LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Poesie di
Carlo Carrea
- Accordando
- Estivo indolente
- bradipo molle pensiero
- da un ramo ad un altro
- lento rifugge
- le spine ed i fiori
- lascia cadere
- ogni impegno e vuota
- la mente mantiene
- nel rapido passo di agosto
- fremendo zitto si posa
- su un arido arbusto
- e attende
- che piova l'autunno
- e riporti la voglia
- riprenda il tempo il suo giro
- il suono dianzi perduto
- di nuovo accordando
- con l'inveniente scurirsi
- del giorno.
- Ritmo d'autunno
- Signori d'ottobre l'acqua
- e il primo freddo astutamente
- si sono intrufolati tra le pieghe
- caduti ormai sono le uve il vento
- tiepido nuovi colori all'occhio vitrei
- si parano bagnati come le lucenti strade.
- Non torno al mare che adesso
- sa di piombo e si riveste piano
- pensosa ballerina malinconica
- dopo lo spettacolo solare.
- Qui tra le colline un misto di sollievo
- ed oppressione dentro sale
- fondendo tra loro il chiarore
- nebbioso e l'avanzare cupo della sera.
- Mentre le parole rade
- anch'esse hanno nel formarsi
- l'impronta del vecchio
- sempiterno ritmo sincopato
- che testardo si ripresenta
- e come ricordo impresso delicatamente
- batte sul vetro e dopo tace.
- Ho perso il fuoco
- Ho perso il fuoco
- solo rare scintille scoccano
- nel tentare la selce
- invano.
- Tremano i miei occhi ancora
- perché ricordo
- quanto facile mi era
- un tempo.
- Vedo in visi altrui divampare
- il medesimo lampo
- ne riconosco l'ardore
- il caldo.
- Ma non mi tocca più
- ormai io sono un refrattario
- squadrato mattone
- diaccio.
- Basta soltanto
- I giorni si ammonticchiano
- come gli autunnali cumuli sul Tobbio
- mozzando la cuspide
- con il loro piatto fluire.
- S'ingemmano a fatica
- pure se la linfa è pronta
- ma per il troppo freddo
- annaspa il colore nel grigio.
- Trovo in minuscole aritmie
- confusi motivi di esistere
- e il monotono paesaggio
- accetto meno duramente
- perché so
- che all'improvviso
- è sufficiente soltanto un movimento
- un nulla poco percepito prima
- perché si alzi il battito latente
- e non cada dissonando
- il prepotente vitale anelito.
- Eleanor Tuesday
- Non abbiamo risparmiato un solo attimo
- gettandoli a frotte dentro i bar
- crescendo in quelle note avvolti e nelle risa
- senza mai tempo a sufficienza o forse troppo
- per noi convinti di sapere nel nostro poco tutto.
- Ci strisciavano addosso nelle balere intrufolandosi
- dove lo stropiccio consumava il primo fumo
- il brucio il desiderio i sogni onnisfuggenti
- mentre dentro esplodeva un'allegria d'assurdo
- soffocando in gola il groppo inderogabile
- dell'incerto futuro non poi così lontano.
- Note
- che ora che tutto o quasi si è compiuto
- ci rotolano in testa semprevive all'improvviso
- dai nostri puri tabernacoli sorte immacolate
- con le medesime voci solamente un po' più stanche
- nitide sgorgando insieme a volti ormai confusi
- da quella tanto amata maledetta gioventù.
- Io provai cose
- Io provai cose che non sono più
- la cui assenza batte adesso inutili ore.
- Non ho bisogno di sollecitare ricordi
- perché dalle nebbie si alzino le onde
- e mi trascinino con loro a fondo
- lì ritrovando le inespresse sensazioni
- per cui vivevo senza afferrarne bene il senso.
- Ignee carezze acuti sprazzi del passato
- mi fanno stringere i pugni e sprofondare ancora
- in trascorsi vivi sassi
- inciampando e cadere io come
- quanto vorrei di nuovo e negli spigoli duri
- cozzare ritrovando negli anni del fuoco
- e delle acque conviventi placide
- quell'affogare nell'estasi confuso
- ma conscio della vita mia che allora
- mai pigramente mi scorreva addosso.
- Questa tristezza
- La tristezza mi porta via
- senza mai battermi
- delicatamente sulla spalla
- nè chiedere permesso.
- In me irrompe trancia
- dove capita non guarda
- mai dentro gli occhi
- non c'è armatura lancia
- che ne rintuzzi l'assalto.
- Inerme impreparato mi colpisce
- e lascia a terra attonito
- incapace di capire accettare
- tanta asprezza che poco prima
- pensavo lontana estranea.
- E infine
- quelle intoccabili piccole gioie
- a volte strappate a morsi
- oppure concesse per chissà quale caso
- ma comunque avute
- in un solo istante
- o con sottile lentezza
- fa in nulla dissolvere
- come più ad essa aggrada.
- A te
- A te
- riesco solo a dire cose usuali
- eppure non tutto è sepolto
- sotto una coltre stanca
- di apatia e rassegnazione
- a te
- grida e silenzi indirizzo
- mentre sperando
- finitamente mi rotolo
- nei giorni
- a te
- nell'assoluta certezza
- dell'ascolto e dell'attenzione
- la parte migliore del mio essere
- rivolgo
- e nell'intensità
- dello spogliarmi dal profondo
- prima che mi assalga ed allontani
- il torpore del nulla quotidiano
- nella mia confusa lingua balbettando
- sempre e unicamente solo
- a te
- d'amore parlo.
- La tarde colgada a un hombro
(a FGL)
- Percorsi la strada
- con te ridendo
- le lacrime agli occhi
- e il fiato che mancava
- non dissero mai basta.
- Mi sono perso
- tra sentieri di montagna
- e mi ritrovo
- in un luogo estraneo
- la stanca sera
- coricata su una spalla.
- Quasi vecchio
- Hai risvegliato le voci di dentro
- inafferrati sussurri mormorii
- intraducibili anche a me stesso.
- E mi chiedo sorpreso
- perchè si è sollevata la polvere
- scoperchiato l'ardore
- della giovinezza da tempo passata
- il cui fresco vento d'illusione
- ora mi spira addosso,
- mentre ormai quasi vecchio
- dovrei stare alla finestra distaccato
- aspettando di addormentarmi
- nel quieto torpore degli anni
- con la sola coperta del ricordo.
- Neppure scordando
- Senza aspettarmi dolcemente passerà
- appannando i ricordi il tempo
- dei frutti raccolti in quella stagione
- che in me sentii infinita
- ma il riflusso a volte sarà amaro
- e il vuoto di ciò che sarebbe potuto essere
- non saprò neppure scordando arginare.
- Nuvola
- Io sono nuvola
- colgo bene l'insieme
- ma il singolo affatto
- rarefatto
- essere acqueo
- impalpabile
- statico lento
- incostante
- però anche
- impetuoso tonante
- tridimensionale
- ma poi sempre uguale
- su tutto mi staglio
- mi stendo
- l'ombra protendo
- incombente
- nel salomonico abbraccio
- del non-faccio
- e quindi mi squaglio
- lasciando
- di tutto il travaglio
- immanente
- un aureo pulviscolo d'acqua
- a dissolversi
- nel sole splendente,
- in altre parole
- niente.
- Paura
Ho chiuso gli occhi tante troppe volte- e discorso cambiato bruscamente
- scacciando certi echi dalle orecchie
- prima che scendessero giù a fondo.
- Sono fuggito da tutti i fantasmi
- perché erano carne erano ossa
- non potevo reggerne le grida
- ed ecco adagio io mi feci sordo.
- Non solo non sopporto di veder soffrire l'uomo
- ma neanche una formica o una foglia
- devo per sopravvivere distogliere
- la mente da qualsiasi patimento.
- Non posso guardarti fisso gli occhi
- mentre sopporti il tuo supplizio ed io
- che pur ne condivido ogni minuto
- mi tiro da parte e tu rimani solo.
- Le labbra ho lentamente assottigliato
- di pari passo le parole rarefatte
- le palme aperte a una carezza un tempo
- ora dentro larghe maniche ho ritratto.
- Vorrei tanto uscire e bagnarmi nella pioggia
- non stare alla finestra e poi fuggire
- nascondendomi sotto il caldo letto
- ogni qual volta si leva acuto un pianto.
- Potrò mai aprire la mia corazza di paura
- perché non sia solo latente questo amore
- stivato dentro a divenire sterile e col tempo
- dissolversi senza che si sia manifestato?
- Speranza
- Le pietre solide che credevo inamovibili
- ho visto traballare mostrando
- vistosi cenni di primi cedimenti
- ed essere di lì a poco sostituite
- da altre solamente in apparenza differenti.
- Guanciali dal nocciolo di pietra
- sui quali riposavano certezze
- rivelano d'un tratto
- il freddo temuto rigido contatto
- su cui so di non potermi addormentare.
- Rovisto allora in fondo alla mia anima
- perché i giorni che scendono giù duro
- devo in qualche modo ammortizzare
- riporto in superficie la speranza
- angelo immutabile compagna
- abbraccio dal solletico leggero
- che con un'ombra di sorriso mi conduce
- per mano ad altri domani d'incertezza.
- Quasi vecchio
- Hai risvegliato le voci di dentro
- inafferrati sussurri mormorii
- intraducibili anche a me stesso.
- Spesso mi chiedo ascoltandole
- perchè si è sollevata la polvere
- scoperchiato l'ardore
- della giovinezza ormai passata
- il cui fresco vento d'illusione
- mi spira addosso,
- ora che ormai quasi vecchio
- dovrei stare alla finestra distaccato
- aspettando di addormentarmi
- nel quieto torpore degli anni
- con la sola coperta del ricordo.
- La tarde colgada a un hombro
- Percorsi la strada
- con voi ridendo
- le lacrime agli occhi
- e il fiato che mancava
- non dicevano mai basta.
- Dopo mi persi
- tra sentieri di montagna
- e mi ritrovai
- in un luogo estraneo
- la stanca sera
- coricata su una spalla.
- Figli
- (le cose di cui non riesco mai a parlare)
- Ci legano tra liti e discussioni
- cose troppo difficili da dire
- le cose di cui non riesco mai a parlare.
- Esprimere comunicare amare
- fossa profonda d'incapacità
- eppure è così nitido assoluto
- caldo tepore sotto le coperte
- silente nascondiglio da cui sento
- la aspre voci che furono già acute
- lanciare al vuoto le gomene ed aspettare:
- ma restano nell'aria soltanto sottintese
- le cose di cui non riesco mai a parlare.
- Pace
- Nell'ovatta di suoni indefiniti
- spuntano fuori timide la notte
- dai loro nascondigli semprevivi
- le voci che dentro si rincorrono.
- Non ho mai parole così chiare
- quasi a me fresche fossero portate
- frammiste al lieve vento che mi tocca.
- Ore in cui tutto sembra piatto
- tra il buio e il poco rotto silenzio
- aspro il nudo giorno s'allontana
- come le ancora fresche sue ferite,
- riesco ad ascoltare allora finalmente
- l'intima parte di me stesso,
- si stempera ogni eco dissonante
- ogni riflesso cade
- e appare dolcemente
- questa pace.
- Attesa
- Il viluppo dell'avanzante sera
- in cui si cala ogni atto del giorno
- sale dentro e si dilata
- a scacciare il groviglio di pensieri,
- compaiono fantasmi di concetti
- che posso solamente accarezzare
- con l'avida stanca mano,
- ombre inesprimibili sfumate
- stanno con me solo per poco
- senza che io tenti di fermarle
- e in quegli acuti sprazzi
- nuovi germogli nascono
- d'attesa.
- Monte Tobbio
- Ho lasciato ben piegati su una sedia
- gli abiti grigi dei giorni assennati
- la mia festa apro con vesti leggere
- su molti pensieri messi da parte
- i cui residui si disperderanno
- nell'azzima brezza delle alte colline.
- Nuovo sangue non so da dove vieni
- luce già eccessiva nel mattino avanzo
- tra schiaffi d'aria via il casco
- la maglietta il freddo primo
- si trasformerà tra poco tempo
- nel secco bruciore del Tobbio riarso.
- Verde d'azzurro
- nero nastro sterrato
- giallo ovunque giallo
- sole di zolfo
- profano monte
- per me diventi sacro.
- Tutto distanzio febbrilmente corro
- la vegetazione si fa spoglia avara
- mentre s'infiora la mente e si spalanca
- nel sommesso salgo rombo bianco
- nuovamente alla ricerca di me stesso.
- Uno
- Voglio contare i sassi sperduti
- nei Lemme piccoli e grandi
- anche la minima rena
- avrà la sua parte alla fine.
- Voglio contare le erbe le foglie
- che muoveranno nel vento
- tentando così di confondermi
- tra i raggi del sole e l'ombra.
- Voglio contare le stelle pungenti
- all'alba avrò male agli occhi
- riprenderò da quel punto la sera
- dopo i lampi accecanti del giorno.
- Voglio contare persone animali
- nessuno scordare nessuno
- e poi abbuiare lo sguardo
- per enumerare i ricordi.
- Uno e poi uno e poi uno
- litania tiritera preghiera
- mai due che siano uguali
- ma in tutto ed in tutti
- c'è uno.
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Agg. 21-02-2005