-
- "Il bambino si
appoggia sul nervo sciatico e questa è la cusa del
dolore che sente. Deve star ferma, a letto, riposarsi e
deve nutrirsi bene, il meglio possibile, insomma. " disse
il dottore, il vecchio Bovi, dopo aver visitato Giada, la
mattina successiva al nostro arrivo. E aggiunse:
- " Posso chieder chi è? Sì, insomma
con tua moglie morta , seppellita senza che tu ci
fossi,... e poi adesso arrivi con questa che sta per
aver... , insomma la gente chiacchera. E pensa, che
è peggio."
- " Era un'amica di Mara. Era in difficoltà
già quando siamo partiti. La gente può
pensare, può dire l'accidenti che vuole! Io non ho
nessuno cui render conto! O dovrei render conto alla
gente? "
- " Per un momento ho creduto di sentire tuo padre.
Stessa testa, per la miseria! Imparerai a rispettare la
voce della gente, lo impariamo tutti, lo farai per il
bambino, se non per altro. "
- " Non devo render conto di me. Questo è
tanto. "
- " Va bene. Vedremo. "
- Mi lasciò sull'uscio della casa del fattore
con quelle parole. Ero irritato, no, arrabbiato. Io, io,
che non avevo né padre, né madre, né
fratelli, né moglie, né figli, a chi sulla
terra avrei dovuto render conto e perché? Scossi
le spalle, ricacciai il nodo in gola e rientrai in casa.
Naturalmente l'Ernesta era tutta un lavoro.
- " Quando nasce? " mi chiese. Era
raggiante.
- " Il mese prossimo, ha detto. "
- " Vedrà che andrà tutto bene. A
proposito, bisognerà pensare a preparare un
briciolo di corredino... Voglio andare a vedere di sopra,
nel cassone, deve esserci qualcosa... "
- " Perché sei così... contenta?
"
- " Ma per il bambino, che altro! Se lo immagina un
bambino qui dentro? Dopo tanta morte... Poi i bambini
sono una benedizione del cielo, lo sanno tutti! E non mi
faccia perdere tempo! " Schizzò via.
- Mi fermai con le mani in tasca, guardando fuori
dalla finestra, a pensare. Era la testa delle donne, il
loro senso di maternità a farla da padrone, in
circostanze di quel tipo; una partoriva e tutte si
sentivano madri, nonne, zie. Mi domandai se sarebbe
cambiato qualcosa se l'Ernesta avesse saputo che la
stessa Giada, che pareva essere approdata a far il figlio
qua come una vergine smarrita, era invece una femmina di
malaffare e il bambino un bastardo, figlio di nessuno.
- No che non le sarebbe importato, la sostanza della
cosa non stava in chi fosse Giada, ma nel fatto che da
lei sarebbe nata una creatura e quella creatura l'Ernesta
aspettava di vedere, prendere in braccio, amare. Era
giusto, per tutti, certo lo era per me. Avrei dovuto
pensare al bambino in termini concreti, avrei dovuto
pensare a provvedere alle sue necessità. Lo
sguardo corse fuori dalla finestra ai campi lasciati a se
stessi da troppo tempo, si fissò sul ciliegio a
fianco del forno per il pane, simile ad una capanna con
la sua tettoia staccata dal corpo della casa vera e
propria, corse ai mandorli, rivide lontano lontano le
schiere di peri e di meli, le distese di grano e i
papaveri in mezzo all'oro delle spighe:
- " Dovrò rimboccarmi le maniche e lavorare
come un pazzo, sarà bello. "
- pensai. Credo anzi che mi venne da sorridere.
Chiamai Felix ed uscii per andare a dare un'occhiata da
vicino al futuro.
- Nel mese successivo, mentre Giada portava a
termine il suo tempo, io vissi nei campi, giorno e notte,
con il cane e due uomini che venivano dal paese e mi
aiutavano, perché c'era tutto da rifare, niente
s'era salvato dall'incuria e dalla devastazione. Di
giorno lavoravo fino a sentirmi a pezzi, passavo la notte
nella rimessa, in un angolo dove avevo portato due
coperte e la mia sacca. L'Ernesta mi portava da mangiare
lì e si fermava a far due chiacchere, a dirmi come
andavano le cose in casa, come stava l'amica della
signora e che aveva chiesto di me e che lei aveva detto
che, se Dio voleva, stavo fuori sui campi, ed era quello
il motivo per cui non mi facevo vedere, vero? e poi stava
preparando le cose per il bambinpo, e venivano proprio
bene, anche quelle vecchie, aveva avuto ragione a
tenerle, una volta lavate e stirate, un punto qui ed uno
là, parevano nuove, avrei dovuto proprio vedere! E
sì, il dottore veniva regolarmente e insomma tutto
procedeva come doveva.
- Non sapevo perché non mi andava di
ritirarmi in casa la sera. Era solo che non mi sentivo di
farlo, non volevo farlo. Così come non ero ancora
passato a fare un saluto a Mara, anche se lo desideravo,
anzi pregustavo il momento in cui mi sarei fermato
davanti alla sua tomba e avrei incominciato a raccontarle
tutto quanto.
- Mi ero fatto un discorso, punto per punto e lo
ripetevo nei campi a Felix che intralciava giocando fra i
piedi, sempre fra i piedi, come se non volesse
allontanarsi più di mezzo metro da me, anzi pareva
che mezzo metro fosse la distanza massima di sicurezza
che s'era proposto di tenere, mai un po'di più.
Altrimenti mi stava appiccicato alle gambe. Ripetevo
dunque il mio discorso a Felix ed era come un ripassare
una lezione, per esser sicuro di non dimenticare i
particolari o di non sbagliare l'ordine dei fatti, e
intanto levavo erbacce, facevo recinzioni, preparavo la
terra per le colture.
- La primavera era arrivata, con i peschi in fiore,
le rondini, il sole caldo, l'erba rinverdita e tutto
quanto fa primavera. Mi pareva di non aver mai visto
prima un cielo così azzurro e luminoso, qua e
là tinteggiato di sfumature pervinca e mi capitava
di sostare e fissarlo, limpido e fresco da sentir quasi
la voglia di annegarmici dentro. Una mattina vidi Felix
che trapestava fra l'erba sotto un pioppo e saltellava
abbaiando a qualcosa per terra. Pensai a una bestiola,
lasciai la vanga e andai a vedere, ci mancava che magari
si andasse a impelagare con le punte a uncino di un
riccio, e lo trovai che zompava allegro attorno a un nido
caduto dal pioppo. Da sempre mi aveva colpito l'arte che
la costruzione dei nidi rivelava, intrecci di rametti e
di di fili d'erba, perfetti esempi dell'istinto che porta
le creature a farsi non solo un riparo, ma una
casa.
- Ma con il nido, era caduto anche un piccolo di
merlo e a lui Felix indirizzava finte e ritirate, era un
cane di città, che cosa poteva saperne di merli?
L'afferrai per il collare e lo tenni fermo per farlo
calmare, poi mi chinai a raccogliere nel palmo il merlo,
con l'altra mano presi il nido e ve lo deposi dentro. Era
tutto becco spalancato a cercar cibo.
- Sopra di noi volava la madre e strideva il suo
richiamo. Mi allungai più che potei e posai nido e
merlo su un ramo basso, sistemandolo bene
nell'attaccatura del tronco, poi mi allontanai. La merla
volava e strideva. Mi allontanai ancora. La vidi
scendere, posarsi su un ramo alto, poi, con due voletti,
raggiungere il nido. Dio benedica gli animali,
perché sono così innocenti. Ripresi a
lavorare come al solito e a sera raccolti gli attrezzi,
andai nella rimessa. L'Ernesta non si vedeva.
- Fece scuro e niente ancora. Decisi di andarle
incontro e mi incamminai tallonato dal cane verso casa.
Era scuro ormai e le stelle si accendevano una a una,
sarebbe stata una notte da favola. La luce traspariva
dalle finestre, non aveva ancora chiuso le imposte: era
strano. Mi affrettai, perché mi era piovuto
addosso un senso di disagio che se ancora non era
preoccupazione, faceva però battere il cuore
più forte. Entrai in cucina e non c'era bessuno.
Poi sentii gridare.
- Il grido veniva dal piano superiore, lo seguii
salendo la scala ripida, da pollaio e mi fermai sul
ballatoio davanti al battente ora spalancato della camera
che era stata mia e di Mara. Sentii la voce dell'Ernesta,
calma, tranquillizzante e compresi che il bambino stava
nascendo, prima del previsto. Avrei dovuto ridiscendere e
aspettare, quelle erano cose per donne e medici al
più, io che ci stavo a fare? Ma non mi mossi, come
se i piedi si fossero radicati alle assi del pavimento,
non volevano proprio saperne di andarsene e portarmi
dabbasso.
- Chiamai " Ernesta? " e subito la testa della donna
si sporse dalla porta e lei mi fece: " Meno male che
è qui! Èil bambino, sa! vada a chiamare il
dottore, non so se da sola ce la faccio, non sono
più brava come un tempo... Vada, vada...
"
- Andai e trovai il Bovi e insieme ritornammo a casa
e appena entrati, sentimmo vagire.
- " E brava l'Ernesta! " disse il medico. " Certe
cose non si dimenticano mai! Era la miglior levatrice del
paese, da giovane. " Parlando saliva le scale.
- " E allora? Cosa abbiamo qui? Una femmina, che Dio
la benedica, una bella femminuccia! E la mamma, come sta,
la mamma?... " Le sue parole si persero all'interno della
stanza, affievolendosi nell'allontanarsi.
- Era dunque nata una bambina. Giada aveva avuto la
sua creatura. Alla faccia di tutto e di tutti. Sentivo
che annuivo soddisfatto come se fossi riuscito in una
qualche grande impresa, appoggiato al bordo della tavola
in cucina, di fronte alla gran stufa economica dalle
bocche rosseggianti. C'era disordine intorno, strofinacci
e pentole e piatti da lavare. Giada aveva una figlia che
sentivo strillare disperatamente, mi pare solo ieri che
sentii la voce di Mara per la prima volta, già,
perché l'avremmo poi chiamata Mara.
- " Signor Aldo, la guardi, come è bella! "
L'Ernesta mi tendeva un pacchetto di copertine di lana
bianca e azzurra, e ne scostava un lembo e lì, in
mezzo c'era il rosa di un visino piccolo piccolo, un
ciuffo di capelli neri dritti sulla sommità della
testa. " Èbella, vero? "
- " Èbella, sì. "
- " E il dottore dice che è sana e forte.
Meno male. Tutti i bambini dovrebbero esserlo. Le
assomiglia, anche... "
- " Non è mia, Ernesta, davvero. " Mi
fissò e mi parve che un'ombra di delusione le
passasse negli occhi.
- " Èun peccato. Ma la terremo con noi lo
stesso, vero? "
- " Per quel che mi riguarda, sì, certo.
"
- " Dove poi potrebbe andare? Di questi tempi...
così duri da viverci. No, la piccola sarà
contenta di stare con noi. E anche sua madre. "
- " Sicura? "
- " Certo che son sicura. La sua mamma mi ha
raccontato tante cose e non so se proprio tutte son
vere... o se... non importa. Comunque mi ha chiesto della
signora e le ho detto che era morta e credevo che le
scoppiasse il cuore dal piangere che ha fatto. Avrebbe
potuto dirglielo lei, invece d'imbucarsi nel capanno e
non farsi vedere. Ma gliel'ho spiegato, che lei era molto
legato alla signora e che aveva bisogno di tempo, il
tempo aggiusta tutto e adesso la bimba... Sì,
andrà tutto bene. "
- Invidiavo la sua sicurezza di donna provata dalla
vita che ancora credeva che tutto si sarebbe aggiustato,
come se conoscesse la formula di un qualche collante
miracoloso capace di reincollare cuori anime e menti. Ma
forse era proprio così. Mi tese la bambina. " La
provi a tenere un po'. " Sorrideva.
- Quando presi la piccola in braccio, mi si
imperlarono le tempie e mi sentii debole e fiacco,
definitivamente stanco, poi la bimba vagì, il
visino si contrasse e si fece rosso e d'istinto mossi le
braccia, cullandola: si calmò quasi subito.
- Continuai a cullarla camminando su e giù
per la cucina e percepii il tepore del corpo così
leggero e minuto, così indifeso, così
innocente... Era innocente, mio Dio, quanta innocenza in
quei tre chili di carne e di sangue! Mi innamorai di lei,
dei suoi vagiti, del suo sapore di latte, del rosa delle
sue mani perfette ed era appena nata.
- Una settimana dopo il parto, di pomeriggio, bussai
alla porta della camera da letto ed entrai. Giada era
seduta in poltrona vicino alla finestra con la bimba in
braccio. S'era ripresa bene e la pelle fresca riluceva
alla luce, gli occhi verdi sorridevano, i capelli erano
seta fine. Era ancora più bella di come la
ricordavo. Mi ero tolto il cappello giù in cucina
e mi ero dato una scrollata ai panni, ma mi sentivo
sporco e fuor di posto nella stanza che pur conoscevo
bene. Lo sguardo mi andò al letto dove avevo
lasciato Mara quell'alba di ormai quattro mesi prima, era
in ordine, le lenzuola perfettamente rimboccate, la
coperta ripiegata con cura.
- " Avrei voluto che salissi prima, avrei voluto
parlarti e ringraziarti... "
- " Non c'é bisogno di nessun ringraziamento.
"
- " Credo di sì. So, credo di sapere, che hai
fatto tutto questo per Mara, sono grata a entrambi...
Vorrei che Mara la potesse vedere , la bambina... Mi hai
ignorata, mi sono chiesta perché fossi venuto a
cercarmi, poi ho capito che pensavi di doverlo fare per
lei. Ècosì, vero? Non mi sono sbagliata?
"
- " Anche per me. Sentivo che dovevo farlo per tutti
quanti. "
- " E non vuoi che ti ringrazi. "Era una
constatazione.
- " Non è importante, dir grazie. L'ho fatto
volentieri. Non me l'hai chiesto. "
- " Non cambia molto. "
- " Forse. Ma neanche questo importa. "
- " Che cosa importa? "
- " Che sei qui e che lei sia qui. " Mi avvicinai e
tesi una mano toccando appena la piccola.
- " Avevo pensato di chiamarla Mara. "
- " Sì, mi piace che abbia il suo nome;
"
- " Le devo tanto... "
- " Anch'io. "
- Chinò il capo e baciò la neonata,
stringendola un poco più vicina a sé. Il
cuore mi si aprì alla speranza, i miracoli erano
dopotutto possibili. Con un po'di buona volontà.
- " Che cosa dovrei fare, dimmi... "
- " Fare? Che cosa vuoi dire? "
- " Voglio dire ... dopo... nei giorni a
venire."
- " Puoi rimanere qui, c'é posto per te e la
bimba. Se vuoi. "
- " Sei certo? "
- " Sì. L'Ernesta ci rimarrebbe male se te ne
andassi. "
- " L'Ernesta... è stata come una madre.
"
- " Rimani. "
- " Lo sai che non ho dove andare, ma non chiedo...
"
- " Aiuto? "
- " Non voglio esser di peso. Non ho fatto
granché nella vita, lo sai bene, a parte... quello
che era il mio mestiere. Vorrei far qualcosa. Davvero.
"
- " C'é tanto da fare qui: un mondo da
rimettere in piedi. "
- " Credi che possa aiutare ? Anch'io? "
- " Puoi fare la tua parte. C'é posto anche
per te. E vorrei che restassi qui con la bambina. Se ti
va. Se questa vita ti basta. "
- Alzò il viso e si volse a guardare fuori
dalla finestra: le tendine smosse dall'aria rivelavano
campi verdi e alberi e la curva del fiume e i tetti dei
capanni. Le prime api ronzavano.
- " Mi basta. " rispose. Allora le tolsi Mara dalle
braccia e scesi con lei in cucina, la coprii bene ed
uscii.
- " Dove va? " chiese l'Ernesta.
- " Torno fra poco. Felix!" chiamai. C'era qualcuno
a cui volevo farli conoscere.
- Lentamente mi avviai giù per il sentiero
verso il paese, passai il ponticello sopra il il fiume e
raggiunsi il cimitero dietro la chiesa. Era ben tenuto,
pulito dalle erbacce, le tombe curate, fiori di campo
freschi qua e là, una vecchia pregava seduta su
una panchetta davanti ad una lapide.
- L'Ernesta l'aveva fatta seppellire come le avevo
detto, a fianco di mia madre. Sulla tomba c'era una croce
e sulla croce un medaglione in metallo con il nome e la
data della morte, non avevo mai saputo quando era
nata.
- " Eccomi qui, alla fine. Ed ecco qui la piccola di
Giada: ce l'ha fatta. Ènata e se lo è,
è per merito tuo. Non ti preoccupare più
per lei: è viva, è qui, le baderò.
Sarà una bambina felice. Stai tranquilla adesso,
ci penso io. Giada vuole chiamarla come te. Èun
bel pensiero. Ti manda a salutare. Ti vogliamo tutti
bene. E, Mara, mi manchi, mi mancherai sempre, sei dentro
di me e ci starai fino... sempre. " Le raccontai tutto.
Sapevo che dovunque fosse, era contenta.
- La bambina dormiva fra le mie braccia come se
stessi cantando una ninnananna tutta per lei. Feci fatica
a togliermi da là, ma alla fine mi staccai da
quella croce e tornai verso casa, con Felix che correva
un dieci passi avanti a me, si rigirava, mi si
precipitava incontro facendo capriole, quasi ribaltandosi
nell'ansia di raggiungermi e poi ripartiva a scheggia.
L'Ernesta ferma sulla porta ci aspettava, tutti e
tre.
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