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Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Fabrizio Orlandi
Ha pubblicato il libro

Fabrizio Orlandi, La finestra di confine,
editrice Montedit, 1998,

pp. 32, Lit. 3.500, ISBN 88-86957-34-3

Prefazione

È diventato molto difficile parlare d'amore, oggi. Per la verità sembra che sia diventato difficile parlare "davvero" di qualsiasi cosa. "Davvero," cioè con parole che non suonino usate, abusate, leziose, retoriche, inutili, sovrabbondanti. Tutto ciò può sembrare strano, dal momento che viviamo in un mondo governato dalla carta stampata e regolato dai ritmi della televisione, entrambi domini della parola. Possibile che la loro lunga frequentazione non ci abbia insegnato nulla? Ebbene, sembra proprio di no. Il fatto è proprio questo: il frastuono delle parole si è fatto così assordante e fastidioso da coprire in buona parte il suono delle cose. Un vero ingorgo. Del resto qualsiasi cosa, anche la più preziosa, a furia di strattonarla di qua e di là e di vedersela sempre davanti, finisce col venire a noia. E difatti quanto più si moltiplicano le trasmissioni, le riviste, i giornali, i periodici, le edizioni di qualsiasi cosa, tanto più i lettori declinano volentieri l'invito. A volte vien da pensare: come dar loro torto? Anche chi di carta stampata vive avverte il disagio profondo di una comunicazione che non comunica più nulla se non se stessa, come una specie di orrendo Moloch autogenerante e indistruttibile.
Ah, il silenzio. Che musica.
Ma l'uomo rimane pur sempre un animale sociale, comunicativo. Ha bisogno di raccontare e raccontarsi, così come gli occorrono aria pane e acqua. Sono tutti bisogni primari. Per questo è necessario che timidamente, con estrema cautela, riprenda a percorrere i sentieri della poesia e della letteratura, arti sublimi e decadute la cui peculiarità sta nel non avere né prezzo né mercato se non come incidenti di percorso del tutto alieni dalla volontà dell'autore. Poesia e letteratura in quanto forme d'arte e manifestazioni di genio (non nel senso di superiorità intellettuale ma in quello di intima e inscindibile unione tra impulso a scrivere e capacità di farlo), ben diverse quindi da quanto si trova solitamente entro best-sellers ben confezionati dopo accurate indagini di mercato. Non bariamo, signori. Nessuna rutilante copertina con titolo esotico o provocante-provocatorio potrà mai far sì che le pagine che nasconde (fateci caso. Più le copertine sono ornamentali più la loro funzione di semplice contenitore di pagine si amplia sino a diventare coperta e nascondiglio) diventino letteratura. I silenzi, la musica, l'armonia profonda, il dolore, la gioia, lo stupore, le pause, la velocità: niente di ciò si può costruire a tavolino. O lo mette l'autore, cavandoselo dal cuore con gocce di sangue e sudore, o niente.
Salutiamo con particolare favore, quindi, le iniziative che tendono a porsi volontariamente fuori dal mercato, che non hanno pretese di sfondare classifiche o collezionare diritti d'autore, ma che cercano di recuperare gli aspetti più autentici e puri della comunicazione. Percorrendo i suoi sentieri più accidentati, rispolverando con soffio delicato le parole, ritroveremo forse un po' di noi stessi.
Eccoci allora a questo libretto, "La finestra di confine", dedicato dal giovane poeta Fabrizio Orlandi alla donna che ama. Ci sono alcune poesie che parlano d'amore, è ovvio. Ma non in rima con cuore, ed è già molto. Parlano d'amore senza quasi nominarlo, aggirando i moti dell'animo con circospezione, cercando di non far svanire l'emozione per il troppo circoscriverla, dettagliarla. L'amore, si sa, è una faccenda delicata. Se si prende di petto, si rischia di farlo scappar via. Come scriveva Neruda: "vorrei fare a te quello che la primavera fa agli alberi". Ecco, nel ventesimo secolo è possibile parlare d'amore solo così, per allusioni. E Orlandi ci prova, trovando una sua misura espressiva: "ogni volta che vedo un lampo / penso a Qualcuno che ti fotografa / per la sua collezione personale". E si ammonisce: "l'accademico spulciare negli alveoli / di un'ascesa sentimentale, / avvelena l'intuito / fino a disorientarlo". Meglio dunque abbandonare la lente d'ingrandimento che viviseziona le emozioni e abbandonarsi a immagini, echi e richiami dai quali scaturirà, come in un gioco di specchi, l'idea stessa dell'amore. Che, per la verità, viene sì esplicitamente nominato, ma solo una volta, nella lirica d'apertura che ha sapore un po' programmatico e intenzionale, come di avvertenza. E difatti quella stessa lirica non rinuncia, comunque, al piacere dell'allusione né nasconde che si sta parlando di un mistero che convenzionalmente si chiama amore ma alla cui essenza ci si può avvicinare solo per assonanze ("queste ascese interiori, / con cui ogni giorno / verso un po' della mia anima nella tua, / sono una parola / di quella frase che mai conosceremo, / sono il piatto vuoto / di un contenuto miscelato col mistero").
Ma "La finestra di confine" non è solo poesia d'amore. È anche poesia del dubbio, della rabbia, della delusione, della solitudine. Né poteva essere altrimenti: sono queste le stigmate dell'uomo moderno, la cifra del suo esistere, le sue inseparabili compagne. "Se mi guardo allo specchio / c'è un punto interrogativo / che parla con la mia voce" - scrive l'autore. E ancora: "la tua verità / è uno specchio senza riflesso. / Attendo e scruto risposte". Il tema dello specchio e del doppio, così caratteristico della letteratura di tutto il nostro secolo, viene qui ripreso; ma non in ossequio alla tradizione, bensì per una consapevole e sofferta presa di coscienza individuale. La poesia di Orlandi si caratterizza infatti per una sua spiccata autonomia, per un uso libero e creativo del verso &endash; che viene spezzato, manipolato, troncato come fosse materia viva da plasmare &endash; e per una ricerca di modalità espressive tratte dalla lingua parlata e inondate di odori e sapori concreti in cui si inseriscono, a sorpresa, immagini incorporee di fantasie, sogni o deliri ( si veda ad esempio "Mi scuso per l'arredamento", poesia particolarmente ben riuscita per l'impudico attacco che sa di "legno marcio e pesce fritto", cui poi si sovrappone l'aerea visione di cavalli lanciati al galoppo - e li si immagina correre sulla battigia grazie all'accorgimento poetico che tronca il verso precedente proprio sulla parola mare; ma anche quest'immagine subisce un repentino spostamento di significato, e i cavalli stessi assumono le sembianze di belve davanti al "disabile / tarchiato come una bestia / da inviare / in qualche posto sconsolato"). Si avverte dunque la ricerca, già piuttosto sicura, di un uso personale di simboli e immagini, la volontà di non accontentarsi dell'uso codificato dei significati per cercarne di nuovi, dai quali possa nuovamente scaturire la scintilla della vera comprensione. Un lavoro difficile, ma di quelli che valgono la pena. Sia per il poeta, sia per i lettori.
 
Olivia Trioschi
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Inserito il 12 gennaio 2001