- Allucinazioni
-
- L'uomo d'affari sedeva al suo solito tavolo e
mangiava da solo. Il cameriere si avvicinava di tanto
in tanto per accertarsi che fosse soddisfatto del
pranzo. Non chiedeva niente in realtà, ma
proponeva soltanto una curiosa espressione di attesa
evidentemente ben collaudata. Allora l'uomo d'affari,
cinquant'anni o poco più, fingeva un colpetto
di tosse e poi rispondeva con un piccolo sorriso di
cortesia, quasi una smorfia, qualcosa a metà
fra l'istinto naturale di replicare in modo corretto
ad una gentilezza e l'incapacità di trovarsi a
proprio agio fra i meccanismi stereotipati di una
risposta banale. Sul tavolo una bottiglia d'acqua
minerale quasi vuota, un tovagliolo sporco di sugo da
almeno tre giorni ed un computer portatile chiuso in
una valigetta di colore marrone. Un impermeabile blu
di ottima fattura e un lunga sciarpa a quadri
sistemati con estrema cura sulla spalliera di una
sedia vuota.
-
- Ho bisogno di respirare
- Non mi bastano i talk-show altisonanti infarciti
di presentatori che si parlano addosso e di ballerine
che si calpestano a vicenda per ottenere
un'inquadratura migliore.
- C'è una tele accesa sopra una mensola di
legno. Nel suo rapido e violento straripare di voci e
di suoni illumina i volti delle persone che sono
sedute in questa sala, ma nello stesso tempo ne
acquisisce gratuitamente i cervelli.
- Ho bisogno di respirare.
- Ne ho abbastanza di quest'aria sudicia e densa che
sono costretto a infilare nei polmoni mio malgrado e
che lentamente vuole uccidermi da dentro. Sono stanco
di sfogliare una ad una le pagine della mia vita in
questo modo incolore. Sono stanco della tele, del
computer, del cellulare e di questo continuo logorio
di rumori ed immagini che qualcuno insolentemente
spaccia per progresso. Sono stanco di sentirmi
prigioniero di questo giocattoli tecnologici e di
pagare quotidianamente il prezzo dei miei trent'anni
con il loro continuo pressing sul mio piccolo
mondo.
-
- L'uomo d'affari leggeva il suo quotidiano
aspettando l'arrivo del consueto caffè e in
quel momento non c'era nulla al mondo che potesse
disturbarlo. Nulla. Neppure gli sguardi curiosi e
invadenti degli altri clienti che pure sembravano
minare con una certa tenacia la sua disinvoltura. Il
quotidiano era quasi sempre aperto sulla pagina delle
notizie finanziarie e lui sembrava completamente
immerso in macchinosi calcoli mentali di difficile
interpretazione. La pelle si increspava sulla fronte e
di tanto in tanto si trovava costretto a togliersi gli
occhiali per poterla massaggiare con due dita. Le mani
rugose e grassocce presentavano unghie tormentate da
una dentatura nervosa.
-
- Ho voglia di urlare.
- Sì, esatto: urlare.
- Ora.
- Sento la mia voce dentro che vorrebbe sfogarsi in
un suono potente e disarmonico. Sento che vorrebbe
slegarsi da me e sottrarsi finalmente al mio
autocontrollo. Sento che vorrebbe sciogliersi. La
fermo. Le impedisco di uscire allo scoperto e la
rispedisco indietro, ma l'operazione mi costa bruciore
di stomaco e comunque non provoca alcuna riduzione
percettibile del dolore. Nella mia mente si fa largo
poco alla volta l'immagine di un vecchio tappo di
bottiglia ormai logoro di lavoro.
- Non so per quanto tempo potrò farlo
ancora.
- Non so per quanto tempo potrò impedirmi di
urlare.
- C'è ancora qualcuno in sala e non vorrei
fare brutta figura.
- Hanno i volti coperti di curiosità;
- Mi guardano.
- Mi vedono sudare.
- Fanno finta di nulla.
- Riprendono a ingurgitare i loro cibi e la loro
indifferenza.
- Mi convinco che in fondo sono soli anche
loro.
- Ma ho ancora voglia di urlare.
-
- L'uomo d'affari lasciava diecimila lire sotto un
bicchiere prima di alzarsi e pagare il conto alla
cassa. Lo faceva sempre. La cravatta, sempre la
stessa, penzolava giù obliquamente sopra un
pancione che si muoveva ingombrante fra i tavoli
incontrando nel suo percorso sedie vuote o teste
infastidite. L'omino della cassa, baffetti aguzzi e
occhi rapidi da uccello rapace, lo salutava ogni volta
con grande affabilità e approfittava di quei
pochi secondi a sua disposizione per scambiare due
parole sull'andamento della borsa valori e chiedere
eventualmente qualche consiglio tecnico per investire
con profitto il proprio danaro. Naturalmente l'omino
della cassa non avrebbe mai scommesso una lira su quei
consigli, ma all'uomo d'affari faceva piacere sentirsi
chiedere cose del genere e anche per questo motivo
amava così tanto frequentare quell'infinito
locale durante la sua pausa pranzo.
-
- Ho voglia di fuggire.
- Non saprei dove, ma fuggire.
- Lontano immagino, ma non riesco a formulare
un'idea.
- Sto per alzarmi. Cerco di raccogliere le mie
forze. Sto per scattare. Ma un cameriere allunga una
mano sulla mia spalla e mi costringe a restare seduto.
Ha gli occhi grigi e furbi e un volto che non lascia
trasparire emozioni; inoltre c'è qualcosa nel
suo atteggiamento che mi è molto
familiare.
- Mi chiede se va tutto bene e se sono soddisfatto
del pranzo.
- Rispondo che va tutto bene.
- Sorride.
- Gli chiedo perché mai oggi l'uomo d'affari
non si è fatto vedere al ristorante.
- Risponde che nessun uomo d'affari ha mai mangiato
in quel ristorante. Che altrimenti se ne sarebbe
ricordato.
- Insisto. Gli faccio presente che c'è un
uomo di circa cinquant'anni che viene a mangiare
lì tutti i giorni esattamente come me. Indico
il tavolo dove l'ho visto più volte aprire e
richiudere il suo giornale prima di sorseggiare il suo
caffè. Tengo a precisare che ne sono oltremodo
sicuro perché anch'io come lui mangio tutti i
giorni in quel posto avendo appena aperto una piccola
attività proprio lì vicino.
- Il cameriere risponde confermando di avermi visto
tutti i giorni ma continua ad insistere che nessun
uomo corrispondente alla mia descrizione ha mai
varcato la soglia di quel ristorante da quando lui
è in servizio, ovvero da tre anni. Aggiunge che
il tavolo che ho indicato non viene usato per servire
i clienti ma solo come ripiano di servizio.
- Nella sala gli ultimi clienti, testimoni
silenziosi della mia follia, ascoltano con attenzione
il nostro dialogo. Ma ormai non c'è più
nulla da dire. Il cameriere se ne è già
andato in cucina ed io sono qui in piedi davanti al
baratro in fondo al quale fluttua indisturbata la mia
paura del domani.
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