A Edoardo Ginieniewicz, rabbino, al quale devo se
ho potuto approfondire lo studio della lingua
ebraica.
Runa guardava verso la costa che si avvicinava.
Ancora una volta era riuscita a realizzarsi, a
concretizzare un suo sogno. Questa era, forse,
l'ultima volta. Lì aveva deciso di vivere il
tempo che le restava della sua vita. Quanto? Forse
vent'anni, forse meno. Non aveva importanza. A volte
le sembrava di essere già morta. E non esisteva
il dolore. Era la pace, il non essere. Tutto le
sembrava indifferente e, nonostante tutto, era uno
stato d'animo che non poteva né voleva
accettare. Voleva fare, disfare, lavorare, muoversi o,
nel peggiore dei casi come capitava di solito,
agitarsi senza mai concludere qualcosa di
positivo.
Era una donna insoddisfatta, però
obbiettiva. Si vedeva così com'era: per lo meno
così credeva. Era piena di dubbi: cosa era
giusto e cosa sbagliato? Forse avrebbe trovato le
risposte ad alcune delle domande che da sempre si era
fatta, senza il necessario coraggio di andare in
profondità. Le sembrava di essere tornata
indietro. Sebbene non fosse ebrea, si sentiva
però parte di quella terra. E non sapeva
neanche bene perché. Improvvisamente aveva
desiderato andare a vivere in Israele. Naturalmente si
rendeva conto che all'inizio avrebbe incontrato delle
difficoltà. Senza dubbio non sarebbe stato
facile. Sapeva però che era disposta a tutto.
Sarebbe stata, come sempre nella sua vita, paziente,
comprensiva ed umile. Soprattutto ferma e tenace.
"Fino allo spasimo", reminiscenze del drammaturgo
Luigi Pirandello, che tanta influenza aveva avuto
nella formazione del suo carattere. Avrebbe lasciato
avvicinare le persone fino ad assimilarle e vissuto
con loro. Fino a quando, un giorno, avrebbe finito per
essere parte di quel mondo che l'affascinava. malgrado
le naturali differenze. La nave si avvicinava sempre
più. Era arrivata. Grazie a Dio: Baruch Hashem
- Shalom Israel.
Faceva freddo nella stanza che condivideva con
altre donne. Dalla finestra, da lontano, s'intuiva il
mare. Era pronta per andare al refettorio dove doveva
preparare la colazione per gli adulti del kibbutz.
Avrebbe visto David, come tutte le mattine. Alla sua
età le sembrava un sentimento ridicolo quello
che sentiva verso David, un uomo forse dieci anni
più giovane di lei. Però era un
sentimento buono ma forse non era esattamente
l'aggettivo più appropriato per definire
ciò che provava, anche perché lei non
credeva ad una divisione ben definita tra il bene e il
male, cioè tra sentimenti buoni e sentimenti
cattivi, ma piuttosto reazioni diverse secondo le
occasioni o le circostanze.
David aveva i capelli completamente bianchi e gli
occhi azzurri. Era nato in Russia: parlava russo,
yiddish, ebreo ed inglese. Era un uomo colto ed aveva
deciso di vivere in un kibbutz piuttosto che in una
città, perché sentiva di poter essere di
maggiore aiuto al suo paese lavorando in una
comunità agricola. Si occupava di tutto: era
capace di fare qualsiasi cosa secondo le
necessità. Per Runa era un uomo
straordinario.
A lei sembrava di avere vissuto moltissimo e che
tutto era ormai esaurito o concluso nella sua vita.
Altre volta l'assaliva invece un'ansia di vivere che
la lasciava stordita. Che cosa le succedeva? Era
l'età o forse il suo carattere che non le
permetteva di stabilizzarsi e trovare quel giusto
equilibrio che aveva sempre cercato senza mai
incontrarlo. Era una mattina come tutte le altre:
sveglia alle cinque e dopo una toilette affrettata, di
corsa in cucina. Quella mattina sulla porta del
refettorio l'aspettava David. "Shalom, Runa, Voker Tov
(Buon giorno)". Runa si fermò d'improvviso ed
immediatamente la assalirono mille domande silenziose:
"Che fa qui? Che vorrà? Forse vuole
rimproverami per qualcosa che ho fatto male ... o
peggio, forse vuole che me ne vada..."
Riuscì a mormorare alcune parole: "Voker
tov, David, ma shalomkha? (come stai?). Che fa qui a
quest'ora? Qualcosa non va...?".
"No, va tutto bene, solo che devo recarmi ad Haifa
per il rifornimento dei viveri e vorrei una tazza di
caffè prima di partire".
Era questo e niente di più: la cosa comica,
quella terribile cosa rara che l'assaliva ogni volta
che lo vedeva, era lì di nuovo...
Sentimentalmente non era maturata se, nonostante la
sua età, arrossiva ancora, timida e goffa come
una giovinetta. Entrarono in cucina e Runa mise subito
l'acqua a bollire per preparare il caffè. Un
caffè particolare per David. Lui si era seduto
alla grande tavola che occupava un lato del salone e
la guardava. Poi disse:
"Perché è venuta a vivere qui con
noi, Runa? No, la prego, non mi risponda subito. Ci
pensi bene prima di rispondermi perché lei mi
sembra una donna impulsiva o istintiva... se mi
permette di parlarle così. Desidero
comprenderla, capire ciò che l'ha spinta fino
qui, in questo nostro mondo di sopravvissuti. Noi
dovemmo tornare. Non ci restò altro che tornare
alle origini, dato che il resto del mondo ci respinse
e sentimmo che solo in questa terra benedetta che fu
dei nostri padri, avremmo potuto sentirci sicuri. E'
per questa sicurezza che lottiamo e siamo disposti a
continuare a lottare. Però non capisco quali
siano i suoi motivi, i suoi desideri, i suoi
pensieri... Lei parla poco e ascolta molto, ciò
è saggio da parte sua però non serve a
chi desidera imparare a conoscerla".
Runa ascoltava e non riusciva a capire ciò
che spingeva David a parlarle così. Si
distrasse per un momento e così le successe
ciò che generalmente succede nei films comici:
rovesciò l'acqua fuori dalla tazza. Era
sorpresa, senza possibilità di pensare. David
bevve il suo caffè e poi uscì in tutta
fretta. Quando sarebbe tornato avrebbero parlato di
nuovo. Comunque David aveva ragione: era stata sempre
una donna impulsiva. Lo era stata per tutta la sua
vita. Ciò nonostante, sapeva anche che se
avesse riflettuto un po', se avesse considerato il
perché e il come di tante cose che aveva
vissuto, avrebbe senza dubbio trovato una ragione
profonda alla base di tutto. Aveva vissuto una vita
piena di sensazioni materializzate, di cose ben fatte
e altre decisamente fatte male. Non si era fermata un
solo momento per domandarsi perché faccio
questo, perché voglio quello. Era stata puro
istinto, come un piccolo animale.
Malgrado tutto intuiva che dietro le sensazioni
provate, che avevano determinato la strada della sua
vita, aveva sempre una ragione che motivava il suo
comportamento: la sua ansia di vivere e di scoprire la
vita pienamente in tutti i suoi svariati aspetti.
Forse era stata troppo intelligente o forse il
contrario. Aveva avuto troppa fiducia o aveva chiuso
gli occhi e si era lasciata trascinare dall'istinto
piuttosto che dal buon senso comune, supponendo che
lei ne fosse provvista. Il risultato era stato
disastroso, quasi sempre biasimevole, dal punto di
vista dei benpensanti. Però lei non aveva
pentimenti. Forse solo per ciò che non aveva
avuto il coraggio di sperimentare, perché la
vita deve essere vissuta pienamente sempre rispettando
gli altri. Il male, se lo aveva fatto, lo aveva fatto
soltanto a se stessa. Così la pensava in cuor
suo Runa.
Si fece una doccia, mise l'unico vestito femminile
che possedeva e si pettinò. Non si
truccò perché non l'aveva mai fatto e
perché era dell'idea, forse sbagliata, che il
trucco mette ancora più in risalto l'età
di una donna quando non si è più
giovani. Quante volte se lo era ripetuto, guardandosi
nello specchio e osservando l'intensità dello
sguardo, perché si era accorta che anche gli
occhi invecchiano. Si osservava senza pietà,
con una freddezza quasi disumana, come se stesse
osservando un insetto al microscopio. Tutte le
esperienze che si affastellano dentro, premono, pesano
fino a quando spengono lo sguardo. Forse non era
ancora una donna da disprezzare. Qualcosa
effettivamente rimaneva giovane nonostante
l'età e le esperienze che la vita le aveva
offerto sopra un vassoio d'argento. Tutte esperienze
che aveva vissuto conscia della bellezza della vita e
di tutte le sue manifestazioni. Aveva vissuto una
esistenza piena perché il suo spirito
d'indipendenza glielo aveva permesso. Mai aveva
prostituito né il suo corpo né il suo
spirito. Tutta la sua vita era costellata da
sentimenti reali e sinceri che aveva messo in tutte le
sue azioni. Poteva il suo stato d'animo scusarla per
gli eccessi ai quali si era abbandonata? Non lo
sapeva, né la interessava.
Perché la necessità sempre latente di
sezionare sentimenti, esperienze, emozioni come
fossero pezzi di un orologio? O si sbagliava?
Di nuovo e di nuovo, i dubbi di sempre... Per Dio,
era stanca, era stufa...
"Come è andata? Quali notizie porta da
laggiù?".
"Bene, ho potuto fare quasi tutto ciò che
avevo progettato e questo è già molto.
Le notizie sono sempre le stesse. Niente di nuovo,
fatta eccezione per una proposta di andare ad
insegnare matematica in un istituto in
città".
A Runa sembrò che qualcosa le bruciasse
dentro. Improvvisamente e dolorosamente. "Allora ci
lascerà... se ne andrà..." disse
incerta. Non riusciva a pensare.
"Certo che no. Penso di essere più
necessario qui che non insegnare matematica ad Haifa.
O forse lei non è d'accordo? Forse pensa che il
kibbutz potrebbe fare a meno dei miei servizi? So
naturalmente che nessuno è indispensabile e che
tutti possono essere rimpiazzati. Però, la
prego, parli, dica pure ciò che pensa.
Capisco... capirò...
È libera d'esprimere una sua opinione e non
abbia paura di offendermi..."
"Chiaro che no... naturalmente no. Ciò che
volevo dire è... penso che... per un momento ho
avuto paura che lei stesse per abbandonarci, che lei
avesse deciso di lasciarci per tentare... bene, lei mi
capisce...". Balbettava, non riusciva a formulare
parole adeguate che avevano un senso. Idee e pensieri
sembravano sopraffarla.
"Capisco, onestamente credo che qualsiasi persona,
non importa il valore intrinseco che possegga o la sua
importanza in un dato momento o in una determinata
situazione, può essere rimpiazzata. Ci sono
persone che crescono ed hanno successo nella vita
anche se non hanno mai avuto una famiglia ed altre
invece che sarebbero fallite fragorosamente nella
più squallida mediocrità, se non
avessero avuto al loro fianco una madre affettuosa. E
difficile credo, generalizzare".
Runa gli fece eco:
"Sì, sono d'accordo con lei, non si deve
generalizzare. Anch'io cerco sempre di non farlo,
perché mi sembra che così facendo si
finisce per eliminare la possibilità di
giudicare. Le ripeto che mi dispiacerebbe moltissimo
se lei se ne andasse, se lei ci lasciasse...". Lo
aveva detto. Aveva pronunciato quelle benedette
parole. Le erano uscite dalla bocca prima che lei si
rendesse conto di ciò che potevano significare.
O forse no... David la guardò meravigliato:
"Le dispiacerebbe veramente se me ne andassi?"
"Sì, sentirei la sua mancanza... credo che
lei è una persona buona e la considero un
amico".
Runa riuscì a pronunciare queste parole con
voce chiara e senza nessuna titubanza. Improvvisamente
l'aveva pervasa una grande calma. David guardandola le
chiese:
"Perché dice questo? Lei sembra essere
chiusa ermeticamente in sé stessa, come se non
avesse più interesse per la vita. Pensavo che
lei era venuta a vivere, anzi a rifugiarsi qui
perché ci considerava un po' come dei morti in
vita e come tali non l'avremmo disturbata con inutili
domande. L'ho osservata muoversi tra di noi, sempre
sorridente, ma con un vuoto triste dietro quel sorriso
dolce e tenero. Perché è venuta? Cosa
l'ha spinta così lontana dal mondo al quale
deve essere abituata? Per dimenticarsi forse di un
uomo o di qualche altra persona. Un dolore che non ha
saputo superare? La prego, parli, mi spieghi: mi aiuti
a capirla..."
Runa lo ascoltava e si chiedeva:
"Perché mi parla così? Cosa lo spinge
a farmi queste domande? Cosa lo spinge a voler sapere
queste cose? Quale
interesse?".
Runa, come aveva sempre fatto nella sua vita,
lasciava che la sua immaginazione corresse
sfrenatamente e immaginava le cose più
impensabili, domandandosi mille perché. Forse
era stato incaricato dal governo di spiarla, per
assicurarsi che lei non fosse una spia o
un'avventuriera.
Non sapeva cosa dire: era più confusa che
mai. Però parlò. Le parole le uscirono
senza controllo:
"Non so, mi creda se le dico che non lo so. Lei ha
indovinato che sono una donna impulsiva, istintiva
come un animale. Qualcosa mi ha spinto qui. Ho sempre
simpatizzato con il suo popolo, però non creda
che per il fatto che amo la sua gente, io odi gli
arabi. Anche se una ragione l'avrei, certamente
valida, però la considererei un motivo
meschino, che mi farebbe sentire un essere mediocre.
Ho amato un arabo. L'ho amato completamente contro
qualsiasi opinione comune e moralità borghese,
e quando dico borghese non lo dico con disprezzo,
bensì con rispetto. Solo che non ho potuto mai
accettare la moralità "piccolo borghese" della
mia famiglia. Mi sono ribellata contro e ho voluto
vivere la mia vita secondo le mie necessità
interiori, senza nessun interesse per il domani.
Vivendo il presente. Era un uomo di bell'aspetto,
però apparentemente non altrettanto bello
dentro. Mi accettò per un po' di tempo, poi
quando seppe che aspettavo un figlio suo, mi
lasciò. Il bambino nacque morto. Lo incontrai
di nuovo nel mio cammino e da quel momento persi
qualsiasi rispetto verso me stessa. Avrei dovuto
odiarlo per avermi lasciato sola quando più ne
avevo bisogno, per avermi accettato di nuovo e
abbandonarmi ancora una volta. Fu, in breve, una
relazione senza senso che mi distrusse gradualmente
fino a quando, toccato il classico fondo ed esaurito
tutte le mie risorse, riuscii a tagliare questa
apparente relazione che col tempo si era trasformata
in uno squallido soliloquio. Non mi rimase che fuggire
lontano quando la disperazione aveva oltrepassato i
limiti della ragione o della ragionevolezza.
Da quel momento ho vagabondato per il mondo fino a
quando mi sono resa conto che la mia vita stava
passando, anzi era quasi conclusa, e non avevo fatto
niente di utile per nessuno. Non ho paura della morte
e preferirei andarle incontro piuttosto che aspettarla
seduta, lasciando che i giorni si ammucchino come
immondizia intorno a me, invasa dall'inerzia, lottando
solo contro i problemi personali della sopravvivenza
individuale, concentrandomi egoisticamente nel mio
povero tempo. Sapevo che il mondo e la società
procedevano in questo modo. Però io non potevo
accettarlo. Ero sola al mondo e potevo fare di me
ciò che ritenevo migliore. Improvvisamente
pensai ad Israele ed alla lotta secolare per affermare
il suo diritto all'esistenza. Decisi allora che avrei
dedicato i miei ultimi anni alla sua causa. Con
questo, non creda, David, che sia convinta che tutti
gli ebrei siano angeli e gli arabi siano dei diavoli,
così come non penso che tutti i nordamericani
siano buoni ed i russi i cattivi. Odio tutti i
cattivi, i malvagi ed i perversi con il loro piacere
di fare il male o per l'infinita avidità di
potere ed egoismo che li divora a tutti. Perfino
quelli della mia terra d'origine, nessuno escluso. La
natura è popolata da esseri imperfetti, che
sono capaci degli atti più sublimi ma anche
delle cose più ignominiose e di bassezze
incredibili, a volte, anche in nome di ideali
inesistenti o mal interpretati. Quante volte
dissimuliamo il nostro egoismo e il nostro vuoto
morale dietro idee apparentemente nobili ed umanitarie
solo per nascondere desideri violenti e sordidi.
In ogni modo tra la causa degli arabi, giusta dal
loro punto di vista, e quella del popolo israelita,
ugualmente giusta io ho optato per Israele. Mi ha
sempre affascinato la sua storia e non finiscono mai
d'inorridirmi tutte le persecuzioni e le orribili
vessazioni e fustigazioni di carattere morale e fisico
alle quali fu sommesso il popolo ebreo. Tutto
ciò a causa della cattiveria, dell'ignoranza e
della gelosia di altri popoli. L'ignoranza è
stata determinante perché la maggioranza delle
persone s'immagina il tipico ebreo come il classico
usuraio avido di denaro e niente di più. E in
pochi si sono domandati il perché?
Perché usuraio? E in pochi si sono presi il
disturbo di ricercare la risposta giusta e
storicamente provata: perché agli ebrei era
proibita qualsiasi altra attività e furono
obbligati a vivere nei ghetti quasi sempre per ragioni
religiose inaccettabili da un libero pensatore,
rispettoso della credenza altrui e ancor più
per le maledette ragioni economiche. Io li ammiro per
la loro intelligenza, per gli uomini di cultura e di
scienza che hanno dato al mondo e per non essersi
disgregati né moralmente né mentalmente
nonostante siano stati dispersi in tutto il mondo.
Naturalmente sono ben conscia che ci sono anche gli
ebrei indegni, come in qualsiasi altro paese, come in
tutto il nostro mondo. Ma io sto parlando molto e tu
mi lasci parlare. Inoltre io parlo solo di me ed
esprimo le mie idee facendo delle riflessioni a voce
alta, mentre preferirei sapere di te".
David fumava la pipa e sembrava assorto, come se
non avesse ascoltato. Invece aveva ascoltato
attentamente ogni parola che Runa aveva pronunciato.
Era perplesso. Stavano seduti in una insenatura
formata dall'arena al margine del kibbutz. Aveva la
forma di un sedile naturale, protetto da un grande
albero. David le passò un braccio intorno alle
spalle e la strinse a sé.
"Non conoscevo il tuo mondo, né lo
immaginavo. Un mondo d'idee, sensazioni, pensieri e
passioni che non supponevo. Mi sembra di cominciare a
capire perché sei venuta a condividere la
nostra vita di tutti i giorni. Con noi. Però fa
freddo. Andiamo a dormire. Domani avrai il tuo lavoro
in cucina ed hai bisogno di riposare".
"Sì, disse Runa, anche tu devi essere stanco
per il viaggio".
S'alzarono e rimasero per alcuni istanti uno
davanti all'altro guardandosi in faccia.
"Shalom, David leila tov (Buona notte). A
domani.
"A domani, Runa".
David si chinò verso di lei e le dette un
tenero bacio sulle labbra. Poi si allontanò
rapidamente. Runa rimase nell'oscurità. Non
pensava. Non poteva. Improvvisamente si toccò
le labbra e sentì come se qualcosa le bruciasse
dentro. Per Dio, che cosa le succedeva?
La mattina successiva Runa si svegliò dopo
un sonno pesante come non le era mai successo prima.
Si girò nel letto. Le sembrava di sognare
qualcosa di particolarmente bello e per questo non
voleva svegliarsi del tutto forse nel tentativo di
continuare a sognare. Poi aprì gli occhi e
ricordò la notte prima con David ed il bacio.
Come sempre nella sua vita, nonostante la sua
età matura, continuava a non capire: tutta la
sua esperienza non l'aiutava a capire. Perché
l'interesse di David e perché quel bacio
amichevole o forse no. Era confusa. Lo era sempre
stata ed il disastro della sua vita dipendeva da
questa eterna confusione, al suo non capire in tempo
le situazioni o il non saperle apprezzare in tutta la
loro estensione, il loro valore e significato al
momento giusto che a volte è irripetibile.
Anche se non provava nessun pentimento, le sembrava di
aver sbagliato a non aver dato maggiore importanza
alle persone e agli avvenimenti che avrebbero potuto
migliorare la sua esistenza. Se solo avesse capito il
vero significato di tante cose che le erano successe
nel momento che occorreva. Era toppo tardi per
cominciare adesso. Desiderava solamente trovare una
risposta anche se fosse stata l'ultima. David con i
suoi occhi azzurri e le sue mani delicate, che sapeva
ascoltare e che forse le voleva bene.
Come a una sorella, forse. Improvvisamente si
sentì vecchia... anziana. Aveva forse solo
pochi anni ancora per poter vivere una relazione
amorosa? O forse era meglio cercare di evitare di
esporsi al ridicolo? Questi pensieri le facevano male
perché benché sapesse che era giusto
considerare le cose da questo punto di vista
ciononostante non voleva farlo: si rendeva conto che
stava trasformando i suoi sentimenti in qualcosa di
meschino e mediocre. Però voleva vivere ancora
alcune ore, alcuni giorni, vivere senza pensare al
domani, anche se doveva ammettere che ciò che
la preoccupava era il presente, un presente che la
faceva sentire scomoda. Avrebbe avuto il coraggio di
andare fino in fondo?
Aveva conosciuto altri amori. Però, come
sempre le succedeva, quando s'innamorava era sempre
come fosse la prima volta. Tornava a nascere, come
l'araba fenice. Tornava ad essere intatta fisicamente
e sentimentalmente. Ma quando cercava di rivivere una
delle sue relazioni, le sembrava di leggere nuovamente
un libro già letto e poi dimenticato. Qualcosa
di separato da lei. Di tutti quei contatti, delle
molte parole dette, delle situazioni vissute, non le
era restato niente. La Runa del passato era una
estranea, sempre una estranea, ogni volta di nuovo...
per la Runa di oggi.
Aveva amato molto e l'avevano amata, aveva provato
l'abbandono, l'inganno ma anche la tenerezza e la
passione. Aveva creduto che mai si sarebbe potuta
innamorare di nuovo ma si era sbagliata. Perché
desiderava David con tutta se stessa, come fosse
ancora una donna giovane: soltanto la paura del
ridicolo la tormentava, la paura di non essere
più desiderabile.
Era passato tanto tempo da quando si era
abbandonata tra le braccia di un uomo che non sapeva o
non credeva che i suoi sentimenti potessero
materializzarsi. La stessa routine, le stesse carezze,
gli slanci, i movimenti di sempre. Aveva paura di non
sapere amare più né di lasciarsi amare,
illudendo così David. Soprattutto di rovinare
una amicizia che poteva riempirle la vita di momenti
felici e di allegri pensieri. Forse la sua era
semplicemente vigliaccheria. E naturalmente aveva
paura di distruggere un'illusione: l'ultima. Aveva
sempre seguito il suo istinto e aveva sbagliato una
volta dopo l'altra. Ora che non aveva più
niente da perdere le venivano addosso improvvisamente
gli scrupoli, i timori ed i dubbi. Com'è strana
la psiche di una donna! Si esaminava, si faceva
domande, si lambiccava il cervello e, anche se non
riusciva a comprendersi, si meravigliava ugualmente
nel rendersi conto dei contrasti e delle contorsioni
dei suoi sentimenti, il torbido dei suoi pensieri ed
il tumulto dei suoi desideri. Si affacciava su se
stessa come ad una finestra che dava in una stanza
oscura. E non aveva altra apertura.
Runa era stata sempre incapace di formulare un
giudizio concreto e determinato. E non perché
non volesse esporsi bensì per la sua eccessiva
comprensione dei diritti degli uni e degli altri. Non
poteva non vedere che la verità ha molte facce
(oh, il buon Pirandello!) e che non c'è nessuno
sotto il sole che abbia il monopolio della
verità o la ragione assoluta. Per esempio se si
considerano le ragioni che spingono gli ebrei e gli
arabi a lottare tra loro per una necessità di
sopravvivenza fisica possiamo dire che hanno ragione
entrambi. E allora, si domandava Runa, cosa si
può fare per risolvere il problema,
perché si mettano d'accordo? Non ignorava
naturalmente che sotto le forti passioni esistevano
forti interessi economici e che forse era più
facile per un povero arabo essere amico di un ebreo
povero che di un arabo ricco. O forse, no? Forse era
una maniera superficiale di vedere o di esaminare i
fatti. A Runa sarebbe piaciuto parlare, discutere di
tutti questi dubbi che l'assillavano con David, sicura
che lui avrebbe saputo aiutarla a mettere un po'
d'ordine nell'enorme confusione che aveva dentro di
sé. Aveva bisogno di David, della sua
intelligenza, del suo sano equilibrio, della sua
guida. Era stata sempre autosufficiente, però
ora le sembrava, per la prima volta, che la vita
dovrebbe essere vissuta in due. Per condividere
successi ed insuccessi con amicizia e in allegria,
aiutandosi reciprocamente con coraggio e comprensione.
Aveva bisogno di David come amico, anche se doveva
confessare che lo desiderava anche come uomo.
Sara e Esther erano madre e figlia. Esther era nata
in Israele mentre la madre proveniva dalla Polonia.
Erano entrambe alte e dai lineamenti forti. Sara aveva
provato l'orrore del campo di concentramento. Sua
figlia no. Esther aveva poco più di venticinque
anni e non era sposata. Suo padre era morto quando lei
era ancora molto piccola e non lo ricordava. Runa
voleva bene ad entrambe anche se avevano un carattere
molto diverso. Divideva con loro la stanza. Sara era
silenziosa e parlava poco ma era una donna colta e
Runa l'ascoltava sempre con piacere le poche volte che
si lasciava andare e allora chiacchieravano. Aveva
sofferto moltissimo e non solo fisicamente. Nondimeno
era sopravvissuta a quel periodo inumano trascorso nel
lager, dove aveva perso tutta la sua famiglia. Lei era
riuscita a sopravvivere forse perché la sua
giovane età l'aveva aiutata a non soccombere
alle privazioni ed alle torture fisiche e mentali alle
quali venivano sistematicamente sottoposti. Non aveva
dimenticato. Come avrebbe potuto? Solo si era resa
conto che se voleva continuare a vivere avrebbe avuto
bisogno di tutta la sua forza e del suo coraggio. Per
questo aveva deciso di non pensare, non ricordare, non
parlare mai di quel periodo della sua vita. Anche se
aveva immagazzinato tutto nella sua mente. Sua figlia
Esther era cresciuta nel clima non proprio tranquillo
d'Israele, però non aveva conosciuto né
sua madre le aveva mai parlato delle sofferenze subite
in Europa. Nonostante ciò Esther era piena
d'odio e di risentimento verso il mondo che aveva
permesso tanta barbarie senza fare nulla per
impedirle. Runa capiva i loro diversi atteggiamenti e
le amava entrambe proprio per le loro distinte maniere
di reagire davanti allo stesso problema. Capiva che si
poteva avere sofferto indicibili pene ed ugualmente
cercare di continuare a vivere nonostante i terribili
ricordi che si potevano soffocare ma certamente non
cancellare per sempre. Senza perdonare e senza odiare.
Allo stesso tempo capiva bene come ci si potesse
ribellare davanti alla indifferenza degli uomini. Runa
non sapeva come avrebbe reagito se si fosse trovata in
quella situazione. Forse si sarebbe comportata come
Sara anche se nel suo cuore avrebbe provato la stessa
ribellione e l'identica amarezza che tormentava
Esther.
"Domani vado ad Haifa. Vuoi venire con me? Credo
che ti farebbe bene distrarti un po', vedere persone
diverse, il panorama delle case, le macchine e i
suoni. Insomma qualcosa di diverso dal solito deserto
e delle solite facce conosciute di tutti i
giorni..."
"Non so... mi piacerebbe venire però non per
vedere cose nuove o facce sconosciute perché
sono felice qui e non ho bisogno di nessuna
novità, però piuttosto per avere
l'opportunità di chiacchierare un po' con te
durante il viaggio visto che sei sempre molto occupato
e quasi mai abbiamo la possibilità di parlare a
lungo... come piacerebbe a me".
"D'accordo. Allora domani mattina si parte presto.
Appuntamento nella cucina per la rituale tazzina di
caffè. Ora però me ne vado: la
contabilità m'aspetta! Buona notte, Runa. A
domani. Shalom!".
Runa lo vide allontanarsi ma non si mosse. La notte
era tranquilla. La luna sembrava essere molto vicina
in un cielo limpido come l'acqua di fonte. Le piaceva
quell'angolo di terra separato dal resto del kibbutz,
dove si poteva pensare e godere di un po' di
solitudine. Cosa rara per chi viveva in
comunità e passava tutti i giorni, gomito a
gomito, a fare il proprio lavoro.
Era tardi ma Runa non aveva paura. Gli arabi non la
spaventavano. A volte cercava di ricordarsi di lui,
però col passare degli anni, le risultava
sempre più difficile, come se il tempo pietoso
avesse voluto non solo cancellarlo dal suo cuore ma
quasi estirparlo. Le costava perfino ricordare i suoi
lineamenti. Era un uomo bello e doveva esserlo ancora.
Era chiaro che non era sicura di averlo compreso del
tutto e pertanto preferiva non giudicarlo. Inoltre
come poteva emettere un giudizio imparziale con tutto
il male che le aveva fatto? O forse la colpa delle sue
sofferenze dipendevano più da lei che da lui?
Per averlo amato troppo fino a stancarlo. Aveva
desiderato morire ma adesso era felice di essere
ancora viva. Si sentiva giovane e piena di voglia di
fare perfino di amare nuovamente. E se la morte
l'avesse voluta, preferiva comunque essere sotterrata
nel deserto avvolta in un lenzuolo e messa
direttamente in un buco scavato nell'arena. Doveva
pensare e riflettere un po' di più riguardo
quest'ultima esperienza per non essere presa di
sorpresa e spaventata. Le veniva in mente una poesia
di Cardarelli: Morte non mi ghermire, ma d'amica
prendimi...
"Runa, è lì?". Era Esther.
Nell'oscurità nonostante ci fosse la luna, Runa
non riusciva a vederle la faccia perché Esther
era rimasta in piedi dietro ad un albero frondoso.
Nondimeno avvertì che qualcosa
l'affliggeva.
"Che succede, Esther?" le domandò
dolcemente.
Esther non rispose subito. Stava riflettendo.
Finalmente disse: "Non mi capisco. O forse non voglio
capirmi. Non so cosa mi sta succedendo. Non sono
più una bambina e sono stata sempre una donna
forte. Mai ho pensato a cose di questo genere...
come dire, frivole, superficiali. Il fatto è
che ho considerato sempre come stupide molte cose che
generalmente sono normali per la maggior parte della
gente. Forse sono differente dagli altri perché
ho vissuto praticamente sempre da sola. Con mia madre
non ho mai avuto un dialogo aperto e non ho mai avuto
amici con i quali scambiare idee e opinioni..."
Era amaro il tono della voce di Esther e Runa si
rese conto che la ferita andava molto più in
profondità di ciò sembrava.
"Che ti succede, Esther, ripeté Runa, parla,
sfogati, forse la mia esperienza ti può aiutare
anche se anch'io ho una grande confusione, idee strane
con ombre e gradazioni di sfumature
che mi lasciano interdetta... e l'età non
significa niente. A volte avere una maggiore
conoscenza aumenta ancora più la confusione
e..." Esther la interruppe:
"Lei non è stata mai innamorata? Voglio
dire, veramente, sul serio...?".
Runa non rispose subito. Le sembrò di
intuire qualcosa che la spaventò, qualcosa che
le procurò un gran dolore. Era il suo sesto
senso, quel senso per il quale riusciva a capire le
cose, le meno evidenti, alla prima allusione.
"Amore, amore... sarà possibile che gli
uomini abbiano tutti sempre il desiderio d'incastrare
e sezionare ogni cosa, ogni fatto o sentimento.
L'amore, per esempio, ha mille volti e nondimeno molto
semplice. Io mi sono innamorata più di una
volta, ho conosciuto l'amore di diversi uomini ed ogni
volta pareva essere la prima volta, forse
perché non era vero amore (dopo tutto,
cos'è l'amore vero?) o non era lo stesso tipo
d'amore o lo stesso modo d'amare. A volte fu
tenerezza, altre volte ammirazione, altre volte ancora
invece semplice attrazione fisica, però lo
chiamai sempre amore. Ora Esther, non mi dirai che non
ti sei mai innamorata o per lo meno non hai pensato di
essere innamorata? Non so, per esempio, del tuo
professore o del ragazzo della casa accanto?".
"No, mi creda, Runa, che non ho mai incontrato
qualcuno che significasse qualcosa per me, che mi
entusiasmasse o semplicemente m'interessasse. Ho
studiato, lavorato, letto... e niente di
più".
"E adesso senti improvvisamente che c'è
qualcosa di nuovo e sconosciuto che occupa il tuo
cuore e la tua mente? Sei innamorata, non è
così?" disse Runa a bassa voce.
Seguì il silenzio, poi Runa
continuò.
"È questo che ti molesta, perché?
Qualsiasi cosa sia, questo sentimento dovrebbe farti
sentire felice. Chiamalo amore e non farti troppe
domande. L'amore in qualsiasi forma si presenti
è una esperienza necessaria, ineluttabile,
unica e insostituibile nella vita di ogni essere
umano".
"E non mi domanda chi è?"
"Credo di indovinarlo. È David, non è
vero? È l'unico che potrebbe averti ispirato un
tale sentimento, poiché gli altri o sono
sposati o sono troppo giovani. Sai, Esther, credo che
se fossi stata più giovane, anch'io mi sarei
innamorata di David".
"Vuol dire che non lo è e che non c'è
niente tra di voi?" domandò con voce ansiosa
Esther.
Runa si alzò e guardò verso il
deserto illuminato dalla luna, poi disse a voce
bassa:
"David mi ha invitato ad andare con lui ad Haifa
domani. Ho accettato".
Esther non la guardò in faccia. Si
alzò e disse con voce fredda:
"Sono stanca. Me ne vado a letto. Buona notte" e si
allontanò rapidamente.
Runa rimase immobile e guardò la sua figura
alta che spariva nella notte. Improvvisamente si
sentì vecchia e sola. Ed ebbe paura. Si era
illusa di poter amare ancora una volta e di poter
essere amata ma come aveva potuto illudersi tanto?
Esther avrebbe potuto essere sua figlia: si
sentì patetica e ridicola. Si sedette
nuovamente sul sedile di pietra. Si appoggiò
contro l'albero e si mise a piangere.
Haifa era distante un paio d'ore di viaggio. Runa
stava seduta al fianco di David, in silenzio. David
guidava assorto.
"Mi era sembrato di capire che desideravi fare
questo viaggio per avere l'opportunità di
parlare un po' con me, però ho l'impressione
che non hai voglia né di parlare né di
guardarmi" disse David improvvisamente.
Runa cercò di trovare le parole adeguate per
spiegargli ciò che la tormentava però
rimase silenziosa. Ma dopo un po' disse:
"Non so cosa mi succede, mi sono svegliata stanca:
deve essere l'età".
David la guardò di tralice:
"A me non sembra che tu sei vecchia e quello che
uno sente dentro dovrebbe riflettersi sull'aspetto
esteriore".
"Tu lo credi? Io invece credo che per ognuno di noi
il tempo passa quando ci si rende conto di avere
perduto il gusto per le cose..."
"Vuoi dirmi che ti senti così vecchia che
non provi più interesse per niente e
nessuno...diamine!
Non ti credo: deve essere successo qualcosa per
farti parlare in questo modo... via, raccontami...
dimmi tutto!".
"È solo che non posso fare a meno di pensare
come tutto è inutile. È un pensiero che
ho avuto fin da quando cominciai a guardami attorno e
mi resi conto come tutto passa rapidamente, troppo
rapidamente... e non è che io sia una
pessimista. Al contrario. Questa potrebbe sembrarti
una contraddizione, però devi credermi che,
sebbene sia convinta della inconsistenza della vita e
di come tutto si dimentica e precipita nel niente
assoluto, nondimeno ho vissuto sempre accettando con
filosofia gli eventi della vita e per questa ragione
sono convinta che non vale mai la pena di prendersela
troppo. E questo mi trasforma in una ottimista. Tu mi
capisci, non è vero?"
"Forse. Ciò che non capisco è
perché allora sei venuta a vivere proprio qui
con tutti i paesi di questo mondo che avresti potuto
scegliere come residenza. Noi siamo gente che ha
conosciuto tutte le pene e le disillusioni possibili e
nonostante tutto non abbiamo mai perso la fede
né la speranza e lottiamo non solo per l'oggi
ma anche per il domani e il dopo domani. Tu invece
parli come qualcuno che vive alla giornata e non spera
più in qualcosa che possa dare un significato o
una ragione alla vita".
"Può essere, dopo tutto non sono ebrea. Non
ho sofferto duramente come voi, ho vissuto una vita
piena e non ho mai avuto fame anche se ho avuto
anch'io i miei momenti di tristezza e di dolore come
quando per la disperazione volevo morire. Ho dovuto
lavorare per sopravvivere, questo sì,
però non devo niente a nessuno. A nessun uomo.
Ecco soprattutto questo: a nessun uomo. Ho sempre dato
e mai per ricevere qualcosa in cambio. Ho amato molto.
Ho avuto il cuore pieno d'emozioni. E ora penso che
sia quasi l'ora che riponga nel cassetto i miei
sentimenti e che metta un po' d'ordine nella mia
mente. Quanti anni hai, David? Sicuramente molti meno
di me. Te lo dico così, senza tristezza".
David continuò guidando in silenzio. Poi
fermò la macchina.
Quella notte, anche se era molto stanca, Runa non
riusciva a dormire. Si rigirava nel letto cercando di
non svegliare Esther. Esther! Runa pensava con una
dose di amarezza che proprio quando aveva incontrato
un nuovo interesse, il suo stato di felicità
doveva causare dell'infelicità o una
disillusione da parte di un'altra persona. Per Dio,
perché la vita non poteva essere più
semplice! Non poteva, per una volta nella sua vita,
godere un sentimento con allegria, con quello stato di
pace che dovrebbe procurare una relazione naturale tra
un uomo e una donna?
C'era stato sempre un impedimento nella sua vita e,
quando non lo aveva incontrato all'inizio, era sorto a
metà cammino o lo aveva creato lei stessa con
la sua fantasia smisurata fino a farlo materializzare
come per una magia.
Si era sempre innamorata dell'uomo sbagliato: o era
troppo ricco o era innamorato di un'altra donna o era
troppo giovane. C'erano stati altri uomini che
l'avevano amata ai quali non aveva potuto
corrispondere lo stesso amore. Come sempre tutto passa
nella vita: A ama B che ama C. David era anche lui
l'uomo sbagliato e non solo perché era
più giovane di lei (che poteva anche non aver
importanza) ma quanto per il fatto che lei era una
donna stanca che non poteva offrire più niente
a nessuno.
O poteva? Si esaminava con crudeltà
guardandosi dentro e fuori con occhi spietati ma con
obiettività. Era difficile e la stancava
scivolare dentro di sé. Pensava che tutti
dovrebbero sottoporsi ogni tanto ad un check up, per
cercare di risolvere i problemi. Magari prima che
diventino cronici o che marciscano. E noi con loro.
Quante amarezze ci risparmieremmo e quanti errori
eviteremmo!
Ma se tutto è "MAKTUB" (cioè
scritto), come dicono gli arabi, allora perché
tutti questi sforzi, tutte le lotte?
Tutti questi pensieri agitavano Runa ma finalmente
si addormentò e si acquietarono le voci
bizzarre e i crudeli figli della nebbia.
Il mattino successivo Runa si svegliò che
Esther era già uscita. Era il suo turno per
accudire alle vacche. Runa non aveva voglia di alzarsi
ma come sempre, il senso del dovere o forse
l'abitudine, la fecero alzare e fare ciò che
faceva tutti i giorni: cinque minuti di ginnastica
rapida e una ancor più rapida toilette e poi al
lavoro.
"Buon giorno, Samuele, Simone, buon giorno, ciao
Ruth..." Runa salutava tutti per nome, mano a mano che
i membri del kibbutz entravano nel refettorio. Li
conosceva tutti e sentiva per ciascuno di loro un vero
sentimento d'affetto e di ammirazione. Tutti
lavoravano a turno e ciascuno di loro terminava
ciò che l'altro iniziava, senza nessuna
differenza di trattamento.
Soldi non ne ricevevano dato che tutto andava nel
fondo comune per le spese generali. Era un mondo che
pochi conoscevano e quei pochi erano per Runa degli
esseri privilegiati: gli eletti. Era una vita semplice
e attiva, una vita di duro lavoro. Solo il sabato
(shabbat shalom) si riunivano insieme. Chi sonava uno
strumento, chi dipingeva o scriveva. C'era qualcuno
nel kibbutz che, anche se era colto, aveva preferito
vivere lì rinunciando in qualche caso ad una
carriera brillante in una città o all'estero
soltanto per rimanere in quell'angolo di terra
israelita, per creare il paese. Per costruire il
presente ed il futuro per le generazioni a venire. Un
presente difficile e duro con uno sguardo al futuro.
Altri avevano trovato un rifugio e nella vita
comunitaria una soluzione ai problemi che li avevano
afflitti, altri ancora erano arrivati direttamente dai
campi di concentramento: malati nel corpo, nel cuore e
nello spirito. Fino alla pazzia. I pensieri di Runa si
interruppero quando entrò David nel refettorio.
Vestiva un paio di blue jeans e un pullover dal collo
alto stile dolcevita. Aveva il ciuffo di capelli neri
insieme al resto dei capelli bianchi sopra la fronte
alta, il volto delicato e gli occhi azzurri. Runa
doveva ammettere che David era un bell'uomo. In
verità le erano sempre piaciuti uomini
dall'aspetto piacevole o che avessero un'aria
interessante, un qualcosa che la facesse pensare ad un
mondo straordinario ed eccitante. Ma quasi sempre la
splendida facciata esteriore nascondeva soltanto
piccole stanze strette ed oscure, senz'aria, senza
orizzonte, senza uscite. Improvvisamente Runa divenne
triste. Doveva ammettere che era innamorata di David e
ciò che era peggio ne era gelosa. Ridicolamente
gelosa e furiosa con se stessa. Aveva perduto la sua
tranquillità alla quale pensava di avere
diritto data la sua età. Era sempre stata
dell'opinione che quando s'invecchia si perde il
piacere delle cose piccanti ed eccitanti mentre si
acquista la possibilità di vedere le cose della
vita in un modo rilassato, senza la sofferenza acuta
ed insopportabile che l'amore di solito genera. Si
sentì defraudata, non voleva soffrire e si
rendeva conto che se avesse proseguito la sua
relazione con David avrebbe finito per soffrire anche
se David non le avesse dato nessun motivo.
Avrebbe sofferto, si sarebbe distrutta pensando che
David avrebbe potuto incontrare un'altra donna,
naturalmente più giovane di lei, che si sarebbe
comunque stancato di lei o che la sua fantasia le
avrebbe creato drammi inspiegabili. Si sentì
intrappolata. Voleva fuggire ma poi alzò la
testa e sorrise a David.
S'incontrarono dopo cena nello stesso posto del
loro primo incontro. Era una notte limpida e serena.
David si sedette sotto l'albero e le aprì le
braccia. Runa dimenticò allora tutti i suoi
problemi, i suoi dubbi e le sue paure.
Era tranquilla nelle braccia di David che fumava la
sua pipa.
"Sai, David, pensavo a qualcosa che ho letto molto
tempo fa o forse che qualcuno deve avermi detto, non
ricordo bene. Che tutte le donne, naturalmente non
tutte o forse solo le donne della mia generazione,
dopo aver fatto l'amore, sentono la necessità
di parlare, di giustificarsi, di conoscere la ragione
del perché o del come... Penso che questo
dipende dall'educazione ricevuta in famiglia, quando
il sesso era un tabù e tutte le donne che hanno
avuto il coraggio di fare ciò che le era
proibito, porteranno sempre dentro quel senso di colpa
che le rovina il piacere... Io porto dentro di me due
donne: una che approva incondizionatamente che un uomo
e una donna si amino quando sentono veramente la
necessità di farlo; l'altra con tutta
l'eredità di una educazione che m'impartirono i
miei genitori e della quale non potrei mai disfarmi
del tutto.
Dov'è la verità? Cos'è il
positivo e dove comincia il negativo? Credimi, David,
a volte mi sembra d'impazzire. A volte mi domando
perché tante lacrime, dolore, gelosia, tanto
odio e furore, nel nome dell'amore, un sentimento che
dovrebbe regalare la pace e rilassare i sensi.
C'è qualcosa che mi sfugge e quanto più
cerco di capire, più mi perdo nel labirinto
delle intuizioni oscurate da dubbi dai quali non
riesco a liberarmi. Ciò che più
m'inquieta è che quando s'invecchia e si
comincia a vedere le cose con maggiore chiarezza,
è proprio quando l'esperienza comincia o
termina il suo lavoro di demolizione di tutte le
illusioni della gioventù. La gloriosa certezza
della gioventù quando non si hanno dubbi e
tutto sembra cristallizzato in una verità
superiore ed indistruttibile. Forse penserai che sto
delirando, però credimi che tutte queste parole
che mi escono dalla mente filtrate dal cuore, sono
serene, senza rabbia né dolore. Lo dico
perché mi sembra vero, immutabile nel tempo e
nello spazio e reiterato per ogni generazione.
Penserai che sono pazza a parlare così dopo le
ore felici che ho passato con te. Però è
come se qualcosa mi spinga le parole da dentro, dal
profondo, come se fossi un computer programmato.
Ciò che sento è la necessità di
materializzare tutto questo con te, che sei una parte
di me che mi aiuta a capire e a districare la rete di
sensazioni che m'incalzano e s'intrecciano... mio
malgrado..."
David batté la pipa sopra la pietra, poi
stringendo un po' più forte le spalle di Runa
disse:
"Hai ragione quando dici che la vita deve essere
presa con serenità e obiettività,
però ti sbagli quando pensi che solo la
gioventù spera e crede in un futuro migliore
perché ha più tempo a sua disposizione.
Consideriamo il tuo caso. Tu sei venuta a vivere con
noi perché desideravi aiutarci con la tua
presenza. Dovrai ammettere che non tutte le tue idee
sono negative e castranti e, se non pensi al tuo
futuro, pensa almeno al futuro della gente di questo
kibbutz. A me sembra che ti fai troppe domande e che,
nonostante il tuo desiderio di vivere il presente e la
tua incapacità apparente di affrontare i
problemi della vita, continui a domandarti
continuamente il perché di ogni cosa, come
fossi una giovinetta che si affaccia al mondo..."
Runa si girò e lo baciò. Poi
disse:
"Mi piace parlare con te e anche se me ne vado con
gli stessi dubbi per lo meno mi sono sfogata, cercando
di esternare ciò che mi opprime dentro".
"È tardi e non dovremmo rimanere fuori fino
a quest'ora della notte. Uno di questi giorni
riceveremo la visita di persone con intenzioni non del
tutto amichevoli..."
"Se ti succedesse qualcosa, David, credo che ne
morirei..."
"Non sarei né il primo né l'ultimo a
morire qui.. ciò che mi preoccupa piuttosto
è ciò che potrebbe accadere a te..."
disse David e, prima che Runa avesse potuto
rispondere, la prese tra le sue braccia e la
baciò.
Passarono alcune settimane. Il tempo passava come
sempre distruggendo e costruendo. Distruggendo i fatti
di oggi e costruendo i ricordi per il domani. Runa
lavorava duramente e cercava di occupare la sua mente
per non pensare. A volte le sembrava che niente avesse
importanza, altre volte invece trovava valori ed
interessi in qualsiasi cosa. Vedeva David tutti i
giorni e con Esther manteneva una relazione
superficiale però tranquilla.
Era riuscita a trovare una stanza molto più
piccola, vicina alla cucina, dove poteva rifugiarsi
quando l'assaliva la malinconia. Stava invecchiando...
e che aveva fatto della sua vita?
Era una fallita? Forse sì, forse no. Tutto
dipendeva da come uno considera gli avvenimenti. Come
essere umano aveva vissuto più di molti altri:
aveva lavorato, viaggiato,
amato, conosciuto molta gente, fatto molte
esperienze, lottato con se stessa e con l'ambiente che
la circondava per potere conoscere e soprattutto per
comprendere.
Per lo meno aveva tentato di trovare alcune
risposte. Forse come figlia non era stata delle
migliori perché la sua maniera di concepire la
vita non aveva mai potuto coincidere con i principi
dei suoi vecchi. Come amica aveva dato con piacere
tutto ciò che poteva dare, fino a quando aveva
deciso che doveva allontanarsi dagli amici
perché improvvisamente le erano cadute addosso
una spossatezza ed una stanchezza che la avevano
indotta ad isolarsi, a fuggire, a nascondersi.
Aveva vissuto varie fasi: c'era stato sempre un
prima e un dopo. Però ogni volta era stata
sincera e convinta.
Mano a mano che apprendeva cose nuove e le
confrontava con le cose passate, aveva cambiato
coerentemente la sua maniera di vedere e di vivere la
vita. Non poteva dimenticare ciò che le aveva
detto "l'altro" e cioè che lui non avrebbe mai
cambiato opinione. Come se non esisteva una evoluzione
del pensiero. Con la sua affermazione credeva di
essere un uomo di carattere.
Tutte le sue decisioni erano definitive. Adesso
Runa si domandava come aveva potuto amarlo.
Ma la donna che lo aveva amato non esisteva
più: era la donna del passato, sparita insieme
alle altre donne che avevano compiuto la loro
evoluzione. Ma qualcosa doveva pur restare. Forse si
trasforma ma una traccia delle esperienze vissute deve
rimanere dentro di noi con i sentimenti verso le
persone amate o solo conosciute, verso la gente con
cui abbiamo avuto relazioni amichevoli o condiviso
momenti difficili, con persone che abbiamo ammirato o
anche odiato... Tutto ebbe inizio quando Dan, un
radioamatore, ricevette una comunicazione da N. Stava
parlando con un vecchio amico quando improvvisamente
questi cominciò a gridare che nel porto, vicino
alla casa dove abitava, c'era qualcosa che non andava:
le sembrava di ascoltare un rumore di barche a motore.
Venne la conferma: erano arabi e apparentemente molti.
Poi il silenzio, la comunicazione fu interrotta.
Subito il kibbutz fu posto in stato di allarme. Se
fossero arrivati da loro ed era abbastanza facile dato
che il kibbutz distava dal mare solo settanta
chilometri, i pochi componenti per la maggior parte
anziani, donne e bambini, non avrebbero avuto la
minima possibilità di salvarsi. David doveva
andare il più rapidamente possibile a chiedere
aiuto ad un altro kibbutz più grande e ben
armato. Doveva inoltre approfittare del viaggio per
portare in salvo i bambini e Ruth che stava aspettando
un figlio ed era già all'ottavo mese di
gravidanza.
David bussò alla porta di Runa. Le
spiegò brevemente ciò che stava
accadendo e le chiese di andare con lui: Runa non era
dei loro e David non voleva che lei si trovasse
invischiata in una lotta che poteva risultare
pericolosa ed incerta. L'avrebbe portata in salvo per
ritornare poi rapidamente al kibbutz con i rinforzi.
Runa lo lasciò parlare ascoltandolo
attentamente.
"Credi davvero che siamo tutti in pericolo?"
"Sì, lo credo. Hanno cominciato nuovamente
con gli attacchi ai kibbutz della frontiera e non
voglio pensare ciò che potrebbero fare se
riescono ad arrivare fino qui".
"Penso che avremo bisogno di qualsiasi persona
valida che sappia usare un fucile o un'arma. Bene, io
ho fatto un corso prima di venire qui e anche se non
sono una tiratrice di qualità, me la cavo
abbastanza bene. Non ho la minima intenzione di
scappare davanti al pericolo. Uccidere qualcuno mi
ripugna ma se si tratta di difendere coloro che
considero fratelli, lo farò..."
"Però pensa che cosa significherebbe cadere
nelle loro mani, in particolare per una donna..."
"Una anziana".
"Non dire stupidaggini... scusami se ti parlo
così, però devi capire che non ti
rispetterebbero neanche se avessi l'età di tua
nonna. E sarebbe anche peggio se gli dicessi che non
sei ebrea. Sì, sarebbe forse anche peggio. Vai,
sbrigati, non c'è tempo da perdere. Dobbiamo
arrivare in breve tempo all'altro kibbutz e
avrò bisogno di almeno un'altra ora per riunire
i rinforzi e tornare".
Runa che lo aveva ascoltato in silenzio gli mise
una mano intorno al collo e disse:
"David, è inutile. So molto bene chi dovremo
affrontare e non sono spaventata, o forse sì,
però non ho paura. Sembra un paradosso. Tu mi
capisci, non è vero? Qualsiasi cosa debba
accadermi, preferisco che mi succeda qui. Ho sempre
odiato l'idea d'invecchiare aspettando la morte giorno
dopo giorno, seduta sull'uscio di casa. Preferisco, se
è necessario, che mi trovi pronta ad andarmene
con lei: tutto sarà più facile. Se
è il mio destino che debba morire lottando in
difesa della tua gente, così sia. Però
sbrigati, vai e torna presto. Io ti aspetterò.
Abbi cura di te...". Lo abbracciò forte,
sentì il suo volto pieno di lacrime e
provò una grande oppressione al cuore. Poi lo
allontanò da lei e lo spinse fuori dalla
stanza.
Era immobile, con il fucile pronto per sparare.
Sola e accovacciata dietro la piccola insenatura,
nello stesso posto dove era solita incontrarsi con
David. Era stato solo pochi giorni prima e già
sembravano anni. Era appena fuori dal kibbutz ed in
una posizione buona per la difesa. Se invece di essere
sola ci fossero state almeno dieci persone...
Era uscita senza avvisare nessuno perché
voleva affrontare quella prova da sola. Inoltre, se
David non fosse tornato in tempo, avevano tutti poche
probabilità di salvarsi. Preferiva dare agli
altri qualche possibilità in più.
Perché lo faceva? Una volta ancora seguiva il
suo istinto.
Sapeva che per lei non c'era ritorno e si domandava
perché alla sua età si trovasse
lì con un fucile pronta a sparare contro uomini
che non conosceva e che in altre circostanze avrebbero
potuto anche essere suoi amici. Proprio lei che
rispettava persino la vita degli insetti, lei che
evitava di schiacciare anche una formica. Avrebbe
avuto il coraggio di premere il grilletto? Era
innamorata di David e, per la prima volta nella sua
vita agitata, non si era innamorata prima bensì
dopo avere scelto di vivere lì. Questo fatto
era per lei molto importante: perché, per
quanto ricordasse, era stato sempre l'amore a
determinare tutte le sue azioni. Aveva sempre permesso
che nel nome dell'amore, qualcuno avesse deciso il suo
destino. E quasi sempre tutto era finito in un
fallimento. Per mancanza di sentimenti veramente
profondi o forse troppo deboli o poco stabili. Questa
volta non era stato l'amore verso un altro essere,
bensì verso tutto un paese.
Sì, era decisamente meglio morire per
un'idea che contemplava degli ideali, piuttosto che
lasciare ad un uomo solo la possibilità di
distruggerla fino a cancellare il rispetto verso se
stessa. E pensava Runa... pensava. Come sempre non era
sola perché i suoi pensieri l'accompagnavano.
Forse i suoi ultimi pensieri.
Quanto tempo era passato? Le sembrava di essere
come incollata alla terra. Era tutta sudata, come se
avesse corso per chissà quanto tempo e
già non sentiva quasi più la mano che
reggeva il fucile. Cosa pensa una persona che
può morire in qualsiasi momento? Non aveva
paura. Nondimeno le sembrava impossibile che fosse lei
quella donna che stava lì, pronta a sparare,
lottare, uccidere. L'idea orribile di dover uccidere
per difendersi la oppresse di nuovo, come se una mano
le stringesse il cuore senza pietà. Sapeva che
mai come in quel momento aveva bisogno di tutta la sua
forza di concentrazione. I suoi pensieri tornavano
insistentemente su ciò che per tutta la vita
l'aveva tormentata: il perché di tante cose,
del suo vivere senza una logica ma solo con il puro
istinto. E non perché non si fosse domandata la
ragione intrinseca dei problemi che l'assillavano di
continuo ma come mai le era risultato difficile, anzi
quasi impossibile, trovare risposte soddisfacenti. I
dubbi, gli eterni dubbi che l'avevano accompagnata per
tutta la vita e che non le avevano permesso mai di
vedere chiaramente, di comprendere ed accettare i
fatti importanti che avevano costellato il cammino
della sua esistenza. Aveva letto molto, studiato a
sufficienza perché conosceva molte cose ma
sentiva dentro di sé uno stato di gran
confusione, o per lo meno così le sembrava.
Aveva viaggiato ogni volta che aveva potuto anche se
non aveva visto tutti i posti che le sarebbe piaciuto
visitare, aveva conosciuto gente di varie latitudini e
aveva finito per simpatizzare con i problemi di
tutti.
Fino a quando si era sradicata completamente e non
solo dal suo paese d'origine, con il suo giustificare
tutti, perché pensava che se si risale
all'origine di qualsiasi effetto si incontra sempre un
motivo, una causa valida per tutti, a secondo delle
situazioni e del punto di vista. Cosicché
disillusa ed incredula spettatrice irriverente del
caos del pianeta si comportava come se provenisse da
un altro pianeta, non necessariamente migliore o
più evoluto, ma sicuramente più
armonioso nelle relazioni tra i suoi abitanti e gli
altri esseri viventi. Runa era stufa di tutto il
blaterare degli uomini che gridavano come pazzi,
rinfacciandosi colpe e rivendicazioni, offrendo uno
spettacolo riprovevole e aberrante. Molte volte aveva
provato un intenso desiderio di isolarsi, di andare a
vivere in un'isola deserta, ben lontano dalla costa.
Se solo avesse potuto farlo. Era però sicura
che non esistevano più isole con questa
caratteristica perché doveva esserci molta
gente con il suo identico desiderio. Era un pensiero
che la riempiva di vergogna perché si rendeva
conto che era diventata terribilmente asociale.
Però il sentimento era lì e non
poteva ignorarlo. Sebbene a volte la sua mente volesse
ibernarsi, il suo corpo abituato alle lusinghe del
mondo attuale, resisteva. E nel kibbutz era rinata la
sua speranza, aveva incontrato nuovamente un po' di
fiducia verso gli uomini, la fiducia che aveva perduto
da tempo. In contatto con gente che credeva in
ciò che faceva, che aveva sofferto duramente ed
aveva perduto tutto all'infuori del grande amore verso
il proprio paese. Nonostante la pesante eredità
del passato, era tornata per lottare con rinnovata
energia e amore verso quell'angolo di terra. Runa
pensava che se fosse stata più giovane le
sarebbe piaciuto avere una figlia con David e
l'avrebbe chiamata Sabra, Sabrina. Quel pensiero la
scosse nel profondo e le provocò una risata
secca, forte ed isterica.
Qualcuno si avvicinava. Si voltò. Era Esther
con un fucile. Esther non disse niente. Le si mise
vicino di lato. E aspettarono insieme, in silenzio.
Improvvisamente un rumore. Arrivavano: Runa
puntò il fucile. Esther fece lo stesso. Era la
fine... forse il principio.