Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
 
Racconto tratto dal libro
Controtempo
di
Simona Vassetti
editrice Montedit, 2000, Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi), pp. 96
L. 12.500 - Euro 6,46 ISBN 88-8356-035-3
SENZA TEMPO
 
 
Breve ouverture
 
"Pronto".
La sua voce assonnata. Non come se l'attendeva. Riflettendo era sempre così quando lo chiamava: il tono non era mai stato allegro, spensierato. La sua voce non era squillante, piuttosto cupa, sempre annoiata, come se fosse eternamente distratto.
"Ciao Davide. Sono Giulia".
Aveva deciso: quella telefonata avrebbe terminato la loro relazione.
Ma sentiva che era debole. Ancora.
Molto.
Soprattutto temeva che la sua tremola voce la potesse tradire. Ma non aveva dimenticato, non aveva perso di vista l'obiettivo: mettere la parola fine alla loro storia, una storia mai realmente cominciata.
"Vorrei vederti stasera, se fosse possibile".
Sentì di aver commesso il primo errore 'se fosse possibile', lei doveva vederlo e lui doveva accettare l'incontro. Lei aveva una forte esigenza, una necessità che scottava sotto la pelle, e che la rendeva ansiosa, nervosa, insopportabilmente frenetica.
Si corresse prima che la pigrizia di Davide suggerisse la risposta: "Dobbiamo assolutamente vederci, stasera".
Ma anche questo non servì perché lui senza aggredirla, senza rifiutare l'invito, semplicemente e dolcemente le chiese:
"Cosa c'è Giulia. Ti sento nervosa".
Non era nervosa, Giulia era furiosa, lo era diventata nell'istante preciso in cui lui glielo aveva chiesto.
Lei aveva compreso che era in trappola. Di già.
Ma non doveva arrendersi. Giulia doveva perseguire il suo scopo, e non poteva lasciarsi intimorire dalla sua dialettica.
"Davide vediamoci. Devo parlarti..."
La interruppe "...di noi".
"Certo. Mi accorgo che ne sei cosciente" precisò Giulia freddamente.
"Giulia, ti prego - detestava il suo tono supplichevole - di cosa vuoi parlare?".
"Io devo parlarti. Davide mi stai facendo perdere la pazienza, e non voglio. Invece voglio - esitò un attimo, poi addolcendosi - vorrei discutere con calma".
"O.K., O.K. stasera alle dieci".
"No. Alle nove. Ho prenotato al 'La conchiglia'. Vieni a prendermi alle nove".
La telefonata terminò bruscamente, Giulia aveva lasciato la cornetta consapevole di interromperla.
Aveva ancora tre o quattro ore davanti a sé: aveva bisogno di tutto questo tempo per recuperare la calma, e riconcentrarsi sul loro incontro.
Aveva tempo. Credeva molto. Per questo si concesse una pausa, un tuffo nel passato. Sicuramente una rilettura degli episodi vissuti.
Erano lontani ma, si accorse, le avevano lasciato segni sulla pelle, indelebili.
 
Primi accordi
 
Giulia era già diventata donna ma non ne era cosciente. Aveva parcheggiato le sue passioni in un angolo profondo dell'anima e si era dedicata a costruirsi un avvenire.
Aveva accanto un ragazzo, snello e biondo, che ovattava di tenerezza, inconsapevole, la sua realtà.
Gli aveva donato se stessa e la sua verginità, credendo fosse l'uomo giusto, ma Giulia valeva molto di più.
"Credo che Silvio non faccia per te" Monica era spudoratamente sincera, non riusciva a trattenere il suo dissenso. Ma Giulia non faceva caso alle sue parole: Monica voleva sempre aver ragione e lei, con presuntuoso distacco, pensava che l'amica, a causa dei suoi studi di psicologia, credesse di capire tutti ed esprimesse giudizi gratuiti e, talvolta, eccessivi.
Però il tempo le mostrò il rovescio della medaglia, ripagandola amaramente: Silvio aveva le sue crisi sul lavoro, lei, piccola ninfa bruna, doveva stargli accanto.
Su questo non c'erano dubbi. I problemi di Giulia, semmai fossero esistiti, erano secondari, banali. I problemi di Silvio, o meglio le sue repentine e sempre più frequenti crisi cominciarono a sfibrare il loro rapporto.
I sentimenti si trasformarono, si affievolirono lentamente. Il sesso, frequente valvola di stress, divenne un campanello d'allarme, ma soltanto per Giulia.
La giovane donna cominciava a sentire una profonda insofferenza.
Dopo l'amore, a volte, provava un senso di rabbia verso se stessa, per la sua debolezza, per la sua incapacità di ribellarsi, di finirla.
Ed intanto erano trascorsi degli anni. Cinque.
Sentiva crescere un'insoddisfazione, una leggera amarezza nel vedere passare il tempo.
In ufficio Giulia aveva possibilità di stare a contatto con tanti uomini. Erano giovani, spudorati e alcuni di loro si cimentavano in un velato corteggiamento. Lei cominciò a stare al gioco distrattamente, poi notò che le piaceva.
Stava crescendo inconsapevole il bisogno di confrontare le sue sensazioni con altre: Silvio era stato il suo primo ed unico uomo.
Giulia non voleva ammettere che sentiva nascere la curiosità di esplorare, di esplorarsi. Altri uomini avrebbero potuto risvegliare in lei qualcosa che aveva ancora dentro, che tentava di far capolino, accennando a venir fuori, ad esplodere... questo cercava di fermare: l'insospettabile forza e il giustificato timore di rivelarsi diversamente. Nel frattempo giunse Federico. Veramente si conoscevano già da tempo: lavoravano nello stesso ufficio.
Lui, nonostante avesse una ragazza, amava giocare con le colleghe, con fare estroverso e scanzonato.
A Giulia piaceva per il suo modo di affrontare la vita, per il suo sguardo che, malizioso, posava su di lei, per il suo sorriso di smorfie complici.
Avevano sempre scherzato, senza mai fare riferimenti personali, ma non fu così quell'inaspettato pomeriggio. L'auto deviò all'improvviso, senza premeditazione: complice la sfida che Giulia lanciò durante il loro gioco verbale.
 
Quando Federico colse il suo sguardo impaurito si eccitò e proseguì verso una meta tranquilla. Intanto il pomeriggio prometteva un temporale che non tardò a venire: lontano echi di cani tirati a guinzaglio da padroni colti senza ombrello, vicino qualche motorino che passava rapido in cerca di riparo.
All'interno dell'auto, invece, Federico e Giulia erano impacciati.
Lei aveva temuto quel momento: Federico aveva accettato la sfida, aveva fatto sul serio e lei, ora, non poteva tornare indietro. Era eccitata, confusa; si ritrovò a pensare a tante cose, ma non si sentì colpevole.
Federico, altrettanto imbarazzato, le sorrise cercando di vincerlo.
Erano lì, pensò Giulia, vicinissimi, ed inevitabilmente caddero in un bacio. Timido, seppur eccitante.
Il bacio si prolungò e le mani cominciarono ad esplorare il corpo dell'altro, ma finì presto.
Federico ebbe dei rimorsi improvvisi. Per non fermare bruscamente il loro approccio clandestino Federico cercò qualche altra effusione che si spense tra le mani.
Giulia accettò la sua decisione, e non aggiunse nessun commento: non avrebbe avuto senso.
L'auto a fari accesi percorse la strada in senso inverso, quindi si fermò davanti il portone di Giulia. Si salutarono come semplici amici, consapevoli di custodire un segreto.
Giulia tornò a casa senza rimpianti e senza colpa, ma con l'amaro in bocca. Lei aveva cominciato ad assaporare qualcosa di nuovo, e lo aveva trovato gustoso, delicato.
 
Dentro di sé la certezza di voler andare oltre. La voglia.
Uscirono altre volte. Altre volte l'auto di Federico si fermò in angoli appartati strappando al tempo effusioni sempre più audaci. Ma non altro.
Federico non riuscì a fare l'amore con lei.
Giulia però sembrava stordita da queste emozioni che stavano colorando la sua tiepida esistenza. Ma voleva ancora attendere. Voleva dare a lei e Silvio un'altra possibilità: la doveva soprattutto al tempo che era trascorso, ai sincronismi raggiunti, ai ricordi accumulati, come le foto e gli amici in comune.
Si sentiva come una bambina disciplinata che improvvisamente disubbidisce: nessuno avrebbe sospettato di lei, perché riusciva a sostenere il suo ruolo.
Neanche la vecchia se stessa avrebbe creduto a questa nuova donna, che era capace di mentire.
Si concesse l'ultima vacanza con Silvio. Fu un inferno espiato lungo un percorso bellissimo: l'agosto andaluso ed il mare portoghese.
Una notte Giulia non riusciva ad addormentarsi: Silvio era nel letto accanto.
Non si erano dati la buonanotte ed erano distanti dopo l'ennesima discussione.
Aveva gli occhi chiusi quando udì un fruscio di lenzuola. Era Silvio: ebbe un attimo di impotenza, non poteva accettare un riavvicinamento. Rimase all'impasse e con l'orecchio in attesa... le lenzuola continuarono a frusciare in maniera regolare, allora capì ciò che stava accadendo nel letto accanto.
Silvio era sveglio, si accarezzava, cercando, da solo, il sonno, forse, o forse no.
Si continuò a toccare, sempre più freneticamente, fino a raggiungere l'orgasmo. Lei lo sentì gemere nonostante avesse cercato di soffocare il rumore, poi il silenzio.
Fu allora che Giulia si sentì sconfitta. La verità le era giunta con quella rivelazione, ma le faceva male. Era delusa ed impotente. Quella notte aveva deciso la fine, l'aveva suggellata.
Trascorsero altre notti ma Giulia non riuscì, dopo quella, a fare l'amore con Silvio, o se lo fece, cercò di dimenticarlo.
Oramai Giulia odiava Silvio. La fiamma dell'odio si era accesa, forse lo era già da tempo, e si era mantenuta viva sotto le ceneri dei giorni andati.
Ma una cosa era certa: la loro storia era finita.
Ci sarebbe voluto del tempo per dimenticare, o forse, più probabilmente, non avrebbe mai dimenticato.
La loro storia sarebbe stato l'esempio da non emulare.
Si lasciarono calando il sipario in una serata grigia di perturbazione: Giulia si sentì lacerata mentre sui tetti della città danzava una luna indifferente.
Ma riuscì a dire basta, a voltare pagina, per ricominciare.
 
Il ricordo l'aveva resa debole: si risvegliò dal torpore e controllò l'orario dalla sveglia sul comodino.
Era tardi: era tempo di prepararsi. Di farsi bella, di rendersi irresistibile.
Avrebbe lasciato Davide non rinunciando a sedurlo.
Accese la radio per farsi compagnia mentre continuava a pensare a lei e Silvio.
Mancava un quarto d'ora alle nove: era pronta, avrebbe indossato scarpe ed orecchini solo un attimo prima di scendere.
Quindi prese una scatola che aveva riposto in fondo all'armadio. Le lettere, le foto, i momenti di quella storia che le aveva lasciato indelebili segni, ma che l'aveva resa adulta. Dopo la separazione da Silvio aveva dovuto cavarsela da sola.
Raccolse un foglietto ripiegato, scritto con una grafia rapida, nervosa. Lesse:
"Ho dato tempo al tempo: ho concesso a me stessa il dubbio e poi ho chiuso... con te, mio adorato fratello di 5 anni di vita... tu con molte più certezze, con l'unica che ti avrebbe fatto proseguire: con me SEMPRE e PER SEMPRE.
Ho ceduto e non per pigrizia, forse un po' per egoismo, molto perché non provavo più emozioni.
Ho dato tempo alle lacrime di venir giù e poi ho dormito molto, sperando di dimenticarti, ma non é accaduto.
Ho concesso tempo ad un forestiero, avaro d'amore, che ho ospitato nel mio cuore. Gli ho dato tempo, quello necessario, per farmi innamorare di lui, ed ho perso".
Leggeva e non ricordava quando aveva scritto quelle parole, non sapeva più se le parole appena lette fossero dirette a Silvio.
Soprattutto non riusciva più a ricordare se il forestiero a cui si riferiva fosse Davide.
Questo il nome dell'uomo che aveva mutato la sua esistenza: l'aveva resa viva. Il suo amore per lui era pregno di cosciente passione, di sofferenza, di rabbia.
 
Improvvisamente lo squillo del telefono. Trasalì: la sua voce al telefono era preludio di una delusione. "Davide cosa c'è?"
La voce aggressiva di lui era l'unico modo per frenare le sue reazioni: "Ho un forte mal di testa. Non vengo a prenderti. Telefona per disdire il tavolo".
Giulia chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Non sapeva se credergli, ma non voleva insultarlo.
Davide si rese conto di averla messa in difficoltà e cercò di sfinirla: "Non mi sento bene, veramente; usciamo domani, se vuoi... " - lasciò sospesa l'ultima frase, sapendo di aver vinto.
Giulia gli rispose con freddo sarcasmo: "Riposati allora, ci sentiamo domani".
La telefonata si interruppe, Giulia l'aveva conclusa pigiando il tasto, la cornetta era calda tra le sue mani.
Era pronta per uscire, non voleva rinunciare alla sua serata.
Raccolse le chiavi dell'auto, prima di spegnere tutte le luci si specchiò un'ultima volta.
Poi si avviò al ristorante. Da sola.
L'atmosfera era troppo intima per consumare una cena così raffinata: il tavolo tondo coperto da una leggera tovaglia di fiandra, la posateria d'argento, una bugia accesa.
Giulia volle coccolarsi: bevve un vino bianco, leggermente frizzante, per accompagnare un delicato risotto agli asparagi. Spiò i tavoli vicini nell'attesa del secondo piatto, sorseggiando il suo freddo vinello.
Soltanto un altro tavolo, nell'angolo opposto della sala, era occupato da una persona, sola come lei, da un uomo.
 
L'elegante figura fumava controllando dei fogli che estraeva da una cartella aperta accanto a lui, sotto il tavolo.
Non riusciva nemmeno a distrarlo un attimo: Giulia aveva, infatti, giocherellato con lo sguardo, insistendo su quell'uomo non più tanto giovane, ma ben curato.
Arrivò il carpaccio e lei cominciò ad assaporarne il gusto facendo piccoli bocconi.
Un sorso di vino la costrinse ad alzare lo sguardo, e fu allora che se ne accorse: l'uomo d'affari la stava spiando. Disegnò un sorriso complice quando i loro sguardi si incrociarono. Giulia rispose al sorriso, ma abbassò subito gli occhi. Ora che aveva ottenuto la sua attenzione non voleva provocarlo.
Era una serata da dedicare a se stessa: voleva rimanere sola con i suoi ricordi. Non avrebbe permesso a nessuno di rovinargliela.
 
Dopo aver lasciato Silvio aveva creduto di rimanere sola per un po' di tempo, invece così non accadde. Davide irruppe nella sua vita prepotentemente.
Giulia doveva sentirsi attratta da tempo, ma l'aveva taciuto a se stessa. Poi un giorno Davide le aveva confessato di desiderarla.
Era lontano il ricordo di Federico, anche se lavorava nella stanza accanto. Giulia sentiva di provare un'attrazione fisica per Davide.
Fortissima.
A volte si fermava a respirare il profumo della sua pelle, cercava di memorizzarne il profilo.
 
Davide le sussurrava paroline gentili, cercando di conquistarla.
A volte si sfioravano, consapevoli di provocarsi brividi.
Infine uscirono, desiderosi.
Consumarono la prima sera a parlare, cercando di resistere. Poi un secondo appuntamento.
Infine il terzo...
 
Giulia doveva avere un'espressione allucinata: il ricordo le aveva imporporato le gote, reso lucidi i suoi grandi occhi.
Il cameriere rimase sospeso accanto a lei, attendendo che riprendesse coscienza; Giulia sott'occhio notò un'ombra, la riconobbe. Cercò di ricomporsi e non senza imbarazzo si rivolse al cameriere ordinandogli la carta dei dessert.
Per un attimo guardò in fondo alla sala: il tavolo era vuoto. L'uomo aveva terminato la cena ed era andato via.
Aprì convulsamente la borsa, cercò, annaspando, tra rossetti, portafoglio, una spazzola.
Cominciò ad innervosirsi: odiava le donne per tutto ciò che erano capaci di portarsi dietro.
Continuò a cercare, promettendo a sé stessa di cambiare, ed al limite dell'esasperazione la trovò: quella busta era lì con i suoi preziosi fogli.
Era eccitata: quella lettera l'aveva scritta un anno prima, per Davide, in un momento molto delicato del loro rapporto.
Ma non l'aveva mai inviata.
Quelle parole esprimevano le sue emozioni, di allora, e Davide non lo sapeva. Non l'aveva mai saputo.
 
Arrivò il menù dei dessert: lesse distrattamente, sapendo di non volere nulla.
Invece "Un crème caramel" ordinò e richiamando il cameriere aggiunse "ed un caffè, per favore".
Le mani le tremavano mentre apriva la busta e sfilava i fogli. Sembravano vecchi di secoli, un po' ingialliti. Spiegò i fogli e cominciò a leggere. Le prime frasi la rigettarono nel passato recente, che sembrava aver dimenticato, poi si soffermò su un brano.
"Non riesco a piangere né per rabbia, né per dolore, né per gioia perché aspetto... non posso credere che mi stai cacciando dalla tua vita... o forse sono io che ci sono entrata di prepotenza..."
 
I sospensivi aprirono in lei una voragine: una domanda che non trovava risposta neanche ora, poi proseguì:
"...le cose non succedono mai da sole, gli affetti vengono alimentati, curati... ho bisogno di cure" - sentiva che ne aveva bisogno ancora e fortemente - "..e se i tuoi dubbi non mi daranno ragione, calmati e trova la forza di farmi del male, dicendomi che non posso far parte della tua vita. Almeno il dolore avrà motivo di esistere, ma non credere che ciò mi impedirà di amarti, perché IO TI AMO sopra ogni dolore ed ogni gioia".
Arrivò il crème caramel ed il caffè, lei provò ad ingoiare, senza riuscirvi, il primo boccone. Si sentì soffocare. Non era mutato nulla da quella lettera, solo la sua sofferenza si era moltiplicata, come la pazienza spesa in attesa di un cambiamento, che non era mai avvenuto.
Lei non poteva perdere altro tempo.
 
Non poteva permetterselo. Era una donna adulta ed emancipata, ma schiava dei suoi sentimenti. Per Davide.
Era una storia che non era mai cominciata: come un quadro appena abbozzato sulla tela di un grande maestro.
Sì, di una cosa era certa: la loro storia sarebbe potuta essere grande, appagante, romantica.
Una vera e propria opera d'arte.
Invece era rimasta lì, come il disegno su una tela grezza, come un'immagine di una foto mai realizzata, come una melodia nella testa del suo autore.
Non poteva rimproverarsi nulla, perché non era dipeso da lei.
Di questo era sicura. Ma ciò non le procurava pace.
Bevve il caffè, che intanto si era raffreddato, poi chiamò il cameriere per chiedere il conto.
L'attesa le sembrò eterna: il tempo era scaduto. La sua serata conclusa, e l'umore mutato.
Era nervosa, furiosa con sé stessa, ma soprattutto stanca. Voleva andare a dormire, dormire per dimenticare... se solo ci fosse riuscita. Ci aveva già provato, ed aveva fallito.
Miseramente.
Ora il tempo era scaduto. "Bye bye, saluti e baci" pensò tra sé.
Non poteva concedere altro tempo a Davide. Assolutamente.
Pagò il conto: si avviò quasi correndo verso l'auto. Aveva deciso la direzione da prendere: casa di Davide.
Solo per curiosità lesse l'orario sul cruscotto: erano appena passate le undici. L'avrebbe svegliato.
Ma non le importava.
Non più.
 
Sinfonia stonata
 
Giulia parcheggiò l'auto sotto casa di Davide. Si avvicinò al portone, una donna la lasciò entrare e lei salì le scale fino al primo piano, poi avanzò verso la porta del suo amante che era in fondo al pianerottolo.
Si avvicinò lentamente, solo allora, accanto al campanello esitò. Ma fu un attimo. Era più importante concludere.
Il suono del campanello le risuonò nello stomaco, poi si espanse nell'appartamento: immaginò che il suono attraversasse il corridoio, superando la cucina, svoltando a destra, penetrando nella camera di lui da sotto la porta, giungendo fino a Davide, rannicchiato nel letto. L'attesa fu breve, ma a Giulia sembrò eterna.
Provò ad immaginare ogni singolo movimento di Davide: era stato sicuramente sorpreso e, dato l'orario, avrebbe disegnato una smorfia di disappunto sul viso. Poi si era alzato dal letto, a fatica, bestemmiando per il gelido impatto sulla pelle, ed avanzando lentamente verso la porta.
Giulia udì i passi di Davide farsi sempre più vicini, fino a che la porta fu aperta.
Davide guardò Giulia e non disse una parola. Giulia guardò Davide: i capelli arruffati, la tuta felpata, un'espressione di meraviglia disegnata sul volto leggermente assonnato.
La donna non si fece cogliere da alcuna emozione: "Devo parlarti Davide".
"Entra" disse l'uomo chiudendo la porta, Giulia intanto, si fermò nel corridoio. Davide alle sue spalle notò il fondoschiena, fasciato da quel vestito aderente che adorava. "Come va il mal di testa?" chiese Giulia, sempre di spalle, con tono volutamente provocatorio. Davide non raccolse.
"Vuoi un caffè?" le chiese gentilmente e Giulia rispose acida "L'ho già preso al ristorante".
Credeva di provocargli curiosità, certamente non di scatenare in lui una piccola scenata di gelosia.
"Dove sei stata?" - Davide si era precipitato su di lei, cingendola affettuosamente alla vita - "Stronzetta dove sei stata vestita così provocante?".
Davide aveva cominciato a giocare con lei, come faceva quando la desiderava; quella scenata, infatti, ne era il pretesto. Era possessivo: lei gli apparteneva sempre, comunque.
 
In principio questo suo modo di agire le era piaciuto: Giulia sentiva, attraverso i suoi attacchi di gelosia, che Davide ci tenesse a lei. Poi questa sensazione si era trasformata: aveva capito che Davide si comportava così con tutte le sue cose. E le era inaccettabile.
 
"Lasciami Davide - il suo tono volutamente aspro ruppe l'atmosfera di intimità che si era creato - sono andata al ristorante..." - Davide l'interruppe stupito - "Da sola?".
Giulia gli sorrise. Davide era troppo diverso da lei.
"Non hai capito niente di me. Proprio niente".
"Sono qui per questo Davide: non mi va più di continuare... - prese fiato - la nostra storia. Davide ti rendi conto che la nostra storia è balorda?".
Davide le sorrise riavvicinandosi: "Vuoi finirla?".
"Sei uno stronzo. Che cosa pretendi: che continui... e come, secondo quali regole..."
"Regole. Questo è sempre stato il tuo errore. Non ci sono regole".
"Davvero Davide: e la tua gelosia che cos'è?. La tua regola è quella di rendere valide solo le tue".
"Giulia, io..." - Giulia lo interruppe brusco - "Non mi interessa ciò che pensi: sono qui per farla finita.
È finita. Chiuso. Pensa e fai quello che vuoi, ma lasciami in pace"..
Davide la fissò a lungo, cercando di percepire dai suoi atteggiamenti, dal suo sguardo, se facesse sul serio. Era ferito nell'amor proprio, ma sapeva in fondo a sé stesso che non poteva far cambiare le cose, perché questo gli sarebbe costato molto: innanzitutto avrebbe dovuto cambiare, impegnarsi, dedicarle parte del suo tempo.
 
Intanto Giulia era entrata nella sua camera e si era seduta sul letto affranta. In fondo a sé stessa avrebbe desiderato che Davide si fosse ribellato alla sua decisione. Ma in realtà sapeva che non poteva aspettarsi di più da lui.
Era tanto presa dalle sue elucubrazioni da non accorgersi che Davide si era seduto accanto a lei: poi i corpi si sfiorarono e quel contatto la fece trasalire. Le labbra di Davide erano quasi sulle sue, Giulia lo respinse sollevandosi di scatto. "Continui a non capire, vero?" Davide non la lasciò replicare. La tirò per un braccio facendola cadere sul letto, poi le fu addosso: la strinse forte a sé e, mentre la baciava sul collo, le sussurrò:
"Non andare via".
Giulia sapeva, in quel momento, di essere debole. C'erano molte probabilità che cedesse alle carezze di Davide, al suo calore. Sapeva di averne desiderio. E bisogno.
"Smettila! - gli urlò sbalordendo anche se stessa - Davide non voglio fare l'amore con te".
"Perché no..."
La voce di Davide era un lamento strozzato. In quel momento aveva paura di perderla e l'emozione lo colse nei suoi grandi occhi verdi. Erano lucidi, smarriti, delusi.
Giulia aveva perso la sua risolutezza: era scomparsa in un attimo, specchiandosi negli occhi dell'uomo che amava, nonostante tutto. Al di là di tutto.
Davide non si arrese: le tamponò le labbra con le sue e cercò di bloccarla distesa sul letto.
Per qualche secondo Giulia smise di fermarlo, desiderò, anzi, che non si fermasse.
Inconsciamente si ribellò, un attimo prima di perdersi definitivamente tra le sue braccia.
Fermò le mani di Davide che avevano raggiunto le autoreggenti e lo guardò. Il viso dell'uomo era eccitato, sconvolto - cucciolo privo di coccole - ma non ne ebbe pietà.
"Non posso Davide: lo vorrei, forse lo voglio più di te. Scusa, devo riflettere".
Davide rimase inebetito: Giulia stava dimostrando una grande forza ed una personalità decisa. Questa rivelazione lo rese mite "Ti accompagno a casa, se vuoi".
"Grazie, ho l'auto qui sotto. - avevano entrambi una voce più dimessa, un tono più lieve - puoi accompagnarmi, invece, alla porta".
Si alzarono ed attraversarono il corridoio fianco a fianco, sfatti. Accanto alla porta Davide le prese la mano, dolcemente. Giulia se la fece stringere; solo allora sembrò che ritrovassero un po' di calore.
Si guardarono e continuando a stringersi le mani, si avvicinarono e cominciarono a baciarsi. Le labbra si sfiorarono, poi le dischiusero e le lingue si toccarono timide, poi si aggrovigliarono, come le braccia.
Quel bacio restituì loro la tenerezza e l'affetto di cui erano in debito. Ma anche quello finì.
Si ritrovarono occhi negli occhi: Davide fissò il viso di Giulia che disegnava maldestramente un sorriso. Il viso di Giulia era splendido quando sorrideva. Le sarebbe mancato quel sorriso.
La donna scoprì, invece, sul viso di Davide due solchi di lacrime che si erano ribellate alla sua decisione.
La porta venne aperta, a malincuore.
Per entrambi.
Giulia titubò un attimo, una frazione di secondo che regalò a Davide un filo di speranza.
La donna fece violenza a sé stessa ed oltrepassò l'uscio di quell'alcova senza voltarsi indietro.
Come un automa si ritrovò fuori il portone di quell'antico palazzo.
Solo allora riprese coscienza delle sue azioni. Solo allora realizzò che ci era riuscita. Aveva lasciato Davide.
Entrò in auto, mise in moto, poi si fermò per un attimo davanti a quel portone chiuso, definitivamente, per lei.
Pensò, infatti, che non avrebbe più oltrepassato quella soglia. Mai più.
 
Finale d'archi
 
È passato molto tempo.
Eppure sembra che non sia trascorso dentro l'anima.
È qui a rileggere ciò che è avvenuto, ed ha desiderio di sentire la sua voce. Stimola le dita, incitandole a comporre il suo numero.
Il tempo, generalmente, tira scherzi alla memoria, ma non questa volta. Non a quella di Giulia.
Essa ricordava tutti i particolari della loro relazione, le parole non dette, quelle sussurrate, i silenzi.
Un'anima limpida, senza ombre.
Intanto Giulia, era sola. Ancora.
 
Aveva confidato nel futuro. Ci aveva creduto. Ma non era servito. Aveva cercato di dimenticare Davide fuggendo lontano con un amico, breve compagno di un'avventura.
I mesi erano trascorsi costruendole una storia attraversata da uomini che aveva subito cancellato.
Uomini a cui non aveva restituito un'identità. Si erano, infatti, trasformati in vaghe ombre di cui Giulia, a malapena, ricordava i nomi. Lei si era consumata in cerca di un nuovo amore. Senza riuscirvi. Ed ora era stanca.
Davide era ancora dentro di lei.
Non l'aveva voluto mai veramente dimenticare: aveva concesso ad altri uomini soltanto una piccola parte di sé per non sacrificare il ricordo di lui.
 
Ora era davanti al telefono: ricordava ancora il suo numero di casa.
Provò un forte timore.
 
Non sapeva più nulla di Davide, rischiava di non trovarlo, o peggio, di ritrovarlo in compagnia.
Era reale la probabilità di trovarlo con una donna, perché Davide odiava la solitudine. Ed amava le donne.
Si sentì percorsa da un fremito d'ansietà; in realtà era curiosa di recuperare quella parte della vita di Davide, che non le era potuta appartenere.
Questa curiosità era più forte della probabilità di cadere nel ridicolo.
Ma poi, pensò, che cos'era il ridicolo in una storia d'amore. Dov'era necessario limitarsi e fin dove possibile spingersi.
 
Un pensiero si fece nuvola sopra la sua testa: il tempo non era trascorso, almeno così sembrava, nel suo cuore.
 
La vita era successione di tempo, l'amore, invece, non conosceva tempo.
Sostava nell'animo, restandone inalterato.
Amore vero, senza Fine.
Amore grande, senza Tempo.
Questo era ciò che provava, anche se la vita era trascorsa negli anni, consumata attimo per attimo.
Giulia era sinceramente emozionata. Doveva prendere una decisione. In un secondo, guidata dall'impulsività che negli anni non l'aveva abbandonata, la prese.
Avrebbe chiamato Davide.
Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto: avrebbe detto ciò che sentiva, dove l'avrebbero trascinata il cuore, il ricordo e lui, Davide. Questo pensava mentre componeva il numero.
Avvicinò l'orecchio alla cornetta: il suono di libero era cominciato e le sembrò che il cuore battesse con lo stesso ritmo di pause.
Se avesse risposto Davide, lei avrebbe provato un tonfo allo stomaco: l'emozione sarebbe stata paragonabile a quella del loro primo appuntamento.
Squillava ancora senza risposta. Cominciava lentamente a raffreddarsi l'entusiasmo, per un momento sperò che non rispondesse.
Se, invece, non fosse stato lui a rispondere, pensò, sarebbe rimasta inappagata la sua curiosità.
Avrebbe sentito il bisogno di colmarla. Forse sarebbe diventata nevrotica, frenetica.
Ora voleva parlare con Davide.
Solo quello.
 
Nell'attesa provò ad immaginare il tragitto di due gambe stanche che, sollevatesi dal divano, avanzavano pigramente verso l'apparecchio.
La mano tesa verso la cornetta, la TV accesa in sottofondo, la stanza in penombra. Una domenica pigra, di calcio e cibo. Questo era la vita di Davide, l'uomo che aveva amato.
Immaginò, allora, il tono della sua voce: ragionevolmente assonnata, cupa, quasi roca.
La stessa di sempre.
L'ennesimo squillo fu interrotto da una voce, quella di Davide: "Pronto".
 
Giulia chiuse la comunicazione.
Assecondò l'istinto cambiando ancora una volta idea: il tempo era trascorso ed ora non avrebbe avuto senso ricominciare.
Per leggere la prefazione del libro "Controtempo"
 
3° classificata al concorso Citta di Melegnano 1998 sez. narrativa
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Club dei poeti sezione narrativa
 
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ins 19 maggio 2000