È uscito il n° 115-116
Marzo-Aprile 2002
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 29 marzo 2002
 
Il sommario
Editoriale
 
Tribuna libera
 
Tratto da Ebdòmero, presso l'Autore, 1957, Roma
 
In vendita nelle seguenti librerie

Giorgio de Chirico:
l'Uomo e l'Artista nel mondo metafisico
 
L'uomo e la sua arte
In queste pagine non ho inteso fare una inutile elencazione di tutto ciò che ha creato Giorgio de Chirico ma ho solo cercato di ricomporre i numerosi frammenti a volte contrastanti nel tentativo di disegnare il ritratto di un uomo, genio ed artista, che ha concepito una nuova visione dell'arte. È implicito che ho dovuto compiere una selezione drastica del materiale per limitarmi alle poche pagine a disposizione. (Non è escluso che l'esperienza si possa ripetere con un secondo articolo).
Ho letto ciò che de Chirico ha scritto, ho osservato con maggior attenzione le sue opere che d'altronde conosco a memoria ed amo dalla prima volta che le guardai, incuriosito e stupito, da un libro d'arte di mio padre.
Ricordo ancora quando vedevo mio padre assorto nel suo studio davanti al cavalletto intento a dipingere Renoir, Monet, Sisley, Utrillo. Tutt'intorno una miriade di colori, boccette di vetro e vasetti dal contenuto degno di un alchimista. La luce penetrava appena dalla finestra, come un raggio ispiratore e l'atmosfera soffusa regalava un mistero indescrivibile. Quegli anni passati ad osservare e scrutare i gesti lenti e meditati di mio padre mi hanno portato ad amare l'arte sotto qualsiasi forma si presentasse.
Senza pregiudizi e con animo leale.
 
Nella storia dell'arte Giorgio de Chirico è tra i massimi artisti del nostro secolo. Non esiste una personalità più complessa e contraddittoria. Pittore, scultore, scrittore, precursore, inventore e ricercatore di tecniche pittoriche. Non v'è artista che sia riuscito a creare volontariamente effetti così sconvolgenti, non v'è pittore che sia stato così acuto nell'usare l'ironia, o così grande mascheratore della verità. Non esiste nessuno che assomigli al pictor optimus, nessuno che sia stato capace di una eguale proposta di inquietudini sul senso dell'esistenza e sul significato dell'arte. Non v'è una tradizione, uno stile o una tendenza pittorica che possa contenere o limitare la personalità di de Chirico. Nonostante ciò egli ha attinto alla tradizione e si è nutrito di tutto ciò che ogni stile pittorico forniva, ha scandagliato come un esploratore ogni angolo, ha ricercato con avidità ogni elemento potesse fornire una nuova visione, una creazione di immagini avvolte da una profonda poesia. Di ogni esperienza vissuta è stato lui il poeta ed il legislatore, l'ha conquistata e l'ha difesa con coraggio al cospetto di chiunque fino ad arrivare, senza remore, a ripudiarla quando ha deciso di adottare una nuova via: ecco allora che si è trovato ad essere di volta in volta metafisico, classico, naturalista, inventore, parodia del pictor optimus, conformista. Un geniale artista che ha sempre creduto in se stesso ed è sempre stato fermamente convinto che la "scelta imminente" era l'unica opzione possibile, l'unica mèta da perseguire.
Anche il processo di avvicinamento alla sua opera e l'approccio critico nell'esaminarla deve necessariamente di volta in volta plasmarsi e modellarsi sulle varie contraddizioni della sua personalità: spesso ci troviamo di fronte a sorprendenti rivelazioni dell'artista, altre volte ad una fulminea polemica che dura un battito di ciglia, altre volte ancora ad un manifesto sarcasmo.
Ne è un esempio mirabile il rapporto che de Chirico ebbe con il Museum of modern art di New York che attualmente possiede numerose opere metafisiche del primo periodo. Nelle sue Memorie de Chirico scrisse che il Museo d'arte moderna di New York batteva, per gli orrori esposti, addirittura la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma. La rabbia divenne furiosa quando il direttore del museo gli inviò un volume intitolato "Art in progress" e lui modificò il titolo sulla costa del libro con un irridente "Art in progressive putrefaction". Questo era de Chirico.
Ma il suo percorso artistico è sereno, procede attraversando diversi periodi e svariate fasi pittoriche sempre con una maestosa tranquillità: vi sono momenti di intensa contemplazione, di silenzio ed immobilità, di classicismo e nuova luce e colore, ma egli rende sempre omaggio agli obblighi inderogabili di una severa disciplina pittorica.
È uno sperimentatore di tecniche, le plasma al metodo che vuole adottare, inventa miscugli, modifica e combina ricette, le utilizza con risultati soddisfacenti e le diffonde. È orgoglioso di ciò che produce e scrive un trattato di tecnica pittorica; è creativo ed ispirato ma non dimentica mai le esigenze di un mestiere duttile. Il mistero della pittura lo affascina. Dipinge stravaganti costruzioni ma con prospettive perfette, recupera il mondo ellenistico, riscopre le rovine romane, si tuffa nell'antichità classica. Si inoltra nella pittura del Rinascimento e scrive con passione: "In questo secolo di faticoso lavoro compiuto attraverso tutto il medioevo; i sogni di mezzanotte e i magnifici incubi di Masaccio o di Paolo Uccello si risolvono nella chiarezza immobile e nella trasparenza adamantina di una pittura felice e tranquilla, ma che serba in sé un'inquietudine come nave giunta al porto sereno d'un paese solatìo e ridente dopo aver vagato per mari tenebrosi e traversato zone battute da venti contrari. Il Quattrocento ci offre questo spettacolo, il più bello che ci sia dato godere nella storia dell'arte nostra, d'una pittura chiara e solida in cui figure e cose appaiono come lavate e purificate e risplendenti d'una luce intensa. Fenomeno di bellezza metafisica cha ha qualcosa di primaverile e di autunnale nel tempo stesso".
Il mistero della pittura lo affascina ancora di più, sempre di più. Inizia a ricercare le miscele per i fondi, studia i diversi sottostrati, l'amalgama, la matericità e la fluidità dei colori, la permanenza dell'intensità delle materie coloranti, la stesura e la qualità. Non si vuole fermare alla pura estetica dell'opera ma vuole ricercare la perfezione fin dalla materia del supporto, negli impasti delle miscele coloranti, nei giochi di luce, nelle ombre e nei chiaroscuri da rendere alla perfezione: vuole utilizzare nel miglior modo possibile gli elementi che rendono viva un'opera.
 
La ricerca artistica
Nato a Vòlos in Grecia nel 1888, figlio di una baronessa genovese e di un ingegnere siciliano trapiantato in Grecia, de Chirico si muove in un paesaggio mitico. I luoghi lo educano al culto della forma e la sua passione per il disegno lo aiuta a sviluppare la fervida immaginazione: il mare, le colline dei templi, le rovine, le statue, le letture classiche. Ogni cosa partecipa ad incrementare una cultura umanista.
Il suo primo maesto di disegno si chiama Mavrudis e il giovane de Chirico rimane affascinato dalla sua bravura "... mi insegnava a tracciare delicatamente i contorni di un naso, di un occhio, della bocca... a ombreggiare e sfumare le ombre con profonda maestria degna di un Raffaello e... quando lo guardavo vagavo in un mondo chimerico di fantasticherie: pensavo che quell'uomo potesse disegnare tutto... le nubi fuggenti nel cielo e le piante della terra, le fronde degli alberi mosse dal vento ed i fiori dalle forme più complicate... Guardandolo immaginavo di essere lui; sì avrei voluto allora essere quell'uomo. Mi insegnò l'amore per le linee pulite, per i bei contorni e le forme ben modellate. Se oggi il mio maestro Mavrudis fosse con me potrebbe condurre a scuola tutti i geni modernisti ed insegnare loro che prima di essere cèzanniani, picassiani, soutiniani o matissiani e prima di avere l'emozione, l'angoscia, la sincerità, la spontaneità ed altre scemenze della stessa risma, farebbero meglio ad imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis e poi con quella punta cercare di disegnare bene un occhio, un naso o una bocca".
Scrive de Chirico nelle Memorie che, ancora ragazzo, durante un soggiorno a Venezia, esausto per le lunghe camminate a visitar chiese, palazzi e dipinti, se avesse potuto fare quello che voleva, invece di andare in giro tutto il giorno ad affaticarsi, avrebbe volentieri passato il suo tempo al Caffè Florian a mangiar paste con la crema e gelati al cioccolato. Anche questo è de Chirico e la sua golosità rimarrà intatta anche negli anni a venire.
Quegli anni sono il sedimento culturale di de Chirico: il momento nel quale diviene chiaro che la comprensione del mistero e della bellezza della materia della grande pittura è una cosa infinitamente più occulta e più difficile a capire che non il lato poetico e metafisico di un'opera d'arte. La profondità e la metafisica delle opere di Boecklin, di Klinger, di tutti quelli che hanno narrato qualcosa di poetico, di sorprendente.
"Quando confronto la felicità di capire la qualità di una materia pittorica con quella di capire il lato poetico e metafisico sento che la prima è molto più profonda e completa".
 
Tutto ciò che creerà più avanti negli anni, dai disegni ai quadri ai libri, sarà immancabilmente legato alle immagini, alle suggestioni ed alle visioni della sua adolescenza, alla sua memoria classica così fertile e sorprendente.
Dopo aver frequentato, dal 1906 al 1910, i corsi dell'Accademia di Monaco ed aver studiato la pittura di Arnold Boecklin e di Max Klinger con le loro influenze simboliste nonchè le suggestioni dell'arte classica, de Chirico approfondisce anche la lettura di Nietzsche e Schopenhauer che avranno un forte influsso sull'artista e risulteranno fondamentali per cogliere il senso del percorso e della ricerca artistica e filosofica di de Chirico. Da queste esperienze deriva lo studio e l'elaborazione di una pittura enigmatica, fatta di atmosfere sospese, di figure che anticipano il clima dei futuri dipinti metafisici come L'enigma di un pomeriggio d'autunno (1910), dipinto che segna la nascita della metafisica, L'enigma dell'oracolo (1910), L'enigma dell'ora (1911), L'enigma dell'arrivo e del pomeriggio (1911).
L'elaborazione della dimensione metafisica si accresce con un altro gruppo di opere dipinte tra il 1911 ed il 1914: sono le famose Piazze d'Italia con i loro paesaggi urbani deserti e silenziosi, fermati in pomeriggi assolati, in una atmosfera immota. Le uniche presenze sono le statue immerse nel silenzio come nel dipinto I piaceri del poeta (1911); o le architetture fatte di piazze con portici, torri, monumenti equestri come nel dipinto La torre rossa (1913), considerato uno dei massimi capolavori dell'artista e conservato alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Siamo in pieno cubismo e a Parigi de Chirico conosce Apollinaire e Picasso che ha già dipinto L'Arlesiana ed ha già creato i papiers collès utilizzando pezzi di stoffa e ritagli di giornali.
Giorgio de Chirico non viene minimamente attratto da tali fermenti e idee perchè è alla ricerca di una sua arte, di una idea più profonda, più complessa. Le astrazioni cubiste non lo interessano e vi contrappone le solide immagini dei suoi templi e delle sue basiliche deserte.
"Io, solo nel mio squallido atelier della rue Campagne-Première, cominciavo a scorgere i primi fantasmi di un'arte più completa, più profonda, più complicata e, per dirlo in una parola a rischio però di far venire le coliche epatiche a un critico francese: più metafisica. Nuove terre apparvero all'orizzonte. Il guantone di zinco colorito delle terribili unghie dorate, altalenato sulla porta della bottega dai soffi tristissimi dei pomeriggi cittadini, m'indicava coll'indice rivolto ai lastroni del marciapiede i segni ermetici di una nuova malinconia. Sul soffitto scorgevo nuovi segni zodiacali quando miravo la sua fuga disperata che andava a morire in fondo alla stanza nel rettangolo della finestra aperta sul mistero delle strade".
De Chirico guarda solo alla sua pittura enigmatica, portatrice di un senso di abbandono, di un velo di mistero che permea ogni opera e sono proprio questi gli elementi che mantengono tuttora una carica innovativa ed emozionante: guardare queste opere è una lenta osservazione, uno scandaglio che esplora le profondità, una paziente ricerca del dettaglio, una continua riscoperta di riferimenti e di apparenze, di quel senso di mistero che de Chirico riassumeva in una sola parola: enigma.
È decisamente una pittura difficile e raffinata che farà osservare come "le architetture e gli oggetti collocati nello spazio secondo prospettive multiple perdono il loro significato comune e diventano simboli o metafore di concetti nascosti dietro l'apparenza del mondo visibile. La metafisica diventa la scoperta del mistero che si cela negli aspetti più comuni del vivere, davanti ai nostri occhi". Una novità densa di fascino che manterrà tutta la sua portata inquietante tale da produrre innumerevoli interpretazioni critiche e numerose spiegazioni della pittura metafisica.
 
Il mondo antico e la nascita della Metafisica
L'interesse sistematico di de Chirico allo studio degli antichi, al mondo omerico e miceneo, al reperto arheologico, fa tornare alla mente il gusto all'antico del collezionismo romano rinascimentale della corte papale, le ricognizioni sistematiche del '600 e gli scavi italiani di Pompei nel '700. Sono numerose le statue antiche (Cleopatra, Apollo, Euripide, Minerva solo per citare le sculture presenti nei Musei Vaticani) che entrano a far parte della costruzione metafisica e testimoniano la volontà di de Chirico di porsi in una condizione di artista colto ed accademico utilizzando proprio questa propensione e disposizione all'antico, ai capolavori della scultura classica.
Il mondo antico occupa scenari di invenzione e di evocazione: la memoria dell'arte e dell'architettura, la cultura classica e la filosofia, diventano la linfa vitale della prima rivelazione della pittura metafisica nel 1910, in piazza Santa Croce a Firenze, con un dipinto come L'enigma di un pomeriggio di autunno. È proprio in uno scritto giovanile e poi nelle Memorie che de Chirico descrive come nacque l'idea del suo dipinto ispirato a un pomeriggio d'autunno: "Certo non era la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una dolorosa malattia... e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. ...A Firenze dipingevo qualche volta quadri di piccole dimensioni; il periodo boeckliniano era passato ed avevo cominciato a dipingere soggetti ove cercavo di esprimere quel forte e misterioso sentimento che avevo scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d'autunno, di pomeriggio, nelle città italiane". Da questo momento inizia una delle più emozionanti scoperte intellettuali del Novecento e l'impatto della metafisica di de Chirico segna in modo fondamentale la cultura internazionale. Nel 1918 de Chirico spiegherà: "C'è molto più mistero in una piazza fossilizzata nel chiarore di un meriggio che non nelle scienze occulte. La figura umana (e tutto ciò che è vitale), è un paravento che ci nasconde molte cose". La rivelazione nasce appunto dalla pietrificazione e cioè dalla sostituzione del paesaggio con le architetture, e dell'uomo con la statua che poi sarà manichino. Questo processo di pietrificazione, di stupore nell'immobilità, di fossilizzazione dello spazio e del tempo è la vera essenza della metafisica di de Chirico: "L'arte... ci consiglia oggi più che mai l'inquadramento e la diasprificazione totale dell'universo. Il cielo deve essere serrato tra i rettangoli delle finestre e le arcate dei portici cittadini perchè lo si possa mungere sapien temente alle vaste mammelle della sua cupola traditrice. La stessa terra... è vinta oggi dalla metafisicità delle umane costruzioni... Tu vedi una stazione ferroviaria, una piazza circondata da cubi di pietra colorata ed adorna di squares e di statue in paletot, far zampillare getti altissimi, veri geyser di lirismo metafisico...".
 
La nuova stagione dei Manichini
Nella pittura metafisica si apre una nuova stagione che ha come pilastro un'altra raffigurazione, dopo le architetture e le geo metrie delle piazze, è con la creazione dei manichini che de Chirico inaugura uno dei periodi più affascinanti, più straordinari ed avventurosi di tutta la sua opera e introduce una rivoluzione nel campo dell'arte. "Il manichino di de Chirico più che un personaggio vero e proprio è un veicolo plastico. La sua struttura è complessa ed elementare. È una macchina ma è anche un essere soprannaturale, uno scheletro ragionato, una specie di androgino matematico composto di squadre, con una testa ovale senza lineamenti o con un profilo proiettato. Ha qualcosa di solenne e di conturbante. L'involucro di un eroe antico o futuro non ancora identificato".
Infatti de Chirico li mette uno a fianco dell'altro, li separa, li articola fornendo loro nuovi attributi, regala loro un nome: Ettore e Andromaca, Il Trovatore, il Poeta, il Pittore, il Filosofo, l' Archeologo. Il manichino però conserva sempre la sua prospettiva e si mantiene su piani leggermente inclinati: può essere senza braccia o senza mani, sostenuto da squadre, squadrette e righelli quasi come grucce trigonometriche. Una parte della critica lo definirà in modo astioso e becero "Dio ortopedico" ma de Chirico è sopravvisuto anche a questo.
 
Le Muse inquietanti: l'Opera
Se esiste un dipinto che è famosissimo, pubblicato su ogni libro d'arte , emblematico e rappresentativo della produzione di de Chirico, è Le Muse inquietanti, il quadro simbolo della metafisica. Questa opera è la sintesi di tutti gli elementi ed i caratteri iconografici, formali e stilistici della versione matura della metafisica. Domina una atmosfera sospesa ed enigmatica e rappresenta una summa della produzione metafisica di de Chirico. Eseguito nel 1918, durante il soggiorno di de Chirico a Ferrara, questa opera rappresenta uno dei massimi capolavori della metafisica: raffigura una piazza silenziosa, trasformata in un palcoscenico, chiuso ai lati e sul fondo da edifici: il castello degli Estensi, una torre, un'officina moderna con le ciminiere, un palazzo rinascimentale. Quasi nascosta all'ombra di un palazzo una statua senza volto che diventa presenza muta. In primo piano due grandi manichini disposti specularmente tra loro, in modo che l'osservatore ne veda uno di schiena e l'altro di fronte quasi a voler escludere ogni forma di comunicazione. Accanto a loro sono disposte scatole colorate, una maschera ed un bastone: oggetti di un mondo in bilico tra realtà ed immaginazione, disposti su un palcoscenico misterioso e non svelato dall'artista. È in tutto questo che risiede la carica enigmatica dell'immagine e la netta sensazione che non ci si trova davanti ad una visione nata da un sogno ma ad una realtà concreta, strutturata in volumi e con le ombre che evidenziano l'ora pomeridiana. La forma dei manichini che ricorda la statuaria arcaica, un contesto architettonico che sfugge ad una logica temporale, oggetti che fanno eco silenziosa alle muse inquietanti senza un motivo logico che unisca tali elementi nella loro apparizione. Il disegno dettagliato, il colore smaltato, steso in modo levigato, i chiaroscuri, la volumetria delle forme, il colore nitido che esalta la matericità dei manichini, delle scatole e degli edifici, sono elementi che accentuano la scena e fanno lievitare il carattere enigmatico dell'immagine.
Il silenzio domina la scena che pare fissata e cristallizzata in una dimensione senza tempo. L'ambiguità figurativa determina l'atmosfera sospesa e le divinità protettrici delle arti sono inquietanti perchè non v'è spiegazione al fatto che si trovino, pietrificate e trasformate in manichini, in questa piazza-palcoscenico.
 
Ormai tutto ciò che immagina, vede, raffigura e dipinge de Chirico diventa inesorabilmente una cosa sua. Gladiatori, Cavalli antichi, Bagni Misteriosi, Mobili nella valle: tutto è immortalato ed ipnotizzato in una atmosfera dechirichiana. Ogni cosa diventa meraviglia, perfino gli oggetti comuni diventano suppellettili-metafore ed assumono ruoli fantastici. Dal mondo classico e dalle rovine di templi e capitelli si passa ai mobili in serie, alle poltrone delle sale provinciali, ai letti in ghisa. L'indagine sistematica e scientifica degli scenari e il tripudio di invenzioni sono una fonte eterna di energia per la sua continua voglia di essere uno sperimentatore, un inventore: dall'idealismo passa all'ironia, dall'astrattismo passa al naturalismo, dal manichino alla natura morta.
Da grande maestro di tecnica pittorica quale è, riguarda, rivive, plasma, ricontempla le esperienze passate e si tuffa nella sua prodigiosa immaginazione. Non pone limiti alla sua fantasia ed applica nuove tecniche, ricerca nuove resine ed intrugli vari e riscopre l'uso dell'acqua con diverse emulsioni: "La pittura delle grandi epoche non è mai pittura ad olio... ma invece è una polpa di bellissima qualità tinta con del colore; ora in ogni polpa che si rispetti, da quella d'una mela o del corpo umano, vi è sempre una forte percentuale d'acqua; senza l'acqua non esiste bellezza e buona qualità di materia".
Ormai gli oggetti e le atmosfere non sono più limitate dalle esigenze metafisiche: adesso dipinge tutto. Cavalli, frutta, animali vari, corazze d'oro, tappeti e tessuti, paesaggi all'aperto o solo quelli visibili dalla finestra del suo studio. Ecco allora che il cerchio si chiude e si ritorna allo studio del pittore col quale abbiamo iniziato questo viaggio.
Adesso lo studio è il suo mondo. Nello studio ha a portata di mano i pennelli, i pentolini per far bollire l'emulsione, i vasetti e le bottiglie con le miscele segrete, i disegni, le sue ricette misteriose che nessuno può leggere, le nuove resine e le inimmaginabili essenze. Nel suo studio adesso trova la felicità di sentirsi "operaio" e proprio come l'operaio sognatore si curva sulla tavolozza dove stanno disposti i colori come un "minuscolo arcobaleno composto da tante palline di topazi, di zaffiri, di smeraldi, di turchesi e di rubini". In questo mondo non desidera essere un mago ma solo un operaio e scrive: "Quanto mai nobile è la fatica di questi figli dell'arte, poichè tanta è l'oscurità e l'ignoranza, tanta è la malafede e la testardaggine che li circondano, che allorquando a forza di faticare, di cercare, di frugare, di osservare, di leggere, di pensare e ripensare, di ordinare, di filtrare, di emulsionare, di unire e separare, di aggiungere, di interrogare, di guardare e riguardare, di pesare, di bagnare e di asciugare, di sperare, di disperare e risperare più di prima, essi riescono finalmente a qualcosa di meglio, una felice sorpresa li fa tremare di pura e santa gioia, perchè sentono che quello che hanno trovato permetterà loro di meglio operare".
In queste parole appassionate vi sono tutte le sue esperienze, le sue solitarie ricerche, le sperimentazioni, le immancabili contraddizioni di un artista: la sua vita.
Il pictor optimus, l'operaio sognatore, il padre metafisico, adesso è alla ricerca della perfezione e le materie coloranti con le alchimistiche essenze lo affascinano. Dipinge tutto ciò che vede. Dipinge le stoffe e i costumi d'epoca, gli oggetti d'argento, i bicchieri e le teiere, la frutta, gli animali dall'oca, ai pesci alla tigre reale. Dipinge scene sacre come la crocifissione e il calvario. Ritratti ed autoritratti. Si veste da pascià con turbante di raso adornato di perle, perché il raso e le perle sono difficili da dipingere.
Ormai ha alle spalle una vita di conoscenza e di coscienza del proprio mestiere.
 
Il lungo cammino verso la vera arte
Quello che è particolarmente caratteristico nei riguardi di de Chirico è l'inestinguibile sete di progresso che lo accompagna sempre. Scriverà nelle Memorie: "Io sono proprio il contrario di quello che sono quasi tutti gli artisti e non solo gli artisti di oggi i quali come si può constatare, non avanzano nemmeno di un millimetro ogni dieci anni. Pittori che io conosco da lungo tempo continuano ancora e sempre a fare le stesse cose e se qualcuno cambia soggetto di pittura lo fa, non per tentare di migliorare la qualità della propria opera, ma semplicemente per migliorare la propria situazione, per vendere più facilmente, per rendersi più favorevoli i critici e gli intellettuali, pertanto il cambiamento riguarda solo il soggetto di quello che fa e lo scopo che vuole raggiungere non è per nulla uno scopo ideale e non ha nulla a che vedere con la vera arte".
Infatti se si guardano le opere esposte alle mostre da de Chirico si nota un continuo progresso, una marcia cadenzata ed ostinata verso la maestria dei maggiori artisti del passato.
Ma de Chirico non dimentica neanche i plagiatori della sua arte, della sua metafisica quando racconta che capitò a Ferrara Carlo Carrà, per caso nello stesso ospedale militare dove de Chirico aveva ottenuto un permesso per dipingere in tranquillità in una piccola camera. "Quando Carrà mi vide fare i quadri metafisici andò a comprare tele e colori e si mise a rifare gli stessi soggetti cha facevo io, e tutto con una spudoratezza ed un sans-gêne veramente ammirevoli... Poi si affrettò a tornare a Milano portando con sè i quadri "metafisici" dipinti a Ferrara e si affrettò ad organizzare una mostra, probabilmente con la speranza di persuadere i suoi contemporanei che egli era il solo ed unico inventore della pittura metafisica ed io, caso mai, un suo oscuro e modesto imitatore. Tutte queste manovre naturalmente erano di un'incredibile ingenuità poichè si sapeva che i quadri metafisici io li avevo già dipinti parecchi anni prima ed erano stati esposti, riprodotti ed acquistati".
Da grande artista non ha ereditato e non ha fatto sua nessuna delle svariate teorie del secolo, si è lasciato solo accarezzare da leggere infatuazioni ma non si è fatto mai imprigionare dall'imperativo dell'epoca che era "cercare l'estrema mobilità della sensazione e fare del colore un seguito di evaporazioni luministiche". Totalmente indifferente all'egemonia francese di Cèzanne dipingeva paesaggi immobili dove "era concesso deambulare solo alle statue".
Il caos quotidiano che gli impressionisti si portavano dietro come esplosione coloristica si infrange contro i muri delle piazze e gli anfiteatri di de Chirico.
Non è mai stato sentimentale. Non è mai stato loquace. Non ha mai avuto fretta. È stato creativo e fecondo ma sempre con metodo e perseveranza. È sempre stato ironico ed indifferente. Feroce con i detrattori. Velenoso con la critica. Straordinario ed irripetibile per la dovizia e la pratica pittorica in diversi periodi della propria vita. È sempre stato altero e di una forte personalità. Studioso di filosofia, storia e letteratura. Scrittore con il romanzo Ebdòmeros (1929) che rappresenta una raffinata creazione della letteratura artistica. Un artista completo: unico ed immune da ogni confraternita, indifferente ai luoghi comuni, ironico e sempre controcorrente: le sue preferenze non coincidono mai con coloro che dominano la scena. La direzione della sua avventura umana ed artistica guarda sempre oltre: senza limiti, senza mète prefissate, senza facili ammiccamenti.
Al suo funerale nel 1978 pare regnava un clima di desolazione: pochi critici, pochissimi artisti e mercanti d'arte presenti alla cerimonia. Una totale ingratitudine da parte di un mondo che aveva dimenticato velocemente la lezione di uno dei più grandi artisti dell'arte moderna.
La storia ha poi ristabilito le distanze ed i valori della sua opera: l'intera produzione di de Chirico è stata riesaminata, rivalutata, riconsiderata. Alcuni critici e studiosi dell'arte sono riusciti perfino a far passare come autentici alcuni quadri che sono dei miseri ed indecenti falsi con firme contraffatte ("...per non vedere che era falso bisognava avere sugli occhi non delle fette di prosciutto ma lastre di cemento armato..." de Chirico). Sono stati scritti da parte della critica internazionale numerosi di libri, saggi, studi, articoli e sono stati stampati cataloghi, illustrazioni, depliants, cartoline e quant'altro sia possibile immaginare dove i quadri metafisici dominano la scena.
Credo che l'ironia di de Chirico avrebbe perdonato tutti, dai critici denigratori in mala fede a quelli che cambiano idea in relazione al vento.
Sono altresì convinto che non avrebbe comunque tenuto in considerazione nessuno di costoro.
A lui bastava la coscienza del proprio mestiere, la nobiltà di un "operaio sognatore" alle prese con i colori : "La pittura è un tessuto, è una sapiente sovrapposizione di tinte che si potrebbero paragonare a quegli antichi tappeti orientali, tanto belli e tanto pregiati, che non erano fatti a macchina ma pazientemente tessuti da abili artigiani. Quando un artista sente e capisce queste cose, allora per lui sarà una gioia, una specie di gioco ideale, di divina distrazione, provare e riprovare, cercare e sperimentare continuamente per progredire sempre nella sua arte".
 
Massimo Barile
 
Bibliografia
Biblioteca di cultura- Arte e critica- Giorgio de Chirico, R. Carrieri, Milano Editrice
I colori del tempo - La pittura italiana attraverso venticinque capolavori, San Paolo Imi, 2000.

 
 
ottimizzato per Netscape