- Farfalle
- non aquile
- vincono l'oceano
-
- da Poesie di Karl Lubomirski Parte 1:
L'Immutabile
- L'inverno
s'avvicinava a grandi passi, un giorno dopo l'altro e noi
si viveva giorno per giorno. Ci si alzava alla mattina,
ci scambiavamo il primo sguardo, senza una parola, mentre
lei si dava da fare sul fornelletto ed io mi davo da fare
intorno alla stufa, si beveva il caffé, ormai non
ce ne era quasi più, poi io uscivo e andavo alla
ferrovia dove ogni giorno trovavo qualcosa da fare e
prendevo un po'di soldi, pochi, é vero, ma ce li
facevamo bastare. Lei mi veniva incontro sulla strada del
ritorno, e insieme compravamo da mangiare e rientravamo
tenendoci ogni giorno più vicini l'uno all'altra,
o almeno così mi pareva. Come se avessimo avuto
paura di perderci. E intanto si era fatto scuro, e la
nebbia invadeva i prati, s'infilava sotto le porte,
ovattava l'aria, smorzava i rumori, costruiva una
barriera spessa e tangibile fra le persone che alla luce
pallida dei fanali si rasentavano, si urtavano, non si
riconoscevano.
- La nebbia ci isolava dal resto del mondo, ci
coccolava, ci pervadeva di tranquilli silenzi. Ci amavamo
sulla branda, Mara ed io, ed ogni volta era più
bello della precedente, non perché ci inventassimo
giochi nuovi, ma solo perché imparavamo a
conoscerci meglio. Stavamo abbracciati ed io la sentivo
stretta a me come se fossi la cosa più importante
della sua vita, e sentivo il sapore dei suoi capelli e a
volte delle sue lacrime, le accarezzavo il viso e passavo
l'indice sulle pieghe intorno alla bocca che baciavo e
per quelle sue rughe di vita passata, di gioventù
distrutta l'amavo, senza pietà, con pienezza e
dolore insieme, consapevole del nulla che ero. Dopo
essere stato la sua ombra ero divenuto il suo uomo e Mara
era la mia donna.
- La sentivo stanca, anche se sorridente, a volte ne
vegliavo il sonno tranquillo, ma pieno di sfinimento. In
quei momenti avevo paura del passato e mi stringevo a lei
per sentire il suo respiro sul mio viso.
- Non parlavamo molto, non ci raccontavamo quello
che eravamo stati, pareva che non fosse importante, che
nessuna spiegazione occorresse fra di noi, era come se
fossimo nati la sera che c'eravamo incontrati e forse era
proprio così.
- Parlavamo delle cose del giorno, di quello che
avremmo fatto, dell'ora in cui ci saremmo incontrati, di
ciò che avremmo mangiato, del tempo sempre
più freddo, del cielo terso come una coltre di
cristallo sopra le mura sporche di una prigione, dei
rumori che ci circondavano, ma di noi, no, di noi, non
osavamo dir nulla, temevamo forse che ciò che
avremmo scoperto, spogliandoci della nostra reciproca
ignoranza, avrebbe potuto allontanarci, dividerci,
toglierci quell'alone luminoso che ci pervadeva il cuore,
illuminandolo con un fascio di lucciole balenanti lungo
l'argine di un fiume incontaminato.
- Le nostre vite lontane non avevano nessuna
importanza. Da tanto avevamo smesso di sognare bei sogni,
se mai l'avevamo fatto e comunque ormai la stagione dei
sogni era finita, la nostra giovinezza era stata ingoiata
da una qualche trappola infame che noi avevamo
contribuito a costruire credendo di correre dietro alla
realizzazione di un sogno più grande di noi. Per
questo non aveva importanza parlare. Mara forse pensava
che io sapessi di lei e della sua vita sulla strada, che
qualcuno me l'avesse detto, le voci corrono da un
maciapiede all'altro. Io non avevo niente da dirle,
perché nulla ricordavo di me e le voci tacevano
fra le sue braccia, il silenzio era meraviglioso, niente
echi di suoni laceranti né grida come d'animali al
macello.
- Non c'é niente di più perfetto del
silenzio dentro di te.
- Non ci eravamo create delle aspettative, lei era
stanca di delusioni e di inganni, lo lasciava capire,
glielo vedevo trasparire dall'oro degli occhi. A me
andava bene così. I suoi sorrisi erano lo
spettacolo più bello che mai mi era capitato di
vedere e lei me lo prodigava a piene mani. Le sue carezze
erano leggere e profumate, il suo amore dolce e
avvincente, si inarcava sotto di me e gemeva piano con
gli occhi spalancati nei miei. Mi disse una notte: "
Avrei voluto incontrarti tanto tempo fa..." e fu tutto.
La baciai ancora ed ancora e ci addormentammo tenendoci
le mani.
- Una sera tardi mentre Mara se ne stava seduta
sulla poltroncina a fiori vicino alla stufa calda ed io
ero sul pavimento, mi piaceva guardarla dal sotto in su,
non sapevo perché, come un mendicante forse o un
cane bastardo preso tante volte a calci che pure aspetta
una carezza, sentimmo bussare un colpo solo forte,
rapido, deciso e il viso di Mara sbiancò, le
labbra le tremarono, ma subito si riprese, si scosse,
alzò la testa e indurì i lineamenti del
viso. Andò alla porta e chiese: " Chi é?
"
- " Dai, apri, sono Raul, il vecchio Raul."
- " Vattene"
- " Dolcezza, ti conviene aprire. "
- " Ho detto di andare..."
- " Non vuoi sapere di Giada? "
- Mara appoggiò la fronte alla porta e le
spalle ebbero un tremito. Poi ebbe uno scatto e
aprì, ma solo un poco.
- " Che cosa le hai fatto? "
- La mano s'abbatté con forza sulla porta
spalancandola e Raul entrò.
- "Volevi tenermi fuori? "
- " Che cosa hai fatto a Giada? "
- " Giada? Ah, sì! La piccola Giada. La tua
giovane amica. Beh, sai come vanno le cose. "
- " No. Non lo so. Dimmelo;"
- " Sta'calma. Fatti vedere. Sei brutta, e vecchia.
Peccato. Comunque si può provare..."
- " Dimmelo! "
- " Questo non é il modo di parlare!
"
- " Dimmelo! "
- " Che cosa vuoi che ti dica? La piccola Giada
s'é rovinata da sola. E'scappata con la pancia
piena. Stupida cagna. "
- " L'avrai cercata, penso."
- " Certo, per fargliela vedere, puoi giurarci.
"
- " E...l'hai trovata? Sai dov'é?"
- " Sparita. Spero che marcisca all'inferno.
"
- Dal mio angolo vidi il sollievo dipingersi sul
viso di Mara. Raul non s'era accorto di me. Respiravo
piano.
- " Allora, mi offri qualcosa? No. Immagino che te
la passi male. Io potrei aiutarti."
- " Non voglio che tu mi aiuti. Non ho bisogno di
te. "
- " Allora, bella, mettiamola così. Farai un
favore alla piccola Giada."
- " Hai appena detto..."
- " Che é sparita? Vero. Che non so
dov'é ? Falso. Diciamo che la lascio stare, almeno
per un po', se tu mi dai una mano."
- " No, no, no..."
- " Neanche per Giada? "
- " Sei un maledetto..."
- " E tu una puttana. "
- " Che cosa dovrei fare? "
- " Qualche cliente, di bocca buona, certo, di
quelli che s'accontentano. Ogni tanto. Ci sono in giro
montagne di soldi, con i militari che hanno la bava alla
bocca..."
- " No, Raul, non voglio, ne sono fuori. L'hai detto
anche tu che ero fuori, finita. "
- " E'per Giada. "
- " Non puoi metterla così."
- " Ma é così. "
- " No. Tu vuoi che sia così, ma non é
vero. Io farei tutto per Giada, ma questo, no. Dimmi
dov'é. "
- " Dimenticatelo."
- Mara chinò il capo e mosse qualche passo
indietro, lui la seguì con lo sguardo,
percorrendole il corpo, dalla testa giù fino alle
caviglie e fu allora che mi vide, accocolato per terra.
Rimase immobile, senza parole quasi trattenne il
fiato.
- " E questo chi é? " fece espirando e
continuò: " Dove l'hai trovato? Sono questi i tuoi
clienti adesso? " Rise.
- Mi alzai da terra, lentamente. Raul era un
bell'uomo, era vestito bene, con pretese d'eleganza.
Sentii un ronzio nelle orecchie e mi parve di scorgere
l'immagine lontana di uomini e donne finemente vestiti
raccolti in una stanza ricca di quadri, di soprammobili
in porcellana, d'argenti luminosi, di cristalli
trasparenti dai mille colori nelle sfacettature
iridiscenti: era un'immagine che veniva da lontano e
sfumava lentamente nell'attimo stesso che si formava.
Neppure cent'anni di vita avrebbero permesso a Raul di
divenire simile ad uno di quegli uomini, se poi era
questo che voleva. Era impossibile. Ai Raul non era
permesso. Il fetore li accompagna sempre, per tutta la
vita e il profumo dei soldi non fa che sottolinearlo. Ma
Raul non lo sapeva, non ancora.
- " Dille dov'é." La mia voce risuonò
aspra nel breve spazio della stanza.
- " Chi sei? " La domanda fatidica.
- Scossi la testa.
- " Non lo vuoi dire? Non importa. "
- " Dille dov'é. " Ripetei.
- " Allora non hai capito. Io non le dico niente. Io
a lei non devo niente. Invece lei..."
- " Ti devo molto, vero? Lo credi davvero? Che cosa
ti devo? D'avermi messo sulla strada? d'avermi fatto
credere che mi amavi mentre volevi solo che io e le altre
con me ti mantenessero? d'avermi fatto abortire? di
questo devo ringraziarti? Della mia creatura che non ha
mai avuto neanche una possibilità di vita?
"
- " Hai messo tu queste idee in testa a Giada. Solo
che lei almeno ha avuto coraggio. Ha cercato di far
qualcosa. Tu no. Qualche lacrima, qualche protesta e
basta. Ti sei arresa. Adesso che cosa vuoi? Che ti chieda
scusa? Hai fatto le tue scelte. Hai scelto di fare quello
che sapevi far meglio, no?"
- " Hai ragione. Sono stata una vigliacca. Sempre.
Non ho scuse. Non ne cerco. Ma tu non hai mai avuto
pietà. "
- " Dille dov'é. " Sentivo la mia voce
stridere. Raul mi ignorò.
- " Invece me ne vado. Sai dove trovarmi, se cambi
idea. Solo così ti dirò di Giada.
"
- " Dille dov'é. " Mi ero avvicinato, gli
misi una mano sul braccio e strinsi forte. Sotto la
stoffa, la carne mi parve flaccida, quasi priva di
muscolatura. Si girò verso di me, era arrabbiato,
furibondo:
- " Levami le mani di dosso, pezzente !"
- Lo spinsi contro il muro e gli sbattei la testa
contro la parete: rimbalzò.
- " Diglielo. " Strinsi il suo braccio con
più forza, mentre con l'altra mano lo artigliavo
alla gola. Mi veniva facile, come se fossi stato abituato
a farlo, da sempre.
- " E'sparita. Davvero. Non scherzo. Ho una donna in
meno. C'é molta richiesta. Per questo ho pensato a
Mara. " Poi aggiunse con una qualche velenosa
soddisfazione:
- " Forse é morta. "
- Si girò verso la porta e fu fuori, in un
lampo.
- Mara chiuse la porta con delicatezza, senza far
rumore. Rimase immobile, il viso al battente, la schiena
girata verso di me, come una statua, una bambola di
pezza. Vidi che annuiva, muovendo lentamente il capo: "
Sì, sì, sì..." era come se dicesse
di sì per tutto il tempo a venire.
- Dopo un minuto lungo quanto una vita, si scosse e
si girò: incontrò il mio volto e mi
sorrise, bianca in viso come un cencio, ansava
leggermente e contraeva le mani. Cercò di
acquietarsi, prese a passarsele sulla gonna grigia, su e
giù, su e giù, lungo i fianchi, ma le mani
le tremavano.
- " Vieni, le dissi, vieni a sederti. " Le indicai
la poltroncina.
- Scosse il capo, ma poi si lasciò andare
come se le gambe le avessero ceduto d'un tratto.
- Si appoggiò allo schienale, chiuse gli
occhi e disse:
- " Da bambina mi vestivano con un abitino bianco e
rosa per andare alla messa, la domenica. Odiavo quell'
abitino. Dovevo stare attenta a non sciuparlo, a non
sporcarlo, odiavo le scarpine di camoscio beige con il
cinghino sul collo del piede, perciò odiavo andare
a messa. E odiavo la domenica. Mio padre non andava al
lavoro nei campi e se ne stava a casa, a fare il padrone,
prendendo a calci mia madre fino all' ora della siesta
pomeridiana, quando le diceva: " Muoviti, sali." Lei
saliva su per la scala di pietra e si chiudeva alle
spalle la porta della camera e dopo un po' ridiscendeva,
ogni volta con un po' di luce in meno negli occhi,
finché di luce non ve n' era restata più e
gli occhi erano solo buchi neri e profondi come il pozzo
nell' aia grande sotto il sole: come se l' avesse
divorata. Andavamo tutti a messa la domenica, con i
vestiti buoni, lavati e pettinati, una bella famiglia, ed
io ascoltavo le parole rimbalzare sulle pareti della
chiesa del paese e il prete parlava e sbraitava
dell'inferno , c' era sempre l' inferno nelle sue parole,
quell' abisso infuocato che tutti avvolgeva e divorava,
tutti quelli che facevano il male, le cose cattive, che
avevano i pensieri cattivi. Io odiavo l' inferno e ne
avevo paura. Maledetto prete.
- Chissà se mio padre é andato all'
inferno, lui a prendere calci da qualche diavolo deforme,
invece che a darli, lui che poi aveva finito per portarsi
su nella camera, la domenica pomeriggio, la figlia dello
zoppo, che era venuta a lavorare in casa, " per aiutar la
vecchia", che poi era mia madre. Mara si chiamava la
bambina con l' abitino bianco e rosa che sono stata, Mara
mi chiamava la maestra, Mara mi aveva sussurrato nell'
orecchio Luca, prima di sverginarmi dietro la cascina,
alla luce delle stelle e io avevo pensato: " Adesso vado
all' inferno. " E infatti ci sono andata, all' inferno.
Da viva.
- I soldi. Non avevo soldi e avevo fame e mio padre,
mio padre era una bestia e non gli ho mai perdonato
quello che mia madre aveva sofferto per causa sua. Me ne
sono andata quando lei é morta, via, lontano, per
cercare qualcosa di bello.
- Ci deve esser pur qualcosa di bello, mi dicevo.
- Ma ero solo una di campagna che arrivava in
città e s'incantava fra le luci e le signore
eleganti e l'abbondanza tutt'intorno e...ero giovane, ero
solo giovane. Avevo sempre lavorato in casa e nei campi.
- Ho fatto la sguattera, ho lavato i panni dei
signori, la loro biancheria di seta fine, fino a
spellarmi le mani e la sera guardavo il fiume scorrere
sotto la luce delle stelle e pensavo, domani domani
accadrà qualcosa di bello, anche a me,
domani.
- Fu così che un domani, incontrai Raul e lui
era gentile, simpatico, e mi corteggiava, me ne
innamorai, credetti d'aver trovato il meraviglioso.
- Mi ritrovai sulla strada, come una povera scema
non avevo capito niente e Raul...sì, ha ragione:
potevo ribellarmi e non l'ho fatto. Forse ne ero talmente
innamorata ed avevo una tal paura di perderlo che...Ma
quando sono rimasta incinta, e mi sono lasciata metter le
mani addosso da quella vecchia laida che mi ha tolto il
bambino, allora dovevo trovar la forza di puntare i piedi
per terra e gridare di no.
- Invece niente. Ho lasciato che uccidessero il
bambino.
- E dire che l'avrei voluto quel figlio, l'avrei
voluto tanto. Ma avevo paura, per me e per lui. Il figlio
di una puttana. E che cosa mai sarebbe importato?
- Magari sarebbe stato un buon uomo, o una brava
figliola, magari avrebbe fatto del bene, avrebbe aiutato
qualcuno. Troppo tardi. Avrei dovuto pensarci prima.
- Me lo sogno, sai, il mio bambino, é sempre
un maschio, adesso avrebbe otto anni, é come se lo
vedessi crescere, se lo accompagnassi a scuola, se
sedesse accanto a me sul tram. Lo vedo crescere, ha
grandi occhi scuri e capelli castani, come mia madre, a
volte credo che lo potrei toccare tanto é vivo nel
mio cuore. Mi guarda e ride, é contento, sarebbe
stato un bel bambino felice.
- Non me lo potrò perdonare, mai."
- Le posai una mano sulla spalla: fissava le lingue
rossastre che lambivano lo sportello nero della stufa,
forse ci vedeva figure strane e grottesche, forse cercava
di ricomporre le parti del passato a formare un unico
quadro che le desse la chiave di se stessa.Una ragione
per gli errori, per il dolore, per l'irrimediabile.
Chissà che cosa vedeva o credeva di vedere Mara.
Compresi che da otto anni si stringeva al petto la colpa
d'aver tradito la sua maternità. perché le
colpe si cullano a lungo, dentro, già. Per tutta
quanta la vita, a volte.
- Mossi la mano, le strinsi la spalla. Alzò
il capo e mi guardò.
- " Scusami " disse.
- Di che cosa doveva scusarsi? Con me, poi. Forse
anche lei sentiva delle voci, la voce del bambino, che
cambiava con il passare degli anni, dal pianto del
piccolo appena nato, ail ciangottare, alle prime parole,
alla prima frase, un po'smozzicata...
- " Non potrò aver altri figli. " disse
alzandosi e fu come se chiudesse la porta sbattendola
forte davanti ai giorni che l'attendevano, o che ponesse
un mazzo di fiori di campo davanti a una lapide in mezzo
al verde di un gran prato.
- " Ero molto giovane...e stupida e ...avevo paura.
Di non farcela. Gli ho dato retta. Ma é stata solo
colpa mia. " Guardava in alto, la luce pallida della
notte che entrava dal finestrino e scosse le
spalle.
- " Lo sogno spesso, quel figlio. Mentre c'era la
guerra e tanti ne morivano, mi son detta: " Hai fatto
bene, non avresti potuto dargli niente, miseria fame
disperazione. " Ma non é vero. La vita gli avrei
dato, una possibilità.
- Di notte mi rimprovera e mi chiede: "
Perché? " e il perché sta nel fatto che ho
pensato di più a me che a lui. Capisci? L'ho
ammazzato.
- I figli si difendono, si proteggono, si curano, si
amano. Io, il mio l'ho buttato nella
spazzatura."
- " Sei dura. Dovresti perdonarti, lui ti ha
perdonato."
- " Credi? Vorrei esserne sicura. Vorrei avere
un'altra possibilità, ma non ce l'ho. Forse
é per questo che ho cercato d'aiutar la Giada, in
qualche modo. Perché potesse, lei, metterlo al
mondo, il figlio."
- " Ce la farà."
- " Lo spero tanto."
- " Dove pensi che sia andata? "
- " Non lo so. Non é tornata dai suoi,
perché non aveva nessuno cui tornare, le era
rimasto solo un fratello, che è morto in Africa,
povero cristo. E la casa distrutta. Non aveva molti
soldi, perché Raul ci stava attento e la teneva a
corto, per paura che si montasse la testa. Poteva venire
da me. Deve aver capito che qui Raul la poteva trovare
quando voleva."
- " A chi potremmo chiedere? "
- " In giro. Alle altre. Chissà. Ma aveva
troppa paura per parlare. Anche con loro. "
- Chinò il capo fra le mani e si passò
le dita fra i capelli.
- Poi, decisa, andò alla tenda, la
tirò: comparvero le grucce con gli abiti. Ne
trasse il cappotto scuro, lo infilò.
- " Esco." disse
- " Vengo con te. "
- " No. Meglio di no. "
- Aprì la porta e fu fuori, in una folata
d'aria fredda che si consolidò nella stanza prese
la forma indefinita di una presenza estranea.
- Allora mi ritrassi in me stesso e ricucii gli orli
della mia tunica d'ombra e senza peso e senza anima fui
nella strada sui suoi passi a cercare la pista calda del
suo cuore.
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