Autori contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Fabrizio Orlandi Ha pubblicato il libro
Fabrizio Orlandi, L'Occhio chiuso della notte Collana I gigli (poesia) - pp. 20 - L. 4.000 Euro 2,07 ISBN 88-8356-106-6 Prefazione
Fabrizio Orlandi ci regala con questo volumetto, preziosamente curato e piccino, com'è sua abitudine, liriche e pensieri la cui brevità non giustifica una lettura veloce: molti sono infatti i sentieri sui quali ci si può inoltrare partendo da questi versi; molti sono, anche, i rimandi interni al testo, suggestivi e ricchi di significato come sanno esserlo le spirali, che si avvolgono su se stesse ma nello stesso tempo si protendono verso l'infinito. Basterà notarne uno, di questi rimandi, forse il più visibile. Al lettore attento non sfuggirà, infatti, che la prima parte e la decima - ossia l'inizio e la conclusione della raccolta - sono in qualche modo speculari: il binomio castello-occhio aperto/notte-occhio chiuso gioca con se stesso, invertendo e mutando alcuni termini, sicché diventa successivamente io-occhio chiuso/notte-occhio aperto. La notte, da luogo del buio e della cecità, diventa così un sorta di grandioso, magico occhio attraverso il quale proiettarsi in spazi siderali, dove le consuete categorie spazio temporali saltano; risultato cui si arriva solo a patto di varcare l'incantato portone di un castello, forse metafora della conoscenza umana, e di annullare volontariamente la propria limitata e finita visuale, chiudendo cioè l'occhio della comprensione razionale. Ovunque nella raccolta si coglie questo costante rimando dal particolare all'universale, dal mondo degli uomini a quello della natura (una natura intesa come serbatoio di segni e significati che vanno ben al di là della loro mera realtà fenomenica): così la torre si conficca nel cielo, il cortile è un cerchio di foglie, l'orologio è un vecchio mago e la fontana un ragno. In questa vera e propria "foresta di simboli" (forse la citazione baudleriana non spiacerà a Orlandi) il poeta si aggira; ma, e qui c'è un elemento di originalità, l'atteggiamento non è tanto quello del sacerdote compreso del suo ruolo di iniziatore ai misteri del mondo (tanta serietà potrebbe apparire sospetta al disincantato lettore di fine millennio) bensì quello, vagamente autoironico, dell'uomo moderno che ha abbastanza rispetto dei propri miti da poterci anche sorridere sopra; ecco allora che le atmosfere solenni, le grandi aperture, le immagini mitiche, vengono ricondotte alla più umile quotidianità (letti, vasi di fiori, azioni del tutto marginali come salire le scale) e concluse in versi che pongono in collisione stile solenne e stile basso; la chiusa dei versi ha talvolta la rapidità e l'essenzialità del motto e le similitudini accostano senza timore i sogni ai peli superflui. Orlandi procede così a una demisti-ficazione del linguaggio poetico ma, allo stesso tempo, gli restituisce nuova forza e vigore perché, disorientando il lettore, gli impone in realtà un'attenzione nuova e una nuova visuale. Ecco perché questi sono versi che lasciano tracce profonde: ben più che un pretesto - come scrive Orlandi - per tornare.   Olivia Trioschi
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