potremmo avere
da questa esistenza? Due vecchi che borbottano,
litigano e tristi attendono la morte".
- Un
muggito lungo e forte attraversò la cucina
dove i due s'intrattenevano. La donna mandò
un profondo sospiro, appoggiò il lavoro
sulle ginocchia ed in tono lamentevole
continuò:
- "A
pesca da solo doveva andare! Con quel battello
fragile e leggero, che mal reggeva alle ondate
violente!".
- "Il
fiume... L'acqua cristallina, corrente... La nostra
vita". Era solito ripetere. Venticinque anni! Se al
mondo c'è giustizia! Era ancora buio quel
mattino, s'è preso su il sacchetto con le
focacce, i tramezzini. "Non serviva tanta roba.
Bastava una mela ed una focaccia; tanto più
che non ho intenzione di restare lontano per molto.
Vedrai le tinche, i lucci che mangeremo stasera!"
disse, la porta si chiuse alle sue spalle e non
tornò più. Più...
più...
- La
donna parlava e ruotava di qua e di là la
testa, l'espressione assente, inebetita, le lacrime
che grondavano abbondanti. La schiena appoggiata al
tavolo, l'uomo taceva, via via che le parole
uscivano dalla bocca della moglie si chiudeva in un
guscio di tristezza e di rabbia impotente. Erano
passati cinque anni dalla disgrazia; ma l'immagine
giovane, vivace, semplice ed onesta di Battista era
sempre in agguato per traviare nei due ogni voglia
di vivere, ogni sprone a fare.
- Avevano
riposto in lui ogni speranza, raggranellato
sacrificio su sacrificio, fatto le cose in modo che
un giorno ne potesse essere felice. "Quando sarai
grande, diverrai padrone della fattoria, di tutta
la terra. È fertile. Se non piove c'è
il fiume". Maledetto fiume!
- L'uomo
si mosse, aprì l'uscio. Si udiva in
lontananza lo sciacquio della corrente canterino,
vivace. Un sapore di fresco gli ravvivò la
gola. Il muggito di Roma s'era fatto più
insistente.
- "Ho
paura che partorisca stasera". Esclamò
l'uomo e ristette con la maniglia della porta tra
le mani.
- "A
valutare dai versi pare che le bestie siano tutte
un po' agitate. Forse hanno sete, forse non hanno
più foraggio. A proposito le hai
munte?"
- "Tre
secchi da venti litri pieni fino all'orlo,
già pronti per quando passerà il
camion. È una primavera piovosa. Ha fatto
una settimana di temporali ed il cielo è
ancora coperto, nero di nuvoloni bassi, gonfi
d'acqua. In compenso la notte non gela. Ricordi
l'anno scorso? Che brinate in Aprile! Tutti i
boccioli si bruciavano". Biascicò l'uomo e
si avviò alla volta della
stalla.
- Due
file di bestie, le mammelle grosse, abbondanti, che
strattonavano la corda e mugolavano. L'uomo
raccolse la forca, tornò più e
più volte con del fieno, fino a che tutte le
greppie furono riempite. Gli animali si diedero a
ruminare tranquilli. Si avvicinò a Roma, la
pancia grossa grossa, le tette strabocchevoli,
accarezzò il manto bianco e nero. "Ancora
una settimana ed avremo il vitellino. Gli ho
già preparato il posto". Disse rivolto alla
bestia e si allontanò per aggiungere della
paglia ad un sito vuoto.
- Sostò
nel tepore della stalla ad osservare le sue
vacche.
- Le
conosceva una per una. La Rossa pigra, ma generosa
di latte, la Romagnola, la più anziana e
più nervosa di tutte. Una volta fu portata
alla monta, come si accorse del toro, si diede a
correre e correre. Fu legata; ma con scalciate e
scrolloni impedì al maschio di
fecondarla.
- "Se
non fosse per voi - pensava l'uomo - che mi aiutate
nelle fatiche della terra, mi tenete compagnia
nelle lunghe sere d'inverno, sarebbe ben grigia la
mia vita. Virginia ormai ha la sua età e
piange sempre per Battista. Ne avesse concepito un
altro! 'Ho passato i quaranta. Forse sarà
per quello che non resto in stato interessante'. Si
è sempre scusata. E così siamo
rimasti soli con tutto questo ben di Dio:
ventiquattro ettari, fertili, di prima
qualità, la casa, la stalla. Avessimo almeno
un nipote vicino! Tarcisio se n'è andato a
Milano a trovare fortuna e poco dopo mia sorella
l'ha seguito. Bruno è sempre lontano.
Viaggia i mari: si è arruolato nella
marina".
- L'uomo
tornò all'aria aperta. Ricominciava a
piovere. Il brontolio ringhioso del fiume irrompeva
schietto e audace nel crepuscolo della sera. Alle
spalle e davanti a lui si apriva a perdita d'occhio
la campagna nei suoi appezzamenti fruscianti di
teneri virgulti di frumento, nei suoi pianori
coltivati e bietole ed a prati erbosi interrotti da
filari lunghi di viti. Ad un chilometro circa la
penombra sfuocata dalla casa più vicina.
Virginia e Adolfo vivevano soli, in quell'angolo di
terra, frequentato da voli d'uccelli, schiamazzi
d'animali, raffiche veloci ed impietose di vento,
scintillii di lampi, sfrascare di
siepi.
- Non
conoscevano altro mondo che quel piccolo brano di
terra, altra gente che i coloni delle fattorie
limitrofe. La città l'avevano visitata poche
volte. In quel labirinto di folla e di palazzi si
sentivano intrusi, maleaccolti. L'aria soffocata
tra cataste di mattoni e gridii d'auto li metteva a
disagio. Le comitive rumorose nelle gallerie
eleganti di vetrine, i piagnucolii dei freni, le
urla degli altoparlanti alle stazioni,
un'accozzaglia ineducata, aggressiva, apportatrice
di attacchi nevrotici. Una o due volte al mese si
recavano al centro del villaggio per le
compere.
- Prima
che fosse mancato loro quel figlio, nella casa era
tutto un pullulare di chiacchiere e scrosci di
risa. Lei parlava, parlava, lui lavorava. Piantava
alberi di pesco, di melo. Faceva conto che il
figlio potesse diventare un grossista di frutta.
Che colpo! Erano seduti al tavolo, tristi,
silenziosi, quando si videro portare a casa il
corpo cereo, freddo, di marmo, la pancia gonfia. Fu
disteso sul letto e loro ancora increduli gli si
facevano d'attorno. "Se non fossi andato".
Mugugnavano singhiozzando. E se lo videro chiudere
nella cassa e portare al cimitero.
- Da
allora Virginia passava ore ed ore in silenzio a
rammendare, a cucinare, a far le pulizie e pensava,
pensava a Battista, a quando piccino piccino lo
stringeva tra le braccia, a quando gli insegnava i
primi passi. Le pareva impossibile che fosse
successo! La sera si faceva sulla porta nella
speranza che i passi rapidi e pesanti del figlio
tornassero come un tempo a bucare la
profondità del silenzio.
- Adolfo
rassegnato aspettava la primavera per la semina,
l'estate per il raccolto e raggranellava ancora e
diceva alla moglie:
- "Con
i risparmi acquisto la terra dei Tulli. Tre ettari.
Ci semino tutte patate".
- "Per
chi lavori poi? Siamo solo noi due. Non fai che
brigare da mane a sera. Le mani degli altri
costano, le macchine non lavorano per niente. Se
vendessimo tutto e ci ritirassimo in un
appartamento nel centro del paese?"
- "Per
morire di noia - ribatteva Adolfo. - Mi vedi, le
scarpe lucide, la cravatta a puntino, passeggiare
per ore ed ore per vincere l'ozio? Delle mezze
giornate seduti l'uno di fronte all'altra per
scambiarci qualche rara espressione di rammarico:
"Se fossimo rimasti nella nostra casa! Quanti fiori
e che verdura in questa stagione! Le uova fresche,
il latte! Qua è tutto prezioso più
dell'oro". Di sicuro le nostre rendite non ci
basterebbero per vivere".
- La
donna piangeva e continuava a dire:
- "In
questo luogo sperduto, lontano dal mondo finiremo
col fare il filo alla malinconia. A proposito
quando vengono ad arare per le patate?"
- "Non
appena il terreno sarà asciutto. Continua a
piovere giorno e notte".
- Affacciato
alla finestra, Adolfo distraeva lo sguardo sugli
scrosci ininterrotti di pioggia. Ascoltava i
ruggiti del fiume, strabocchevole di acqua scura,
limacciosa, che nell'impeto della sua corsa aveva
sradicato il salice, l'ippocastano, piante
secolari. Era nervoso per non poter lavorare,
preoccupato per quel diluviare intenso, continuo.
Tutte le pianticelle di frumento, di soia tanto
rigogliose sarebbero marcite.
- Erano
due settimane che pioveva. Era un giorno che non
mungeva le bestie, né le governava. La sera
prima, infagottato in un pastrano impermeabile, era
venuto uno dei suoi coloni ad avvertirlo: "Noi ce
ne andiamo. Abbiamo paura del fiume". Maledetto
fiume! S'era portato via Battista ed ora dava dei
nuovi grattacapi.
- "Noi
restiamo. - Aveva risposto Adolfo. - Non ho memoria
che ci sia stata una piena tanto abbondante da
rompere gli argini".
- La
corrente gialla di argille, zeppa di tronchi e
legni galleggianti mugghiava indifferente e
paurosa. Adolfo guardava l'aia divenuta ormai un
piccolo lago, le galline ammassate le une sulle
altre nella parte alta del pollaio.
- Due
giorni che non si sentiva più il canto del
gallo.
- "Un
vero castigo di Dio!" Si udiva dalla bocca di
Virginia, mentre si alzava per venire vicino al
marito.
- "Questo
tempo porta malinconia e pigrizia. Senti il fiume!
Come urla! Sembra impazzito. Sei andato a vedere? I
nostri vicini sono fuggiti".
- "Ieri
c'è stato Ruggero per dirci che loro se non
andavano. E dove vuoi scappare? Se abbandoniamo la
casa, corriamo il rischio di trovarla vuota al
ritorno. Con tutta la gente che ha
fame!"
- "Possiamo
prendere con noi l'oro, l'argento, le cose
personali..." Insisteva Virginia, gli occhi rivolti
verso il cielo buio, tutto uguale, pregno
d'acqua.
- "E
le bestie? Chi dà loro il fieno? Chi le
governa? Non possiamo lasciare tutto. Ancora
qualche giorno e passerà.
Vedrai".
- Dei
tonfi, dei muggiti di paura arrivavano dalla
stalla.
- Alcune
bestie fuggivano con la corda al collo
spezzata.
- Adolfo
si mosse, indossò il pastrano impermeabile,
il cappello e corse fuori. L'acqua morbida, melmosa
era ormai salita fino al primo gradino e cresceva a
vista d'occhio.
- Impaurito,
il volto infuocato, l'uomo si rifugiò di
nuovo nella cucina.
- "Ritiriamoci
al piano superiore. Il fiume sta straripando.
Presto... Prendi il pane, i piatti, la carne..."
Disse ed intanto si precipitò sul frigo,
sulla credenza.
- "Sta
calmo. Prima che arrivi in casa. Siamo alti
più di un metro rispetto al cortile".
Proruppe Virginia, mentre guardava la piana grigia
e lucida d'acqua che saliva, le faraone che
volavano alte, le galline che tentavano di fuggire;
sbattevano le ali, galleggiavano per alcuni minuti
e venivano inghiottite dalla piena. Dentro la
stalla era un putiferio di colpi di corna, di
zoccoli, di tonfi, di rumori paurosi e cupi, di
muggiti alti, insistenti, lamentosi.
- Di
botto Virginia si mosse: "Mamma mia, come si alza!
Pare pantano liquido". Esclamò e corse alla
credenza, riempì le braccia del marito e le
sue e traslocarono all'ultimo piano, nello stanzone
sopra le camere, dove era immagazzinato a mucchi il
mais. I vetri delle finestre quasi tutti rotti, una
luce fioca che illuminava la larga penombra del
locale.
- "Adolfo,
servono due sedie, il pagliericcio..." I due
scendevano e risalivano le scale, ansando,
sbuffando, sospirando, il cuore in ansia, il fiato
alla gola. Avanti, indietro, nel giro di un'ora si
sistemarono alla bell'e meglio.
- "Che
freddo umido, Adolfo!"
- "Non
ti fa paura tutta quell'acqua? È alta fino
al primo piano. La casa è solida, è
vero; ma chissà come andrà a finire.
È un inferno". Disse l'uomo e si
affacciò alla finestra, gli occhi su quel
mare denso di terra, dove galleggiavano sedie,
mobili e cose d'ogni tipo. Sopra una tavola un
gatto morto, gonfio, il pelo irto,
appiccicoso.
- Adolfo
si ritrasse sconvolto da un caparbio, ineducato
senso di raccapriccio. Si guardò attorno. Si
sentiva smarrito. Virginia, seduta sul pagliericcio
con un piatto d'affettato, tossiva e tossiva, una
tosse profonda, maligna; ad ogni eccesso diventava
rossa, paonazza.
- "Adolfo,
vieni. Il pranzo è pronto".
- "Non
ho fame". Rispose l'uomo ed intanto girava lo
sguardo vuoto, assente sulle travature gonfie di
polvere e ragnatele, sul pavimento di tavole
grigie. Sull'architrave un nido di rondine, da cui
faceva capolino la testa della madre. Tra tutto
quello squallore una nota lieta: dalle uova covate
sarebbero nati gli implumi. Adolfo tornò in
sé. Virginia tossiva e piangeva.
- "Era
meglio che ce ne fossimo andati anche noi. Alla fin
fine le bestie, la campagna... una desolazione
d'acqua e nulla d'altro".
-
- "Passerà".
Ribatteva Adolfo, fingendo un tono rilassato; ma in
cuor suo non finiva più di crucciarsi per
non averle dato retta, quando ancora erano in
tempo.
- "Ed
il freddo che patiremo quassù! Mi sento
l'acqua nelle ossa. Ho un dolore acuto alla spalla,
che mi toglie il fiato".
- "Passerà".
Ripeté l'uomo e lesto si rannicchiò
sotto le coperte.
- "Tanto
non si sa come ammazzare il tempo, quassù!"
Disse Virginia e si accovacciò accanto,
stringendosi a lui e battendo i denti.
- "Sei
calda come un fornello".
- "Ho
sonno..."
- "Cosa
ti senti?"
- La
donna non rispose, aveva gli occhi chiusi, il
respiro accelerato. Di tanto in tanto il suo corpo
si aggricciava come se fosse attraversato da un
brivido di caldo o di freddo. Adolfo rimase muto,
gli occhi fermi sul nido. La rondine si
alzò, sbatté le ali per girare
attorno al salone, cercò una finestra aperta
e volò via libera.
- L'uomo
cercò di affidarsi a qualche santo,
recitò un'Ave Maria ed altre preghiere, fino
a che fu vinto dal sonno.
-
- Il
giorno dopo le squadre di soccorso li trovarono nel
letto, stretti l'uno all'altra. Adolfo a quando a
quando apriva gli occhi, scuoteva la moglie
sussurrando: "Virginia, Virginia".
- "Coraggio!
Siamo arrivati in tempo". Esclamò il primo
pompiere entrato dalla finestra. L'uomo si mise a
sedere, guardò incredulo i soccorritori e
disse: "Meno male. Stavolta devo proprio affermare
che qualche santo in paradiso ha pregato per
noi".
- Si
alzò in piedi, seguì uno dei
soccorritori, che aiutandolo con una mano lo fece
calare per la scaletta di corda che scendeva
diritta su di un motoscafo. Virginia, priva di
sensi fu portata a spalle.
- "All'ospedale".
Ordinò il più anziano, un uomo calvo,
robusto, che a giudicare dal portamento doveva
essere il capo.
- Adolfo
aveva gli occhi allungati sull'acqua, un mare
melmoso che si perdeva a vista d'occhio. Teneva la
mano destra stretta in quella della moglie per
incuterle coraggio; ma quel corpo abbandonato sul
fondo dell'imbarcazione non dava segno di
vita.
- Avrebbe
voluto scuoterla, chiamarla, chiederle cosa si
sentisse; ma si faceva riguardo di quei tre omoni
indossanti dei grossi giacconi anfibi. E per giunta
non si sentiva molto bene. Un malessere diffuso a
tutte le ossa, poca voglia di muoversi, di parlare.
Era seduto sul fondo dell'imbarcazione, ai piedi di
uno dei soccorritori. Non pioveva più, il
cielo era d'un grigio omogeneo e malinconico.
Pensò al nido, alla rondine. "Almeno lei
può volare, andarsene e tornare quando vuole
al suo nido". Disse tra sé e sé. Poi
si fece serio, l'espressione tremante di paura. Gli
tornavano le immagini delle ultime ore, spaventose,
raccapriccianti. Le bestie con la corda al collo
spezzata, che tentavano di fuggire ad affogavano in
quel diluvio d'acqua. Si consolò ché
non soffrivano più.
- "Povere
bestie! Ora sono morte".
- Piegò
la testa vicino a quella di Virginia. La poveretta
respirava a fatica, ansimava, sudava, non lo
riconosceva.
- Si
alzò, lasciò andare gli occhi lucidi,
pregni di lacrime sull'orizzonte grigio che si
abbassava sulla vastità melmosa e scura
dell'acqua.
- Uno
dei tre uomini allungò le mani nell'acqua e
le ritrasse trattenendo un oggetto verde, di
plastica. Lo sciacquò più volte per
poi mostrarlo ai colleghi. Era un
orinale.
- "Che
te ne fai?" Chiese il bassotto, un uomo goffo,
tarchiato, due orecchie che si alzavano a ventola
su un viso dalle sembianze di coniglio. L'uomo
continuò a girare e rigirare tra le mani
quell'oggetto e disse:
- "Chissà
da dove arriva! Sono cose che si usavano vent'anni
fa".
- Il
bassotto allungò la bocca da un'orecchia
all'altra e si mise a sghignazzare. "A me fa
schifo. - Biascicò in modo scomposto -
Chissà cosa ci hanno fatto là
dentro!"
- L'uomo
nascose l'orinale dentro un tascone di
tela.
- "Lo
terrò per ricordo dell'alluvione". E tacque;
il vapore s'era fermato.
- A
qualche decina di metri sulla terra asciutta, una
strada, dove erano parcheggiati dei camion. In uno
di questi furono sistemati Virginia ed il marito.
Il veicolo partì subito alla volta
dell'ospedale.
-
- Adolfo,
con addosso un pigiama azzurro, passeggiava in su
ed in giù per la stanza. Piano piano,
attento di non far rumore socchiudeva la porta per
spiare se arrivasse qualcuno. Girava lo sguardo
sulla finestra, alta, a vetri opachi: aveva voglia
di aprirla per diluire quell'odore stantio e
nauseante d'ospedale; ma temeva che l'aria fresca
potesse nuocere alla sua Virginia, immobile sul
letto accanto al suo, il viso imperlato di gocce
fredde.
- Non
parlava, non rispondeva ai richiami, respirava a
fatica.
- Si
udirono dei passi avvicinarsi alla porta, in un
salto Adolfo fu nel suo letto. Entrarono quattro
uomini in camice bianco; l'ultimo, l'andatura
più dimessa, la beretta ammaccata di
sghimbescio fino alle orecchie, era un infermiere.
Il più anziano, i capelli grigi e radi, il
viso grassoccio, l'espressione da bonaccione, si
fece sollevare la paziente, l'auscultò,
numerò i battiti del polso. S'informò
della temperatura. Scrollò la
testa.
- "Speriamo"
bisbigliò con un filo di voce, come se fosse
timoroso di svegliarla. Si girò sul letto
accanto, guardò il paziente, gli
sentì il polso.
- "Questo
non ha proprio nulla. Perché è
ricoverato?"
- "È
uno degli alluvionati. Il marito della signora".
Rispose l'infermiere e con la mano indicò il
letto di Virginia. La compagnia uscì,
chiudendosi la porta alle spalle.
- Che
male aveva Virginia? Tutto quel viavai di medici,
quel visitarla, ascoltarla, parlare in modo dimesso
e frammentario. "Speriamo". Aveva farfugliato il
più anziano, stringendo le labbra per
trattenere la voce. Allora Virginia è grave.
Rimuginava il pover'uomo. Si alzò, si fece
con l'orecchio vicino alla bocca della paziente. Un
respiro aspro, accelerato, di piccola
capacità usciva ora lieve ora rumoroso da
quelle labbra. Le passò una mano sulla
fronte. Era calda, attraversata da brevi rigagnoli
di sudore gelati. Tornò nel suo letto con
una gran voglia di piangere.
- Nel
frattempo tornò l'infermiere con un flacone
tra le mani, bucò il braccio della
poveretta, si diede da fare per sistemare il
contenitore, fino a che ne gocciò lento,
regolare il liquido nella vena.
- "Questo
perché non può mangiare. - Disse
l'uomo e, giratosi verso il marito aggiunge: -
Certo che l'avete scampata bella!"
- "Scampata
bella". Dunque erano salvi; anche Virginia sarebbe
tornata in salute.
- "Da
quanti giorni aspettavate?"
- "Un
giorno o due". Rispose Adolfo.
- "Con
tutto quel freddo e senza mettere nulla nello
stomaco! È ben robusto lei ad essere ancora
intatto".
- Seguì
qualche istante di silenzio, si sentiva
l'ànsito frequente di Virginia, il fruscio
della mano di Adolfo, che sistemava il guanciale e
con voce timorosa chiedeva:
- "Che
male ha mia moglie?"
- "Broncopolmonite
bilaterale".
- A
quella risposta l'uomo si fece dapprima serio
serio; poi un pallore profondo invase le sue
guance. Anche sua mamma e suo nonno erano morti,
vittime di quel male. Se n'erano andati in tre o
quattro giorni senza avere il tempo di dire "mi
sento male".
- Dopo
alcuni istanti l'infermiere intervenne:
- "Con
le cure del giorno d'oggi se la caverà. Due
milioni di unità di batociclina ed infusioni
poli vitaminiche ventiquattro ore su
ventiquattro".
- Adolfo
tornò ad essere solo. Avvicinò una
sedia al capezzale di Virginia, le prese una mano,
le tenne stretta stretta per ore ed ore, osservando
di tanto in tanto se gli occhi della poveretta si
aprissero, ascoltando se il respiro fosse meno
aspro. Non pensava a nulla, attendeva sonnecchiando
e sperando.
- Erano
tre giorni che durava l'agonia di Virginia, l'uomo
era disteso sul suo letto, intento a seguire sul
soffitto dei ciondoli di sole fuggiti ai rami mossi
dal vento, sostavano, si muovevano, si
moltiplicavano, quando udì la voce della
moglie. Tutto orecchi si mise a sedere.
- "Battista,
Battista, non andare. Oggi il fiume è
brutto. Resta a casa; ti ho stirato i calzoni, la
camicia azzurra per domenica. Sarà qua
Rosetta. È una brava ragazza". Il discorso
s'interruppe.
- Adolfo
corse in fretta al capezzale della moglie, la
strattonò per un braccio, la tirò per
una mano.
- "Virginia,
Virginia, sono Adolfo. Non mi
riconosci?"
- Il
mattino dopo, di buon'ora, arrivò
l'infermiere ad aprire gli scuri. Un raggio di luce
vivo, sereno entrò dal riquadro della
finestra, balzò luminoso sul volto di
Virginia, che aprì gli occhi, tentò
di mettersi seduta e ricadde ancora
supina.
- "Stia
tranquilla. Non si muova. - Raccomandò
l'infermiere e rivolto al marito disse: - È
molto debole e delira giorno e notte. Non l'ha
sentita?"
- "L'acqua,
quanta acqua. È il fiume pieno di fango,
arrivato a trovarci in casa. La stalla, le
bestie... Tutto è perduto". Queste parole
pronunciò chiare l'ammalata, gli occhi
frastornati dal fascio di luce; ma vivi ed
aperti.
- Si
girò dalla parte del marito, seduto sul
letto con la scodella tra le mani.
- "Dove
siamo?" Gli chiese. Adolfo le saltò a
fianco. Gli occhi rossi, sorridenti
disse:
- "Finalmente.
- E pareva un altro uomo. - Vuoi del brodo, del
latte? Infermiere, - questi s'era ritirato in un
angolo - porti del caffelatte, dei biscotti. A
Virginia piacciono tanto". Parlava e, saltellando,
si spostava attorno al letto della moglie. La
guardava per sincerarsi che fosse vero, le
chiedeva:
- "Mi
riconosci, è vero?"
- "Adolfo,
non mi hai ancora raccontato cosa è
successo.
- Sono
molto debole".
- "Infermiere,
uno zabaione, del caffè, deve tirarsi
su".
- Continuava
a dire Adolfo e si era fatto davanti all'uomo, che
impassibile rispose:
- "Senza
l'ordine dei medici non posso darle nulla. Abbiate
pazienza..." E se ne andò.
-
- "Non
vedo l'ora di arrivare. - Borbottava Adolfo, seduto
accanto alla moglie nell'ambulanza e
continuò : - Perché questa carretta
non corre più veloce? Sobbalza ad ogni buca.
Manchiamo da casa da oltre un mese. Chissà!"
Tacque, il viso gli si fece oscuro, stava
ripensando ai giorni della catastrofe. Il grande
lago giallognolo, imponente, senza fine. I tonfi,
gli schianti, Virginia rantolante, senza vita, i
medici vestiti di bianco, con i loro paroloni
incomprensibili. Dei veri maghi però,
l'avevano resuscitata.
- Piano
piano al vedere la moglie vicina ed in salute gli
tornava l'umore, l'animo si ricaricava di speranza.
Forse col bel tempo il grano sarebbe rigermogliato,
il vigneto sarebbe tornato a fiorire di tralci
rigogliosi e forse nella stalla avrebbero trovato
qualche bestia viva. La donna lo guardava pensosa,
ascoltava il ronzare del motore; di tanto in tanto
interrompeva il silenzio con qualche
sorriso.
- L'ambulanza
frenò, dai vetri opachi filtrava qualche
pallido bagliore di sole. Fuori era un silenzio di
tomba.
- "In
fin dei conti possiamo chiamarci fortunati. Potevo
morire senza accorgermi". Disse in tono garbato la
donna.
- La
porta si aprì. Un infermiere aiutò i
due a scendere.
- "Siamo
arrivati"; disse, e subito l'ambulanza
ripartì.
- I
due muti, immobili sul posto dove erano stati
scaricati, gettavano occhiate tutto attorno. Una
spianata grigia di fango secco si allungava a
perdita d'occhio. Adolfo con la moglie per mano si
precipitò verso i campi coltivati a
frumento. Un solo colore grigio. Creta, non
virgulti di grano, né fili d'erba.
Andò al vigneto: un arrotamento scombinato,
scapestrato, confuso di pali e viti; alcune erano
state sradicate. La stalla vuota, pantanosa, la
greppia chiazzata di muffa.
- "Possibile!
E Roma, la Rossa? Più niente".
Esclamò a mala pena. I due si guardarono
imbarazzati di dolore. Più nulla. Tutto
s'era portato via il fiume.
- Una
voce li distolse. Venivano avanti i Greppi con i
figli, Fausto Molcesi con la moglie.
- "Anche
a noi è successo. Anche a noi... È
già da un po' che siamo tornati. Abbiamo
risistemato il vigneto, seminato il mais. Vi
aiuteremo. Non temete. Oggi siete nostri ospiti,
domani riprenderemo a lavorare".
- Il
gruppo s'incamminò verso la casa dei
Greppi.
- "Oggi
spaghetti col pesto e uova al funghetto. È
vero, Maria? A proposito le vacche e tutte le altre
bestie sono state sotterrate. Dicono che il governo
ci invierà dei capi di bestiame
gratis".
- Virginia
ed Adolfo ascoltavano, seguivano i vicini, restando
qualche passo più indietro. Da lontano
arrivava il clamore del fiume. Una voce allegra di
leggeri sciacquettii, fertile di nuove promesse,
l'unica ancora viva in quelle aie
deserte.
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