- Storia
di Mara
- IMPRONTA DI DONNA
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- In ricordo di Ugo di Fazzi, Maria Annovazzi, e mia
zia Augusta Colucci e a tutti i Civitavecchiesi che
morirono - nel bombardamento del 14 di maggio del
1943.
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- Storia di Mara
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- Il 14 di maggio del 1943 fu solo un giorno in
più nella vita della maggior parte
dell'umanità, una data ed un'ora che passarono
inavvertite per la maggior parte della gente che abita
questo pianeta. Non cosi per Mara e ancor meno per
alcuni suoi concittadini. Sono passate già due
generazioni. Quel giorno molti morirono nella
cittadina natale di Mara. Altri riuscirono a salvarsi
per morire più tardi anche se di una morte
differente, a seconda dei casi: il tempo sempre leale
s'incaricò di livellare la vita e la morte per
i sopravvissuti o almeno alcuni di essi.
- Tutte le mattine, brillasse il sole o non importa
quanto piovesse, Mara si alzava senza protestare
regolarmente alle 4.30 e camminando andava alla
stazione ferroviaria per prender un trenino che la
portava, dalla cittadina marittima dov'era nata, a
scuola a Roma. Ci si trovava nel pieno sviluppo della
seconda guerra mondiale. La seconda ed ultima. Ultima,
naturalmente, è solo un modo di dire.
- Dato che in quei tempi così duri era
obbligatorio l'oscuramento, Mara si era abituata a
muoversi nell'oscurità come un gatto,
poiché era già più di un anno che
viveva in quel modo. Frequentava allora il secondo
anno del liceo scientifico Cavour. Però le
piaceva uscire nella fredda notte in strada, a lei era
famigliare come le sue tasche. A volte era illuminata
da una luna traditrice, altre volte si distingueva
appena grazie alle stelle. La elettrizzava percorrere
il viale che si stendeva per tutto il tragitto di
fronte al mare. Particolarmente quando il mare
inquieto sembrava impazzare contro l'antemurale e la
costa. Camminare nella nebbia che la circondava, le
dava l'illusione di volare in una nube. Sognava che il
vento la portasse via, la trascinasse verso l'ignoto.
La sua immaginazione non aveva limiti. E nemmeno il
suo romanticismo.
- I pochi anni di Mara, una ragazza della
generazione che ha vissuto l'ultima guerra mondiale
dai tredici anni fino ai diciotto anni, si
alimentavano principalmente di sogni e di molto
sentimentalismo, come forse oggi non è
più possibile. O per lo meno non è
più tanto comune. Per quello che Mara ricorda
era stata sempre innamorata. Anche se sempre
unilateralmente. Lei amava, però il soggetto
dei suoi pensieri generalmente non lo sapeva o, se
veniva a saperlo, non la prendeva sul serio. E non
è che fosse brutta. Però un poco tonta
forse sì. Mara lo ammette con buona
autocritica. Le sue letture preferite erano a
quell'epoca, niente più e niente meno, Buffalo
Bill che si pubblicava in fascicoli, Nick Carter,
Fantomas, novelle poliziesche, come quelle di Agata
Christie e altre simili. Un tipo di letteratura che
contrastava decisamente con il suo stato perenne
d'innamorata cronica.
- Mistero della psiche umana.
- Mara aveva avuto una infanzia felice e stava
vivendo un'adolescenza tranquilla nonostante la
guerra. Naturalmente si sentiva incompresa come
qualsiasi adolescente che si rispetti. Soffriva tutti
i patimenti e le esaltazioni che possono invadere e
perseguitare lo spirito e la mente di una giovinetta
senza esperienza. Passava delle ore dietro le persiane
socchiuse della sua casa, spiando il passaggio del
ragazzo che la interessava . Che voleva da lui ?
Sinceramente non lo sapeva: solo si tormentava e si
soddisfaceva solo a guardarlo, senza mai passarle per
la testa cosa avrebbe fatto con lui, se per caso,
avesse corrisposto le sue intenzioni.
- Erano i suoi sogni amorfi, vaghi ed eterei come
bolle di sapone. Però stavano lì e a
volte facevano male.
- Suo padre, un uomo previdente, però non
chiaroveggente, decise che Mara e sua sorella maggiore
Nenné dormissero a Roma, in casa di amici.
Dovevano tornare a casa all'ora di pranzo per
cambiarsi i vestiti e poi fare ritorno a Roma sul far
della notte. Il papà di Mara era sicuro che se
avessero voluto bombardare la cittadina dove vivevano,
lo avrebbero senza dubbio fatto di notte.
Effettivamente la minaccia di un bombardamento poteva
concretarsi in qualsiasi momento, dato che con il buon
esito dello sbarco degli Alleati in Sicilia, il fronte
si era avvicinato pericolosamente a Roma e pertanto a
Civitavecchia.
- Gli aeroplani arrivarono invece nelle prime ore
del pomeriggio. Esattamente alle ore 15.10.
- Mara era arrivata con il treno che entrava in
stazione alle ore 14.15 e dopo un rapido pranzo , si
era spogliata e riposava nel suo letto. La primavera
avanzava e il caldo invadeva ogni angolo.
- In un primo momento fu un rumore compatto, come se
un esercito di cavallette volassero tutte unite sopra
un fronte ampio, come tutta la parete della stanza ,
poi un fischio acuto come un grido disperato e
lacerante: allarme aereo. S'incontrarono tutti nel
corridoio della casa: suo padre portava nella mano una
valigetta che aveva sempre pronta al lato del suo
letto e che conteneva un po' di denaro ed alcuni
oggetti d'oro della famiglia. Sua madre che aveva
appena finito di pulire la cucina con lo "straccio"
per asciugare i piatti ben stretto nella mano; la
sorella che stava dando lezioni di latino ad una
ragazza che si preparava per dare esami perché
si avvicinava giugno. E poi Mara che era rimasta in
sottoveste. Sua madre istintivamente le tirò
addosso un suo cappotto che era appeso
all'attaccapanni. Il padre le spinse giù dal
secondo piano fino al rifugio che era situato nella
cantina dell'edificio. Si trattava di un palazzo di
cinque piani che s'innalzava con aria di sfida proprio
vicino al porto, da dove partivano quasi tutti i
giorni navi piene di soldati e munizioni. Se la sfida
fosse stata accettata dagli aeroplani che sorvolavano
la cittadina tirando bombe come fossero caramelle,
sicuramente nessuno di loro si sarebbe salvato.
Sarebbero morti tutti come topi sotto le macerie. Il
destino non volle così. Si trattava, in ogni
modo, dell'unico rifugio disponibile e così
s'incontrarono con gli altri inquilini. C'erano tutti.
Mara, grazie alla sua giovane età, con la sua
assoluta mancanza d'esperienza del dolore e della
morte, non si rendeva conto del pericolo che li
circondava da tutti i lati. E fu un bene che fosse
così, perché il preoccuparsi e lo
spaventarsi non l'avrebbero certamente aiutata a
superare o a cancellare la realtà che le
toccava vivere. Si poteva soltanto sperare. E
pregare.
- I rumori si succedevano ora forti, ora fortissimi,
in un continuo crescendo, ora lontani e profondi, ora
tanto vicini che il palazzo era scosso dalle
fondamenta. Le persone, mano a mano che passava il
tempo, si erano fatte più silenziose. Sembrava
che avessero perduto la voglia di parlare e fare
commenti.
- Al nervosismo iniziale, che aveva fatto sì
che tutti parlassero in continuazione per dire ognuno
la propria opinione su ciò che stava succedendo
fuori, si sovrappose il silenzio. Ognuno secondo la
propria reazione aveva cercato di superare in questo
modo la paura che lo avvolgeva. Calò il
silenzio. Profondo e assoluto, come la morte. La terra
sembrava soffrire attacchi di "delirium tremens",
però il vecchio edificio resisteva.
Improvvisamente si aprì la porta della cantina
e nell'entrata scura apparve un ragazzo. Non poteva
avere più di 14 anni. Aveva il volto e le mani
coperte di sangue. Incoerentemente le parole gli
uscirono dalla bocca che tremava, come le pallottole
di un mitragliatore: "Morti... ci sono tanti morti...
tutti morti...". La voce si spense in un grido
soffocato. Nessuno si mosse. Nessuno parlò.
Mara era rimasta immobile. Non poteva immaginare la
distruzione che si era abbattuta sopra la sua
cittadina. Né il dolore e l'angoscia che
l'aspettavano fuori. Lì tra le quattro pareti,
anche se si trattava di una cantina fetida e sudicia,
si sentiva quasi sicura. Fino a quando si aprì
nuovamente la porta della cantina ed entrò un
uomo gridando: "Fuori, tutti fuori... veloci,
allontanatevi più che potete prima che scoppi
la Santa Barbara... C'è una nave piena di
munizioni in fiamme nel porto. Può esplodere in
qualsiasi momento. Non c'è un instante da
perdere...". Tutti si precipitarono fuori. Mara
ricorda che nonostante il pericolo imminente che
minacciava tutti, non ci furono scene di panico
né spinte. Tutti corsero come sonnambuli per
quelle stesse strade che solo pochi minuti prima
presentavano l'aria tranquilla e un po' sonnolenta di
qualsiasi strada di provincia in un pomeriggio
afoso.
- Ora dovunque c'erano cumuli di terra e pietre.
Dove c'erano stati edifici alti e popolati, ora non
c'erano che buche profonde come laghi secchi, strade
completamente cancellate, piazze che erano sorte dal
niente come per magia. Sembrava come se una ruspa
impazzita avesse cercato di disegnare un paesaggio
futurista. Tutti correvano nella stessa direzione.
Cercavano di allontanarsi dalle zone vicine al porto e
si affrettavano verso il convento dei Cappuccini
situato fuori dalla città.
- Nessuno vedeva o pensava, in quel momento
cruciale, ai feriti, ai morti o ai sepolti vivi sotto
le macerie. Anche Mara correva cercando di evitare di
cadere dentro le buche e aggirando le barriere che si
erano formate in conseguenza della caduta delle case.
Tutto le risultava irreale, come se si muovesse in un
incubo. Correva in un luogo che improvvisamente le era
diventato estraneo. Non lo sapeva ma quel giorno
terminava una tappa della sua vita. Lasciava dietro di
sé l'infanzia e parte dell'adolescenza e si
affacciava alla vita degli adulti.
- Mara e la sua famiglia trovarono rifugio per
quella notte in casa di amici. I Pontani erano gente
molto buona, che viveva nei dintorni della
città, proprio vicino al monastero dei
Cappuccini. Lì aspettarono. La "Santa Barbara"
non esplose. Il fuoco fu spento in tempo. Si salvarono
così gli edifici non danneggiati come quello
nel quale viveva Mara ed anche altri che erano
danneggiati ma che erano rimasti in piedi.
- Si cominciò a scavare per portare aiuto a
coloro che erano rimasti sotto montagne di
macerie.
- Quando si fece notte, la madre, la sorella e Mara
decisero di tornare a casa per cercare di salvare
alcune cose che erano indispensabili. Tra l'altro,
Mara sotto il cappotto di sua madre, indossava
soltanto una sottoveste e aveva bisogno urgente di un
vestito. Volevano inoltre cercare di portare via tutto
ciò che potevano, nel timore di un secondo
attacco aereo.
- Nella città non si udiva altro che il
rumore delle pale e il lamento sporadico di alcuni
gatti e cani spaventati o affamati. Non si udiva voce
umana. Nonostante l'oscuramento vigente alcuni
riflettori illuminavano i posti dove si stava
scavando. Tutti erano animati dalla speranza di poter
trovare qualcuno ancora in vita.
- Le tre donne camminavano in silenzio, ciascuna
assorta nei propri pensieri, portando nella mente la
pesante confusione degli avvenimenti, cercando di
capacitarsi del momento difficile che stavano vivendo,
addolorate e afflitte per la presenza della morte che
le circondava da ogni lato.
- Nella più profonda oscurità salirono
per le scale fino al secondo piano. La porta della
casa era aperta: il padre nella fretta di scendere nel
rifugio aveva dimenticato di chiuderla. Le tre donne
furono ciascuna nella propria stanza. I lunghi capelli
di Mara, accovacciata nel mezzo dell'abitazione,
illuminati per la luce mistica della vela, fluttuarono
pericolosamente verso la fiamma... Mara pensava che le
sarebbe piaciuto essere la Dea Visnù, per poter
portare via con sé tutte quelle cose alle quali
era attaccata sentimentalmente e senza le quali non
avrebbe potuto continuare a vivere: i suoi libri, i
suoi orsi e alcuni souvenir, tutti testimoni della sua
evoluzione come essere umano. Quando mezz'ora
più tardi s'incontrarono di nuovo nella strada,
Mara portava in una mano un suo vecchio orso, il suo
preferito, le cui zampette spuntavano teneramente da
un sacchetto di carta e le sue due grammatiche, quella
di tedesco e quella d'inglese, sotto il braccio.
L'altra mano stringeva una scatolina a strisce rosse e
gialle, che conteneva le ceneri di alcune gardenie,
fiori che le aveva regalato un ragazzo del quale Mara
era innamorata. Di lui non si dimenticò mai. Il
suo primo amore. E la sua prima disillusione.
- La mattina seguente Mara inforcò la sua
bicicletta e partì in salita (una salita di
circa 25 chilometri) in direzione di un paesino
chiamato Tolfa, situato in montagna , dove sua nonna
si era già trasferita con una parte dei mobili.
Il padre di Mara aveva avuto buon fiuto quando aveva
deciso, qualche tempo prima del bombardamento, di
affittare un'abitazione in una casa di alcuni
contadini, i Fracassa, che risultarono essere persone
molto brave, oneste e buoni amici. Lui, la madre e la
sorella seguirono più tardi con il resto dei
mobili. Si era già alla metà di maggio e
il caldo si faceva ogni giorno più forte. Mara
pedalava in salita con tutto il vigore dei suoi anni.
Quasi le piaceva stancarsi. La stanchezza la
elettrizzava e la faceva sentire paradossalmente
più leggera e rapida. Curva dopo curva, salendo
sempre più in alto, mentre la sua cara
città splendeva sulla sponda del mare
illuminata da un sole brillante ed indifferente al
dolore umano. E in lontananza, sembrava intatta come
se non fosse successo niente, né le bombe,
né i morti, né le case abbandonate,
né i sogni perduti...
- Quando finalmente arrivò, stanca e con la
faccia rossa per lo sforzo e per il sole che l'aveva
accompagnata chilometro dopo chilometro fino alla
cima, sua nonna l'abbracciò piangendo.
- La povera donna non aveva avuto notizie ed aveva
temuto di essere rimasta sola al mondo con la sola
compagnia della gatta Beatrice. La sua cara, carissima
"Nonna Gianna", tanto allegra, intelligente, moderna,
capace di fare qualsiasi cosa con le sue mani abili.
Mara le volle un gran bene. Un bene dell'anima.
- Rimasero in quel paese, che sembrava attaccato
alla montagna, dal maggio del '43 al settembre del
'44. Mara ricorda: stradine strette, arcaiche, salite
e discese scoscese e a sbalzi, incontri giornalieri
con i contadini locali dalla faccia senza età,
muli, asini, cavalli e una perenne aria di festa
nonostante la guerra e le privazioni.
- La fila per l'acqua che sgorgava da una fonte, nel
freddo intenso dell'inverno, con le mani e la faccia
violacee. Poi l'arrampicarsi per la salita con la
brocca in bilico sopra la testa secondo il costume
locale, oscillando sui fianchi e facendo pressione
sopra le cosce per tenersi in equilibrio mentre i
polpacci si stendevano nello sforzo e le vene del
collo sembravano scoppiare.
- Il padre e la madre di Mara dormivano in un
lettino vicino all'unica finestra. Nel letto
matrimoniale dormivano invece la nonna, la sorella,
Mara e la gatta Beatrice. La finestra dell'abitazione
era allo stesso livello del campanile della
cattedrale, la cui campana tutte le sante mattine
presto, con il suo suono faceva infuriare il padre di
Mara con conseguente reazione da parte sua.
- La casa che era come incollata a una rocca, una
rocca enorme, ben alta sopra tutto il resto del paese.
Si apriva sopra un sentiero che serpeggiava in salita
fino alle rovine di un vecchio castello. Il castello
dei Frangipani, vecchi feudatari del paese.
Lassù in cima si ergeva una piccola chiesa, che
aveva l'incanto di tutte le chiese del campo, nella
sua semplicità e nel profumo che salendo dalla
campagna circostante la Rocca, la penetrava
tutta.
- Dal castello, che si alzava sopra il punto
più alto della Rocca, lo sguardo scivolava da
un lato verso le casette vecchie e ammucchiate una
contro l'altra secondo il costume feudale, come per
cercare protezione fra di loro, mentre dall'altro lato
spaziava giù verso la valle verde di prato,
piante e alberi. Attraversandoli si snodava il cammino
che conduceva a Roma e ad altri paesi limitrofi.
L'aria lassù sembrava più pura e tersa
anche se per tutto il sentiero che conduceva al
vecchio castello, o meglio a ciò che rimaneva
del castello, era facile incontrare maiali e galline
che scorazzavano liberi e apparentemente soddisfatti
della loro piccola e precaria esistenza.
- Mara saliva lassù tutti i giorni: trovava
lo spazio vitale che le mancava nella stanza che
divideva con i suoi perché nonostante fosse
molto grande traboccava di mobili accatastati.
- Sentiva imperiosa la necessità d'essere
sola. Apprezzava come bene prezioso e insostituibile
la solitudine. Lassù respirava, libera dai
pensieri quotidiani e dai problemi degli altri.
Portava sempre con sé un libro o una delle sue
preziose grammatiche, però quasi mai le apriva.
Rimaneva con lo sguardo perduto nella valle, senza
pensare e lasciandosi trasportare dalla sua fantasia,
e finiva a volte per identificarsi con la natura che
la circondava e che da lì sembrava come il
riflesso di un sogno. Ora era un fiore, ora una
foglia, una pietra o il vento... E la guerra non
esisteva, era lontana, come se lei avesse vissuto
sempre così, come in quel momento della sua
vita. E il passato vicino e doloroso era cancellato,
come se non avessero mai bombardato la sua
città. Come se il mondo non si stesse
ritorcendo sotto il peso di problemi la cui origine si
era perduta nel rumore assordante delle bombe e del
cannone.
- Perché si stava lottando? Perché si
stava morendo? Perché la sofferenza inumana, le
mutilazioni fisiche e psichiche, le privazioni
orribili, il furore e la morte spaventosa?
- Mara non si rendeva conto, però a lei, la
guerra le sarebbe servita per trovare una soluzione ai
suoi complessi, per risolvere quasi tutti i suoi
problemi, conoscere gente e nuovi concetti,
sperimentare fatti e sentimenti particolari. Tutte
situazioni che, in circostanze normali, non avrebbe
mai avuto l'opportunità di vivere. E
soprattutto comprendere che nessuno a questo mondo
è imprescindibile e che siamo tutti importanti.
Insomma per maturare.
-
- Durante l'anno e mezzo che Mara visse in montagna,
l'Italia fu testimone di due grandi avvenimenti che
furono determinanti per lo sviluppo del suo carattere:
l'accordo che il suo Paese firmò con gli
Alleati l'8 di settembre del 1943, che mise fine allo
stato di belligeranza con l'Inghilterra e gli Stati
Uniti d'America e l'inizio della occupazione del
territorio nazionale da parte dei tedeschi come
reazione naturale da parte di chi si considerò
tradito. In ogni modo i tedeschi erano già in
Italia e non se ne sarebbero andati facilmente. I
Tedeschi imposero la dura legge della loro guerra. Un
altro giorno importante fu l'arrivo degli Alleati a
Roma il 4 di giugno del 1944. Questi avvenimenti
furono vissuti da Mara anche se non comprese
completamente l'importanza degli eventi e pur tuttavia
furono nella sua vita come l'effetto di una pietra
tirata in un mare con acqua calma. Mara solo molto
più tardi cominciò ad avere alcune idee
chiare riguardo alcuni fatti, certe relazioni umane ed
altri vari aspetti della vita. Ancora oggi ci sono
situazioni che la sorprendono in buona fede.
Effettivamente la vita è una cornucopia di
continui stupori e Mara crede che non importa
l'età, perché c'è sempre qualcosa
che ci prende di soprassalto e ci lascia perplessi. I
tedeschi, per esempio, Mara li apprezza come d'altra
parte apprezza i Nordamericani, gli Inglesi, i Russi,
gli Ebrei e gli Arabi... Con i difetti e le
virtù che essi possono avere. Per quanto le
è possibile non ha mai cercato di generalizzare
e allo stesso tempo di non giudicare ciò che
una minoranza di persone può provocare
trascinando con sé il resto di un paese. Mara
pensa che l'umanità si divida in onesti con
sé stessi e con gli altri e in disonesti
soprattutto con gli altri. Pertanto tra un italiano
fasullo e perverso ed uno straniero buono e generoso,
preferisce naturalmente lo straniero anche se
naturalmente è ben felice di essere nata in
Italia.
- Però, mano a mano che invecchia, si rende
conto di quanto è pericoloso essere
eccessivamente nazionalista. Lo sciovinismo è
per lei una parola da cancellare dal vocabolario.
Anche se, a volte, e particolarmente nel caso di
popoli giovani, può essere necessario e vitale
come sprone per migliorare o difendersi. Imparò
ad odiare il razzismo sotto qualsiasi aspetto si
presenti e a non fare nessuna distinzione di
nazionalità, razza, religione e ancor meno del
colore della pelle. Le risultò chiaro che tutti
nasciamo nello stesso modo, cresciamo, procreiamo e
muoriamo nella stessa maniera. E allora dov'è
la differenza?
-
- Alcuni uomini sono più intelligenti e hanno
maggiori possibilità e probabilità di
sviluppare la loro formazione come esseri umani, altri
invece sono meno fortunati e meno dotati e quindi sono
condannati a non progredire per tutta la vita. A meno
che qualcuno di buon cuore non gli dia una mano
affinché possano risalire dal pozzo profondo
nel quale si trovano.
- In un primo momento la politica fu, secondo Mara,
un succedersi di suoni che si trasformano in parole
rumorose e non sempre in fatti concreti. Però
non c'è dubbio che l'uomo è un animale
politico. Nel momento stesso in cui comincia a
pensare, a parlare ed esprimere un'idea o un'opinione,
fa politica. » indubbio, piaccia o no agli
apolitici. Naturalmente ci sono governi pessimi e
governi discreti. » necessario, importante e
vitale, sapere scegliere il male minore anche se, di
solito, ciò che è buono per un governo
è male per l'altro. Il motto di Mara è:
"Sic transit gloria mundi". Queste parole esprimono
bene come vede il tempo che passa implacabile: l'unica
realtà di questo mondo. Guardando ai secoli
passati (che bello sarebbe se la storia servisse a
questi pazzi uomini per imparare a vivere in un modo
più intelligente e razionale!), Mara fa
progetti per il futuro e allora il presente sembra
quasi ingenuo e puerile. Potrebbe perfino riderne se
non fosse tutto così tragico, pieno di dolore,
sangue e lacrime. Si rende conto che è
necessario (ma lo è veramente?) che le diverse
visioni combattano tra loro per il fatto che gli
interessi in gioco sono vitali per gli uni e per gli
altri. Tutto ciò accade sempre per l'egoismo,
la violenza e la sete di potere che sembra divorare
gli uomini. La lotta deve continuare. "The show must
go on". Soltanto vorrebbe che gli abitanti di questo
bellissimo pianeta non fossero tanto bellicosi e che
potessero trovare una maniera intelligente per
mettersi d'accordo, nonostante l'egoismo, la violenza
e la continua prepotenza che sembrano essere l'essenza
stessa della quale è composto l'Uomo. Ah, se
solo fosse possibile!
-
- Come conseguenza dell'esodo dei civitavecchiesi e
probabilmente per la mancanza di sufficienti servizi
sanitari nonché per il fatto che la popolazione
di Tolfa si era triplicata dalla notte alla mattina,
nell'autunno del '43 scoppiò una epidemia di
tifo nel paese. Cominciarono a morire molte persone e
l'unico ospedale del luogo si riempì d'infermi.
Il comando tedesco impose allora la quarantena. Non si
poteva né uscire, né entrare nel
paese.
- "Mamma, se papà deve andare a Roma,
avrà bisogno senza dubbio di un permesso
speciale da parte dei Tedeschi. Ti prego lascia che
vada io a chiederglielo, lascia che gli spieghi e
cerchi di convincere i tedeschi dell'importanza che
papà possa viaggiare..." "Mai e poi mai! Ma sei
pazza? Vuoi proprio andare nella tana del lupo? Una
bambina come te... papà cercherà di
ottenere il permesso lui stesso e, se non ci riesce,
allora non andrà a Roma... pazienza...".
Così parlò la madre di Mara. Però
lei aveva un'altra opinione.
- Si presentò al Comando. Spiegò nel
suo tedesco elementare da seconda liceo scientifico
ma, nonostante tutto, abbastanza corretto ciò
che desiderava. Lo ottenne. La misero immediatamente a
lavorare. Era necessario tradurre alcune regole in
italiano affinché tutta la popolazione sapesse
come rispettare alcune norme igieniche. Era notte,
pioveva e non si vedeva neanche un'anima in giro per
le strade a causa del vigente coprifuoco. Eravamo in
piena guerra e il governo Badoglio aveva firmato un
patto di pace separata con gli Alleati e ciò
faceva dei tedeschi il nuovo nemico. Mara fece
finalmente ritorno a casa, accompagnata da un soldato
tedesco, un interprete ufficiale del Comando, nativo
di Bolzano, il quale aveva scortato Mara coprendola
con un grande ombrello.
- La madre di Mara era fuori della grazia di Dio e
già aveva dato la figlia per morta o nel
migliore dei casi rapita chissà da chi...
Vedendola sana e salva non poté che
abbracciarla fortemente e non le scappò una
sola parola di rimprovero.
- Da quel giorno Mara dovette recarsi tutti i giorni
al Comando per lavorare in ufficio e scrivere a
macchina i testi, anche se a velocità ridotta.
Fu un obbligo che Mara accettò sinceramente e
quasi con piacere. Fu il suo primo lavoro. Non ricorda
ciò che le davano da scrivere perché,
naturalmente, copiava senza comprendere, scrivendo
cose che per lei non significavano niente e in una
lingua che non era la sua. Tuttavia fu la prima base
per una vita che attraverso il lavoro le avrebbe dato
la possibilità di ottenere alcune soddisfazioni
ed una esistenza degna. Obiettivi che non avrebbe
potuto conseguire in altro modo perché
proveniva da una famiglia onesta e piccolo borghese,
ma certamente non ricca né socialmente elevata
ed importante. Per Mara, nata e cresciuta sotto il
regime fascista, la patria era evidentemente con i
fascisti ed i tedeschi. La sua famiglia era gente
buona però di poca cultura e apolitica. Cosa
conosceva lei della Resistenza, della libertà
di opinione e d'espressione? A lei non era mai passato
per la testa che fuori degli stretti confini della sua
terra ci fossero altri paesi benedetti da Dio con
gente buona che parlava un'altra lingua ma non per
questo meno rispettabile ed umana. Mara in quel
periodo era una piccola fanatica. Se l'Italia avesse
vinto la guerra sarebbe forse diventata tutt'altro
tipo di donna. Quasi sicuramente una persona che
d'umano non avrebbe avuto molto.
-
- La piazza del paese. Un pianoforte verticale nel
mezzo della piazza senza gente. Una piazza che per
Mara sembrava enorme. E forse lo era. Un tedesco
biondo, di mezza statura e dalla faccia simpatica, in
piedi nel centro della piazza vuota, suonava il
pianoforte. Mara non seppe mai a chi appartenesse. Si
chiamava Wolfgang Hildbrandt e proveniva da Berlino.
Però del prussiano, così come un
italiano immagina che dovrebbe essere, aspetto
militare fino al midollo e duro nei tratti, Wolfgang
non aveva proprio nulla. Era un tipo allegro e
decisamente piacevole. Diceva: "Schade, dass Du nur
ein Kind bist" (Peccato che tu sia solo una
bambina).
- E Mara era veramente molto ingenua, per non dire
tonta.
- Wolf morì poco dopo in una imboscata in un
paese del Lazio.
- Joseph Kai era viennese ed era un uomo molto
bello. Scuro di carnagione e con grandi occhi azzurri.
Era un vero soldato. Diceva: "Ich bin stolz, dass ich
ein Deutscher bin"
- (Sono orgoglioso di essere tedesco). E con questo
dava un calcio all'Austria e alla sua indipendenza.
Per Mara, che non aveva ancora sedici anni, lui era un
Dio. Anche per lui Mara non era che una bambina. "Du
hast langes Haar und ein kurzes Gehirn" (Hai capelli
lunghi e cervello corto).
- Non era certamente un complimento però Mara
ne rideva con lui. Joseph si lanciò con uno
squadrone di paracadutisti sopra l'isola di Leri
nell'Egeo dove forse trovò la morte. Mara fu
una vigliacca quando anni più tardi, trovandosi
a Vienna per una breve visita, consultando la guida
telefonica si accorse che esisteva una famiglia di
nome Kai, ma non ebbe il coraggio di telefonare per
sapere... Era vivo? Era tornato a casa dopo la fine
della guerra? Preferì ignorarlo. Per continuare
ad immaginarlo di nuovo con la sua famiglia, vivo e
felice.
- Mara si domanda ancora oggi, dopo tanti anni, come
fu possibile che quegli stessi uomini che conobbe,
rigidi nelle consegne però intelligenti e
sensibili alle cose belle, alla musica, agli animali,
altri buoni padri di famiglia, poterono sottomettere i
prigionieri di guerra a tanti tormenti e soprusi e
soprattutto macchiarsi dell'infamia della persecuzione
orribile, spaventosa e disumana contro gli ebrei...
Per Mara ancora adolescente un ebreo era un uomo come
qualsiasi altro. Quando sparì Don Vittorio che
aveva quattro figli, tutti amici di Mara e della sua
famiglia, lei non lo seppe. Lo portarono in Germania e
non tornò mai più dal campo di
concentramento dove lo avevano trascinato. Venne a
conoscenza molto più tardi della triste storia
di un uomo buono che dovette vivere sulla propria
pelle la barbarie scatenata contro il suo popolo. E
lui fu solo uno fra i tanti. Cominciò a
rendersi conto che i problemi delle relazioni tra gli
esseri umani non erano solo quelli degli innamoramenti
unilaterali, quando era già una donna e non
più una bambina che correva dietro a sogni
quasi sempre irraggiungibili. E bisogna aggiungere che
Mara non fu certamente una bimba precoce.
- Mara adesso sa che i tedeschi non furono né
i primi né gli unici che perseguirono il popolo
ebreo.
-
sufficiente sfogliare un qualsiasi libro di
storia per mettere in evidenza che molte furono le
occasioni quando paesi, cattolici e non, nascosero le
proprie malversazioni incolpando gli ebrei e
scatenando persecuzioni contro tanta povera gente
inerme e innocente.
- Che tutti ricordino e che nessuno dimentichi.
-
- Quando Mara cominciò a percepire che il
mondo nel quale viveva aveva aspetti e verità
sconosciute, crudeli e devastanti? Quando le
esperienze per mezzo di un libro o di una chiacchiera
con un amico o guardando un film le aprirono gli occhi
e le fecero cominciare a vibrare le piccole cellule
grigie? Sono passati molti anni e Mara quasi non
riesce a mettere a fuoco le immagini dei suoi ricordi.
Le costa rivivere quei momenti e porsi nel momento nel
quale la realtà cominciò a venire alla
luce nel suo piccolo mondo. Fu piano piano, come un
sospetto che si insinuava lentamente dentro la sua
mente o forse fu come un fulmine caduto dal mondo
della conoscenza che ancora non le si era rivelato in
tutta la sua totalità e
complessità.
- Qualsiasi fosse l'origine di questa nuova
coscienza, passarono molti giorni e molti avvenimenti
successero, uno dopo l'altro, con il peso delle nuove
scoperte e con il loro carico di amarezze. Nonostante
si trattasse di fatti e avvenimenti che non avevano
una relazione diretta con lei, ogni volta era come se
le conficcavano un pugnale nel cuore. Mara ricorda la
processione del venerdì santo che si svolge
ogni anno nella sua città natale. Ricorda che
tra le varie statue, portate devotamente sopra le
spalle da uomini forti, ce n'è una che
rappresenta la Madre Dolorosa, vestita tutta di nero,
con uno sguardo tristissimo e con molti pugnali che le
trapassano il cuore. Non credo che per i cattolici
possa suonare come una blasfemia che lei si
identifichi con la madre di Cristo perché ogni
creatura può provare lo stesso sentimento di
Maria. A mano a mano che si fanno esperienze dirette o
indirette si dipana la nostra vita attraverso il
dolore e il sacrificio, la rinuncia o la perdita di
persone care. La morte degli ideali e della fiducia
nell'uomo sparisce, schiacciata dall'ipocrisia e della
cattiveria. Senza anestesia.
- Se i tedeschi le avevano aperto una finestra sulla
vita, i nordamericani le spalancarono la porta
direttamente. Mara non fece che affacciarsi sulla
strada e tutto il mondo le sfilò davanti.
- Nonostante la sua giovane età capì
che tutto o quasi tutto ciò che le avevano
insegnato sotto l'"ancien regime", non era totalmente
valido e apprese anche che una persona deve fare le
proprie esperienze e cercare di distinguere nei limiti
umani possibili e il più obiettivamente,
ciò che è giusto e ciò che
è accettabile.
- Mara non aveva atteso l'arrivo degli Alleati. Per
lei erano gli altri, quelli contro i quali il suo
paese aveva lottato. Anche se, onestamente, non aveva
capito molto chiaramente perché essi
rappresentavano il nemico. Quando arrivò
trafelato un uomo sulla piazza gridando che stavano
arrivando gli Americani e che già si erano
avvistate le prime jeep inerpicarsi per la salita
lungo la strada che da Roma conduceva al paese, Mara
decise semplicemente di andare a passare il giorno nel
campo con alcune amiche. L'estate era ormai alle porte
e faceva già molto caldo. Le giovani ragazze
trascorsero tutto il pomeriggio nella solitudine della
campagna e quando tornarono in paese quasi non lo
riconobbero. C'erano jeep dappertutto. Era un tipo di
macchina che non si era mai vista prima. E poi c'erano
soldati che bevevano vino e parlavano amichevolmente
con i locali, Dio solo sa in quale lingua. Nel
frattempo proseguiva a ritmo incessante il passaggio
delle macchine da guerra che transitavano dal paese
per portarsi verso la costa.
- Mara lanciava sguardi di soppiatto verso i nuovi
arrivati e si meravigliava che avessero un aspetto
umano. E in verità abbastanza gradevole.
- Dall'alto dei loro carri armati i soldati
nordamericani tiravano alla gente che li applaudiva,
gomme da masticare, sigarette, cioccolate, caramelle.
La gente s'inchinava per raccogliere tutto quel ben di
Dio. Mara passeggiava con il naso in alto, ignorando
completamente tutto quello che la circondava,
ostentando la massima indifferenza. Era povera
però orgogliosa e non pensava neanche per un
momento di curvarsi davanti a loro per raccogliere
caramelle. Si sentiva ferita ed era furiosa con la
gente che vedeva litigare per impossessarsi di cose
che, a dir la verità, non si vedevano
già da molto tempo.
- Rumore di voci eterogenee, grida, pianti, molte
risate e molto vino: questo significò l'arrivo
degli Alleati in quell'angolo d'Italia. Mentre per
Mara stava per terminare un'altra tappa del suo
sviluppo e già cominciava una nuova epoca di
scoperte nelle relazioni tra gli esseri umani.
- I nordamericani furono per Mara come la scoperta
di un nuovo pianeta. Fu quell'anno, il 1944, l'anno
della continua sorpresa e stupore. E una volta ancora
il mondo venne fino a lei. La cercarono perché
lavorasse con le truppe nordamericane nella sua
città nativa, Civitavecchia. Mara ricorda la
jeep militare arrampicarsi quasi fino a casa sua sulla
montagna (era veramente una macchina miracolosa che
apparentemente non conosceva nessuno ostacolo) e il
sergente che venne a parlarle con l'aiuto di un
interprete di nazionalità sospetta. Non ricorda
ciò che si dissero. Tuttavia nonostante
confessò di aver lavorato, volente o nolente,
con i Tedeschi, non ci fu niente da fare. E
così, il giorno seguente, accompagnata da suo
padre, salì su un camion militare che la
portò di nuovo nella sua città dove si
trovavano accampati tutti gli alleati, militari di
qualsiasi parte del mondo. Si presentò davanti
ad un medico nordamericano, il Maggiore T., il quale
aveva bisogno di qualcuno che prendesse nota delle
chiamate telefoniche quando lui non era presente
nell'ufficio. Mara aveva in quell'epoca una conoscenza
molto superficiale e puramente scolastica della lingua
inglese inoltre non si riteneva all'altezza di
lavorare né con il Maggiore T. né con
nessun altro. Però tutti l'aiutarono. Quando
suonava il telefono c'era sempre un soldato che
riceveva il messaggio e lo passava a Mara
perché lo annotasse. Mara apprese che un uomo
dell'importanza del dottor T. poteva mettere i piedi
sulla scrivania e masticare la gomma mentre parlava e
nessuno si sorprendeva. E lui non era certamente
l'unico a farlo.
- Mara era la semplicità in persona e tutti
la trattarono come se fosse la sorellina più
piccola. Si sentì a suo agio con tutti. Fu come
se li avesse conosciuti da sempre. Scherzavano, erano
simpatici, allegri, amichevoli e generosi. Vicino a
loro si respirava il senso della libertà allo
stato puro e soprattutto dell'uguaglianza. Mara non
poteva crederci. Il suo mondo interiore non resistette
e franò così che Mara dovette
ricostruire il suo mosaico di idee, di sentimenti e
concetti che rappresentavano il bagaglio che l'aveva
accompagnata attraverso momenti difficili nonostante
la sua breve vita.
- Pezzo dopo pezzo, fino a formare un tutt'uno,
formato dai molteplici aspetti della vita, pieno di
colori, vibrazioni ed esperienze nuove, una filosofia
di vita che venne intrecciandosi con tutte queste
nuove prospettive. Effettivamente ebbe molta
fortuna.
-
- Non dovette viaggiare all'estero per imparare una
lingua straniera come l'inglese che più tardi
le avrebbe aperto la porta per un buon lavoro.
- Gli Stati Uniti e l'Inghilterra erano arrivati da
lei.
- Le si rivelarono aspetti della vita che, poco a
poco, formarono un affresco che contrastava con la
maggioranza delle immagini alle quali era stata
abituata a credere e valutare come cose buone e
sante.
- Uscì dal guscio nel quale era vissuta fino
ad allora. Era più forte e con una visione
più ampia delle relazioni umane. Sebbene fosse
il principio di un lungo processo che ancora oggi non
ha terminato, Mara è consapevole che questo
processo non può finire finché
sarà viva. Mara si era resa conto che la vita
è una fonte inesauribile di sorprese e di
lezioni apparentemente non coordinate tra di loro e
che non tutti sono preparati ad accettare. Però
sono solo apparentemente non coordinate.
- Mara era passata dall'occupazione tedesca alla
presenza degli Alleati, testimone di cattiverie e
azioni orribili, porcherie e sporcizie però,
nonostante non fosse più una bambina, non aveva
capito ancora niente del sesso e della sua importanza.
Forse perché allora il sesso non era tanto
pubblicizzato come oggi.
- Un giorno mentre camminava con aria distratta per
una strada della sua città natale dove aveva
fatto ritorno definitivamente con la sua famiglia, le
passò accanto un camion che trasportava un
gruppo di soldati nordamericani. I soldati le
lanciarono insieme ad alcune parole incomprensibili,
un palloncino di gomma a forma d'elmo uncinato come li
portavano i tedeschi della prima guerra mondiale. Era
il primo palloncino di gomma che Mara vedeva dai
lontani giorni della sua infanzia: dopo averlo
raccolto si ricordò di essere un'italiana
povera però dignitosa e cercò di correre
dietro al camion per restituirlo ma il camion dopo
avere rallentato per prendere una curva con
precauzione, sparì nel polverone della strada.
Mara era felice di avere finalmente un palloncino
tutto per lei e continuò la sua camminata
divertendosi infinitamente nel vederlo ondeggiare
nell'aria. Fu grande la sua rabbia quando un soldato
passandole di lato le strappò di mano il
palloncino dicendole chiaramente "Give it to me... I
may need it..." (Dammelo! Ne potrei aver
bisogno).
- Mara arrivò al Comando della Polizia
Militare Americana (la Military Police)
infuriatissima. Naturalmente non si era recata
lì per denunciare il furto, bensì per
visitare un amico italiano che lavorava come
interprete nel Comando dove lei stessa aveva lavorato
per un breve periodo. Avendo ascoltato attentamente la
lamentela di Mara, l'amico scoppiò in una
risata fragorosa inviando allo stesso tempo un ideale
e silenzioso ringraziamento al soldato che aveva
evitato a Mara di fare un ingresso trionfale al
Comando ondeggiando nell'aria quel maledetto
palloncino, che era in verità un preservativo
dovutamente gonfiato.
- Mara ha dei buoni ricordi di quel Comando di
Polizia, il 136 se la memoria non la inganna. Fu un
fatto particolare che la intrigò più che
commuoverla poiché per la sua misera esperienza
non si rendeva conto ancora di ciò che
può fare la forza della vita e lo sforzo di
ciascuno per sopravvivere. A Mara si era come
incollata una seconda pelle che avrebbe dovuto
cambiare con il passare del tempo. Una pelle ben dura
che la protesse contro la visione apocalittica degli
avvenimenti. Per essere viva e soprattutto per volere
vivere e imparare a vivere.
- Il lavoro che Mara svolgeva nella "Military Police
136" consisteva principalmente nell'aiutare come
segretaria il giudice di pace. Il poveruomo aveva il
suo buon da fare per giudicare gli italiani che si
comportavano male perché, in quel periodo di
transizione dopo l'arrivo degli Alleati, regnava
sovrano il caos. Faceva tutto ciò che era nelle
sue possibilità per amministrare la giustizia e
applicare la legge.
- Durante la sua presenza nel Comando, Mara fu
testimone involontario dell'arrivo di un camion
militare sovraccarico di ragazze italiane quasi tutte
provenienti dal Sud. Erano state scoperte in relazione
intima con alcuni soldati nordamericani nelle tende di
questi ultimi. La tragedia di quelle ragazze era
causata principalmente dall'ignoranza, dalla fame,
dalla distruzione delle loro case e dalla perdita
della famiglia. Altro fattore da non trascurare era
l'impossibilità di trovare un qualsiasi lavoro
sempre a causa del disordine creato dagli avvenimenti
bellici.
- Il miraggio di una vita facile o forse un
miscuglio di tutte le ragioni esposte precedentemente,
insieme con la presenza di tanti soldati, pronti a
qualsiasi cosa per avere un poco di compagnia
femminile, aveva spinto tante povere ragazze ad
abbandonare le proprie case o ciò che rimaneva
di loro, nella speranza di assicurarsi due pasti
giornalieri e qualcosa di più,
eventualmente.
- Erano tutte molto giovani e alcune malate. Furono
tutte processate con l'aiuto di un interprete
italo-americano in base ad una legge misteriosa.
Misteriosa per lo meno per Mara, che fu mandata in
un'altra stanza perché non ascoltasse i
dettagli piccanti degli interrogatori. Ma successe
che, mentre Mara faceva capolino, una delle ragazze
passò dal corridoio per essere portata davanti
al giudice, e vedendo Mara, libera e dall'aspetto
indubbiamente italiana, le gridò alcune parole
oscene:
- "Già perché tu ti fai f... sotto
lenzuola di seta invece noi ci hanno pescato sotto le
tende..."
- Mara rimase sorpresa e non capì. Non
capì niente se non molto più tardi.
- L'amico italiano che faceva i turni durante la
notte, le raccontò che una volta una delle
ragazze rinchiuse nella prigione che era situata in
una specie di cantina con delle finestrelle sulla
strada, si era denudata completamente sotto lo sguardo
avido dei soldati nordamericani. La ragazzina, che
aveva soltanto 14 anni, non ricordava quando era stata
vergine. Oggigiorno non sarebbe più una
notizia, però in quel periodo era qualcosa che
ancora provocava disgusto, in un mondo che si stava
scuotendo di dosso molte cose negative. Con l'arrivo
degli Alleati, Mara e la sua famiglia poterono tornare
a Civitavecchia. La casa era situata nella piazza
principale, quasi di fronte alla cattedrale il cui
campanile si era trasformato durante l'assenza dei
fedeli in un ricovero per pipistrelli. Nell'edificio
dove Mara era tornata a vivere, gli unici altri
inquilini erano numerosi topi e topolini. Ovviamente
non c'era la luce elettrica e, sul far della notte
quando tornava a casa, cantava a squarciagola per
spaventare i nuovi e non graditi vicini. Alla sera
andava a letto presto. Per il gran caldo Mara, a
volte, si affacciava alla finestra per ammirare quel
tratto di mare che s'intravedeva dalla sua stanza in
lontananza, a meditare sulle macerie ammucchiate nella
piazza e ad ascoltare la voce del mare.
- In fondo alla piazza, dall'altra parte della
cattedrale, gli Alleati avevano permesso l'apertura di
una specie di locale notturno, tra montagne di
macerie, dove si facilitavano gli incontri tra i
soldati alleati e alcune donne. Era aperto a tutte le
truppe stazionate a Civitavecchia e lì si
riunivano tutte le notti le "signore della strada."
"Luna, luna rossa" si ascoltava a gran volume per
tutta la piazza.
- Una notte mentre Mara faceva come era sua buona
abitudine le riflessioni della giornata trascorsa,
appoggiata sopra il davanzale della finestra,
avvertì improvvisamente un rumore strano
proprio sotto la sua finestra. In un primo momento
pensò che si trattasse di un topo gigante che,
approfittando dell'oscurità, stesse facendo una
passeggiatina. Ma subito dopo si rese conto che erano
voci umane e comprese che si trattava di un uomo e di
una donna. Lui doveva essere un soldato straniero
giudicando dall'idioma che parlava e lei "una di
quelle", come si diceva allora. Le parole che
udì erano decisamente compromettenti e quando
dalle parole passarono ai fatti, Mara chiuse la
finestra per non vedere, per non intuire, per non
capire. In quel periodo l'amore era per lei qualcosa
di vago, sfumato, fatto solo di sguardi e strette di
mano.
- E molta fantasia. Non perché fosse di idee
antiche, né per pudore o prevenzione, né
tantomeno per un problema religioso. Era solo una
ragazza non ancora matura per quel tipo di relazione.
La storia di Mara non finisce qui.
- Però questa è la storia di come si
affacciò alla vita e di ciò che vide
come lo visse. Ebbe la fortuna (se di fortuna si
può parlare trattandosi di una guerra tragica
che va dal 1939 al 1945) che la vita le rivelò
che nascere, crescere, vivere e morire è uguale
per tutti gli uomini, al di là di qualsiasi
frontiera che l'uomo si è imposto. Quella
stessa guerra con la presenza di persone di
così differenti nazionalità fece di Mara
una cittadina senza confini. Mara trovò alcune
risposte ai suoi perché, ed ebbe il coraggio di
confrontarsi con i diversi aspetti della stessa
realtà. Si pose alcuni interrogativi sulla vita
e sul perché gli esseri umani vivono in un
marasma di immagini false.
- Prima i tedeschi, poi i nordamericani e gli
inglesi e altri ancora vennero nella terra di Mara in
un momento nel quale tutta la sporcizia del mondo era
emersa in superficie e ciascuno di loro portava con
sé il retaggio, il patrimonio morale e
culturale di idee e sentimenti, che influenzarono
positivamente lo sviluppo della sua
personalità. Ma insieme alla porcheria che era
emersa, c'erano anche i valori umani, che si possono
sperimentare più profondamente solo nel quadro
di una situazione di emergenza come quella di un
conflitto mondiale, quando i comportamenti degli
uomini, condizionati dagli avvenimenti bellici,
possono cambiare. Gli stessi uomini cambiano e ogni
giorno che passa, tutto sembra avere un aspetto
totalmente diverso da quello che aveva il giorno
precedente.
- Mara apprese che ci sono esseri umani buoni e
altri cattivi, che c'è gente onesta e disonesta
in qualsiasi posto di questo nostro mondo: misto,
pazzo e sovrappopolato. Capì anche che tutto
passa e niente resiste al passar del tempo, che non
c'è né passato, né presente,
né futuro. Esiste soltanto ciò che noi
chiamiamo "tempo", qualcosa che fugge e annulla tutto,
uomini e cose. Un qualcosa che non esiste.
- Forse si potrebbe accusare Mara di peccare di
superficialità nelle sue considerazioni e
deduzioni o addirittura di "qualunquismo", però
la verità è che cercò una
spiegazione alle numerose domande che perseguitano
l'umanità: le cercò a tentoni e in un
modo forse poco ortodosso, confusamente,
disordinatamente e aleatoriamente, lasciandosi
trasportare dagli avvenimenti, tuttavia raggiunse
quello stato mentale, psichico e spirituale dal quale
nacque una cittadina del mondo.
- Mara, nonostante sia felice di essere italiana,
pensa che il suo paese è lì dove sono i
suoi parenti e i suoi amici, di qualsiasi razza,
nazionalità, credo o lingua appartengano.
Lì dove c'è il suo lavoro, il suo pane e
il suo vino, dove vuole vivere e morire: lì
è la sua casa.
- "Le reste est superflue", come direbbe
Voltaire.
- E così sia.
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