LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Poesie tratte dal libro
- Pasqua Rossella Armenise
- Se sei Dio io ti conosco Dacci oggi pane e verità
- Collana Fonopoli-Parole in movimento
- 15x21 - pp. 48 - L. 15.000 - Euro 7,75
ISBN 88-8356-109-0
- Introduzione
- Dacci oggi pane e verità
- Riconoscere i segni dei tempi, "dire Dio all'uomo di oggi": è la sfida della Cristianità nel terzo millennio, è l'urgenza di combattere un'anomia che avvertiamo come insidiosa, che sentiamo costantemente minacciosa.
- È, però, anche il nuovo impegno di una fede che non vuole estinguersi, che è passione pura. E la sfida non è più raggiungere chi non conosce Cristo, bensì riportarlo dentro di noi, rievangelizzarci, lasciare che permei di nuovo il cuore, inondi le anse della mente. La sfida è pagare i prezzi, perseguire la verità, accogliere (e non sullo scranno più basso). Lasciare che l'Uomo della Croce si incarni in noi per essere fuoco, spada, per non riposare al sabato. Per amare un mondo irrazionale e violento in cui pure siamo chiamati ad essere, interpellati dal dolore, dai disagi, dall'indifferenza. Lì dove è più facile distruggere, ma si deve ricostruire, dove è più facile pregare, ma si deve amare, dove chiediamo il miracolo di spenderci.
- ... Allora il nostro stesso desiderio
- avrà bruciato tutte le cose di prima
- e la terra arderà dentro un unico incendio
- e anche i cieli bruceranno
- in quest'unico incendio
- e anche noi, gli uomini,
- saremo in quest'unico incendio
- e invece di incenerire usciremo
- nuovi come zaffiri
- e avremo occhi di topazio:
- quando appunto Egli dirà
- "ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"
- allora canteremo
- allora ameremo
- allora allora ...
- D. M. Turoldo
- I
Sfioro le acque nella violenza del vento: Ti cerco
- I pioppi
- Hanno abbattuto i pioppi
- dove nidificavano gli aironi.
- Nei ricordi le gore del fiume,
- atmosfere malinconiche e nebbiose.
- Siamo solo zattere nella foschia,
- legni galleggianti
- tra le cateratte del tempo,
- tronchi che cercan
- di arrivare alla foce,
- là ove è chiuso
- tra le due porte il mare,
- ove s'infrange
- l'orgoglio delle sue onde.
- E facciamo talvolta naufragio
- tra gli inquieti flutti,
- attendendo metamorfosi
- di vortici in ordini.
- Ma sui cespugli
- ancora si posano i passeri.
- Loro, del cielo padroni,
- loro hanno ali per fuggire dal male.
- Ai nidi
- Già glauco,
- il cielo spezza il sortilegio dei sussurri.
- Si negano gli echi,
- si precisano i contorni:
- altezze che tornano a farsi irraggiungibili.
- Non abbiamo che radici intrecciate
- tra le rughe di terra,
- assetate e protese.
- E siamo di nuovo piegati,
- di nuovo a raccogliere amore,
- tra i riflessi cenerini
- delle luci d'inverno.
- Chinati,
- a cercarlo nei gesti
- che ci salvan dall'esser randagi.
- Naufraghi,
- tra le memorie accatastate.
- Tempo lungamente atteso,
- il ritorno ai nidi,
- quando il dolore
- ci fa mendicanti
- e da soli non sappiamo chiudere le ali.
- Posti di silenzio
- E manca
- quello che di te
- a me non fu mai dato
- e che vorrei sapere dentro,
- non fatto di parole, inconsistente,
- ma d'anima dell'anima.
- Sono oggi
- posti di silenzio,
- dove s'ode
- solo il tempo scolpire,
- dolce di pace,
- malinconico d'oblio.
- Lontana vela
- che lascia orizzonte
- e libera cielo nuovo.
- Per attendere l'evento
- che sarà innocenza.
- Prenderà
- Mani e braccia,
- sarà cuore,
- lamento,
- umana ostensione.
- Coltiverà
- quella speranza tenue,
- che fiorisce dentro,
- raggio di mezzanotte,
- sole raro
- di bene mai consumato.
- Detriti
- Ombra che passa,
- il tempo ignaro,
- al quale il futuro
- finge di saldarsi.
- Non si incontra
- che con gli attimi smarriti del presente
- per improvvisarsi, riottoso.
- Onda che si gonfia e s'alza,
- spaventa,
- che poi si cheta, si perde.
- Le scorie,
- son quelle da portare via.
- Detriti.
- L'animo cementa, compatta,
- ma l'onda si gonfia,
- spaventa.
- Voci che si spengono,
- le parole
- e si consegnano al passato,
- senza pudori.
- Non si incontrano
- che con gli attimi smarriti del presente.
- Pellegrinaggio
- E quando
- - corpo, lacrime, dolore -
- deporrai la croce
- ai piedi del Golgota,
- non più salirai.
- Perché s'accorgano che già,
- da ogni spina penetrato e trafitto,
- già sudi sangue.
- Ferma i tuoi passi:
- nessuno s'inginocchierà al legno.
- Maledetta stirpe
- che non più sale
- la salita alta,
- s'immiserisce
- del peccato di chi non ama.
- Ubriaca,
- sveste i panni del Cireneo.
- E se
- - corpo, lacrime, dolore -
- deporrai la croce
- ai piedi del Golgota
- ricordati di me
- quando tornerai dal Padre.
- Divisero le mie vesti,
- tirandole a sorte,
- s'avvicinarono
- per darmi da bere aceto.
- Abbandona la croce
- nel luogo del Cranio
- perché non ridano più di me,
- Signore delle spine.
- E si spalanchi il cielo
- e sia tempesta all'ora nona,
- ma non periscano i giusti.
- Lascia vuoto il sepolcro
- per tornare da Lazzaro,
- salvare Maddalena,
- apparire.
- Fiumara
- Ad occhi chiusi
- questo ... non è che il mio continuo tormento ...
- a te consegnerei
- vorrei iniettarti
- o assieme berne
- per non tornare
- sui passi di sempre.
- Ameresti
- anche il sorriso incerto.
- Nei pori saresti e nel ventre,
- cuore.
- All'amore
- correrebbe anche la paura,
- la storia convulsa dei miei anni.
- Trasfondere vorrei
- ogni cosa appartenuta
- e saldarti alle idee,
- così poco assolute
- in equilibri soltanto apparenti,
- ma lo sguardo cerca
- per non trovare che verità scadute.
- Non posso che rapirti l'anima
- e incontrarti e stupirti.
- Conoscerti
- dove la mente si liquefa, scorre nel sangue,
- nella fiumara arsa
- delle passioni vere,
- che non mi dirai.
- Dietro i tronchi
- Se di nuovo è fiorita la ginestra,
- è segno
- che ancora passano gli inverni,
- si sciolgono geli.
- È segno
- che un po' incerti, confusi,
- ci liberiamo di vesti consuete
- per tornare a nasconderci
- dietro i tronchi di questo giardino,
- per disegnare campane sul selciato
- e rincorrere sassi saltando.
- Se di nuovo, tra il cemento,
- il ciliegio è rivestito di rosa,
- è segno
- che ancora posso provare a giocare,
- parlando a bambini
- di come si fa a diventare uomini.
- Come si fa a diventare uomini...
- Per vedere
- fiorire ginestre e rivestirsi ciliegi,
- fra il dolore e il cemento,
- sui margini di selciati
- senza tronchi, né campane, né sassi.
- II
La croce diversa
- Luci di cielo spento
- Solo solchi di terra amara
- e sui margini assetati, lontani e selvaggi,
- gli steli vacillanti.
- Variopinti di ombre mai vere,
- miriadi di pensieri imperfetti
- si laureavano illusioni,
- cercavano il ciglio della strada pietrosa,
- curvo di vita.
- Per attendere
- luci di cielo spento
- e speranze e parole e gesti.
- Tu,
- che non volevi essere il sole malato,
- sempre
- a sfidare il buio
- chiamavi, rabbiosa.
- Era il dio dei dimenticati
- che osservava.
- Non eri, non eri
- il ramo da tagliare!
- Il seme fruttifero, invece,
- la testata d'angolo.
- Per quel dio solitario
- che chiedeva crociate senz'armi,
- che fece le membra
- Tabernacolo e pena.
- Adesso non c'è più paura,
- non della tua rabbia,
- non del mio dolore:
- ti so,
- celeste e lieve
- come questo mese
- nuovo di venti e di promesse,
- campo fiorito e di spighe verdi.
- Ti so
- dove non s'odono pianti,
- ma onde di ignoto
- trasfigurano in pace.
- Ti so,
- sconosciuta e sorella,
- serena e dolente,
- bianca di morte
- e polvere di cielo.
- Albedo
- Sei andata via.
- Tu, sorriso donato alla terra!
- Sei andata dove
- gli dei hanno ali di farfalla.
- A spargere fiori. A distribuire polline.
- A conoscere gli incantesimi del mare,
- che oggi racconti.
- Sei andata via,
- pietosa come vento d'autunno
- chinato a raccogliere foglie.
- E sei astro
- che lenisce di albedo l'immenso.
- Hai voluto lasciarmi il tempo,
- ma al tempo tu manchi.
- E l'amore conosce ormai lacrime.
- Frammento di cometa,
- troppo veloce, troppo veloce
- folgori volte concave e nere
- chiuse sui giorni solitari,
- promesse di un quasi domani.
- Sei andata via,
- dagli occhi, dalla pelle.
- Delicata,
- ma hai portato via le primavere.
- Indugi
- Erano giorni presi in prestito
- per abituarsi ad amare di meno,
- al presente.
- Giorni in cui salutavi
- senza proferir parola,
- egri di sole pallido.
- S'illimpidiva il canto
- della vita sfuggente:
- non erano falci che mietevano,
- ma il redire della speranza
- che s'era fatta cielo.
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