LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Fabrizio Del Re
- Uomo di parola
- Spesso, nel mormorio immemore di luce,
- vacilla il mio pensiero ormai cieco
- al colore della voce,
- e dall'insonne bosco,
- antico di analogie notturne,
- volgo lo sguardo alla tacita luna
- che cela, nel suo liquido lume,
- la coscienza dell'ombra profonda.
- Così mi ritrovo uomo di parola...
- di poca parola,
- perduto nel segno remoto
- e nascosto del suono,
- come afasica impresenza,
- gesto dicitore in metafisiche membra
- della musica che si fa carne,
- pulsatile canto del corpo,
- verbo che diviene palpito, flusso,
- fremito e caldo sospiro,
- acerbo frutto di parole
- che solo l'atto può far maturare.
- Quindi accolgo
- il senso del silenzio,
- di primavere notturne
- vocale germoglio;
- accolgo il nudo, disadorno
- suono del nessun suono,
- pulviscolo canoro,
- buio seme semantico
- nell'ascesa dei prati al cielo;
- accolgo l'aurato dardo
- che ferendo risana,
- freccia e suono
- nel bisbiglio che inquieta.
- Così, quando l'ora
- è prossima all'aurora
- che non esita dinanzi
- alla danza segreta,
- mi ritrovo uomo di parola...
- di poca parola,
- labbro immerso nel silenzio
- ch'è un altro parlare,
- ch'è un altro sapere...
- dell'indicibile
- non so tacere.
- Essenza silente del verbo
- Come l'autunno che d'ogni sentiero il suono ricopre,
- così la parola non dice il dire senza parole;
- nei mutevoli cieli, allora, muta è la musa di mutile notti
- e delle stelle, vicine e lontane, la voce giace e tace
- nel potere ineffabile della luce
- confondendo, in diplopie contemplative,
- l'ambiguo sguardo dell'ultimo orizzonte.
- Sfingea sfida, ossimoro dell'essere:
- l'antinomia esistenziale si esprime
- nel perdersi per esserci,
- nel superarsi per ritrovarsi
- seguendo l'ebbro riso d'un dio
- d'ordine confusionale,
- pampino o edera di vite vitale
- che l'axis mundi come tralcio avvolge;
- nella sua maschera speculare è il seme del nome,
- il silenzio che dice, la parola che tace,
- così come l'estatico esistere che si manifesta
- nel segno fluido del corpo in menadiche danze:
- continuo divenire del gesto
- nel notturno germoglio del senso.
- Ascoltare il silenzio o pronunciare silenzi
- è dunque possibile nell'afonia dei significati,
- quando l'inespresso brulica nella fertile tenebra
- di astrali miniere solari;
- così la parola, lacerante e lacerata,
- sanguina il suo concorde opposto:
- assente presenza nel perpetuo suono del vuoto
- e... forse, sull'orlo dell'urlo
- o d'un raggelante grido orbo,
- chi chiama ascolta
- l'essenza silente del verbo.
- Dislalica poiesi
- a Fabiana
- E taccio stupito dinanzi al mistero
- del gesto che accompagna ogni pensiero,
- dinanzi al limite che fende
- il cerchio in voce duale,
- corona irreale e nibelungico anello
- dell'umana presunzione,
- cornice incapace di definire
- la centralità sconfinata
- che sfugge al potere della ragione.
- Così, nell'esperire l'espressivo inesprimibile,
- taccio dinanzi all'evento comune e incomunicabile,
- dinanzi all'ineffabilità della quotidianità,
- temendo quel luogo di ciascun luogo
- ove ogni lingua è lingua perduta,
- alfabeto intangibile, sconosciuto, inconoscibile
- che dell'uomo di parola l'imponente impotenza disvela.
- Ecco, dunque, la dislalica poiesi
- di cui mai riuscirò a compiacermi,
- il solo vuoto gioco di parole
- che posso offrire nell'incapacità di scoprire
- la grammatica che dia ai sensi un senso,
- la sintassi di tutte le emozioni,
- la metrica esatta delle riflessioni,
- la giusta accentazione d'ogni esitazione,
- la punteggiatura d'ogni improvvisa paura
- e il linguaggio che spieghi
- i paesaggi del tuo sguardo,
- lieve come l'impronta fugace d'un sogno.
- Transitoria sponda
- «Vanità delle vanità, dice Cohelet, vanità delle vanità, il tutto è vanità».
- (Ecclesiaste)
- Grembo di liquida urna
- ove sboccia delle carni il fiore
- e dei tendini l'arco
- all'infinito si tende
- in balia dei bruni flutti
- di musica vagabonda
- sull'onda inesorabile e feconda,
- che leviga ossa in conchiglie
- dalla voce inghiottita,
- di marea in marea...
- Grembo di liquida urna
- ove la burrasca spumeggia
- nei crani l'ironia dell'abbandono,
- nel flusso e riflusso
- che dei nomi confonde
- il notturno richiamo lontano;
- e dalla fibra passiva
- risuona esalante ogni singola nota,
- ai flauti dei femori strappata
- (per la gloria del fango)
- da chissà qual fatale auleta,
- affinché il soffio si disperda
- e il suono si disciolga
- nel mare abissale di musica.
- Grembo di liquida urna
- ove flessuosa la danza errabonda
- delle chiome nei flutti sparse
- l'arpa dei toraci asseconda
- al ritmo dondolante delle risacche
- che, sulla transitoria sponda,
- le bocche svuota e inonda
- nel cielo del codice concesso:
- dialetto occidentale e periplo
- nella notte del nome nascosto.
- Ecco! l'inscrutabile oceano
- che instancabile genera divorando
- lunari e fluide squame
- del serpente splendente
- cosparse di tremule stelle,
- ora nelle onde confonde
- naufragio e approdo,
- snodando e snudando
- com'altrui piacque
- il suono del senso
- nell'istante estremo.
- Allora, chissà se al di là
- dell'illusione d'ogni divenire
- il saper morire sia di morire...
- Voce d'ascolto
- «La tua bocca tanto faconda, là purtroppo non s'aperse a domanda».
- (Wolfram von Eschenbach, Parzival)
- «Procul este, profani!»,
- s'inoltrò l'incauta voce
- nel groviglio dumoso dei nomi,
- cupo coacervo offuscante
- il lune dei numi,
- come alba nuda ed occidua
- che s'inselvi.
- Così, in terme d'ombre,
- ogni fiato immanente s'immerge:
- scavata crisalide
- o conchiglia di suono
- smarrita nella nuotata circolare?
- Inenarrabile silenzio di risposte.
- La forza che dissecca torrenti
- è la stessa che rugge nei mari?
- Crasi di contrari, desertici tesori,
- carezzevoli incubi e sorrisi di lutto
- dell'Estate ancestrale,
- cerchi continui d'unione e repulsione,
- ciclicità perpetue
- come vertiginosi girotondi
- di mortalità immortale,
- parònimo apodittico del Divenire.
- Se sangue fiorì dal ferro,
- chi sfuggì al centripeto inganno?
- Braccia rigogliose intorno,
- materne foreste
- dall'abbraccio duplice di fronde,
- semantiche selve
- ove il vagito fiorisce,
- s'intreccia, s'avviluppa e soffoca
- in erboso verbo declinante
- verso il grembo tombale.
- Eppure è l'abisso d'un mare
- a risuonare nella concoide
- caverna delle anime,
- nel guscio di testuggine mercuriale,
- conchiliforme cassa armonica
- per l'indispensabile inutilità
- della musica segreta.
- E a quell'intimo richiamo
- sempre sboccia sangue
- sui rovi dell'adito impervio,
- mentre la notte, cenere di stelle,
- da cieli bendati avanza all'orizzonte
- e, nel suo incendio d'occhi,
- erra fin nell'incognita terra
- dell'egro Re, sciogliendo
- il laccio di ghiaccio
- d'impronunciabili domande.
- Però, dinanzi alla scelta
- sul cammino dicotomico,
- dinanzi all'enigma
- del gamma pitagorico,
- necessario è proseguire,
- e nella ricerca franare
- nel vuoto silente di parole,
- col piede che calza l'infinito,
- fino al fine della fine,
- balbettio di passi
- su rive inviolate,
- onda di sotterranei cieli
- che il cammino lambisce,
- fluido scrigno di oceani
- risonanti in conchiglie d'anime.
- Ogni nome è domanda;
- Così, dinanzi al mistero che sfila
- sotto i nostri occhi ogni istante,
- muti poniamo domande,
- osservando l'enigma
- di cui siamo partecipi,
- contemplanti contemplati,
- spettatori dei nostri interrogativi;
- barcolliamo verso il tramonto,
- col fianco del giorno,
- nell'instabilità deambulatoria dei sensi,
- perimetrati da parole di lunghi silenzi.
- Siamo noi la domanda.
- Ogni nostro respiro è domanda,
- interrogativo informulabile
- dalla parola che non sia paradosso,
- voce dilatata in membra, in gesto, in
- cammino,
- in indagine di ciò che è stato disvelato,
- di ciò che può essere afferrato
- solo nel perfetto abbandono,
- immanenza incomprensibile,
- l'oltre che è adesso,
- l'al di là che è già qui,
- nelle lande risanate dal dubbio,
- dal grido vincolato al suo opposto,
- libero nel limite,
- sulle lame di lingue,
- vanga vocale che scava
- nel nostro terroso addome
- sepolcri di luce
- per la semina notturna delle stelle;
- etonio canto, speleo sussurro
- per chi coglie e accoglie
- il frutto ripieno di suono maturo,
- di voce d'ascolto,
- germinato dal sillabico seme
- di ciascuna vocale d'attese.
- Ma il labbro che si schiude alle parole,
- si apre come la ferita che ci divide.
- Così il mistero tace,
- tace nell'eco di domande:
- ma nell'eco di domande risiedono risposte?
- Oh, favete linguis!
- L'alterità assoluta si cela donandosi
- in un disvelamento inesplicabile,
- esprimendosi in linguaggi
- di silenzio impronunciabile.
- La muta domanda, allora,
- avanza con passo incerto
- verso il Guado Periglioso
- d'un dialogo improponibile,
- ma irrinunciabile,
- dove ogni desiderio di svelare
- riesce solo a rivelare
- la profonda, metafisica
- labilità labiale
- che ci rende vittime
- di spossanti logomachie,
- di logoranti logorree,
- in balia d'un chiedere indicibile,
- d'un dire impensabile,
- chiusi in rassicuranti,
- peonici soliloqui,
- sterili suoni riarsi
- di voce nel deserto,
- in cerca d'un idioma nascosto
- che mai muta in pensiero.
- Ed è qui, sul confine
- che vincola al limite dialettico,
- che anch'io, come voi, attendo...
- attendo cercando,
- libero di scandire sillabe
- al suono del tempo
- che scorre devastando le vene
- con Colpo Doloroso.
- Oh, dotta ignoranza!
- Ho oltrepassato il cammino del sole
- per urlare cenere al vento?
- Sepolto è il mio tempo...
- PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
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©1999 Il club degli autori , Fabrizio del Re
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Inserito 29 maggio 2001