LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Patrizio Pitto Neri
- Voce che esorta
- Voce che esorta:
- Voi che sederete alla destra del Padre,
- Voi buoni e giusti che riconoscete
- il giorno e la notte
- e avete appreso la pietà;
- Voi ricordatevi senza sdegno
- dell'arrendevole sguardo
- dei dispersi sulla terra:
- Voi avrete l'azzurrità,
- per essi sarà la polvere;
- ma per tutti è la stessa guerra
- che logora e consuma
- e le certezze disperde
- ad una ad una.
- M'inondo di luce
- Come spiegare che io m'inondo di luce
- ogni volta che il tuo guardo mi calpesta!
- Tu sei forse il dio segreto che da sempre
- alberga nei miei sogni, ed or festa d'un dio
- che credevo in riposo, incorruttibile come
- il tempo, come la mia sonnambula memoria?
- O forse sei un suo simulacro, l'angelo
- rinnegato che sempre fruscia alle mie orecchie
- con lampi di profezia? Che importa se è solo
- mia pazzia? Di certo so che il vivere
- che finisce a te ritorna, brezza che scuoti
- i polsi e sfavilli in orme di tenera bellezza.
- Poesia
- Tribolato vento d'affanni è questo,
- di memorie riapparse nel sotterraneo
- fiume dei ricordi, fragile come oro
- di capelli che facilmente s'invola:
- è la tua voce roca, eppur di giglio
- che così mi giunge, di te non vista,
- ma pensata, di te inesauribile
- e cangiante cui sempre io m'appiglio;
- e torna la fretta del primo bacio,
- l'impronta stretta delle tue reni,
- della mia carne accesa
- che ancor sorpresa si rammenta
- di esistere
- Sponda di mare
- Eri sponda di mare
- eri stagione appena dischiusa
- eri impossibile miraggio;
- per me che anelavo
- all'ultimo luogo cui sostare,
- eri il confine del mondo,
- la fine del viaggio,
- la terra or or dischiusa
- ove, immobile, perdutamente
- navigare.
- A Guido Cavalcanti
- Ballatetta
- Che ne sai, tu, ballatetta, della crudele temerarietà
- delle donne, del loro avanzare con passo sicuro
- tra i sassosi marciapiedi e gli esosi mercanti!
- Nulla tu sai, ballatetta, che te ne vai "leggera e piana"
- a salutare aurore impure, e colorate non più di valzer,
- ma di ritmi strani, e di commedie vane, cui oggi
- la ventriloqua terra affida menzognere carezze
- per noi troppo oscure. Che ne sai tu dello spirito
- di Chopin che ci fa piangere, nel ricordo
- di una donna dal triangolo a puntini d'oro,
- che, entrando, placava con le sue piume
- la pioggia ingorda dei piccoli uomini in bombetta,
- che ora non san più riconoscere la tua morta voce,
- ormai chiusa in una scatola di metallo.
- Oh, se avessi or io le sue variopinte piume
- per ripararmi almeno dal freddo sul davanzale
- coperto di neve! Intenta a spiccare il volo
- nemmen la tua nervosa mano è pronta a piangere con me
- quella rara gioia che si spande per il mondo
- e più non ci sfiora, perché con essa è andata
- la mia giovinezza che tu non sapesti afferrare.
- È dunque, forse, agonia? Sì, proprio la mia,
- chiuso come sono nel cavo d'una infrangibile bottiglia,
- a ripensare ancora al suo polso nudo, a come
- camminava, a come sapeva distillarmi lacrime d'oro
- suonando Chopin che le danzava in ventre!
- Ma tu va', ballatetta, va' ancora da lei ovunque
- essa sia e, come me, non ti curare della crudele
- temerarietà della donna mia.
- Bianche amarene
- La mia casa era bianca
- a primavera, tra le bianche amarene.
- Or la casa è grigia
- e divelte le amarene.
- Solo talvolta, nello strepito dell'alba,
- mi pare di sentir risa di angeli
- danzanti a primavera, e vedere
- bianca la casa tra le bianche amarene.
- Un po' più in là
- Vi sono giorni in cui mi pare
- di non saper comprendere i suoni,
- i gesti delle parole in movimento,
- quasi fossero solo canne vuote,
- rivestite da ampi spazi di silenzio.
- Ma qual è la lingua degli uomini?
- Quale la lingua per gli uomini?
- Quale il mistero che riveste le sillabe
- di magia e le fa volare
- verso terre fantasiose e lontane?
- Io parlo, parlo e quasi gioiosamente
- rido, e nessun sa quali onde di dolore
- perennemente si frangano, come se il mio petto
- fosse il mare delle lagrime, ove le parole
- mi navigano sempre un po' più in là
- Con un sospiro
- Con un sospiro
- lacerammo il silenzio
- ed invitammo l'universo
- ad entrare.
- Ardita fu la magia, ma non bastò
- a farci amare.
- Le parole dell'alba
- Ti desterò con le parole dell'alba,
- vivaci sotto i profondi silenzi
- ultimo lembo di sogno lacrimale,
- ti desterò con labbra d'amore,
- prima improvvisa luce naturale
- che ha Te come certa meta,
- il tuo soffrire, la tua carne inquieta
- Io ancora ignoro
- Io ancora ignoro
- se sia più importante
- discendere o salire;
- se dall'albero cadere
- fino a terra
- per scavare nell'umano,
- e lasciarvi la pena
- di un'impronta, di una guerra;
- oppure in cerca di nuovo nascondiglio
- ascender verso il cielo,
- il divino, il sovrumano,
- per udire il bisbiglio
- degli dei che cantano
- tra le stelle lor saggezza
- alle tenebre lontane.
- Purché non sia solo vento,
- purché non sian parole vane.
- Le cose a metà
- Se provassimo talora a lasciare le cose a metà,
- non finire niente, tralasciare, trascurare,
- pronti a ripartire, a riandare
- quasi un'altra vita, un'altra città
- Se provassimo talora a fermarci a sognare
- cullati dalle parole, cullati dal vento
- indifferenti a quello che resta ancora da fare
- ad inseguire il filo interrotto d'un sentimento
- Se provassimo a lasciar le cose senza doverle finire
- come se avessimo tanto tempo prima di morire...
- Preghiera
- Camminare con passo leggero,
- attraversare con ali d'azzurro
- il cielo del meriggio.
- Essere luce portata dal vento
- prima che il mondo risuoni
- del frastuono della Tua voce
- ed io ricada,
- miracolo ferito,
- nella pingue pianura
- di sonni e d'affanni.
- Sì che nemmeno gli angeli
- mi possano sentire.
- Nostalghia
- Il mare aperto della nostalgia
- si dilunga sul mio paesaggio,
- su quella valle contorta
- che io chiamo cuore,
- pazzo o savio che sia.
- È un luccichio senza colore,
- un fiato senza sinfonia.
- Ignoro il giorno del suo lento svanire,
- ma certo so l'ora della sua comparsa:
- essa coincide col tuo sciocco partire.
- Se come la luna d'oro
- Se come la luna d'oro
- si potesse riviver da capo
- le passioni insistenti,
- il disdoro, la sofferta costanza,
- le gioie soffuse di velo,
- le ansie di andati balocchi
- in notti mai lunghe abbastanza
- non più timorosi del cielo,
- noi stessi saremmo luce riflessa,
- ad abbagliar gli incerti occhi.
- Hai una piccola borsa
- Tu hai una piccola borsa
- che porti a tracolla in cui
- è contenuta tua vita trascorsa,
- tanti ricordi, collane e colline,
- tante piccole gioie bambine:
- pezzi di luce, boschi pigri e bui,
- letti di felci, ferite di augelli,
- un fondo d'estate, piaghe di selci,
- alcuni capelli, parole strappate.
- È tua l'esistenza lì in fondo racchiusa,
- sofferenza che angoscia il tuo breve nome,
- perché nella piccola borsa conchiusa -
- oh batticuore - manca sol la parola
- Amore
- Delle tue labbra ignoro
- Delle tue labbra ignoro
- il magico divenire,
- il continuo mutar sapore
- ad ogni istante.
- Meglio di me è l'ape
- che controlla ogni giorno
- del fiore l'oro:
- ella è la migliore amante.
- Falsario per amore
- Le parole si fanno semplici, trascorrono, si fanno audaci,
- si insinuano e si rincorrono in cerca di un cammino:
- io le ascoltai nel verno che gelava.
- Non so se fu per seguire il consiglio di Agostino:
- «Ama et fac quod vis», o per l'idea che oramai
- mi perseguitava, che, senza maschera, amai.
- Amai lieve come i poeti, pronti a blandire,
- a sfiorare con man leggera, sempre
- in precario equilibrio tra il viver e il morire.
- E la mia vertigine che sapora d'altrove riconobbi,
- e il viale su cui passeggiano i tuoi sogni,
- e per felicitarti, solo per felicitarti,
- ti narrai solo storie ubriache e stanche profezie,
- il ritrovato di libri per caso aperti,
- la magica ironia di John Donne al crepuscolo
- di un amore, al principio di un altro.
- Ma ti stupiva la meraviglia di tale forma
- e la nuova sapienza temevi,
- confondendo diletto con delitto,
- e non comprendevi tra vita e letteratura
- chi sia madre e chi figlia, e quale delle due si lasci
- dall'altra sommergere, e quale dal faticoso premio detergere.
- Perciò, non hai parole cui io creda, mi dicesti sospirando,
- fiera del tuo io, in cui solo credevi,
- soffocata dall'immagine che era solo il tuo rimando.
- Ah, se gli specchi riflettessero prima di rilanciare i visi,
- e anziché perseguitare immagini,
- rimandassero sussulti e idee, e sorrisi!
- Nel labirinto dei miragli che ci deformano,
- senza più determinare l'agente dall'agito,
- come posso io ancora riacquistare
- il prestigio che più non mi si affigura?
- Io che non credevo d'averlo mai smarrito,
- io che peccator non sono,
- io che solo ho esaltata la ragione
- per condurla a quel suo canto d'estiva pienezza,
- che taluni chiamano passione...
- Così or che oscure primavere mi sovrastano
- la mia follia non ancor sazia mi percuote
- e sfiora la bellezza nelle parole perennemente in volo.
- E dopo che s'è incarnato in me il tuo dolore,
- di stella in stella danzo,
- falsario sì, falsario per amore.
- Evanescenti arpe
- Quando hanno scarpe
- ricolme di sabbia,
- i poeti s'inventano palmizi
- a circondarli, e suoni
- di evanescenti arpe
- a rincuorarli
- PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it . Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
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