- Le
poesie di Dario Bellezza lette per
voi:
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- Da Invettive e
licenze, 1971
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- «Il mare di
soggettività sto
perlustrando»
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- Il mare di
soggettività sto perlustrando
- immemore di
ogni altra dimensione.
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- Quello che il
critico vuole non so dare. Solo
- oralità
invettiva infedeltà
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- codarda
petulanza. Eppure oltre il mio io
- sbudellato
alquanto c'è già la resa
incostante
- alla
quotidianità. Soffrire
umanamente
-
- la retorica
di tutti i normali giorni delle
- normali
persone. Partire per un viaggio
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- consacrato a
tutte le civili suggestioni:
- pensione per
il poeta maledetto dalle sue
- oscure
maledizioni.
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- «Dio mi
moriva sul mare»
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- Dio mi moriva
sul mare
- azzurro, sul
suo pattino dove
- mi aveva
invitato ad andare.
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- Ma fu la
gelosia, la normalità
- dei ragazzi a
spingermi a rifiutare,
- ad alzare le
spalle alle battute
- salaci.
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- L'odore del
mare riempiva
- le navi e tu
cantavi negli occhi
- ridarella di
vittoria.
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- «A Elsa
Morante»
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- I ragazzo
drogati, guardie del corpo
- dell'Assoluto,
vanno per il mondo
- mattutino
fino alla sera della loro
- sopravvivenza:
come passerotti
- mangiano
distrattamente
- tutti presi
dai loro sogni d'avventura.
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- E la sciagura
che li coglie per strada
- e li fulmina
pienamente stecchiti
- li lascia
preda delle iene umane
- che scrivono
i loro necrologi sui giornali.
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- Le loro dita
sono piene di anelli,
- la loro
grazia bugiarda di mentire
- sa che io non
ho bisogno di droghe.
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- E mi guardano
come un povero reietto,
- un infelice,
ma troppo non m'offendo.
- So che vanno
per le vie del mondo
- con in bocca
il sapore della polvere
- e del
tossico:
- strepito vano
è il loro baloccarsi
- bambino,
orgoglio luciferino
- di chi si
consuma, strugge come cera,
- ma anche
così la mia voce smorta
- li
vorrà sempre al mio
capezzale.
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- «A Pier
Paolo Pasolini»
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- M'aggiro fra
ricatti e botte e licenzio
- la mia anima
mezza vuota e peccatrice
- e la
derelitta crocifissione mia sola
- sa chi sono:
spia e ricattatore
- che odia i
suoi simili. E non trovo
- pace in
questa sordida lotta
- contro la mia
rovina, il suo sfacelo.
-
- Dio! Non
attendo che la morte.
- Ignoro il
corso della storia. So solo
- la bestia che
è in me e latra.
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- Da Morte segreta,
1976
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- «Ho paura.
Lo ripeto a me stesso»
-
- Ho paura. Lo
ripeto a me stesso
- invano.
Questa non è poesia né
testamento.
- Ho paura di
morire. Di fronte a questo
- che vale
cercare le parole per dirlo
- meglio. La
paura resta, lo stesso.
-
- Ho paura.
Paura di Morire. Paura
- di non
scriverlo perché dopo, il
dopo
- è
più orrendo e instabile del
resto.
- Dover
prendere atto di questo:
- che si
è corpo e si muore.
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-
- «Fuori di
me»
-
- Alla follia,
non badate, datemi retta!
- Pensate
piuttosto ai nuovi ritmi in cui
- immergere la
vostra vita perduta dietro
- l'apparenza
delle cose. Cercate
l'immortalità,
- l'eterna
questione del mare splendente
- dentro il
sole di giugno che diventa nero
- a notte e
scompare nelle tenebre. Io
- dimenticato
relitto di una civiltà
- passata sono
il solo che piango i defunti
- miraggi di
un'età morta e ancora
- coprendomi di
ridicolo scrivo lettere
- d'amore a
traditi amori di un'epoca trascorsa,
- la
giovinezza, e ricordo lo studente
- che piegava
la sua retta immagine
- a misurare
l'angolo della sua carnale
diversità,
- a versare nel
seno asciutto di una madre
- occasionale
la solitudine futura dei suoi
- giorni tutti
uguali. Lasciatevi andare
- verso il mare
della vita! Assaporatene
- la musica
sbiadita, e trionfatore sarà
- solo il Tempo
e il suo nero oltraggio, la Morte!
- Mentre io
ancora scriverò che il poeta
- chiude in
stremate parole il suo cervello
- mirando il
muro in alto della sua stanza
- e le poesie
scivoleranno via, senza
pietà,
- e nessun Dio
le registra, incarnandosi
- per un
attimo.
- Il ritmo non
sa di mirtillo acerbo
- e piegarsi
sulla bianca pagina di un diario
- il meglio
dell'ispirazione fa in un fiato
- dileguare.
- Chiamatemi
così: pazzo, deserto
testimone
- di un deserto
da percorrere in una torrida
- estate, senza
acqua raccolta nella gobba
- di un
domestico dromedario, e la mia
poesia
- definitela
con crudeltà e livore come
lubrica,
- oscena,
interessata e manigolda consigliera
- di sventura o
furto di anime giovanili
- in cerca di
nuove reincarnazioni.
- Sappiate
però che brucio di gioia, di
allegria
- feroce dentro
la mia casa buia, prigioniero
- di calamitose
idee, slabbrando la mia merda
- in privata
visione senza lo scempio
- di immagini e
talenti altrui. Sono un genio
- geniale che
la vita spassa da un dolore
all'altro,
- teatrale,
senza ferite apparenti che non siano
- d'amore,
piaghe purulente lasciate da una
donna
- fatale che
nessuno conosce. Slabbro la mia
- merda in
privata visione: ghirigori
- collettivi e
birbanti. Muratemi
- in una galera
con la bibbia e i santi.
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-
- «Morte
segreta»
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- Ora alla fine
della tregua
- tutto
s'è adempiuto; vecchiaia
- chiama morte
e so che gioventù
- è un
lontano ricordo. Così
- senza
speranza di sapere mai
- cosa stato
sarei più che poeta
- se non
m'avesse tanta morte
- dentro
occluso e divorato, da me
- prendo
infernale commiato.
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- Da Libro d'Amore,
(1968-1981)
-
- Delinquente
mio delinquente
- non lasciando
Roma azzardo
- contro i
maschi stazionari una offesa
- e falsa
virilità.
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- Vecchi
discorsi, logori, remoti
- che tu con i
tuoi denti adolescenti
- mi spegnevi
in una bocca piena di saliva.
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- Il tempo era
ancora
- un carnefice
che non dava paura.
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- Ora esisti.
So che eri lì, dal mio
- rivale. Mangi
ogni tanto caviale
- e molte volte
salti il pranzo.
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- Io non
tramonto lentamente
- ma t'assicuro
di essere già morto!
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-
- Sterminate
primavere d'ebbrezza
- quando la
carne era senza freni
- e la
diversità sapeva le lusinghe
- più
traboccanti d'incanto e di piacere
- vi assista
ormai l'angoscia immensa
- dei ragazzi
sordi che parlano con le mani
- e non sanno
le parole torturate per ricordarvi!
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- E costellate
bellezze dell'inverno precoce
- se alla luce
dei fanali salpavano le notti
- verso le albe
della chiarità vanagloriosa
- che allagava
la stanza profonda
- dei rimorsi e
dei sogni del sonno.
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-
- Ora che io
mio destino si rischiara
- non posso
fare a meno di pensare a te
- lacrima
eterna del mio pianto.
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- Intenso o
soffocato il tuo amore
- è
l'unico suono dal tempo inviolato
- che
m'incanta.
-
- L'immagine
cara che non tradisce
- rimane
intatta; sei vicino a me, ti tocco,
- ti bacio la
bocca, gli occhi allegri o mesti,
- tutta tutta
la tua svaporata essenza
- mi risveglia,
accorre verso il punto
- che
s'estingue nel lagno delle stagioni
- che richiamo
alla carezza.
-
-
- Le trombe
squilleranno
- l'incubo
sordo
- allora forse
ti rivedrò
- non
più di carne
- con un altro
al lato
- orgoglioso
passerò senza saluti
- nessuno
più ci presenterà
- il vituperio
assordante
- silenzioso
impazzirà
- i nostri
detriti cervelli
- dissepolti
per l'ultima colta
- in
un'apocalisse irrisolta.
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-
- Da Angelo,
1979
-
- Non sono
né invincibile ne Dio;
- ma mortale
assaporo i sapori più forti della
vita
- e vomito,
considerandomi fallito
- agli occhi di
Dio.
- E tu, donna,
vienimi incontro.
- Portami in
salvo. Brucia le resistenze.
- Satana mi
vuole perduto e peccatore.
- Io devo
smettere l'orgoglio
- di sapermi
diverso, irreale
- amante dei
diversi.
-
-
- Ho deciso di
non più frequentare la tua
perfidia
- Immonda di
terrestre consumato dall'invidia
- Delle mie
celesti opere che nel mondo
illuminando
- La
verità del destino, il fato aguzzino dei
soavi
- Ragazzini
incatturabili dai mostri osceni e
turpi
- Come te,
lasciano l'irrealtà, per
sprofondare
- Nella mia
straordinaria coscienza. Dilato
- Il mio
giudizio su di te, corruttore di
bambini
- E straripante
lemure che la ristorante mi afferri
- E con le tue
stregate pargolette di scostumato
- Poeta di
periferia, m'infilzi, bivaccando
- Presso i
barbari drogati dell'Assoluto
Relativo.
- Non sei
niente, ma vorrei assistere al tuo
funerale.
- Vederti
mentre mi vedi
- Venire al tuo
funerale senza poter obiettare
- A questa
assente presenza che sarei io, a
lutto
- Vestita, in
attesa di parlare di te
- Al ristorante
con i miei cortigiani.
-
-
- Da Io,
1975-1982
-
- C'è un
pianto dentro di me: la vita
- Urlando non
lascia tracce verosimili,
- sfigurata
allaccia amore e morte,
- nella notte
ingrata al sonno.
-
- Allora si
pensa ai trascorsi inganni:
- so sogna.
Tutto quello che in pace
- importa di
più va combattuto,
- respinto...Che
ci sto a fare? A prendere congedo
- Da stanche
proposte di Re Musoni
- Promettitori
dei vani insulti al Dio,
- o calamitosi
al perché di vita
- ignobile e
incerta? Io piango
- le tetre
scalee di gioventù
- ove il
sorpasso della mente
- ai giorni,
all'ore estreme
- era sembiante
vivo
- del nostro
destinato incrociarsi
- in terra
seminata di freschi
- virgulti,
tenere silee
- di
speranza
- inquieta nel
suo sfarsi.
-
-
- Da Testamento di
sangue, 1992 (poema
drammatico)
-
-
- Scena
quinta
- ...
- POETA
-
- Insonnia che
rapida vieni, spiega
- all'illustre
discepolo del niente
- la vera
verità dell'attimo fuggente!
- Spiega che
morendo s'insinua dentro
- il corpo il
verme distruttore
- e l'anima
impigrita non vuole
- al Creatore,
ma insana s'insabbia
- ancora
più giù, come un serpe
- immondo che
le nere visceri
- non
vorrebbero ospitare.
- Niente resta
dunque tranne il dolore,
- e la
fantasticheria simultanea
- di una
diversa fine che, principio
- possibile di
ogni mistero,
- chiede una
preghiera per trasformarsi
- in
niente.
-
-
- Da L'avversario,
1994
-
- «L'avversario»
-
- Non furono
immagini, raggianti e regali
- immagini del
reale salutare il mio forte:
- il forte di
ogni ora rimescolata, nella
- siesta o
controra della brame assolute.
- E trascorsi i
secoli in ghingheri
- trasecolammo
con scheletri tardivi di Musa
- antiquata
lungo le cime dei monti Tiburtini
- invano
cercati da mani infantili.
- Non cercammo
i cuori lacerati e indecisi
- né il
lieto sapore dei muscoli d'Acciaio.
-
- Si, immagini,
rumori: mai il mio forte,
- il vero
forte, o panforte della poesia.
- Truccata idea
dai sensi inquieti
- o calpestati
singhiozzi nel letto
- ospite e
ospitale, orinale mentre tendo
- l'orecchio
alla salita delle scale,
- le mani
collegiali chiuse e derise
- dentro la
palma umida, liquida,
- vivendo al
capestro le sensazioni virginali.
- Stanze
illuminate, poi. Garbate
- ingiurie del
vino, ma il giorno è
- passato
ormai, orfano innamorato
- agitandomi in
piedi, in ansia: apro
- la finestra
nel freddo lunare
- spio la
mortalità terrestre e serale:
- tombale
silenzio, e noia, noia
- calamità
naturale del poco amarsi
- nel
riaccendere la luce
- perché
svaniscano gli incerti fantasmi
- della
notte.
-
-
- «In
Calabria»
-
- Davanti
immacolate montagne
- nel sole
meridiano indicano
- al viandante
la sosta e la calma.
- Ma fino a
quando? E io chi sono
- se ancora
ardo di voluttà segreta
- nel giorno
finito, anzi nei giorni
- finiti del
mondo caduto?
-
- La casa
è decrepita
- come piace a
me, ma troppo tardi,
- mi dico,
è arrivata, come tutto
- ormai tardi
è arrivato agli umani.
- Panni stesi
al balcone al vento
- del Pollino,
letti disfatti, aurore
- così
si placa nel risentimento
- la vita che
ci è data vivere.
- Il mio io
è distrutto, non esiste:
- la
realtà è un nome
assiderato.
- ...
-
- Dario
Bellezza
-
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