Inediti On line
 
 Marisa Starace

presenta la sua opera inedita

Impronta di donna
(romanzo)

INDICE


Storia di Runa
 

A Edoardo Ginieniewicz, rabbino, al quale devo se ho potuto approfondire lo studio della lingua ebraica.

 

 

Runa guardava verso la costa che si avvicinava. Ancora una volta era riuscita a realizzarsi, a concretizzare un suo sogno. Questa era, forse, l'ultima volta. Lì aveva deciso di vivere il tempo che le restava della sua vita. Quanto? Forse vent'anni, forse meno. Non aveva importanza. A volte le sembrava di essere già morta. E non esisteva il dolore. Era la pace, il non essere. Tutto le sembrava indifferente e, nonostante tutto, era uno stato d'animo che non poteva né voleva accettare. Voleva fare, disfare, lavorare, muoversi o, nel peggiore dei casi come capitava di solito, agitarsi senza mai concludere qualcosa di positivo.

Era una donna insoddisfatta, però obbiettiva. Si vedeva così com'era: per lo meno così credeva. Era piena di dubbi: cosa era giusto e cosa sbagliato? Forse avrebbe trovato le risposte ad alcune delle domande che da sempre si era fatta, senza il necessario coraggio di andare in profondità. Le sembrava di essere tornata indietro. Sebbene non fosse ebrea, si sentiva però parte di quella terra. E non sapeva neanche bene perché. Improvvisamente aveva desiderato andare a vivere in Israele. Naturalmente si rendeva conto che all'inizio avrebbe incontrato delle difficoltà. Senza dubbio non sarebbe stato facile. Sapeva però che era disposta a tutto. Sarebbe stata, come sempre nella sua vita, paziente, comprensiva ed umile. Soprattutto ferma e tenace. "Fino allo spasimo", reminiscenze del drammaturgo Luigi Pirandello, che tanta influenza aveva avuto nella formazione del suo carattere. Avrebbe lasciato avvicinare le persone fino ad assimilarle e vissuto con loro. Fino a quando, un giorno, avrebbe finito per essere parte di quel mondo che l'affascinava. malgrado le naturali differenze. La nave si avvicinava sempre più. Era arrivata. Grazie a Dio: Baruch Hashem - Shalom Israel.

Faceva freddo nella stanza che condivideva con altre donne. Dalla finestra, da lontano, s'intuiva il mare. Era pronta per andare al refettorio dove doveva preparare la colazione per gli adulti del kibbutz. Avrebbe visto David, come tutte le mattine. Alla sua età le sembrava un sentimento ridicolo quello che sentiva verso David, un uomo forse dieci anni più giovane di lei. Però era un sentimento buono ma forse non era esattamente l'aggettivo più appropriato per definire ciò che provava, anche perché lei non credeva ad una divisione ben definita tra il bene e il male, cioè tra sentimenti buoni e sentimenti cattivi, ma piuttosto reazioni diverse secondo le occasioni o le circostanze.

David aveva i capelli completamente bianchi e gli occhi azzurri. Era nato in Russia: parlava russo, yiddish, ebreo ed inglese. Era un uomo colto ed aveva deciso di vivere in un kibbutz piuttosto che in una città, perché sentiva di poter essere di maggiore aiuto al suo paese lavorando in una comunità agricola. Si occupava di tutto: era capace di fare qualsiasi cosa secondo le necessità. Per Runa era un uomo straordinario.

A lei sembrava di avere vissuto moltissimo e che tutto era ormai esaurito o concluso nella sua vita. Altre volta l'assaliva invece un'ansia di vivere che la lasciava stordita. Che cosa le succedeva? Era l'età o forse il suo carattere che non le permetteva di stabilizzarsi e trovare quel giusto equilibrio che aveva sempre cercato senza mai incontrarlo. Era una mattina come tutte le altre: sveglia alle cinque e dopo una toilette affrettata, di corsa in cucina. Quella mattina sulla porta del refettorio l'aspettava David. "Shalom, Runa, Voker Tov (Buon giorno)". Runa si fermò d'improvviso ed immediatamente la assalirono mille domande silenziose: "Che fa qui? Che vorrà? Forse vuole rimproverami per qualcosa che ho fatto male ... o peggio, forse vuole che me ne vada..."

Riuscì a mormorare alcune parole: "Voker tov, David, ma shalomkha? (come stai?). Che fa qui a quest'ora? Qualcosa non va...?".

"No, va tutto bene, solo che devo recarmi ad Haifa per il rifornimento dei viveri e vorrei una tazza di caffè prima di partire".

Era questo e niente di più: la cosa comica, quella terribile cosa rara che l'assaliva ogni volta che lo vedeva, era lì di nuovo... Sentimentalmente non era maturata se, nonostante la sua età, arrossiva ancora, timida e goffa come una giovinetta. Entrarono in cucina e Runa mise subito l'acqua a bollire per preparare il caffè. Un caffè particolare per David. Lui si era seduto alla grande tavola che occupava un lato del salone e la guardava. Poi disse:

"Perché è venuta a vivere qui con noi, Runa? No, la prego, non mi risponda subito. Ci pensi bene prima di rispondermi perché lei mi sembra una donna impulsiva o istintiva... se mi permette di parlarle così. Desidero comprenderla, capire ciò che l'ha spinta fino qui, in questo nostro mondo di sopravvissuti. Noi dovemmo tornare. Non ci restò altro che tornare alle origini, dato che il resto del mondo ci respinse e sentimmo che solo in questa terra benedetta che fu dei nostri padri, avremmo potuto sentirci sicuri. E' per questa sicurezza che lottiamo e siamo disposti a continuare a lottare. Però non capisco quali siano i suoi motivi, i suoi desideri, i suoi pensieri... Lei parla poco e ascolta molto, ciò è saggio da parte sua però non serve a chi desidera imparare a conoscerla".

Runa ascoltava e non riusciva a capire ciò che spingeva David a parlarle così. Si distrasse per un momento e così le successe ciò che generalmente succede nei films comici: rovesciò l'acqua fuori dalla tazza. Era sorpresa, senza possibilità di pensare. David bevve il suo caffè e poi uscì in tutta fretta. Quando sarebbe tornato avrebbero parlato di nuovo. Comunque David aveva ragione: era stata sempre una donna impulsiva. Lo era stata per tutta la sua vita. Ciò nonostante, sapeva anche che se avesse riflettuto un po', se avesse considerato il perché e il come di tante cose che aveva vissuto, avrebbe senza dubbio trovato una ragione profonda alla base di tutto. Aveva vissuto una vita piena di sensazioni materializzate, di cose ben fatte e altre decisamente fatte male. Non si era fermata un solo momento per domandarsi perché faccio questo, perché voglio quello. Era stata puro istinto, come un piccolo animale.

Malgrado tutto intuiva che dietro le sensazioni provate, che avevano determinato la strada della sua vita, aveva sempre una ragione che motivava il suo comportamento: la sua ansia di vivere e di scoprire la vita pienamente in tutti i suoi svariati aspetti. Forse era stata troppo intelligente o forse il contrario. Aveva avuto troppa fiducia o aveva chiuso gli occhi e si era lasciata trascinare dall'istinto piuttosto che dal buon senso comune, supponendo che lei ne fosse provvista. Il risultato era stato disastroso, quasi sempre biasimevole, dal punto di vista dei benpensanti. Però lei non aveva pentimenti. Forse solo per ciò che non aveva avuto il coraggio di sperimentare, perché la vita deve essere vissuta pienamente sempre rispettando gli altri. Il male, se lo aveva fatto, lo aveva fatto soltanto a se stessa. Così la pensava in cuor suo Runa.

Si fece una doccia, mise l'unico vestito femminile che possedeva e si pettinò. Non si truccò perché non l'aveva mai fatto e perché era dell'idea, forse sbagliata, che il trucco mette ancora più in risalto l'età di una donna quando non si è più giovani. Quante volte se lo era ripetuto, guardandosi nello specchio e osservando l'intensità dello sguardo, perché si era accorta che anche gli occhi invecchiano. Si osservava senza pietà, con una freddezza quasi disumana, come se stesse osservando un insetto al microscopio. Tutte le esperienze che si affastellano dentro, premono, pesano fino a quando spengono lo sguardo. Forse non era ancora una donna da disprezzare. Qualcosa effettivamente rimaneva giovane nonostante l'età e le esperienze che la vita le aveva offerto sopra un vassoio d'argento. Tutte esperienze che aveva vissuto conscia della bellezza della vita e di tutte le sue manifestazioni. Aveva vissuto una esistenza piena perché il suo spirito d'indipendenza glielo aveva permesso. Mai aveva prostituito né il suo corpo né il suo spirito. Tutta la sua vita era costellata da sentimenti reali e sinceri che aveva messo in tutte le sue azioni. Poteva il suo stato d'animo scusarla per gli eccessi ai quali si era abbandonata? Non lo sapeva, né la interessava.

Perché la necessità sempre latente di sezionare sentimenti, esperienze, emozioni come fossero pezzi di un orologio? O si sbagliava?

Di nuovo e di nuovo, i dubbi di sempre... Per Dio, era stanca, era stufa...

"Come è andata? Quali notizie porta da laggiù?".

"Bene, ho potuto fare quasi tutto ciò che avevo progettato e questo è già molto. Le notizie sono sempre le stesse. Niente di nuovo, fatta eccezione per una proposta di andare ad insegnare matematica in un istituto in città".

A Runa sembrò che qualcosa le bruciasse dentro. Improvvisamente e dolorosamente. "Allora ci lascerà... se ne andrà..." disse incerta. Non riusciva a pensare.

"Certo che no. Penso di essere più necessario qui che non insegnare matematica ad Haifa. O forse lei non è d'accordo? Forse pensa che il kibbutz potrebbe fare a meno dei miei servizi? So naturalmente che nessuno è indispensabile e che tutti possono essere rimpiazzati. Però, la prego, parli, dica pure ciò che pensa. Capisco... capirò...

È libera d'esprimere una sua opinione e non abbia paura di offendermi..."

"Chiaro che no... naturalmente no. Ciò che volevo dire è... penso che... per un momento ho avuto paura che lei stesse per abbandonarci, che lei avesse deciso di lasciarci per tentare... bene, lei mi capisce...". Balbettava, non riusciva a formulare parole adeguate che avevano un senso. Idee e pensieri sembravano sopraffarla.

"Capisco, onestamente credo che qualsiasi persona, non importa il valore intrinseco che possegga o la sua importanza in un dato momento o in una determinata situazione, può essere rimpiazzata. Ci sono persone che crescono ed hanno successo nella vita anche se non hanno mai avuto una famiglia ed altre invece che sarebbero fallite fragorosamente nella più squallida mediocrità, se non avessero avuto al loro fianco una madre affettuosa. E difficile credo, generalizzare".

Runa gli fece eco:

"Sì, sono d'accordo con lei, non si deve generalizzare. Anch'io cerco sempre di non farlo, perché mi sembra che così facendo si finisce per eliminare la possibilità di giudicare. Le ripeto che mi dispiacerebbe moltissimo se lei se ne andasse, se lei ci lasciasse...". Lo aveva detto. Aveva pronunciato quelle benedette parole. Le erano uscite dalla bocca prima che lei si rendesse conto di ciò che potevano significare. O forse no... David la guardò meravigliato:

"Le dispiacerebbe veramente se me ne andassi?"

"Sì, sentirei la sua mancanza... credo che lei è una persona buona e la considero un amico".

Runa riuscì a pronunciare queste parole con voce chiara e senza nessuna titubanza. Improvvisamente l'aveva pervasa una grande calma. David guardandola le chiese:

"Perché dice questo? Lei sembra essere chiusa ermeticamente in sé stessa, come se non avesse più interesse per la vita. Pensavo che lei era venuta a vivere, anzi a rifugiarsi qui perché ci considerava un po' come dei morti in vita e come tali non l'avremmo disturbata con inutili domande. L'ho osservata muoversi tra di noi, sempre sorridente, ma con un vuoto triste dietro quel sorriso dolce e tenero. Perché è venuta? Cosa l'ha spinta così lontana dal mondo al quale deve essere abituata? Per dimenticarsi forse di un uomo o di qualche altra persona. Un dolore che non ha saputo superare? La prego, parli, mi spieghi: mi aiuti a capirla..."

Runa lo ascoltava e si chiedeva:

"Perché mi parla così? Cosa lo spinge a farmi queste domande? Cosa lo spinge a voler sapere queste cose? Quale

interesse?".

Runa, come aveva sempre fatto nella sua vita, lasciava che la sua immaginazione corresse sfrenatamente e immaginava le cose più impensabili, domandandosi mille perché. Forse era stato incaricato dal governo di spiarla, per assicurarsi che lei non fosse una spia o un'avventuriera.

Non sapeva cosa dire: era più confusa che mai. Però parlò. Le parole le uscirono senza controllo:

"Non so, mi creda se le dico che non lo so. Lei ha indovinato che sono una donna impulsiva, istintiva come un animale. Qualcosa mi ha spinto qui. Ho sempre simpatizzato con il suo popolo, però non creda che per il fatto che amo la sua gente, io odi gli arabi. Anche se una ragione l'avrei, certamente valida, però la considererei un motivo meschino, che mi farebbe sentire un essere mediocre. Ho amato un arabo. L'ho amato completamente contro qualsiasi opinione comune e moralità borghese, e quando dico borghese non lo dico con disprezzo, bensì con rispetto. Solo che non ho potuto mai accettare la moralità "piccolo borghese" della mia famiglia. Mi sono ribellata contro e ho voluto vivere la mia vita secondo le mie necessità interiori, senza nessun interesse per il domani. Vivendo il presente. Era un uomo di bell'aspetto, però apparentemente non altrettanto bello dentro. Mi accettò per un po' di tempo, poi quando seppe che aspettavo un figlio suo, mi lasciò. Il bambino nacque morto. Lo incontrai di nuovo nel mio cammino e da quel momento persi qualsiasi rispetto verso me stessa. Avrei dovuto odiarlo per avermi lasciato sola quando più ne avevo bisogno, per avermi accettato di nuovo e abbandonarmi ancora una volta. Fu, in breve, una relazione senza senso che mi distrusse gradualmente fino a quando, toccato il classico fondo ed esaurito tutte le mie risorse, riuscii a tagliare questa apparente relazione che col tempo si era trasformata in uno squallido soliloquio. Non mi rimase che fuggire lontano quando la disperazione aveva oltrepassato i limiti della ragione o della ragionevolezza.

Da quel momento ho vagabondato per il mondo fino a quando mi sono resa conto che la mia vita stava passando, anzi era quasi conclusa, e non avevo fatto niente di utile per nessuno. Non ho paura della morte e preferirei andarle incontro piuttosto che aspettarla seduta, lasciando che i giorni si ammucchino come immondizia intorno a me, invasa dall'inerzia, lottando solo contro i problemi personali della sopravvivenza individuale, concentrandomi egoisticamente nel mio povero tempo. Sapevo che il mondo e la società procedevano in questo modo. Però io non potevo accettarlo. Ero sola al mondo e potevo fare di me ciò che ritenevo migliore. Improvvisamente pensai ad Israele ed alla lotta secolare per affermare il suo diritto all'esistenza. Decisi allora che avrei dedicato i miei ultimi anni alla sua causa. Con questo, non creda, David, che sia convinta che tutti gli ebrei siano angeli e gli arabi siano dei diavoli, così come non penso che tutti i nordamericani siano buoni ed i russi i cattivi. Odio tutti i cattivi, i malvagi ed i perversi con il loro piacere di fare il male o per l'infinita avidità di potere ed egoismo che li divora a tutti. Perfino quelli della mia terra d'origine, nessuno escluso. La natura è popolata da esseri imperfetti, che sono capaci degli atti più sublimi ma anche delle cose più ignominiose e di bassezze incredibili, a volte, anche in nome di ideali inesistenti o mal interpretati. Quante volte dissimuliamo il nostro egoismo e il nostro vuoto morale dietro idee apparentemente nobili ed umanitarie solo per nascondere desideri violenti e sordidi.

In ogni modo tra la causa degli arabi, giusta dal loro punto di vista, e quella del popolo israelita, ugualmente giusta io ho optato per Israele. Mi ha sempre affascinato la sua storia e non finiscono mai d'inorridirmi tutte le persecuzioni e le orribili vessazioni e fustigazioni di carattere morale e fisico alle quali fu sommesso il popolo ebreo. Tutto ciò a causa della cattiveria, dell'ignoranza e della gelosia di altri popoli. L'ignoranza è stata determinante perché la maggioranza delle persone s'immagina il tipico ebreo come il classico usuraio avido di denaro e niente di più. E in pochi si sono domandati il perché? Perché usuraio? E in pochi si sono presi il disturbo di ricercare la risposta giusta e storicamente provata: perché agli ebrei era proibita qualsiasi altra attività e furono obbligati a vivere nei ghetti quasi sempre per ragioni religiose inaccettabili da un libero pensatore, rispettoso della credenza altrui e ancor più per le maledette ragioni economiche. Io li ammiro per la loro intelligenza, per gli uomini di cultura e di scienza che hanno dato al mondo e per non essersi disgregati né moralmente né mentalmente nonostante siano stati dispersi in tutto il mondo. Naturalmente sono ben conscia che ci sono anche gli ebrei indegni, come in qualsiasi altro paese, come in tutto il nostro mondo. Ma io sto parlando molto e tu mi lasci parlare. Inoltre io parlo solo di me ed esprimo le mie idee facendo delle riflessioni a voce alta, mentre preferirei sapere di te".

David fumava la pipa e sembrava assorto, come se non avesse ascoltato. Invece aveva ascoltato attentamente ogni parola che Runa aveva pronunciato. Era perplesso. Stavano seduti in una insenatura formata dall'arena al margine del kibbutz. Aveva la forma di un sedile naturale, protetto da un grande albero. David le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.

"Non conoscevo il tuo mondo, né lo immaginavo. Un mondo d'idee, sensazioni, pensieri e passioni che non supponevo. Mi sembra di cominciare a capire perché sei venuta a condividere la nostra vita di tutti i giorni. Con noi. Però fa freddo. Andiamo a dormire. Domani avrai il tuo lavoro in cucina ed hai bisogno di riposare".

"Sì, disse Runa, anche tu devi essere stanco per il viaggio".

S'alzarono e rimasero per alcuni istanti uno davanti all'altro guardandosi in faccia.

"Shalom, David leila tov (Buona notte). A domani.

"A domani, Runa".

David si chinò verso di lei e le dette un tenero bacio sulle labbra. Poi si allontanò rapidamente. Runa rimase nell'oscurità. Non pensava. Non poteva. Improvvisamente si toccò le labbra e sentì come se qualcosa le bruciasse dentro. Per Dio, che cosa le succedeva?

La mattina successiva Runa si svegliò dopo un sonno pesante come non le era mai successo prima. Si girò nel letto. Le sembrava di sognare qualcosa di particolarmente bello e per questo non voleva svegliarsi del tutto forse nel tentativo di continuare a sognare. Poi aprì gli occhi e ricordò la notte prima con David ed il bacio. Come sempre nella sua vita, nonostante la sua età matura, continuava a non capire: tutta la sua esperienza non l'aiutava a capire. Perché l'interesse di David e perché quel bacio amichevole o forse no. Era confusa. Lo era sempre stata ed il disastro della sua vita dipendeva da questa eterna confusione, al suo non capire in tempo le situazioni o il non saperle apprezzare in tutta la loro estensione, il loro valore e significato al momento giusto che a volte è irripetibile. Anche se non provava nessun pentimento, le sembrava di aver sbagliato a non aver dato maggiore importanza alle persone e agli avvenimenti che avrebbero potuto migliorare la sua esistenza. Se solo avesse capito il vero significato di tante cose che le erano successe nel momento che occorreva. Era toppo tardi per cominciare adesso. Desiderava solamente trovare una risposta anche se fosse stata l'ultima. David con i suoi occhi azzurri e le sue mani delicate, che sapeva ascoltare e che forse le voleva bene.

Come a una sorella, forse. Improvvisamente si sentì vecchia... anziana. Aveva forse solo pochi anni ancora per poter vivere una relazione amorosa? O forse era meglio cercare di evitare di esporsi al ridicolo? Questi pensieri le facevano male perché benché sapesse che era giusto considerare le cose da questo punto di vista ciononostante non voleva farlo: si rendeva conto che stava trasformando i suoi sentimenti in qualcosa di meschino e mediocre. Però voleva vivere ancora alcune ore, alcuni giorni, vivere senza pensare al domani, anche se doveva ammettere che ciò che la preoccupava era il presente, un presente che la faceva sentire scomoda. Avrebbe avuto il coraggio di andare fino in fondo?

Aveva conosciuto altri amori. Però, come sempre le succedeva, quando s'innamorava era sempre come fosse la prima volta. Tornava a nascere, come l'araba fenice. Tornava ad essere intatta fisicamente e sentimentalmente. Ma quando cercava di rivivere una delle sue relazioni, le sembrava di leggere nuovamente un libro già letto e poi dimenticato. Qualcosa di separato da lei. Di tutti quei contatti, delle molte parole dette, delle situazioni vissute, non le era restato niente. La Runa del passato era una estranea, sempre una estranea, ogni volta di nuovo... per la Runa di oggi.

Aveva amato molto e l'avevano amata, aveva provato l'abbandono, l'inganno ma anche la tenerezza e la passione. Aveva creduto che mai si sarebbe potuta innamorare di nuovo ma si era sbagliata. Perché desiderava David con tutta se stessa, come fosse ancora una donna giovane: soltanto la paura del ridicolo la tormentava, la paura di non essere più desiderabile.

Era passato tanto tempo da quando si era abbandonata tra le braccia di un uomo che non sapeva o non credeva che i suoi sentimenti potessero materializzarsi. La stessa routine, le stesse carezze, gli slanci, i movimenti di sempre. Aveva paura di non sapere amare più né di lasciarsi amare, illudendo così David. Soprattutto di rovinare una amicizia che poteva riempirle la vita di momenti felici e di allegri pensieri. Forse la sua era semplicemente vigliaccheria. E naturalmente aveva paura di distruggere un'illusione: l'ultima. Aveva sempre seguito il suo istinto e aveva sbagliato una volta dopo l'altra. Ora che non aveva più niente da perdere le venivano addosso improvvisamente gli scrupoli, i timori ed i dubbi. Com'è strana la psiche di una donna! Si esaminava, si faceva domande, si lambiccava il cervello e, anche se non riusciva a comprendersi, si meravigliava ugualmente nel rendersi conto dei contrasti e delle contorsioni dei suoi sentimenti, il torbido dei suoi pensieri ed il tumulto dei suoi desideri. Si affacciava su se stessa come ad una finestra che dava in una stanza oscura. E non aveva altra apertura.

Runa era stata sempre incapace di formulare un giudizio concreto e determinato. E non perché non volesse esporsi bensì per la sua eccessiva comprensione dei diritti degli uni e degli altri. Non poteva non vedere che la verità ha molte facce (oh, il buon Pirandello!) e che non c'è nessuno sotto il sole che abbia il monopolio della verità o la ragione assoluta. Per esempio se si considerano le ragioni che spingono gli ebrei e gli arabi a lottare tra loro per una necessità di sopravvivenza fisica possiamo dire che hanno ragione entrambi. E allora, si domandava Runa, cosa si può fare per risolvere il problema, perché si mettano d'accordo? Non ignorava naturalmente che sotto le forti passioni esistevano forti interessi economici e che forse era più facile per un povero arabo essere amico di un ebreo povero che di un arabo ricco. O forse, no? Forse era una maniera superficiale di vedere o di esaminare i fatti. A Runa sarebbe piaciuto parlare, discutere di tutti questi dubbi che l'assillavano con David, sicura che lui avrebbe saputo aiutarla a mettere un po' d'ordine nell'enorme confusione che aveva dentro di sé. Aveva bisogno di David, della sua intelligenza, del suo sano equilibrio, della sua guida. Era stata sempre autosufficiente, però ora le sembrava, per la prima volta, che la vita dovrebbe essere vissuta in due. Per condividere successi ed insuccessi con amicizia e in allegria, aiutandosi reciprocamente con coraggio e comprensione. Aveva bisogno di David come amico, anche se doveva confessare che lo desiderava anche come uomo.

Sara e Esther erano madre e figlia. Esther era nata in Israele mentre la madre proveniva dalla Polonia. Erano entrambe alte e dai lineamenti forti. Sara aveva provato l'orrore del campo di concentramento. Sua figlia no. Esther aveva poco più di venticinque anni e non era sposata. Suo padre era morto quando lei era ancora molto piccola e non lo ricordava. Runa voleva bene ad entrambe anche se avevano un carattere molto diverso. Divideva con loro la stanza. Sara era silenziosa e parlava poco ma era una donna colta e Runa l'ascoltava sempre con piacere le poche volte che si lasciava andare e allora chiacchieravano. Aveva sofferto moltissimo e non solo fisicamente. Nondimeno era sopravvissuta a quel periodo inumano trascorso nel lager, dove aveva perso tutta la sua famiglia. Lei era riuscita a sopravvivere forse perché la sua giovane età l'aveva aiutata a non soccombere alle privazioni ed alle torture fisiche e mentali alle quali venivano sistematicamente sottoposti. Non aveva dimenticato. Come avrebbe potuto? Solo si era resa conto che se voleva continuare a vivere avrebbe avuto bisogno di tutta la sua forza e del suo coraggio. Per questo aveva deciso di non pensare, non ricordare, non parlare mai di quel periodo della sua vita. Anche se aveva immagazzinato tutto nella sua mente. Sua figlia Esther era cresciuta nel clima non proprio tranquillo d'Israele, però non aveva conosciuto né sua madre le aveva mai parlato delle sofferenze subite in Europa. Nonostante ciò Esther era piena d'odio e di risentimento verso il mondo che aveva permesso tanta barbarie senza fare nulla per impedirle. Runa capiva i loro diversi atteggiamenti e le amava entrambe proprio per le loro distinte maniere di reagire davanti allo stesso problema. Capiva che si poteva avere sofferto indicibili pene ed ugualmente cercare di continuare a vivere nonostante i terribili ricordi che si potevano soffocare ma certamente non cancellare per sempre. Senza perdonare e senza odiare. Allo stesso tempo capiva bene come ci si potesse ribellare davanti alla indifferenza degli uomini. Runa non sapeva come avrebbe reagito se si fosse trovata in quella situazione. Forse si sarebbe comportata come Sara anche se nel suo cuore avrebbe provato la stessa ribellione e l'identica amarezza che tormentava Esther.

"Domani vado ad Haifa. Vuoi venire con me? Credo che ti farebbe bene distrarti un po', vedere persone diverse, il panorama delle case, le macchine e i suoni. Insomma qualcosa di diverso dal solito deserto e delle solite facce conosciute di tutti i giorni..."

"Non so... mi piacerebbe venire però non per vedere cose nuove o facce sconosciute perché sono felice qui e non ho bisogno di nessuna novità, però piuttosto per avere l'opportunità di chiacchierare un po' con te durante il viaggio visto che sei sempre molto occupato e quasi mai abbiamo la possibilità di parlare a lungo... come piacerebbe a me".

"D'accordo. Allora domani mattina si parte presto. Appuntamento nella cucina per la rituale tazzina di caffè. Ora però me ne vado: la contabilità m'aspetta! Buona notte, Runa. A domani. Shalom!".

Runa lo vide allontanarsi ma non si mosse. La notte era tranquilla. La luna sembrava essere molto vicina in un cielo limpido come l'acqua di fonte. Le piaceva quell'angolo di terra separato dal resto del kibbutz, dove si poteva pensare e godere di un po' di solitudine. Cosa rara per chi viveva in comunità e passava tutti i giorni, gomito a gomito, a fare il proprio lavoro.

Era tardi ma Runa non aveva paura. Gli arabi non la spaventavano. A volte cercava di ricordarsi di lui, però col passare degli anni, le risultava sempre più difficile, come se il tempo pietoso avesse voluto non solo cancellarlo dal suo cuore ma quasi estirparlo. Le costava perfino ricordare i suoi lineamenti. Era un uomo bello e doveva esserlo ancora. Era chiaro che non era sicura di averlo compreso del tutto e pertanto preferiva non giudicarlo. Inoltre come poteva emettere un giudizio imparziale con tutto il male che le aveva fatto? O forse la colpa delle sue sofferenze dipendevano più da lei che da lui? Per averlo amato troppo fino a stancarlo. Aveva desiderato morire ma adesso era felice di essere ancora viva. Si sentiva giovane e piena di voglia di fare perfino di amare nuovamente. E se la morte l'avesse voluta, preferiva comunque essere sotterrata nel deserto avvolta in un lenzuolo e messa direttamente in un buco scavato nell'arena. Doveva pensare e riflettere un po' di più riguardo quest'ultima esperienza per non essere presa di sorpresa e spaventata. Le veniva in mente una poesia di Cardarelli: Morte non mi ghermire, ma d'amica prendimi...

"Runa, è lì?". Era Esther. Nell'oscurità nonostante ci fosse la luna, Runa non riusciva a vederle la faccia perché Esther era rimasta in piedi dietro ad un albero frondoso. Nondimeno avvertì che qualcosa l'affliggeva.

"Che succede, Esther?" le domandò dolcemente.

Esther non rispose subito. Stava riflettendo. Finalmente disse: "Non mi capisco. O forse non voglio capirmi. Non so cosa mi sta succedendo. Non sono più una bambina e sono stata sempre una donna forte. Mai ho pensato a cose di questo genere...

come dire, frivole, superficiali. Il fatto è che ho considerato sempre come stupide molte cose che generalmente sono normali per la maggior parte della gente. Forse sono differente dagli altri perché ho vissuto praticamente sempre da sola. Con mia madre non ho mai avuto un dialogo aperto e non ho mai avuto amici con i quali scambiare idee e opinioni..."

Era amaro il tono della voce di Esther e Runa si rese conto che la ferita andava molto più in profondità di ciò sembrava.

"Che ti succede, Esther, ripeté Runa, parla, sfogati, forse la mia esperienza ti può aiutare anche se anch'io ho una grande confusione, idee strane con ombre e gradazioni di sfumature

che mi lasciano interdetta... e l'età non significa niente. A volte avere una maggiore conoscenza aumenta ancora più la confusione e..." Esther la interruppe:

"Lei non è stata mai innamorata? Voglio dire, veramente, sul serio...?".

Runa non rispose subito. Le sembrò di intuire qualcosa che la spaventò, qualcosa che le procurò un gran dolore. Era il suo sesto senso, quel senso per il quale riusciva a capire le cose, le meno evidenti, alla prima allusione.

"Amore, amore... sarà possibile che gli uomini abbiano tutti sempre il desiderio d'incastrare e sezionare ogni cosa, ogni fatto o sentimento. L'amore, per esempio, ha mille volti e nondimeno molto semplice. Io mi sono innamorata più di una volta, ho conosciuto l'amore di diversi uomini ed ogni volta pareva essere la prima volta, forse perché non era vero amore (dopo tutto, cos'è l'amore vero?) o non era lo stesso tipo d'amore o lo stesso modo d'amare. A volte fu tenerezza, altre volte ammirazione, altre volte ancora invece semplice attrazione fisica, però lo chiamai sempre amore. Ora Esther, non mi dirai che non ti sei mai innamorata o per lo meno non hai pensato di essere innamorata? Non so, per esempio, del tuo professore o del ragazzo della casa accanto?".

"No, mi creda, Runa, che non ho mai incontrato qualcuno che significasse qualcosa per me, che mi entusiasmasse o semplicemente m'interessasse. Ho studiato, lavorato, letto... e niente di più".

"E adesso senti improvvisamente che c'è qualcosa di nuovo e sconosciuto che occupa il tuo cuore e la tua mente? Sei innamorata, non è così?" disse Runa a bassa voce.

Seguì il silenzio, poi Runa continuò.

"È questo che ti molesta, perché? Qualsiasi cosa sia, questo sentimento dovrebbe farti sentire felice. Chiamalo amore e non farti troppe domande. L'amore in qualsiasi forma si presenti è una esperienza necessaria, ineluttabile, unica e insostituibile nella vita di ogni essere umano".

"E non mi domanda chi è?"

"Credo di indovinarlo. È David, non è vero? È l'unico che potrebbe averti ispirato un tale sentimento, poiché gli altri o sono sposati o sono troppo giovani. Sai, Esther, credo che se fossi stata più giovane, anch'io mi sarei innamorata di David".

"Vuol dire che non lo è e che non c'è niente tra di voi?" domandò con voce ansiosa Esther.

Runa si alzò e guardò verso il deserto illuminato dalla luna, poi disse a voce bassa:

"David mi ha invitato ad andare con lui ad Haifa domani. Ho accettato".

Esther non la guardò in faccia. Si alzò e disse con voce fredda:

"Sono stanca. Me ne vado a letto. Buona notte" e si allontanò rapidamente.

Runa rimase immobile e guardò la sua figura alta che spariva nella notte. Improvvisamente si sentì vecchia e sola. Ed ebbe paura. Si era illusa di poter amare ancora una volta e di poter essere amata ma come aveva potuto illudersi tanto? Esther avrebbe potuto essere sua figlia: si sentì patetica e ridicola. Si sedette nuovamente sul sedile di pietra. Si appoggiò contro l'albero e si mise a piangere.

Haifa era distante un paio d'ore di viaggio. Runa stava seduta al fianco di David, in silenzio. David guidava assorto.

"Mi era sembrato di capire che desideravi fare questo viaggio per avere l'opportunità di parlare un po' con me, però ho l'impressione che non hai voglia né di parlare né di guardarmi" disse David improvvisamente.

Runa cercò di trovare le parole adeguate per spiegargli ciò che la tormentava però rimase silenziosa. Ma dopo un po' disse:

"Non so cosa mi succede, mi sono svegliata stanca: deve essere l'età".

David la guardò di tralice:

"A me non sembra che tu sei vecchia e quello che uno sente dentro dovrebbe riflettersi sull'aspetto esteriore".

"Tu lo credi? Io invece credo che per ognuno di noi il tempo passa quando ci si rende conto di avere perduto il gusto per le cose..."

"Vuoi dirmi che ti senti così vecchia che non provi più interesse per niente e nessuno...diamine!

Non ti credo: deve essere successo qualcosa per farti parlare in questo modo... via, raccontami... dimmi tutto!".

"È solo che non posso fare a meno di pensare come tutto è inutile. È un pensiero che ho avuto fin da quando cominciai a guardami attorno e mi resi conto come tutto passa rapidamente, troppo rapidamente... e non è che io sia una pessimista. Al contrario. Questa potrebbe sembrarti una contraddizione, però devi credermi che, sebbene sia convinta della inconsistenza della vita e di come tutto si dimentica e precipita nel niente assoluto, nondimeno ho vissuto sempre accettando con filosofia gli eventi della vita e per questa ragione sono convinta che non vale mai la pena di prendersela troppo. E questo mi trasforma in una ottimista. Tu mi capisci, non è vero?"

"Forse. Ciò che non capisco è perché allora sei venuta a vivere proprio qui con tutti i paesi di questo mondo che avresti potuto scegliere come residenza. Noi siamo gente che ha conosciuto tutte le pene e le disillusioni possibili e nonostante tutto non abbiamo mai perso la fede né la speranza e lottiamo non solo per l'oggi ma anche per il domani e il dopo domani. Tu invece parli come qualcuno che vive alla giornata e non spera più in qualcosa che possa dare un significato o una ragione alla vita".

"Può essere, dopo tutto non sono ebrea. Non ho sofferto duramente come voi, ho vissuto una vita piena e non ho mai avuto fame anche se ho avuto anch'io i miei momenti di tristezza e di dolore come quando per la disperazione volevo morire. Ho dovuto lavorare per sopravvivere, questo sì, però non devo niente a nessuno. A nessun uomo. Ecco soprattutto questo: a nessun uomo. Ho sempre dato e mai per ricevere qualcosa in cambio. Ho amato molto. Ho avuto il cuore pieno d'emozioni. E ora penso che sia quasi l'ora che riponga nel cassetto i miei sentimenti e che metta un po' d'ordine nella mia mente. Quanti anni hai, David? Sicuramente molti meno di me. Te lo dico così, senza tristezza".

David continuò guidando in silenzio. Poi fermò la macchina.

Quella notte, anche se era molto stanca, Runa non riusciva a dormire. Si rigirava nel letto cercando di non svegliare Esther. Esther! Runa pensava con una dose di amarezza che proprio quando aveva incontrato un nuovo interesse, il suo stato di felicità doveva causare dell'infelicità o una disillusione da parte di un'altra persona. Per Dio, perché la vita non poteva essere più semplice! Non poteva, per una volta nella sua vita, godere un sentimento con allegria, con quello stato di pace che dovrebbe procurare una relazione naturale tra un uomo e una donna?

C'era stato sempre un impedimento nella sua vita e, quando non lo aveva incontrato all'inizio, era sorto a metà cammino o lo aveva creato lei stessa con la sua fantasia smisurata fino a farlo materializzare come per una magia.

Si era sempre innamorata dell'uomo sbagliato: o era troppo ricco o era innamorato di un'altra donna o era troppo giovane. C'erano stati altri uomini che l'avevano amata ai quali non aveva potuto corrispondere lo stesso amore. Come sempre tutto passa nella vita: A ama B che ama C. David era anche lui l'uomo sbagliato e non solo perché era più giovane di lei (che poteva anche non aver importanza) ma quanto per il fatto che lei era una donna stanca che non poteva offrire più niente a nessuno.

O poteva? Si esaminava con crudeltà guardandosi dentro e fuori con occhi spietati ma con obiettività. Era difficile e la stancava scivolare dentro di sé. Pensava che tutti dovrebbero sottoporsi ogni tanto ad un check up, per cercare di risolvere i problemi. Magari prima che diventino cronici o che marciscano. E noi con loro. Quante amarezze ci risparmieremmo e quanti errori eviteremmo!

Ma se tutto è "MAKTUB" (cioè scritto), come dicono gli arabi, allora perché tutti questi sforzi, tutte le lotte?

Tutti questi pensieri agitavano Runa ma finalmente si addormentò e si acquietarono le voci bizzarre e i crudeli figli della nebbia.

Il mattino successivo Runa si svegliò che Esther era già uscita. Era il suo turno per accudire alle vacche. Runa non aveva voglia di alzarsi ma come sempre, il senso del dovere o forse l'abitudine, la fecero alzare e fare ciò che faceva tutti i giorni: cinque minuti di ginnastica rapida e una ancor più rapida toilette e poi al lavoro.

"Buon giorno, Samuele, Simone, buon giorno, ciao Ruth..." Runa salutava tutti per nome, mano a mano che i membri del kibbutz entravano nel refettorio. Li conosceva tutti e sentiva per ciascuno di loro un vero sentimento d'affetto e di ammirazione. Tutti lavoravano a turno e ciascuno di loro terminava ciò che l'altro iniziava, senza nessuna differenza di trattamento.

Soldi non ne ricevevano dato che tutto andava nel fondo comune per le spese generali. Era un mondo che pochi conoscevano e quei pochi erano per Runa degli esseri privilegiati: gli eletti. Era una vita semplice e attiva, una vita di duro lavoro. Solo il sabato (shabbat shalom) si riunivano insieme. Chi sonava uno strumento, chi dipingeva o scriveva. C'era qualcuno nel kibbutz che, anche se era colto, aveva preferito vivere lì rinunciando in qualche caso ad una carriera brillante in una città o all'estero soltanto per rimanere in quell'angolo di terra israelita, per creare il paese. Per costruire il presente ed il futuro per le generazioni a venire. Un presente difficile e duro con uno sguardo al futuro. Altri avevano trovato un rifugio e nella vita comunitaria una soluzione ai problemi che li avevano afflitti, altri ancora erano arrivati direttamente dai campi di concentramento: malati nel corpo, nel cuore e nello spirito. Fino alla pazzia. I pensieri di Runa si interruppero quando entrò David nel refettorio. Vestiva un paio di blue jeans e un pullover dal collo alto stile dolcevita. Aveva il ciuffo di capelli neri insieme al resto dei capelli bianchi sopra la fronte alta, il volto delicato e gli occhi azzurri. Runa doveva ammettere che David era un bell'uomo. In verità le erano sempre piaciuti uomini dall'aspetto piacevole o che avessero un'aria interessante, un qualcosa che la facesse pensare ad un mondo straordinario ed eccitante. Ma quasi sempre la splendida facciata esteriore nascondeva soltanto piccole stanze strette ed oscure, senz'aria, senza orizzonte, senza uscite. Improvvisamente Runa divenne triste. Doveva ammettere che era innamorata di David e ciò che era peggio ne era gelosa. Ridicolamente gelosa e furiosa con se stessa. Aveva perduto la sua tranquillità alla quale pensava di avere diritto data la sua età. Era sempre stata dell'opinione che quando s'invecchia si perde il piacere delle cose piccanti ed eccitanti mentre si acquista la possibilità di vedere le cose della vita in un modo rilassato, senza la sofferenza acuta ed insopportabile che l'amore di solito genera. Si sentì defraudata, non voleva soffrire e si rendeva conto che se avesse proseguito la sua relazione con David avrebbe finito per soffrire anche se David non le avesse dato nessun motivo.

Avrebbe sofferto, si sarebbe distrutta pensando che David avrebbe potuto incontrare un'altra donna, naturalmente più giovane di lei, che si sarebbe comunque stancato di lei o che la sua fantasia le avrebbe creato drammi inspiegabili. Si sentì intrappolata. Voleva fuggire ma poi alzò la testa e sorrise a David.

S'incontrarono dopo cena nello stesso posto del loro primo incontro. Era una notte limpida e serena. David si sedette sotto l'albero e le aprì le braccia. Runa dimenticò allora tutti i suoi problemi, i suoi dubbi e le sue paure.

Era tranquilla nelle braccia di David che fumava la sua pipa.

"Sai, David, pensavo a qualcosa che ho letto molto tempo fa o forse che qualcuno deve avermi detto, non ricordo bene. Che tutte le donne, naturalmente non tutte o forse solo le donne della mia generazione, dopo aver fatto l'amore, sentono la necessità di parlare, di giustificarsi, di conoscere la ragione del perché o del come... Penso che questo dipende dall'educazione ricevuta in famiglia, quando il sesso era un tabù e tutte le donne che hanno avuto il coraggio di fare ciò che le era proibito, porteranno sempre dentro quel senso di colpa che le rovina il piacere... Io porto dentro di me due donne: una che approva incondizionatamente che un uomo e una donna si amino quando sentono veramente la necessità di farlo; l'altra con tutta l'eredità di una educazione che m'impartirono i miei genitori e della quale non potrei mai disfarmi del tutto.

Dov'è la verità? Cos'è il positivo e dove comincia il negativo? Credimi, David, a volte mi sembra d'impazzire. A volte mi domando perché tante lacrime, dolore, gelosia, tanto odio e furore, nel nome dell'amore, un sentimento che dovrebbe regalare la pace e rilassare i sensi. C'è qualcosa che mi sfugge e quanto più cerco di capire, più mi perdo nel labirinto delle intuizioni oscurate da dubbi dai quali non riesco a liberarmi. Ciò che più m'inquieta è che quando s'invecchia e si comincia a vedere le cose con maggiore chiarezza, è proprio quando l'esperienza comincia o termina il suo lavoro di demolizione di tutte le illusioni della gioventù. La gloriosa certezza della gioventù quando non si hanno dubbi e tutto sembra cristallizzato in una verità superiore ed indistruttibile. Forse penserai che sto delirando, però credimi che tutte queste parole che mi escono dalla mente filtrate dal cuore, sono serene, senza rabbia né dolore. Lo dico perché mi sembra vero, immutabile nel tempo e nello spazio e reiterato per ogni generazione. Penserai che sono pazza a parlare così dopo le ore felici che ho passato con te. Però è come se qualcosa mi spinga le parole da dentro, dal profondo, come se fossi un computer programmato. Ciò che sento è la necessità di materializzare tutto questo con te, che sei una parte di me che mi aiuta a capire e a districare la rete di sensazioni che m'incalzano e s'intrecciano... mio malgrado..."

David batté la pipa sopra la pietra, poi stringendo un po' più forte le spalle di Runa disse:

"Hai ragione quando dici che la vita deve essere presa con serenità e obiettività, però ti sbagli quando pensi che solo la gioventù spera e crede in un futuro migliore perché ha più tempo a sua disposizione. Consideriamo il tuo caso. Tu sei venuta a vivere con noi perché desideravi aiutarci con la tua presenza. Dovrai ammettere che non tutte le tue idee sono negative e castranti e, se non pensi al tuo futuro, pensa almeno al futuro della gente di questo kibbutz. A me sembra che ti fai troppe domande e che, nonostante il tuo desiderio di vivere il presente e la tua incapacità apparente di affrontare i problemi della vita, continui a domandarti continuamente il perché di ogni cosa, come fossi una giovinetta che si affaccia al mondo..."

Runa si girò e lo baciò. Poi disse:

"Mi piace parlare con te e anche se me ne vado con gli stessi dubbi per lo meno mi sono sfogata, cercando di esternare ciò che mi opprime dentro".

"È tardi e non dovremmo rimanere fuori fino a quest'ora della notte. Uno di questi giorni riceveremo la visita di persone con intenzioni non del tutto amichevoli..."

"Se ti succedesse qualcosa, David, credo che ne morirei..."

"Non sarei né il primo né l'ultimo a morire qui.. ciò che mi preoccupa piuttosto è ciò che potrebbe accadere a te..." disse David e, prima che Runa avesse potuto rispondere, la prese tra le sue braccia e la baciò.

Passarono alcune settimane. Il tempo passava come sempre distruggendo e costruendo. Distruggendo i fatti di oggi e costruendo i ricordi per il domani. Runa lavorava duramente e cercava di occupare la sua mente per non pensare. A volte le sembrava che niente avesse importanza, altre volte invece trovava valori ed interessi in qualsiasi cosa. Vedeva David tutti i giorni e con Esther manteneva una relazione superficiale però tranquilla.

Era riuscita a trovare una stanza molto più piccola, vicina alla cucina, dove poteva rifugiarsi quando l'assaliva la malinconia. Stava invecchiando... e che aveva fatto della sua vita?

Era una fallita? Forse sì, forse no. Tutto dipendeva da come uno considera gli avvenimenti. Come essere umano aveva vissuto più di molti altri: aveva lavorato, viaggiato,

amato, conosciuto molta gente, fatto molte esperienze, lottato con se stessa e con l'ambiente che la circondava per potere conoscere e soprattutto per comprendere.

Per lo meno aveva tentato di trovare alcune risposte. Forse come figlia non era stata delle migliori perché la sua maniera di concepire la vita non aveva mai potuto coincidere con i principi dei suoi vecchi. Come amica aveva dato con piacere tutto ciò che poteva dare, fino a quando aveva deciso che doveva allontanarsi dagli amici perché improvvisamente le erano cadute addosso una spossatezza ed una stanchezza che la avevano indotta ad isolarsi, a fuggire, a nascondersi.

Aveva vissuto varie fasi: c'era stato sempre un prima e un dopo. Però ogni volta era stata sincera e convinta.

Mano a mano che apprendeva cose nuove e le confrontava con le cose passate, aveva cambiato coerentemente la sua maniera di vedere e di vivere la vita. Non poteva dimenticare ciò che le aveva detto "l'altro" e cioè che lui non avrebbe mai cambiato opinione. Come se non esisteva una evoluzione del pensiero. Con la sua affermazione credeva di essere un uomo di carattere.

Tutte le sue decisioni erano definitive. Adesso Runa si domandava come aveva potuto amarlo.

Ma la donna che lo aveva amato non esisteva più: era la donna del passato, sparita insieme alle altre donne che avevano compiuto la loro evoluzione. Ma qualcosa doveva pur restare. Forse si trasforma ma una traccia delle esperienze vissute deve rimanere dentro di noi con i sentimenti verso le persone amate o solo conosciute, verso la gente con cui abbiamo avuto relazioni amichevoli o condiviso momenti difficili, con persone che abbiamo ammirato o anche odiato... Tutto ebbe inizio quando Dan, un radioamatore, ricevette una comunicazione da N. Stava parlando con un vecchio amico quando improvvisamente questi cominciò a gridare che nel porto, vicino alla casa dove abitava, c'era qualcosa che non andava: le sembrava di ascoltare un rumore di barche a motore. Venne la conferma: erano arabi e apparentemente molti. Poi il silenzio, la comunicazione fu interrotta. Subito il kibbutz fu posto in stato di allarme. Se fossero arrivati da loro ed era abbastanza facile dato che il kibbutz distava dal mare solo settanta chilometri, i pochi componenti per la maggior parte anziani, donne e bambini, non avrebbero avuto la minima possibilità di salvarsi. David doveva andare il più rapidamente possibile a chiedere aiuto ad un altro kibbutz più grande e ben armato. Doveva inoltre approfittare del viaggio per portare in salvo i bambini e Ruth che stava aspettando un figlio ed era già all'ottavo mese di gravidanza.

David bussò alla porta di Runa. Le spiegò brevemente ciò che stava accadendo e le chiese di andare con lui: Runa non era dei loro e David non voleva che lei si trovasse invischiata in una lotta che poteva risultare pericolosa ed incerta. L'avrebbe portata in salvo per ritornare poi rapidamente al kibbutz con i rinforzi. Runa lo lasciò parlare ascoltandolo attentamente.

"Credi davvero che siamo tutti in pericolo?"

"Sì, lo credo. Hanno cominciato nuovamente con gli attacchi ai kibbutz della frontiera e non voglio pensare ciò che potrebbero fare se riescono ad arrivare fino qui".

"Penso che avremo bisogno di qualsiasi persona valida che sappia usare un fucile o un'arma. Bene, io ho fatto un corso prima di venire qui e anche se non sono una tiratrice di qualità, me la cavo abbastanza bene. Non ho la minima intenzione di scappare davanti al pericolo. Uccidere qualcuno mi ripugna ma se si tratta di difendere coloro che considero fratelli, lo farò..."

"Però pensa che cosa significherebbe cadere nelle loro mani, in particolare per una donna..."

"Una anziana".

"Non dire stupidaggini... scusami se ti parlo così, però devi capire che non ti rispetterebbero neanche se avessi l'età di tua nonna. E sarebbe anche peggio se gli dicessi che non sei ebrea. Sì, sarebbe forse anche peggio. Vai, sbrigati, non c'è tempo da perdere. Dobbiamo arrivare in breve tempo all'altro kibbutz e avrò bisogno di almeno un'altra ora per riunire i rinforzi e tornare".

Runa che lo aveva ascoltato in silenzio gli mise una mano intorno al collo e disse:

"David, è inutile. So molto bene chi dovremo affrontare e non sono spaventata, o forse sì, però non ho paura. Sembra un paradosso. Tu mi capisci, non è vero? Qualsiasi cosa debba accadermi, preferisco che mi succeda qui. Ho sempre odiato l'idea d'invecchiare aspettando la morte giorno dopo giorno, seduta sull'uscio di casa. Preferisco, se è necessario, che mi trovi pronta ad andarmene con lei: tutto sarà più facile. Se è il mio destino che debba morire lottando in difesa della tua gente, così sia. Però sbrigati, vai e torna presto. Io ti aspetterò. Abbi cura di te...". Lo abbracciò forte, sentì il suo volto pieno di lacrime e provò una grande oppressione al cuore. Poi lo allontanò da lei e lo spinse fuori dalla stanza.

Era immobile, con il fucile pronto per sparare. Sola e accovacciata dietro la piccola insenatura, nello stesso posto dove era solita incontrarsi con David. Era stato solo pochi giorni prima e già sembravano anni. Era appena fuori dal kibbutz ed in una posizione buona per la difesa. Se invece di essere sola ci fossero state almeno dieci persone...

Era uscita senza avvisare nessuno perché voleva affrontare quella prova da sola. Inoltre, se David non fosse tornato in tempo, avevano tutti poche probabilità di salvarsi. Preferiva dare agli altri qualche possibilità in più. Perché lo faceva? Una volta ancora seguiva il suo istinto.

Sapeva che per lei non c'era ritorno e si domandava perché alla sua età si trovasse lì con un fucile pronta a sparare contro uomini che non conosceva e che in altre circostanze avrebbero potuto anche essere suoi amici. Proprio lei che rispettava persino la vita degli insetti, lei che evitava di schiacciare anche una formica. Avrebbe avuto il coraggio di premere il grilletto? Era innamorata di David e, per la prima volta nella sua vita agitata, non si era innamorata prima bensì dopo avere scelto di vivere lì. Questo fatto era per lei molto importante: perché, per quanto ricordasse, era stato sempre l'amore a determinare tutte le sue azioni. Aveva sempre permesso che nel nome dell'amore, qualcuno avesse deciso il suo destino. E quasi sempre tutto era finito in un fallimento. Per mancanza di sentimenti veramente profondi o forse troppo deboli o poco stabili. Questa volta non era stato l'amore verso un altro essere, bensì verso tutto un paese.

Sì, era decisamente meglio morire per un'idea che contemplava degli ideali, piuttosto che lasciare ad un uomo solo la possibilità di distruggerla fino a cancellare il rispetto verso se stessa. E pensava Runa... pensava. Come sempre non era sola perché i suoi pensieri l'accompagnavano. Forse i suoi ultimi pensieri.

Quanto tempo era passato? Le sembrava di essere come incollata alla terra. Era tutta sudata, come se avesse corso per chissà quanto tempo e già non sentiva quasi più la mano che reggeva il fucile. Cosa pensa una persona che può morire in qualsiasi momento? Non aveva paura. Nondimeno le sembrava impossibile che fosse lei quella donna che stava lì, pronta a sparare, lottare, uccidere. L'idea orribile di dover uccidere per difendersi la oppresse di nuovo, come se una mano le stringesse il cuore senza pietà. Sapeva che mai come in quel momento aveva bisogno di tutta la sua forza di concentrazione. I suoi pensieri tornavano insistentemente su ciò che per tutta la vita l'aveva tormentata: il perché di tante cose, del suo vivere senza una logica ma solo con il puro istinto. E non perché non si fosse domandata la ragione intrinseca dei problemi che l'assillavano di continuo ma come mai le era risultato difficile, anzi quasi impossibile, trovare risposte soddisfacenti. I dubbi, gli eterni dubbi che l'avevano accompagnata per tutta la vita e che non le avevano permesso mai di vedere chiaramente, di comprendere ed accettare i fatti importanti che avevano costellato il cammino della sua esistenza. Aveva letto molto, studiato a sufficienza perché conosceva molte cose ma sentiva dentro di sé uno stato di gran confusione, o per lo meno così le sembrava. Aveva viaggiato ogni volta che aveva potuto anche se non aveva visto tutti i posti che le sarebbe piaciuto visitare, aveva conosciuto gente di varie latitudini e aveva finito per simpatizzare con i problemi di tutti.

Fino a quando si era sradicata completamente e non solo dal suo paese d'origine, con il suo giustificare tutti, perché pensava che se si risale all'origine di qualsiasi effetto si incontra sempre un motivo, una causa valida per tutti, a secondo delle situazioni e del punto di vista. Cosicché disillusa ed incredula spettatrice irriverente del caos del pianeta si comportava come se provenisse da un altro pianeta, non necessariamente migliore o più evoluto, ma sicuramente più armonioso nelle relazioni tra i suoi abitanti e gli altri esseri viventi. Runa era stufa di tutto il blaterare degli uomini che gridavano come pazzi, rinfacciandosi colpe e rivendicazioni, offrendo uno spettacolo riprovevole e aberrante. Molte volte aveva provato un intenso desiderio di isolarsi, di andare a vivere in un'isola deserta, ben lontano dalla costa. Se solo avesse potuto farlo. Era però sicura che non esistevano più isole con questa caratteristica perché doveva esserci molta gente con il suo identico desiderio. Era un pensiero che la riempiva di vergogna perché si rendeva conto che era diventata terribilmente asociale.

Però il sentimento era lì e non poteva ignorarlo. Sebbene a volte la sua mente volesse ibernarsi, il suo corpo abituato alle lusinghe del mondo attuale, resisteva. E nel kibbutz era rinata la sua speranza, aveva incontrato nuovamente un po' di fiducia verso gli uomini, la fiducia che aveva perduto da tempo. In contatto con gente che credeva in ciò che faceva, che aveva sofferto duramente ed aveva perduto tutto all'infuori del grande amore verso il proprio paese. Nonostante la pesante eredità del passato, era tornata per lottare con rinnovata energia e amore verso quell'angolo di terra. Runa pensava che se fosse stata più giovane le sarebbe piaciuto avere una figlia con David e l'avrebbe chiamata Sabra, Sabrina. Quel pensiero la scosse nel profondo e le provocò una risata secca, forte ed isterica.

Qualcuno si avvicinava. Si voltò. Era Esther con un fucile. Esther non disse niente. Le si mise vicino di lato. E aspettarono insieme, in silenzio. Improvvisamente un rumore. Arrivavano: Runa puntò il fucile. Esther fece lo stesso. Era la fine... forse il principio.

 
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agg. 15 novembre 2001