- QUANDO
FINISCE LA STRADA
-
- Era un viandante e
come fosse giunto fin lì non lo sapeva. Non si
chiedeva mai dove portasse la strada. Era uno che
camminava anche la notte, uno che faceva della sua
emarginazione una ragione di vita, uno di quelli per i
quali tra un posto e l'altro non c'era mai stata
troppa differenza. Camminava lungo i binari dei treni
perché erano una via già tracciata che
portava sempre da qualche parte. Così facendo,
pensava, non si sarebbe mai perso e non avrebbe
neanche avuto la necessità di orientarsi con le
stelle o con strumenti da viaggiatori.
- La ferrovia era
un'immensa linea retta che partiva sempre da una
città per arrivare in un'altra, vicina o
lontana che fosse. C'erano solo due
possibilità: andare avanti o tornare indietro.
E lui non aveva mai ricalcato i suoi
passi.
- Vagando nella notte
senza fine di quel labirinto che era stata la guerra,
era riuscito, con la sua vita fatta di percorsi e
rifugi, a passare quegli anni crudeli nel
dimenticatoio. La tempesta delle follie umane,
placatasi solo da pochi mesi, non lo aveva travolto.
Per lui il tempo non aveva rintocchi e tutto quello
che succedeva ed era successo sembrava appartenere
soltanto al resto dell'umanità. Bastava
soltanto che lui avesse un binario di fianco per non
dimenticare che il mondo andava avanti, sempre avanti,
proprio come i suoi piedi.
- Così quando
sul far di una sera qualunque di un'estate qualsiasi
la ferrovia si arrestò davanti ai suoi
passi,come inghiottita dal suolo,ebbe l'impressione
che il
- suo cuore stesso
avesse deciso di fermare i suoi battiti.
- In quel momento si
sentì sconfitto e provò una sensazione
di estremo disagio. Era come se gli avessero amputato
le gambe, o come se avessero tolto d'improvviso la
strada da sotto le suole logore delle sue scarpe. Si
sedette per terra e guardò il tramonto, uno dei
tanti, in un luogo a lui sconosciuto.
- Gli ultimi fuochi
si agitavano sotto la cenere che ne soffocava gli
ansimanti respiri, e i loro bagliori disperati
morivano contro la luna sorgente, che inebetita da
tanto scempio si nascondeva, preferendo scomparire
dietro le rade nubi di passaggio che le occultavano la
vista, proprio come fino a poco tempo prima avevano
fatto le dense colonne di fumo nero che si avvolgevano
verso il cielo in immense spirali. Sui camini
incrinati delle case le cicogne erano tornate a
impagliare i loro nidi: non ne costruivano più
da cinque anni, da quando l'inferno aveva spalancato
le sue porte e sviscerato le sue mefitiche esalazioni
di zolfo e carne bruciata.
- Erano tornate su
tutti i camini meno che su quelli alti, sagome
nell'oscurità davanti a i suoi occhi, dove il
laido fetore della morte era rimasto mescolato alla
spessa fuliggine appiccicata tra i
mattoni.
- Mute di cani
sbandati continuavano a rincorrersi azzannandosi sul
collo e tra le costole che la fame scolpiva sui loro
scarni corpi, quasi cercassero ancor più di
indebolirsi a vicenda, lacerando sottili ferite sotto
la pelle. La notte e il silenzio arrivavano sotto
braccio - evanescenti, spettrali, anguste figure senza
movimento proprio - ritagli d'ombra inanimati tra le
ombre - lucciole o fuochi fatui ? - qui era sempre
notte da un pezzo - notte per la memoria davanti agli
occhi sperduti, smarriti, del viandante sconfitto che
aveva trascinato i suoi passi lungo quel binario morto
sommerso da sterpi che andava dritto contro i cancelli
spalancati dell'abisso e che tornava sottoterra mentre
le anime e i corpi, leggeri e inconsistenti, erano
passati, fluttuando nel vento, dalle fiamme degli
inferi al profumo delle nuvole, come quei fiocchi di
neve a Natale - ultima
- illusione - ma il
calore del pianto che irrigava le pietre scioglieva in
lacrime le gelide speranze.
- Tutto qui era
intriso di odori, e il pugno di terra che lui si
allungò a stringere nella sua mano indurita
grondava di sangue, di fumo, di uomini.
- Ogni zolla era una
conchiglia che ululava il suo mare in tempesta,
prigioniero tra piccole mura avvelenate e graffiate di
disperazione che era divenuta rassegnata preghiera -
ogni zolla calpestata e appiattita dalla paura e dal
furore, da mille marce forzate, concimata dalla
ricaduta di ceneri erranti - lontane, per miglia e
miglia.
- Le bolge svuotate
dall'orrore dell'odio restavano inerti ma urlavano,
imploravano, ammonivano - tremavano, vibravano -
respiravano.
- Silenzio. Fu la
vita a uccidere, non la morte.
- La vita aveva
distrutto sé stessa, ammassata, ammucchiata,
svilita, abietta - ricacciata tra i fuochi di
Neanderthal - rinchiusa in caverne senza uscita alla
mercè delle esalazioni maligne di cristalli
assassini.
- Guardarsi in
faccia, sentirsi colpevoli di essere nati, odiare le
proprie radici, trascinarsi tra gli ultimi echi di una
dignità che muore, aspettare la morte, agognare
quell'ultima fuga.
- Il viandante attese
l'alba, immobile, raggomitolato su sé stesso,
gli occhi spalancati verso quell'orizzonte da dove uno
stanco sole dell'est, inorridito, stava adesso
risvegliando le sventure umane in una notte senza
fine.
- Era arrivato
vagando nell'oblìo perenne nel quale aveva
deciso di affondare, come se tutto l'orrore di cui il
mondo era capace potesse riecheggiare lontano - lampi,
colpi di cannone ovattati come tuoni di un temporale
lontano - come se vagando ai bordi del male tutto
quello che ne faceva parte potesse soltanto
sfiorarlo.
- I colori infuocati
dell'alba sembrarono riaccendere per un momento le
fosche luci della spianata. Attorno a lui era giugno e
alti fasci d'erba selvaggia fremevano alla brezza del
mattino.
- Si alzò
volgendosi attorno, cercando di fissare dei punti di
riferimento spazio-temporali tra quelle macerie che la
luna aveva tramutato in ombre durante la
notte.
- Un senso d'angoscia
aveva appesantito il suo dormiveglia divenuto
opprimente, come se vaghe presenze avessero
insistentemente bussato ai suoi sogni, in cerca di
risposte che lui non avrebbe potuto mai trovare. Quel
suo vivere ai margini lo manteneva in un equilibrio
precario, che si divincolava tra gli oscuri precipizi
della coscienza e gli illusori paradisi
dell'innocenza.
- Adesso cominciava a
rendersi conto di ciò che poteva essere
successo lì, se ne rese conto quando si
trovò davanti a interminabili recinti di filo
spinato che correvano uno accanto all'altro in una
doppia fila parallela.
- La sua mano era
ancora sporca di terra, di quella terra che aveva
stretto tra le dita poche ore prima, ricavandone
strane sensazioni di paura.
- I suoi passi
pesanti avanzarono lentamente: alle sue spalle era
rimasto l'immenso arco d'ingresso che aveva varcato
senza rendersene conto seguendo i riflessi del sole
morente contro il metallo sfregato delle
rotaie.
- Poi l'odore
repellente che giunse al suo olfatto lo avvertì
che la morte era stata là, e che vi si era
fermata per molto tempo, prima di andar via con la
lama della sua falce ormai logorata da tante
mietiture.
- - Guarda le
cicogne, sono tornate molto presto - si voltò
di scatto. Non vide nessuno.
- - Lassù,
vedi? Volano basse - Un ragazzo avvolto da una coperta
di tela, come quelle che si usano nelle caserme,o
ancor peggio nelle prigioni, con l'indice della
- mano destra
allungato verso l'orizzonte, gli mostrava alcuni
uccelli che con volo tranquillo si dirigevano verso il
villaggio.
- - Quanti anni hai,
ragazzo?- fu stupito di incontrare qualcuno - Parecchi
signore, ormai ognuno pesa almeno quanto tre dei tuoi
-
- In effetti il suo
aspetto sembrava tradire una vecchiaia precoce,
accelerata da eventi che lo avevano fatto precipitare
in una voragine senza scampo spalancatasi sotto di lui
tra le crepe del tempo.
- - Hai fame? - il
senso di pietà fu spontaneo
- - No, signore,
questa parola per me non ha più senso
-
- Il viandante
sentì passarsi un altro brivido addosso, anche
stavolta senza comprenderne il motivo.
- Si avvicinò
al ragazzo. La sua pelle era martoriata da graffi e
cicatrici sul volto e sulle mani. Cercò di
scrutare i suoi piedi ma non potè farlo
perché erano coperti dall'erba
- - Cosa ci fai qui?
Perché non vai a casa? - l'incalzare delle
domande manifestava uno strano stato d'ansia che
andava crescendo.
- - Aspetto i treni -
gli rispose convinto il ragazzo
- - I treni? Quali
treni? -
- - Loro arrivano
sempre di notte, credo che siano in ritardo: deve
essere successo qualcosa -
- - Li hai visti
arrivare? - continuava a non capire. Il binario era
morto e ormai chiaramente fuori uso.
- - No, signore, la
notte è buia anche se c'è la luna. Io li
sento, sono pieni di gente, tanta gente. I treni si
fermano e loro scendono. Hanno paura. -
- - Dove abiti,
ragazzo? - pensò che forse i suoi genitori lo
stessero cercando.
- - Abitavo in un
villaggio vicino, adesso lì non c'è
più nulla - questa risposta lo
terrorizzò. - I tuoi sono morti? - chiese
tremando per la replica quasi scontata.
- - Non li ricordo
più, credo di averli persi -
- Pensò che
stesse delirando, che fosse in preda a qualche forma
di febbre. Istintivamente si chinò a toccargli
la fronte. Ritrasse la mano inorridito. Era
gelata.
- Il ragazzo lo
guardò stupito
- - Cosa speri di
trovare all'inferno? Anche i demoni si sono stancati
del fuoco. Sono tornati dove i dannati ardono in
eterno. Gli innocenti invece bruciano subito,
diventano cenere, si dissolvono nel vento - quelle
parole, pronunciate senza toni, sprizzarono un senso
apocalittico.
- Il viandante lo
osservò scivolare lungo un fianco, stremato da
quei discorsi.
- Era come se la
morte si divertisse a giocare con lui, a tirar fuori
la sua anima per poi lasciarla sfuggire di nuovo
dentro al corpo, come un elastico.
- Il sole si stava
alzando verso mezzogiorno. La sua luce metallica
plasmava quell'immensa fortezza. Decise di porgergli
l'ultima domanda
- - Che posto
è questo, ragazzo? -
- - Si chiamava
Oswiecim, signore, ma tutti qui adesso lo chiamano
Auschwitz - poi tornò a scrutare il binario -
Il treno è ancora in ritardo - scosse la testa
- Si, dev'essere successo qualcosa -
- Il viandante si
voltò e guardò alle sue spalle, verso
l'orizzonte da dove era venuto. Per la prima volta era
costretto a tornare indietro, ma almeno il suo cuore
aveva ripreso a battere.
- - Vai incontro ai
treni? - lo interrogò con affanno il
ragazzo.
- - Si è
meglio - rispose con rassegnazione - Credo proprio che
si siano fermati per sempre -.
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