Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Monique Sartor
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Marguerite Yourcenar 1998 sezione narrativa
 
 
Ellissi
(Con amore, a S.F.)
 
Una sottile figura.
Sul limite estremo di sabbia fra la terra e l'acqua.
Il profilo di un corpo, forse l'eco di un'ombra che si muove in riva al mare.
Sfiora le onde con i piedi, accarezza l'acqua che l'accarezza, poi ne solleva un lembo fino al viso. Una veste di schiuma bianca opalescente l'avvolge impetuosa, la scuote facendone oscillare le membra.
Ombra di due compassi sovrapposti. L'uno, capovolto, tende le sue braccia verso l'alto, trovando proprio perno nel secondo, che le sue gambe muove in lentissime rotazioni sull'asse della vita.
Disegna così divine circolarità, prima lenta, poi veloce, poi rapida fino alla rapsodia, all'ebbrezza ultima.
Improvvisamente, l'eccesso di mobilità si fa silenzio mortale d'immobilità.
Improvvisamente, il silenzio esplode e la donna d'ombra inizia a danzare.
Disarticolata ed aritmica. Tacita, afasica.
Trafitta dall'argento lunare.
D'onice iridescente, in fiamma e in morbido velo di stelle, appare il manto di cielo notturno che tutta la fascia stretta, come inquietante amplesso di luce e tenebra.
I suoi capelli neri. Il suo corpo bianco.
Onice e cristallo da passione strappati alle viscere della terra, rapiti al più profondo ventre e vortice marino.
 
Un uomo. Da quanto tempo la guarda.
Un istante, l'eternità.
Un istante: l'eternità.
Cammina sulla spiaggia. Zoppica un po'.
Inquieto e distaccato, la guarda. È la sua passione ciò che la tormenta. La passione del suo sguardo. La passione dei suo piedi e delle sue mani che si avvicinano.
La guarda, ma ancora non la vede.
Troppo lontani, i suoi occhi da quelli di lei.
La sola potenza aurea ella sua passione la può toccare.
Quell'uomo di vento invernale. Il suo corpo di terra. Estrema concentrazione d'energia solare.
La tocca senza sfiorarla. Si avvicina.
Lo sente, non può vederlo. Non può guardarlo.
La sente. Non può vederla. La guarda.
Come il visibile cerca l'invisibile.
L'uomo cammina, madido di pioggia, seguendo il ritmo del suo respiro.
Può sentire, ora, il suono del suo respiro.
Si inoltra nell'invisibile. La passione gli rivela il percorso.
Tace. Urla.
L'ombra si affloscia nell'acqua. Dopo la vertigine della danza, si affloscia. Sulla liquida superficie fluttuano tristi i suoi lunghi capelli scuri.
La guarda con improvviso dolore. Ed è paura.
Scorge solo un piccolo puto fisso nella notte: l'unico annegato nella luce lunare.
L'ombra riprende a tremare, a scuotere il capo. I capelli neri come lamenti, come lunghe collane di lacrime.
Emerge e ricade.
Lui non guarda più.
Teme l'inevitabilità di un incontro che sa assoluto, che sa definitivo.
Non può non guardarla.
Cometa del mare. La chiamerà Elettra.
Abissale e celeste, incoronata di stelle, come il mare feconda.
La chiamerà Urania.
Spazi di forme che dello spazio inspirano ed espirano l'essenza più pura ed elevata.
La chiamerà Etere.
 
Piove ghiaccio in squame d'argento.
Un istante dopo pioverà grandine di gocce di sole.
La porta d'oro dell'alba si apre.
Mostrerà una donna, padrona dell'acqua che all'acqua appartiene.
Mostrerà un uomo.
Capelli biodi. Intarsi di rugiada su cammini di sabbia.
Mani e piedi d'ossidiana. Oscurati ed opachi nel vagare e nell'attesa.
Attesa di ritornare fili dorati di quarzo.
La pelle chiara fino a trasparire abbagliante, all'alba.
Occhi di zaffiro. Blu, verde, stellati.
Si riflettono in sicuro moto dei suoi piedi e delle sue mani.
 
Un tempo &endash; fruscia la memoria &endash; la chiamavi Iride. Ricordi?
Con lei hai navigato e solcato ogni possibile via di questa stella spenta. Fino alle nubi hai inciso l'aria della sua bellezza e la stella hai infiammato.
Vagabondi gitani, vi siete chinati ad assaporare ogni istante di suolo raggiunto.
Sul suo volto primordiale di fonte sorgiva con liquido argento i luna avete scritto, decifrato e cifrato l'eternità del tempo e la sua impossibilità.
Avete sognato i vostri corpi in sacra forma di tempi e con la fine materia dello spirito così li avete innalzati.
Nel corpo d'astro d'Iride il tuo corpo di terra ha smesso di zoppicare.
In quegli invisibili templi avete partorito figli.
Figli di quella stessa passione con cui avete dato anima agli alberi dei boschi, al muschio, alle felci, alle pietre e alle acque, ai grani di polvere delle strade fino alle stelle, ciechi occhi del cielo.
Diaspro sanguigno e pietra di luna delle vostre anime avete lasciato a ciascun testimone dei vostri amplessi.
Amanti indomabili…
Come vanesi eliotropi del sole invaghiti, troppo tardi avete cessato di nutrire quell'abbraccio di rovi notturni che i vostri corpi nell'amplesso uniti con vitale godimento mortalmente lacerava.
Da passione stessa ingannati e feriti, forse da voi stessi dannati… l'oracolo delle vostre anime avete voluto tormentare.
D'amore umano conoscere il segreto.
Di mancanza e d'inevitabile perdita vi ha dato risposta ed enigma.
Clessidra, ha detto, ed una clessidra è apparsa.
Senza esitazione alcuna, con mani ed occhi d'amore l'avete cinta e capovolta.
 
Il primo passo dell'alba nel cielo.
È ormai così vicino all'iride.
Si siede sulla spiaggia.
Lei si contorce, sembra sanguinare consonanti e vocali.
Oscilla come pendolo che fra cielo ed acqua scandisce dolore in singulti di carne.
Convulsioni d'anima tentano di generare nuovo corpo di passione.
L'ombra scura corre sulla spiaggia. Quasi lo raggiunge.
Cade, rotola nell'acqua. Morde e bacia l'ultima oda violenta.
Striscia, si aggrappa alla sabbia umida e salata.
Sogna: allontanarsi dal mare. D'eternità, solo un istante.
Lui sta lì seduto, non accenna ad alzarsi. Perché.
Lei si lascia ribendare dall'acqua.
Ricade, corpo immobile e freddo che al nulla si abbandona.
I lunghi capelli neri si aprono come un ventaglio sulla lingua d'aria tra acqua e terra.
La vestono. La spogliano.
 
All'improvviso, dopo tanta inquieta, errante attesa, l'improvviso accadde.
L'alba possiede il cielo e verso terra cammina fiammante.
Repentino si alza e corre fino a lei. Non zoppica più.
Immersi i piedi nell'acqua, avanza di qualche passo.
Indietreggia. Co un piede le sfiora la mano serrata.
La sua schiena s'inarca e dalle sue vertebre sbocciano tutte le arterie dell'arcobaleno.
Il viso, nella sabbia celato, emana luce di perla tremante di verdi lampi, come braccia incerte protese ad accogliere un abbraccio.
Non lo vede, né lui può vederne il viso.
Si stende accanto a lei. Dita d'amore errante e sapiente scivolano e risalgono lungo la linea sottile e tesa del collo.
Sta tornando all'indicibile di un mondo di vite che mai ha lasciato. Troppo a lungo ne ha vissuto la morte.
Il viaggio di ritorno esige l'arte della pazienza, e dell'amore, i più rarefatti aromi.
La paura di errare rende atroce la cautela.
Affonda il viso tra i suoi capelli.
Lentamente, li afferra e stringe tra i denti.
Si fa vento il suo respiro, e quel corpo d'alabastro rigira, a sé rivolgendone il volto.
Il volto d'Iride.
Schiude palpebre d'arcobaleno fluorescenti, a lui offre lo smeraldo dei suoi occhi d'immenso, che ancora piovono sangue di parole amanti troppo a lungo taciute e da memoria prostrate.
Lo bacia, a lui s'avvolge come neonata edera a salda materia d'anima.
A lui si lega con trecce di capelli che nulla può sciogliere.
Nulla può sciogliere nodi di libertà.
Lei sa. Vede la clessidra capovolta. Vede cedere al tempo le ultime gocce di sabbia.
Lui non sa. Non vede. Iride è il suo immortale enigma e la sua unica umana verità.
Così legato a lei, viene trascinato in acqua.
Fra le correnti marine, sempre più in basso è trascinato, fino al risorgere in esplosione di respiro nel compiersi dell'amplesso.
Piccola morte hanno vissuto.
Grande miracolo hanno infine conosciuto.
Ancora per poco, Iride saprà.
Ancora per poco, lui non saprà.
Tra le sue braccia la raccoglie, in abbraccio di mortale certezza la solleva sopra le acque e con lei a lui annodata lentamente cammina uscendo dal mare.
Dal trasparente splendore d'Iride distoglie gli occhi per guardare lo spazio intorno.
Ovunque può vederla, senza guardarla.
Quello spazio è vibrazione ascendente della luce d'Iride.
 
Un uomo biondo, dagli occhi di zaffiro stellati e blu come notturni deserti d'oriente cammina sulla spiaggia.
Tiene fra le braccia una donna dai lunghissimi capelli neri e dagli occhi di smeraldo incandescente.
I suoi lunghi capelli strisciano sulla sabbia bagnata. Scrivono tutte le parole taciute.
Respirano ancora.
L'uomo abbassa gli occhi umidi e lucenti di verità.
Sta tenendo fra le braccia un verde corpo d'alga marina che al suo collo si è annodato.
Si gira e verso il mare ritorna con passo d'assoluto silenzio.
Ad esso restituirà il verde palpito d'anima.
Ogni passo è verità ed enigma.
Iride.
L'uomo ama.
Sorridendo di nulla, all'acqua abbandona la verità.
Di tutto spogliato, in solitudine cammina.
Gli occhi di zaffiro trattengono solo l'enigma.
Ora sa. E ferocemente piange.
La verità con occhi d'Iride.
Monique Sartor ha vinto il 2° premio del concorso Club dei Poeti 1998 con questa poesia
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Marguerite Yourcenar 1998 sezione narrativa
 
Per leggere la poesia inserita nell'antologia Marguerite Yourcenar 1998
 
Per leggere l'opera 8° classificata Concorso Letterario Fonopoli 1999 sez. poesia
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agg. 29 settembre 2000